Rassegna stampa 23 dicembre

 

Giustizia: il presidenzialismo, ovvero una dittatura mediatica

di Giovanni Valentini

 

La Repubblica, 23 dicembre 2008

 

È sintomatico che, nelle reazioni polemiche alla boutade di Silvio Berlusconi sul presidenzialismo, in pochi abbiano sentito finora la decenza di ricordare il macroscopico conflitto di interessi che grava tuttora su di lui, capo del governo e capo di un’azienda che funziona in regime di concessione pubblica.

E dunque, controparte di se stesso, in quanto locatore e nello stesso tempo conduttore delle frequenze televisive che appartengono allo Stato. Quasi che una tale anomalia fosse stata rimossa dalla memoria collettiva, abrogata dall’opinione pubblica, cancellata dalla consapevolezza nazionale.

A parte le pudiche allusioni di Walter Veltroni che ieri s’è dichiarato contrario al presidenzialismo "nelle condizioni date e con le distorsioni già esistenti", è mancata o comunque è stata carente nelle file dell’opposizione una replica netta e precisa su questo punto. Sarà che ormai il Paese ha metabolizzato il problema; sarà che oggi, con Berlusconi per la quarta volta al governo in quindici anni, la questione appare praticamente insanabile; oppure sarà per la cattiva coscienza che perseguita ancora il centrosinistra per non essere riuscito a risolverla quando era in maggioranza. Fatto sta che, fra tutte le motivazioni a favore o contro il presidenzialismo, questo argomento è rimasto nell’ombra, virtualmente accantonato, come se fosse stato messo in archivio o nel congelatore.

Si dirà: ma tanto ormai Berlusconi fa il presidente del Consiglio, che differenza c’è se diventa presidente della Repubblica? D’accordo. È già uno scandalo gravissimo che il conflitto di interessi in capo al premier non sia stato risolto finora, nonostante le promesse e gli impegni assunti pubblicamente. E anzi, non sarebbe mai troppo tardi per rimuovere la trave, tanto più quando si va a guardare la pagliuzza nell’occhio altrui, come nel caso di Renato Soru, governatore dimissionario della Sardegna.

Ma un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo, e per di più con poteri esecutivi, proprietario di tre network privati, titolare di una concentrazione televisiva e pubblicitaria senza uguali al mondo, né in quello civile né in quello incivile, riunirebbe nelle proprie mani troppi poteri per risultare compatibile con un livello minimo di legittimità e autorità democratica. La sua sarebbe, a tutti gli effetti, una dittatura mediatica.

E allora il capo dello Stato rischierebbe di non rappresentare più l’unità nazionale, il garante supremo della vita politica, la "guida della Nazione". Sappiamo bene che al di qua o al di là dell’Atlantico, dall’America alla Francia, esistono regimi presidenziali dotati di pesi e contrappesi, con tutti i crismi della democrazia. In nessuno di questi Paesi, però, un tycoon televisivo è mai diventato premier e meno che mai potrebbe diventare capo dello Stato. Il "modello Berlusconi" è un inedito assoluto, universale, planetario. Un "unicum" non replicato e non replicabile.

Ma la verità è che a questo punto il danno è stato già fatto, i buoi sono scappati dalla stalla e perciò sarebbe inutile chiuderla adesso. Nell’Italia berlusconiana, il regime presidenziale ha un rapporto simbiotico con la dittatura mediatica: nel senso che l’uno è funzionale all’altra e viceversa. Dopo aver imposto dalla metà degli anni Ottanta l’egemonia della sua cultura o incultura televisiva, su cui poi ha costruito la leadership politica che gli ha assicurato la maggioranza e il governo del Paese, ora Berlusconi vuole tentare l’ultimo colpo, l’assalto finale al Colle, il salto nell’empireo dei "padri della Patria".

E in linea con la sua natura predatoria e populistica, non cerca soltanto un’elezione, tantomeno tra i banchi del Parlamento; ma piuttosto un referendum o meglio un plebiscito, nelle strade, nelle piazze, nei gazebo. Se potesse, anzi, gli basterebbe certamente un sondaggio d’opinione o magari un televoto.

A quasi dieci anni di distanza, dunque, Vale ancora l’ammonimento che il senatore a vita Gianni Agnelli consegnò al nostro direttore in un’intervista apparsa su Repubblica il giorno dell’elezione di Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale. Alla domanda se non pensasse che quella sarebbe stata l’ultima votazione parlamentare del Capo dello Stato, l’Avvocato rispose: "Francamente, penso che sarebbe un errore. Vedo troppi rischi in un’elezione diretta del presidente della Repubblica, senza il filtro delle Camere per un ruolo così delicato e di garanzia. Con le televisioni, tutto diventa troppo semplice, esagerato, con pericoli di populismo. Meglio di no". Ecco, troppo semplice, esagerato: proprio così.

Giustizia: Maroni; sottratti alla mafia beni per oltre 4 miliardi

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 23 dicembre 2008

 

Nel 2008 triplicano i beni sequestrati alla criminalità organizzata, per un valore di 4,1 miliardi. Ieri il titolare del Viminale Roberto Maroni ha fatto il bilancio dell’attività e ha detto che il "fiore all’occhiello" del ministero è stata la lotta alla criminalità organizzata. Nel 2008 ha portato alla cattura di 104 pericolosi latitanti, contro i 68 del 2007.

Ma per un contrasto efficace dei clan, spiega il ministro, "bisogna colpirli nei soldi". Il 60% dei sequestri è rappresentato da immobili (circa tremila tra appartamenti, ville, terreni); il 21% da beni mobili (circa mille tra auto, moto e natanti) e il 19% da altri beni, tra cui 887 aziende che, osserva Maroni, "vanno fatte funzionare, altrimenti chiudono con il risultato che i lavoratori rischiano di perdere il posto per l’intervento dello Stato".

A gennaio, annuncia, "faremo una riunione con imprenditori, commercianti e artigiani per creare una rete di protezione che consenta la gestione di queste aziende e le faccia funzionare. Se sapremo far fruttare i beni sequestrati - aggiunge Maroni - fondi ingenti potranno essere messi a disposizione delle forze dell’ordine". Al ministero dell’Interno i tecnici stanno già lavorando con i colleghi della Giustizia e dell’Economia. Non è un’operazione facile, quella di rendere subito disponibili i valori mobili e immobili sottratti ai mafiosi.

Soprattutto se si parla di sequestri - l’atto definitivo che consente il passaggio allo Stato è invece la confisca l’idea è di definire la possibilità che lo Stato ottenga una parte di quei beni, una sorta di acconto, senza però rischiare che eventuali ricorsi sui sequestri, vinti in giudizio, trasformino somme e patrimoni prima acquisiti e poi restituiti ai mafiosi in un paradossale incremento del debito pubblico.

Nell’attesa di norme generali, la Polizia si potrà aggirare tra le strade con una Ferrari 512 giallo canarino e una Porsche Cayenne nera, già esibite ieri nel cortile del Viminale insieme ad altre tre auto di grossa cilindrata, anch’esse sequestrate a mafiosi. "Le faremo girare - dice Maroni - con la polizia a bordo, nei posti dove prima giravano i mafiosi, per far capire che il clima è cambiato".

Sul capitolo terrorismo "c’è - comunica il ministro - massima allerta" e sono stati intensificati i controlli nei luoghi affollati durante il periodo natalizio, ma "la nostra capacità di analisi è molto accurata; da questo punto di vista il ministro dell’Interno e il capo della Polizia dormono sonni tranquilli e con loro tutti i cittadini italiani".

Nel corso della conferenza stampa il titolare del Viminale parla poi di "ottimi risultati" nel contrasto alla violenza negli stadi: i dati di questa stagione indicano un netto calo dei feriti e degli arresti. "Non vogliamo - sottolinea - chiudere gli stadi, come ha detto un po’ troppo frettolosamente qualche presidente di società di calcio.

Noi dobbiamo garantire la sicurezza, non i bilanci delle società che devono investire sulla Tessera del tifoso per avere stadi pieni e sicuri". Infine, nel 2009 saranno attivi i Nuclei specialisti per l’assistenza alle imprese, squadre di vigili del fuoco che avranno il compito di dare più sicurezza contro la piaga degli incidenti sul lavoro. Entro marzo sono previste 1.400 assunzioni.

Giustizia: il "decreto rifiuti" è legge... chi inquina va in carcere

 

Il Mattino, 23 dicembre 2008

 

È stato definitivamente approvato dal Senato il decreto legge del governo Berlusconi per l’emergenza rifiuti. Secondo lo staff di Bertolaso si tratta di un altro passo importante. Un passo mosso proprio mentre le telecamere del sito internet del sottosegretario mostrano la ditta che opera a Chiaiano al lavoro anche di notte nella speranza di inaugurare la discarica prima della fine dell’anno. Il decreto prevede quattro punti qualificanti.

Il carcere. Chi in Campania abbandona, scarica e deposita in modo incontrollato rifiuti pericolosi, speciali o ingombranti rischia la reclusione fino a 3 anni e sei mesi. Anche realizzare o gestire una discarica abusiva sarà un delitto e non più solo una contravvenzione. Infine, sono previste sanzioni per il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi. Saranno sequestrati i mezzi utilizzati per portare rifiuti in discariche abusive. Su questo punto era stata proposta una modifica dallo stesso governo: si pensava di estendere la norma a tutto il territorio nazionale, ma la Lega ha imposto uno stop.

I siti. Gli enti locali dovranno individuare siti di stoccaggio provvisorio, il sottosegretario alla protezione civile è autorizzato a far progettare, realizzare e gestire un termovalorizzatore che consentirebbe l’eliminazione degli oltre 5 milioni di tonnellate di eco-balle stoccate in varie piazzole disseminate nel territorio campano.

Gli enti locali. Nei territori in cui vige lo stato di emergenza, in caso di "grave inosservanza" degli obblighi a carico di Province e Comuni il sottosegretario potrà assegnare all’ente interessato un termine "congruo e perentorio" decorso il quale può procedere, con decreto del ministro dell’Interno, alla rimozione del Sindaco, del presidente della Provincia o dei i componenti dei consigli e delle giunte.

L’educazione. Nelle scuole dell’obbligo si insegnerà educazione ambientale, mentre il ministero dell’Ambiente potrà organizzare campagne divulgative anche sui media e su internet per sensibilizzare la popolazione sulla raccolta differenziata. Il decreto è stato approvato con il voto contrario del Pd: i democratici hanno rivolto un appello al governo per arrestare la corsa a deroghe, eccezioni e procedure che hanno definito sempre meno democratiche e sempre più centraliste.

Evidente, invece, la soddisfazione dello staff di Bertolaso che ha diffuso un comunicato: "Dopo aver avviato a completamento un sistema di discariche adeguato alle necessità del territorio e avere garantito la ripresa dei lavori di completamento del termo-valorizzatore di Acerra, ormai prossimo all’apertura, quella approvata dal Senato è una norma importante, severa, che non vuole creare alibi, ma mira a responsabilizzare le amministrazioni comunali sui loro compiti e i loro doveri nei confronti dei cittadini".

Ma gli uomini di Bertolaso sottolineano che la legge non mira solo alla repressione: "Altra importante novità per i cittadini della Campania è che potranno gestire in prima persona i materiali riciclabili. Un riconoscimento a chi si impegnerà direttamente, con le buone pratiche, nel far crescere la consapevolezza di quanto sia importante anche con piccoli gesti, contribuire a mantenere la regione pulita". E proprio per incoraggiare la differenziata fai da te nelle ultime domeniche sono stati organizzati dei punti di raccolta nelle piazze principali di Napoli, Salerno, Aversa, Portici.

Giustizia: i pm di Salerno non rispondono a domande del Csm

 

Ansa, 23 dicembre 2008

 

Hanno consegnato una memoria scritta, ma non hanno risposto alle domande dei consiglieri del Csm - come già aveva fatto il loro procuratore capo Luigi Apicella - i pm di Salerno Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi, autori del sequestro del fascicolo Why Not che ha portato allo scontro con la procura di Catanzaro.

I due magistrati dovevano essere ascoltati dalla Prima Commissione di Palazzo dei marescialli che ha aperto nei loro confronti - oltre che in quelli di Apicella, e dei pm di Catanzaro - la procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale e funzionale. Il Csm contesta a Verasani e Nuzzi - che era già stati sentiti il 10 dicembre scorso ma che oggi erano chiamati a difendersi dalle accuse mosse nei loro confronti - di aver disposto il sequestro del fascicolo, partendo dal presupposto che vi fossero "resistenze" da parte dei colleghi di Catanzaro a collaborare, senza valutare l’adozione di strumenti processuali differenti, di aver assunto così un atteggiamento "apparso conflittuale e incompatibile con i doveri di indipendenza e terzietà propri di ogni magistrato". Sotto accusa sono anche le modalità delle perquisizioni eseguite nei confronti dei colleghi di Catanzaro che - secondo Palazzo dei marescialli - hanno di fatto inciso negativamente" sulla loro "reputazione personale e professionale, e dignità".

Lettere: mio figlio ha un enfisema e rischia di morire in carcere

 

Lettera alla Redazione, 23 dicembre 2008

 

Ieri, 22 dicembre 2008, mio figlio Giovanni si presentava al colloquio (dopo solo 4 giorni dall’ultimo) con aumento di peso esponenziale, evidente una vistosa forma di ascite addominale ed agli arti superiori: il suo torace ha l’aspetto di una botte, tipico di un peggioramento della malattia (enfisema polmonare).

Mio figlio riferisce di dover fare ricorso all’infermeria più volte al giorno sopratutto nelle ore pomeridiane a causa di una totale mancanza di respirazione che gli viene medicata con iniezioni di cortisone. Il cortisone per mio figlio è fortemente nocivo poiché correlate all’enfisema soffre di altre patologie, come la cirrosi epatica, conseguenza dell’epatite C, e la piastrinopenia.

Una recentissima radiografia toracica, ha evidenziato tra l’altro anche una trachea infiammata, riconducibile alle docce con acqua fredda a cui si deve sottoporre pena rimanere sporco e sicuramente non consono alle patologie di mio figlio. Chiedo che mio figlio venga ricoverato in un presidio ospedaliero, meglio quello di malattie infettive degli ospedali riuniti di Reggio Calabria, dove conoscono da oltre un decennio l’anamnesi di mio figlio. Il diritto alla salute è sancito dalla nostra Costituzione e noi tutti dobbiamo rispettarlo: mio figlio rischia di morire in carcere

 

Elena Palamara, di Reggio Calabria

Milano: San Vittore fuorilegge, manca anche la carta igienica

 

Affari Italiani, 23 dicembre 2008

 

"Vorremmo non essere ridotti a parlare di carta igienica ma ci siamo costretti. Non è solo un simbolo dei beni di prima necessità che mancano ai detenuti: nelle carceri comincia a scarseggiare davvero. A San Vittore danno due rotoli al mese a persona".

È la denuncia del Garante dei diritti delle persone limitate nella libertà personale della Provincia di Milano, Giorgio Bertazzini. Il garante ha spiegato così l’iniziativa promossa dal suo ufficio per sensibilizzare la cittadinanza sulle condizioni dei detenuti: un albero di Natale di carta igienica di fronte al carcere di San Vittore. "Denunciamo un carcere fuorilegge - ha detto il garante - in cui i detenuti non hanno nemmeno il necessario per pulirsi". "In più con questa crisi, e i tagli, la situazione non può che peggiorare".

Rotoli di carta igienica, uno sopra l’altro, a formare un albero di Natale. Perché "i diritti umani non sono carta igienica". È l’iniziativa, in corso in piazza Filangieri, di fronte all’ingresso del carcere di San Vittore, su proposta dell’ufficio del Garante dei diritti delle persone limitate nella libertà personale della Provincia per portare l’attenzione sulle condizioni dei detenuti. Il tutto nel doppio sessantesimo, della Carta costituzionale e della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo.

Tante le associazioni che hanno aderito all’iniziativa: tra le altre, la Camera penale di Milano, la Cgil Lombardia e il Coordinamento nazionale Comunità accoglienza. E tante anche le mancanze denunciate dai manifestanti: beni di prima necessità come la carta igienica, appunto, spazio (58mila detenuti in celle pensate per ospitarne 37mila), celle a norma (lo sono solo il 16,5 per cento), cibo e assistenza sanitaria.

Milano: sindaco Moratti incontra detenuti e agenti di S. Vittore

 

Affari Italiani, 23 dicembre 2008

 

Visita al carcere di San Vittore per il sindaco Letizia Moratti e l’assessore alle Politiche sociali, Mariolina Moioli. Circa un’ora all’interno della struttura, dove Moratti e Moioli hanno incontrato Luigi Pagano, provveditore regionale alle carceri, il vice direttore del carcere, Teresa Mazzotta e la polizia penitenziaria. Parlando con i poliziotti, Moratti li ha ringraziati per il lavoro che svolgono e il ruolo che hanno nel carcere, riconoscendo le difficili condizioni di lavoro dovute anche al fatto di avere la famiglia lontana.

Per questo, una guardia, ha chiesto la possibilità di avere agevolazioni sugli alloggi e il sindaco gli ha risposto dicendo che saranno tenute in considerazione le loro esigenze. Moratti ha poi visitato il sesto raggio e ha incontrato alcuni detenuti del "gruppo trasgressione", creato da 3 anni, che raggruppa una ventina di detenuti e si interroga su cosa può fare il detenuto per la società. Un detenuto ha spiegato al sindaco di aver girato diversi carceri, ma soltanto a San Vittore ha avuto questa opportunità. Infine, il primo cittadino ha portato loro l’esempio di Giacobbe Fragomeni, che proprio ieri ha ricevuto l’Ambrogino d’oro, e ha spiegato che ci si può sempre riprendere dai problemi.

Firenze: Radicali; all’Opg affollamento e struttura è fatiscente

 

La Nazione, 23 dicembre 2008

 

Dichiarazione della senatrice Donatella Poretti (Radicali-Pd), Bruno Mellano (presidente Radicali Italiani) e Marco Bazzichi (membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani).

Sono intollerabili il degrado umano e lo stato di abbandono terapeutico in cui versano gli Opg in Italia. Sono in totale circa 1200 gli ospiti-detenuti (più tecnicamente "internati") dei 6 ospedali psichiatrici giudiziari. Nonostante il nome rassicurante di "ospedale" sono veri e propri manicomi criminali, dove l’aspetto della cura e della terapia passa in secondo piano rispetto a quello della detenzione e della sicurezza. A seguito di un proscioglimento per incapacità di intendere e di volere, o per sopravvenuta incapacità durante la carcerazione, si può finire in questo girone dantesco che si configura come un "ergastolo bianco". Le proroghe di 2, 5 o 10 anni possono ripetersi all’infinito, laddove una perizia psichiatrica ravveda gli estremi della pericolosità sociale.

Perciò una persona mai condannata per alcun reato si ritrova a scontare un "fine pena mai".

A seguito delle denunce di pestaggi delle carenze strutturali, igienico-sanitarie e di sovraffollamento abbiamo realizzato una visita ispettiva all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino, stamani dalle ore 11.30 alle ore 15. Siamo stati ricevuti e condotti nella visita dalla nuova direttrice Maria Grazia Grazioso, assistita dal direttore sanitario Franco Scarpa e dall’ispettore Pagano.

In data odierna sono ospiti dell’Istituto 186 persone a fronte di una capienza prevista di circa 110, suddivise nelle varie sezioni: sezione seconda - Ambrogiana - circa 70; nell’altra, costituita dalle ex-stalle della Villa Medicea Torre 52; Arno 37; Pesa circa 30. Età media è di 41 anni. La presenza di stranieri è di appena il 10%. Per oltre il 70% sono reati contro la persona, il 40% omicidi compiuti per lo più nell’ambito familiare. Il 40% degli internati sono stati prosciolti durante il processo, il 30% sono in attesa di giudizio, gli altri semi infermi o inviati in osservazione dalle carceri. Risultano lavoranti interni circa 45 ospiti, uno solo in articolo 21 esterno alla struttura. È prevista un’ora d’aria al mattino ed una al pomeriggio. Le celle sono molto diverse fra loro per dimensione e condizione: nella seconda sezione Ambrogiana sono tutte doppie, ma fatiscenti e fredde; nelle altre sezioni sono ammassati sei - sette internati in ambienti già stretti per tre. Ma sono state, quasi tutte, ristrutturate di recente, solo una parte della sezione Torre risulta tuttora fatiscente.

Gli agenti di polizia penitenziaria risultano essere appena 100, di cui 20 destinati al nucleo "traduzioni": nel complesso, conteggiato i distaccati, risultano mancanti almeno 20 agenti, rispetto ad un organico che è comunque tarato su 110 detenuti. Non va meglio per la parte sanitaria, recentemente non più medicina-penitenziaria, ma facente capo al Sistema sanitario nazionale, dove a essere garantita 24 ore su 24 è solamente la guardia medica, perché manca lo psichiatra dalle 18 alle 9 e dalle 14 del sabato alle 9 del lunedì.

La Regione Toscana deve approfittare del passaggio dalla medicina penitenziaria alla Sanità e alle sue nuove competenze in materia, per chiudere questa struttura, riorganizzando un servizio che non può essere altro che di cura per persone bisognose di un’assistenza sanitaria invece di una sorveglianza da parte degli agenti penitenziari. Nonostante l’impegno del personale che lavora e che dirige l’Opg di Montelupo, appare

necessario rivedere alla radice l’impostazione che sta alla base dell’istituzione stessa. L’evidente contraddizione di questi giorni è che quando l’Asl ha chiesto di non inviare più detenuti, perché non si può più garantire un livello minimo di assistenza sanitaria, il Dap ha continuato a farlo, e quotidiani sono i nuovi ingressi.

Firenze: Agnoletto (Prc); l'Opg di Montelupo va chiuso subito

 

Agi, 23 dicembre 2008

 

"186 detenuti, invece che 110, come imporrebbe il limite di questa struttura; sei celle dichiarate inagibili usate ugualmente; due settimane senza acqua calda né riscaldamento in pieno inverno e il personale sotto organico: questo è oggi l’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Montelupo", ha dichiarato Vittorio Agnoletto, eurodeputato di Rifondazione comunista, che stamattina ha visitato l’Opg toscano.

"La visita è nata dopo alcune segnalazioni di situazioni di disagio e di casi di presunte violenze. Più di una persona mi ha raccontato di essere stata testimone in tre occasioni di comportamenti violenti nei confronti di detenuti con forti handicap psichici. Su alcuni di questi episodi è aperta un’indagine giudiziaria. Quello che mi auguro è che si faccia al più presto luce su queste vicende e che, in ogni caso, si rifletta sulla necessità di una preparazione ad hoc per il personale penitenziario che lavora presso l’Opg.

Il sovraffollamento e l’insufficienza del personale socio-sanitario rendono comunque difficili le terapie per i detenuti che - ricordiamo - sono stati accusati o condannati per aver commesso reati in assenza di capacità di intendere e volere. Si tratta di persone dalle patologie psichiatriche più diverse, costrette a convivere in sei in celle da due posti, in una situazione che è comunque assurda, nonostante gli sforzi del personale medico. Alcune persone dovrebbero stare in celle singole perché a rischio suicidio, ma non sempre ce n’è la possibilità. Inoltre i pochi detenuti immigrati vivono una situazione ancora peggiore: i percorsi di reinserimento sociale sono quasi impossibili perché, in assenza di un certificato di residenza, le Asl si rifiutano di avviare tali programmi".

L’europarlamentare solleverà ora la questione in sede europea: "in primis chiederò all’intergruppo del Parlamento europeo che si occupa di psichiatria di organizzare una serie di visite negli Opg italiani e anche negli altri "manicomi criminali" europei. Poi presenterò un’interrogazione alla Commissione europea per chiedere se le situazioni viste oggi non sono in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Infine, invierò una lettera al Ministro della Giustizia per chiedere se e quando verrà terminata l’attuale ristrutturazione dell’Opg di Montelupo, in modo da migliorare subito le condizioni di vita di queste persone, e solleciterò i parlamentari italiani disponibili a mobilitarsi per questo caso. Comunque, una cosa è certa: l’Opg va chiuso al più presto, le persone che vi sono detenute destinate a strutture più idonee ai loro problemi".

Bologna: Cgil; a Natale donate 1 euro ai detenuti della Dozza

 

Redattore Sociale - Dire, 23 dicembre 2008

 

L’appello di Morgantini (Cgil) e Fontanella (Comitato delle memorie) dopo l’allarme della Garante: "Alla Dozza sarà un Natale durissimo, ai carcerati manca il minimo indispensabile".

"Donate un euro per i detenuti del carcere della Dozza". È l’appello lanciato oggi ai cittadini di Bologna da Roberto Morgantini, responsabile dell’Ufficio stranieri della Cgil, e Mattia Fontanella del Comitato delle memorie, che hanno organizzato per domani mattina un presidio di raccolta fondi dalle 10 alle 13 sotto l’albero di Natale del Comune in piazza Nettuno.

È un invito a raccogliere il grido d’allarme lanciato nei giorni scorsi da Desi Bruno, la Garante comunale dei diritti delle persone private della libertà. "Sarà un Natale durissimo per i detenuti di Bologna - ha detto la Bruno - perché l’amministrazione penitenziaria, che vive con fondi sempre più risicati, spesso non riesce a garantire il minimo indispensabile: cose come il vestiario, un cambio di biancheria, il dentifricio, un francobollo per una lettera ai familiari". Questo in un carcere che ospita oggi 1080 persone, di cui 700 stranieri, quando la capienza massima sarebbe di 550.

"Il nostro livello di civiltà - dicono Morgantini e Fontanella nel loro appello alla città - si misura nella capacità e volontà di difendere i più deboli. Anche i detenuti, donne e uomini che devono espiare la giusta pena, ma al tempo stesso sono persone portatrici di diritti e doveri e vanno inseriti in un percorso di recupero nella società. La situazione denunciata dalla Garante ci sembra intollerabile, e richiede una presa di posizione. Per questo chiediamo a tutti di donare ai carcerati un euro, l’equivalente di una tazzina di caffè". Adesioni all’appello si raccolgono anche all’indirizzo mail roberto_morgantini@er.cgil.it.

Alghero: su situazione carcere sindaco chiede aiuto al ministro

 

Apcom, 23 dicembre 2008

 

"Conoscendo il suo impegno per migliorare la giustizia italiana rendendola più snella ed efficiente, sono sicuro che si adopererà nel corso del suo mandato politico anche affinché sia data una soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri. In ciò confido invocando un suo autorevole e risolutivo intervento finalizzato ad un consistente irrobustimento dell’organico impiegato che consenta alla struttura carceraria algherese di continuare a funzionare con i consueti livelli di eccellenza e secondo le capacità, le potenzialità e le professionalità che ancora oggi possiede".

Questa la richiesta inviata dal sindaco di Alghero Marco Tedde al ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano. Il primo cittadino algherese si dice preoccupato non poco per la difficile situazione nella quale già da qualche tempo svolgono servizio gli agenti di custodia della locale casa circondariale. "Attualmente la struttura algherese conta un popolazione carceraria di duecentoventi detenuti dei quali si occupano appena ottanta agenti. Già il dato numerico mostra in tutta la sua gravità l’emergenza nella quale quotidianamente gli operatori carcerari sono costretti a lavorare, in condizioni di sicurezza di gran lunga lontane da quelle ideali e con un clima che affligge ed appesantisce ulteriormente la sofferenza di chi vive la reclusione. Il contrario di ciò che il nostro ordinamento giuridico si prefigge di raggiungere con la detenzione e di ciò che la struttura algherese è riuscita fino ad oggi a realizzare con non poche difficoltà, offrendo davvero l’opportunità di trasformare la pena detentiva in un’occasione di arricchimento umano, sociale e professionale da spendere poi una volta "scontato il debito" con la società".

Marco Tedde sottolinea come, per decenni, la casa di pena di Alghero abbia rappresentato un esempio virtuoso per l’intero sistema carcerario isolano e non solo, potendo vantare professionalità ed impegno non comuni che hanno fatto del "San Giovanni" un carcere modello. "Oggi tutto questo rischia seriamente di essere perduto e disperso a causa delle condizioni letteralmente disumane nelle quali gli agenti operano con orari di lavoro massacranti che non consentono la regolare fruizione di ferie e riposi, ed una pressione psicologica difficile da gestire i cui negativi effetti si riverberano inevitabilmente anche sulla popolazione carceraria", spiega il sindaco di Alghero, che aspetta ora una risposta reale da Roma alle esigenze del territorio.

Lecce: detenute protagoniste del progetto "Made in carcere"

 

Asca, 23 dicembre 2008

 

Grande soddisfazione è stata espressa dalla direttrice del carcere di Lecce Anna Rosaria Piccini. "Vogliamo far conoscere i frutti del progetto Made in carcere per poter intraprendere ancora nuove strade". Le donne del carcere di Lecce si danno al fashion nel senso che lo creano. Hanno creato cappelli, borse "Fifì", vestiti con grande attenzione nella manifattura e poi, indossando i loro capi, hanno sfilato davanti a una vasta platea, istituzionale e non. La manifestazione si è conclusa con la premiazione dell’assessore regionale Enzo Russo che fin dall’inizio ha creduto nel progetto "Made in carcere", e con la lettura di una missiva-appello destinata ai tanti "Babbo Natale istituzionali" presenti. "Sappiamo di non essere state buone e non ti chiediamo regali", scrivono le detenute, "ma solo un po’ di spazio per mettere a frutto le nostre competenze, le nostre capacità e rientrare a far parte della società produttiva, libera e civile. Noi di Officina creativa crediamo nell’improbabile e realizziamo l’impossibile".

Grande soddisfazione è stata espressa dalla direttrice del carcere di Lecce Anna Rosaria Piccini. "Vogliamo far conoscere i frutti del progetto Made in carcere per poter intraprendere ancora nuove strade ", ha sottolineato, "nella speranza che possano portare a nuove occasioni di lavoro per tutti i detenuti della casa circondariale. Abbiamo già in mente di avviare in futuro una produzione artigianale e di orticoltura nella sezione maschile".

Bollate: squadra calcio detenuti retrocede; è colpa dell’indulto

di Franco Sala

 

Il Giornale, 23 dicembre 2008

 

La bufera di calciopoli non c’entra nulla. Le intercettazioni telefoniche neanche. Luciano Moggi neppure. Non ci sono dubbi. A mettere nei guai la formazione dei detenuti del carcere di Bollate è stato l’indulto. Aperte le celle, la "Seconda Casa di Reclusione", questo è il nome della squadra, ha infilato una serie di risultati negativi.

Conseguenza immediata: retrocessione. I migliori - difensori, centrocampisti, bomber - se ne sono andati. Mica ceduti al calcio mercato. Fuori. La compagine, che militava nel campionato di seconda categoria, è rimasta con un solo effettivo: il portiere. Non il contesissimo Gianluigi Buffon, in ogni caso un estremo difensore di tutto rispetto. Peccato sia rimasto solo: i compagni di squadra, svincolati a parametro zero da Clemente, di nome e di fatto, hanno appeso le scarpe al chiodo.

Sconsolato, Nazzareno Prenna, il mister che ha messo e ci mette un sacco di passione e d’entusiasmo. "Mi sono trovato, senza calciatori. Ditemi voi cosa potevo fare?" Lo dica lei. "Ecco, mi sono rimboccato le maniche e con pazienza ho rimpiazzato la rosa. Per finire il campionato ho dovuto far scendere in campo qualche studente della mia scuola". Tesserati gli "stranieri". Del resto da un giorno all’altro, ve lo assicuro, non è facile trovarsi agli allenamenti solamente col portiere. Fatte tutte le ovvie proporzioni chiedete se la stessa cosa capitasse a Josè Mourinho, Claudio Ranieri o Carlo Ancelotti".

Beh, ora che fa, esagera? "No, in ogni caso, io faccio tutto con tanto impegno e quindi sono veramente rimasto deluso. Contento per i calciatori che hanno riguadagnato la libertà, ma per quanto mi riguarda dovevo pensare anche al campionato. Sapete, siamo arrivati in testa alla classifica". Poi? "Retrocessi in terza. Non funzionavano più gli schemi, è mancato - continua Prenna - lo spirito di gruppo, quello che i cronisti sportivi definiscono lo spogliatoio. Da una squadra forte e competitiva mi sono trovato a rifare tutto in soli quindici giorni. Dopo sei anni con la stessa formazione, approvato l’indulto ho dovuto arrangiarmi".

La squadra dei detenuti di Bollate è l’unica in Italia iscritta ad un torneo riconosciuto dalla Federazione Italiana Gioco Calcio. "Quelli che scendono in campo - aggiunge il mister che insegna alla scuola media Da Vinci di Limbiate - per le partite fuori casa devono ottenere il permesso dal giudice di sorveglianza". Adesso sono arrivati nuovi "acquisti" e "La seconda casa di reclusione" sembra uscita dalla lunga crisi di risultati. "Prima giocavamo tutte le partite tra le mura amiche. Poi gli avversari hanno protestato. Adesso andiamo anche in trasferta. Domenica abbiamo vinto 2 a 1 contro il Mojazza Calcio di Milano. Devo ammettere: una bella soddisfazione e una gran rivincita". Speriamo - per lui - che non arrivi un altro gesto di clemenza.

Asti: l’esperienza di Banco Alimentare raccontata ai detenuti

 

Gazzetta di Asti, 23 dicembre 2008

 

Nell’ambito del progetto Viaggio intorno alla mia stanza, la Casa Circondariale ha ospitato, nei giorni scorsi, l’incontro tra un gruppo di detenuti e il volontario del Banco Alimentare astigiano Antonio Bagnulo, coordinatore dei tecnici Coldiretti. I temi delle nuove povertà e dell’impegno individuale a favore di chi ha bisogno ha attraversato la conversazione e ha aiutato i reclusi a comprendere l’esperienza del Banco alimentare, a cui Bagnulo aderisce da una quindicina di anni.

L’ospite ha ricordato che nell’Astigiano, nel tempo, un numero crescente di enti caritativi (associazioni, centri di ascolto, etc.) si è rivolto alla Fondazione Onlus, impegnata nella raccolta e distribuzione delle eccedenze alimentari. "Oggi assistiamo 38 realtà - ha indicato Bagnulo - che a loro volta si occupano di 4 mila indigenti. Questi ultimi potrebbero essere di più, ma molte persone in difficoltà rinunciano a chiedere aiuto per pudore. Il cibo ritirato settimanalmente nei supermercati viene stoccato in un apposito magazzino insieme alle scorte raccolte con la giornata della colletta alimentare che, nel 2008, hanno raggiunto le 40 tonnellate".

L’incontro, dal titolo Le buone azioni non hanno prezzo: storia del Banco Alimentare, ha anche approfondito la figura del volontario (67 quelli che aderiscono alla Fondazione astigiana). Intanto Viaggio intorno alla mia stanza, progetto ideato dall’Associazione Comunica e promosso dalla Casa Circondariale con il sostegno della Provincia (Assessorato alle Politiche Sociali) proseguirà in gennaio con il tema: Ieri la Shoah: e oggi? Mappa aggiornata sul razzismo e le persecuzioni nel mondo. Il gruppo di detenuti impegnati nel laboratorio settimanale si preparerà all’incontro con Nicoletta Fasano, ricercatrice dell’Israt, attraverso libri, video e discussioni di gruppo condotte da Comunica.

Mantova: il vescovo porta ai detenuti "il conforto della fede"

 

La Gazzetta di Mantova, 23 dicembre 2008

 

"Vorrei festeggiare qui il Natale per portare il conforto della fede anche a chi, come voi, vive un momento difficile e ha bisogno di tornare a conoscere il bene". É il messaggio di speranza pronunciato dal vescovo Roberto Busti, ieri mattina in via Poma per celebrare la messa con i detenuti della casa circondariale. Ad ascoltarlo nella cappella, oltre alle autorità e ai volontari del mondo penitenziario e giudiziario, erano presenti cento detenuti, più o meno la metà di quelli attualmente reclusi: tra loro numerosi i giovani e le donne.

"Sono felice di essere qui - ha spiegato il presule durante l’omelia - vorrei ricordarvi che, se lo desiderate, la fede può entrare nel vostro cuore e ridarvi la fiducia nel perseguire la strada del bene nel rapporto con gli altri". Un incoraggiamento forte, quindi, a non arrendersi nel cercare un reinserimento positivo nella società, pur avendo varcato le porte del carcere, affidandosi prima di tutto alla fiducia nel perdono, in quanto "Dio nonostante tutto non cessa mai di volerci bene, senza rinfacciarci le nostre colpe".

Dopo l’omelia il vescovo ha cresimato un giovane detenuto, Alessandro, che per l’occasione era accompagnato dal padre. Un caloroso ringraziamento a monsignor Busti è stato rivolto a nome dei carcerati da uno di loro, Romano, che dal pulpito ha sottolineato come il carcere "sia un luogo pieno di disagio umano, ma nondimeno di umanità", cogliendo poi l’occasione per rivolgere un forte appello all’equità della giustizia.

"Vorremmo sensibilizzare i magistrati alla serenità durante l’iter giudiziario, e chiedere che il diritto a difendersi adeguatamente non sia un appannaggio dei benestanti" ha dichiarato fra gli applausi. Un accorato monito alla comunità esterna al mondo carcerario è stato pronunciato dall’ex presidente del tribunale, Giovanni Scaglioni.

"Sono stato giudice penale per venticinque anni, e ho pronunciato tante volte sentenze di condanna, ma rifuggo i discorsi per cui una società con tanti carcerati è più sicura - ha spiegato Scaglioni - perché sarebbe necessario domandarsi soprattutto per quali motivi nasce il disagio che porta a delinquere". Insieme al vescovo, Scaglioni ha concluso il suo discorso affermando che "la pena non deve essere solo un castigo e uno spauracchio, ma una questione morale: la società esterna deve capire che i detenuti sono persone bisognose di amore, di comprensione e di aiuto".

Senza dimora: Venezia; una notte con chi assiste gli homeless

 

Redattore Sociale - Dire, 23 dicembre 2008

 

La cooperativa Caracol gestisce una struttura di accoglienza per 25 posti d’emergenza. Sono circa 500 i senza dimora nel territorio comunale e i posti a disposizione appena un centinaio.

L’appuntamento è alle 20: inizia a quest’ora la lunga notte degli operatori impegnati a fronteggiare l’emergenza freddo per i senza tetto. Prima una breve riunione nella sede di Marghera, una mappatura della città, poi si parte. Le equipe della cooperativa Caracol operative ogni notte nei mesi invernali sono due: una per Venezia, una per la terraferma, cioè Mestre. Tre, quattro viaggi a serata per caricare nel pulmino bianco da 9 posti i 24 fortunati che dormiranno al caldo. Da Venezia a Marghera, da Mestre a Marghera, ogni viaggio diventa una lotta per spiegare che posto per tutti non ce n’è, che il pulmino tornerà a prendere altri, che porterà un po’ di cibo e di bevande calde per tutti.

Sono circa 500 i senza fissa dimora nel territorio comunale veneziano, tra laguna e terraferma. I posti a disposizione nelle case di accoglienza sono in tutto poco più di un centinaio, ma quelli gestiti dalla cooperativa Caracol sono i 24 "emergenziali".

Sei stanze da quattro posti letto ognuna, che ogni notte vengono organizzate e riorganizzate dagli operatori che ben sanno chi non vuole stare con chi e chi invece vorrebbe con sé l’amico. Alcuni sono degli habitué, chiamati per nome, anzi per soprannome, dagli operatori: chi ha condizioni fisiche o psicologiche delicate è sempre il primo a essere portato nella casetta. Tutti hanno una storia, delle speranze, delle sconfitte da raccontare. Alcuni sono tossicodipendenti o alcolisti. Sono uomini e donne, italiani e stranieri.

Il principale luogo in cui la Caracol cerca e trova i senza tetto è la stazione ferroviaria. È qui - soprattutto a Mestre - che stupisce vedere, mescolata tra i viaggiatori, una folla di persone che per una notte chiamano quella la loro casa. In fin dei conti è un posto sicuro perché la polizia gira e controlla. E poi è caldo e questo è l’importante.

Alle 22.30 circa, al terzo giro del pulmino dalla casa di accoglienza di Marghera, una piccola folla accorre per conquistare una brioche e un tè caldo: solo questo possono offrire gli operatori a chi, questa notte, la passerà all’aperto. Vedere i senza tetto tutti insieme è strano, perché cessano per un momento di essere invisibili. Impossibile non notarli mentre, appoggiati alla biglietteria della stazione, si passano i generi di primo conforto. "Le 22.30 è l’orario migliore - racconta Davide Mozzato, responsabile della cooperativa Caracol per il Progetto senza dimora - perché si intercettano quelle persone che la notte la passeranno davvero all’aperto, non avendo trovato un rifugio, come una casa abbandonata".

Alcuni clochard sorridono e chiedono agli operatori se, per favore, torneranno a prenderli "ma se non c’è posto non importa". Con altri invece è una continua battaglia: sono scontrosi, adirati e uno di loro spesso e volentieri, secondo i racconti, prende a bastonate il furgone. Sono cose che capitano ai "cattivi ragazzi" della cooperativa, come li chiama scherzando Mozzato "perché bisogna essere un po’ cattivi per fare questo lavoro". L’operatrice Silvia racconta che per resistere "bisogna prendere le cose di petto, non di cuore, altrimenti non è più finita".

Perché poi capita di imbattersi in persone che urlano anche cose senza senso, che si innervosiscono e impediscono di fare il proprio lavoro. Oppure capita che ci sia davvero troppa richiesta rispetto ai pochi posti disponibili e allora bisogna escogitare degli escamotage, come scegliere chi saranno i prossimi "imbarcati" e fissare un punto di incontro con loro altrove, lontano dagli altri per cui le porte della casa di accoglienza resteranno chiuse. Ogni notte è così. Qualche volta è più facile, qualche volta sembra non finire mai. Le luci della casetta si spengono. Scende il silenzio e gli operatori che non sono di turno per la custodia notturna salutano e vanno a casa. Un’altra lunga notte è terminata.

 

Gli homeless si raccontano

 

Una notte qualsiasi a Marghera, nella trafficata via Fratelli Bandiera: gli operatori della Cooperativa Caracol pian piano riempiono le sei stanzine della casa d’accoglienza, accompagnando uomini e donne senza fissa dimora. Al termine di ogni viaggio una breve sosta per decidere dove si andrà dopo, chi si deve assolutamente recuperare, riferendo di qualcuno che sta male ed è all’ospedale. E gli ospiti davanti a una tazza di tè caldo a volte iniziano a raccontare, si sciolgono, fanno a gara per un po’ d’attenzione e peccato se la bevanda si raffredda.

Il primo ad arrivare è Roberto Vianello, detto Bebo, 39 anni. Un cappello scuro pigiato in testa, un bicchiere di tè in mano, è disposto a raccontare la sua storia perché non si vergogna di niente. Parla un po’ in italiano un po’ in dialetto e tra un morso alla brioche e una sorsata spiega come funzionano le cose nella casa di accoglienza. Poi racconta di sé: "Prima di conoscere questi ragazzi dormivo in strada, perché ho avuto una delusione d’amore circa due anni fa: io mi ero innamorato e lei mi ha prosciugato, ho perso anche l’appartamento. Stavo talmente male che ho ricominciato a farmi. Ormai me la sono già dimenticata, ma allora mi son trovato davvero nei casini".

E non riesci a rialzarti? "E come? Mi trovo un lavoro e poi dove vado a dormire? I miei genitori sono morti, i miei fratelli - tre maschi e una femmina - non ne vogliono sapere. Lavoro per il Ser.T. adesso, il mio futuro lo vedo prima in comunità, poi mi rifarò una vita, ancora una volta". Roberto ha trascorso anche 12 anni in carcere per furti e rapine, ma lo dice alla fine, come fosse un aspetto di un’altra vita, come se non fosse importante. "Quello che ho fatto lo rifarei perché è capitato nel momento della povertà e del bisogno. Ma cercherei di non rovinarmi, di fare qualcosa di più per me".

Una donna sembra ben vestita, parla con un sofisticato accento che dice originario della Svizzera francese. Ma la sua carta d’identità è italianissima: si è costruita un personaggio, parla di arte e di letteratura, si spaccia per artista e dice che è qui solo di passaggio, ma non ha una casa. A vederla per strada e non nella struttura di accoglienza non la si prenderebbe per una clochard.

E poi c’è un signore che vuole restare anonimo, ma che è disposto a raccontare. È in carrozzina da sempre, affetto da paraplegia spastica infantile perché la madre venne picchiata mentre lo aspettava: una vita difficile fin dall’inizio, eppure lui ha trovato rifugio per un po’ nello sport, fino a diventare atleta paraolimpico gareggiando nel nuoto. Poi, la strada. "Tutto è iniziato per soldi, sempre e solo soldi facili. Una vita normale, moglie e figlio, poi un tradimento, così li ho lasciati a casa e me ne sono andato. Il mestiere che conoscevo un po’ di più è il pusher, così ho fatto quello: ho spacciato per 15 anni e lo faccio ancora. In passato mi sono anche drogato, ho preso un po’ di tutto, ma ora uso solo hashish. Mio figlio adesso ha 10 anni, lo vedo ancora". E cosa ti dice? "Che sono una testa di c… Sa che la mia vita è stata sempre on the road, io sto lontano dai posti dove ho sofferto. Una vita la vorrei ricostruire qua, ma ci sono dei problemi perché sono originario di Pordenone, non sono residente a Venezia quindi non ho accesso ai servizi sociali".

Dice anche che presto uscirà da questa vita, che sta mettendo via dei soldi per rialzarsi, che è solo una questione di liquidi e che avendo un lavoro smetterebbe di spacciare. Non ha paura che il figlio segua le sue orme e non teme di essere un cattivo esempio, anche grazie alla vicinanza della madre: "Non ho problemi, purché stia lontana da me. Se il destino ha voluto che fosse lei a darmi mio figlio vuol dire che è la madre giusta per lui". La cosa che più lo ferisce? "L’indifferenza".

Senza dimora: Pisa; sindaco ordina lo sgombero per 150 Rom

 

Redattore Sociale - Dire, 23 dicembre 2008

 

Dovranno lasciare le loro baraccopoli durante i prossimi mesi. I rom chiedono collaborazione da parte dell’amministrazione comunale: "No all’isteria degli sgomberi".

La questione Rom, rimbalzata in molte città d’Italia negli ultimi tempi, fa tappa anche a Pisa, dove il sindaco Marco Filippeschi (Pd) ha firmato un atto riguardante lo sgombero di quattro nuclei familiari che abitano nel campo sosta di Coltano, nella periferia sud di Pisa. Tale provvedimento, spiega una nota comunale, intende realizzare un’azione di controllo e di limitazione delle presenze nell’area, in vista dell’assegnazione, a coloro che ne avranno effettivamente diritto, dei miniappartamenti di due o tre vani in costruzione nella zona e della definitiva chiusura del campo, nonché della pulizia e del riordino dell’area voluto all’interno del progetto di integrazione "Città sottili".

Ma per i rom romeni, che hanno inviato unitamente una lettera informativa a tutti i maggiori enti italiani ed europei, le cose non stanno esattamente così. In realtà, spiegano le associazioni vicine ai rom, "sono oltre 150 i rom che vivono nella zona interessata allo sgombero; nei prossimi mesi saranno costretti ad abbandonare le loro misere abitazioni costruite con legno e lamiera senza un’adeguata e dignitosa alternativa".

La proposta che i rom e le varie associazioni pisane lanciano all’amministrazione comunale è quella di non farsi prendere dall’isteria degli sgomberi e ripartire da un programma di minima assistenza, lanciando inoltre un progetto di scolarizzazione e di inserimento lavorativo al fine di agevolare i rom in questione di fronte all’emergenza abitativa". "Noi non possiamo lasciare la città di Pisa - dicono i rom - paghiamo i contributi, abbiamo anche alcuni figli malati. Ordinare uno sgombero in queste condizioni è inumano.

Il Sindaco dice che non ha la possibilità di aiutarci. Sappiamo che l’Unione Europea ha programmi e fondi per i cittadini Rom e che l’Italia non li usa, e che è stata multata per questo. Chiediamo che il Sindaco non faccia sgomberi e che si trovi insieme una soluzione per vivere normalmente come gli altri italiani. Ci sono i modi per fare questo che non sono sgomberi, come l’auto recupero delle case abbandonate".

Senza dimora: Milano; no a "cena di Capodanno" in stazione

 

Redattore Sociale - Dire, 23 dicembre 2008

 

La decisione viene dal Dopolavoro ferroviario: "C’è stato da poco il cambio del direttivo e non c’è stato modo di organizzare la cena". Le associazioni: "Troppo tardi per trovare un’alternativa".

Niente cenone di fine anno per i clochard milanesi: il tradizionale appuntamento alla Stazione Centrale, che si rinnovava puntuale dal 1999, non si farà. La decisione viene dal Dopolavoro ferroviario che, da tempo, ha in mano l’organizzazione dell’evento: "C’è stato da poco i cambio del consiglio direttivo - spiegano dall’associazione - e non c’è stato modo di organizzare la cena". Almeno 1.000 persone senza fissa dimora dovranno trovare un’alternativa per trascorrere la notte di Capodanno. Ma non sarà facile. "Abbiamo saputo della cancellazione del cenone solo una settimana fa - dice Magda Baietta, della Ronda della Carità - e ora è troppo tardi per organizzare qualcosa".

Una decisione che spiazza anche le decine di volontari (solitamente 200 persone) che, ogni anno, passano un capodanno "alternativo" accanto a chi si trova in difficoltà: "Avevo già raccolto una sessantina di nominativi - spiega Marinella Moscatelli, segretaria della Cena dell’Amicizia, associazione che, dieci anni fa, ha dato vita all’iniziativa -. Anche noi siamo stati avvisati all’ultimo e ora è troppo tardi per trovare un’alternativa".

Non si fermano le attività delle varie associazioni che, in città, si occupano di assistere chi vive in condizioni di grave disagio. Oltre alla messa organizzata, la sera della Vigilia, nell’atrio della stazione Garibaldi della Ronda della Carità (seguita da una cena-buffet organizzata dai volontari) ci sarà un altro momento di ritrovo domani in piazza Duca d’Aosta: alle 14.30 ci sarà una messa celebrata da Don Antonio Mazzi e subito dopo inizierà la festa di Natale organizzata dai City Angels. "Invitiamo i milanesi a portare panettoni, dolci, generi alimentari vari, bibite e regali presso la nostra sede in Via Teodosio 85 - spiega Mario Furlan, fondatore dei City Angels -. Ma anche a partecipare alla festa, portando un pensierino e poterlo consegnare di persona".

La sera di Natale invece l’associazione San Benedetto organizza presso la sede dell’oratorio don Orione (via Piero Strozzi) una cena e tombolata per i senza tetto che abitualmente frequentano la struttura. Notti di lavoro anche per i volontari della Croce Rossa di Milano che, come d’abitudine, usciranno a bordo delle cinque unità mobili per offrire alle centinaia di clochard della città e dell’hinterland generi di conforto, vestiario, coperte e sacchi a pelo.

Argentina: no domiciliari, l’ex dittatore Videla resta in carcere

 

Il Velino, 23 dicembre 2008

 

Il dittatore argentino, Jorge Rafael Videla, al potere dal 1976 al 1981, non potrà tornare nella casa in cui viveva con la moglie, nel residenziale quartiere di Belgrano, a Buenos Aires, ma dovrà rimanere nel carcere civile situato sul terreno militare di Campo de Mayo, alla periferia della capitale. Così ha disposto la Cámara de lo Criminal y Correccional Federal che ha respinto in appello la richiesta di arresti domiciliari. L’ex tiranno aveva dovuto abbandonare la propria dimora ed era stato condotto in carcere l’ottobre scorso per decisione di un giudice di primo grado. Videla, a capo della dittatura militare più crudele della storia argentina, è stato condannato nel 1985, sotto il governo di Raúl Alfonsín, all’ergastolo per gravi violazioni dei diritti umani. Nel 1990, tuttavia, l’allora presidente Carlos Menem gli ha concesso i benefici dell’indulto. Videla è rimasto libero fino al 1998, quando, con Menem ancora alla Casa Rosada, è stato assegnato ai domiciliari, per crimini per cui non era stato processato nel decennio precedente, ossia il furto di neonati di madre desapericidas. Per questo motivo e per il sequestro di due imprenditori, Videla è stato indagato dal giudice federale Norberto Oyarbide, che due mesi fa ne ha disposto la reclusione in carcere.

Il trasferimento era stato richiesto dalle organizzazioni per la tutela dei diritti. Queste ultime reclamano che tutti i criminali della ultima dittatura argentina scontino la propria condanna in un carcere civile e non militare. Una volta presa in analisi la situazione del capo del governo militare con quella degli altri processati per i delitti di lesa umanità nello stesso periodo, la Secretaría de Derechos Humanos del governo di Cristina Fernández de Kirchner, querelante nel caso del sequestro dei due fratelli imprenditori Gutheim, e l’organizzazione Abuelas de Plaza de Mayo (Nonne di Plaza de Mayo) che accusa Videla della sparizione dei loro nipoti, hanno chiarito che "non possono esistere differenze né privilegi a favore di Videla".

Il giudice Oyarbide, prendendo atto della pronuncia della Corte suprema che aveva dichiarato incostituzionale lo scorso anno l’indulto di Menem, aveva disposto che "Videla torni ad essere un condannato" per i delitti giudicati nel 1985. Ieri, due dei tre magistrati d’appello hanno di fatto ratificato la decisione di Oyarbide. Uno di questi, Horacio Cattani, ha argomentato che "non ci sono esami medici che giustifichino la permanenza di Videla agli arresti domiciliari". Il giudice in disaccordo con la maggioranza deliberante ha ammesso di aver votato a favore del ritorno a casa dell’ex dittatore a causa dell’età e per aver rispettato la misura dei domiciliari per dieci anni.

Allo stato attuale Videla sta ancora aspettando il giudizio definitivo per i casi del sequestro dei Gutheim, la sparizione dei neonati, l’Operazione Condor (l’accordo tra le dittature militari di Argentina, brasile, Bolivia, Cile, Paraguay e Uruguay per portare avanti la repressione illegale della sinistra nel continente sudamericano nel corso degli anni settanta) e le violazioni dei diritti umani commesse dal Primo corpo dell’Esercito. Le organizzazioni in difesa dei diritti umani calcolano che 30mila persone sono sparite durante l’ultima dittatura argentina, mentre un rapporto ufficiale degli anni ottanta riduce la cifra a 11mila.

La polemica per la detenzione dei criminali della dittatura ha preso nuova linfa la settimana scorsa, quando la Cámara Nacional de Casación Penal (la nostra Cassazione) ha concesso la scarcerazione di una ventina di ex esponenti della Marina in custodia cautelare, tra cui figurano personaggi emblematici e molto discussi quali Alfredo Astiz e Jorge "El Tigre" Acosta. La procura e il governo hanno presentato appello alla decisione davanti alla Corte suprema e così, per il momento, è stata scongiurata l’effettiva scarcerazione degli accusati. Ieri, uno dei magistrati della Cassazione, Guillermo Yacobucci, ha cercato di giustificarsi, ora che il governo intende destituirlo: ha dichiarato a una radio che gli ex militari erano in carcere da ormai sette anni senza essere stati condannati, un tempo decisamente superiore a quello consentito per legge. Ha inoltre criticato i colleghi che portano avanti il processo con estrema lentezza: "C’è un ritardo della giustizia che è una colpa per tutto il potere giudiziario". Infine ha voluto chiarire che i crimini commessi durante l’ultima dittatura gli provocano una "ripugnanza viscerale".

 

 

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