Rassegna stampa 23 aprile

 

Giustizia: la crisi del sistema penitenziario in cinque punti

di Valter Vecellio

 

Agenzia Radicale, 23 aprile 2008

 

1) "Se il prossimo governo non inserirà nella propria agenda l’emergenza penitenziaria non potrà non ricorrere ad un altro atto di clemenza". Così, l’altro giorno, la Uil-Penitenziari. Un grido d’allarme, un appello che naturalmente nessuno ha ritenuto di dover cogliere e valorizzare. Risulta che il dato in crescita degli ingessi in carcere sia ormai un dato consolidato e costante. Di questo passo, la border-line di "quota" 62 mila detenuti sarà toccata entro la fine dell’anno. Questo significa il rischio di implosione del sistema penitenziario, con le prevedibili, inevitabili tensioni e possibili rivolte che ne deriveranno. Occorrerebbe intervenire strutturalmente, e siamo in grave ritardo. In caso contrario, "è realistico immaginare che un nuovo indulto non appartenga alla fantascienza ma alle necessità possibili", dice Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Penitenziari.

2) Il 20 per cento delle strutture carcerarie in uso è stato costruito nel periodo che va dal 1200 al 1500; un altro 60 per cento è stato costruito nel periodo oscillante tra il 1600 e il 1900. per le strutture che versano in condizioni di fatiscenza e inciviltà nel 2007 sono stati stanziati appena tredici milioni di euro per la manutenzione, a fronte dei quaranta stanziati nel 2000.

3) Nelle carceri italiane ci sono più imputati che condannati. Ogni dieci detenuti, sei sono in attesa di giudizio. Soltanto 20.190 degli oltre cinquantamila detenuti è stato condannato. Circa il 38 per cento è costituito da stranieri, circa 19.600. Percentuale che in alcune realtà supera addirittura il 70 per cento dei presenti, per esempio nei "complessi" carcerari di Alessandria, Fossano, Macomer, Padova, Parma e Trento; il 23,4 per cento è costituito da tossicodipendenti, grosso modo uno su quattro. Questi dati li si ricava dall’ultima "mappatura" curata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

L’indulto ha liberato oltre 25mila persone. Così dai 61.264 detenuti del 30 giugno 2006 si era passati al minimo storico dei 33.326 nel settembre 2006. Una preziosa boccata d’ossigeno, di cui si sarebbe dovuto profittare per quelle riforme e quelle politiche che consentissero finalmente di cominciare a uscire dalla grave crisi in cui la giustizia italiana ormai cronicamente si dibatte. Un’occasione purtroppo sciupata; e fin dall’inizio, quando non si è fatto il successivo, logico, necessario passo: quello dell’amnistia. La situazione, oggi, è tornata al punto di partenza, e nelle nostre carceri ci sono oltre settemila persone in più rispetto la capienza.

E si deve, per paradosso, ringraziare la altrettanto cronica inefficienza di perseguire i crimini (le relazioni annuali dei Procuratori Generali documentano come la stragrande maggioranza di reati resta impunita), se, infatti, per paradosso tutti gli autori di reati fossero assicurati alla giustizia, il sistema in un solo giorno "collasserebbe". Ad ogni modo, se la situazione è tornata a quella pre-indulto, lo si deve alle attuali leggi sulle droghe, sull’immigrazione e sulla recidiva, che hanno continuato a far aumentare gli ingressi in carcere, con un incremento di circa un migliaio di persone al mese.

La capienza regolamentare di 43.149 posti è stata superata il 30 giugno 2007, con 43.957 presenze, ed è continuata ad aumentare fino alle 48.693 unità del 31 dicembre, e le oltre 50mila del 21 febbraio 2008. Senza il provvedimento di indulto oggi saremmo alla cifra record di 72.000 detenuti.

4) Un dato tipico della popolazione carceraria italiana è quella dei detenuti in attesa di giudizio. Sono il 60 per cento circa, più dei condannati: complice la lentezza dei procedimenti penali nel nostro paese. Tra i condannati, il 29,5 per cento sconta una pena per reati contro il patrimonio, il 16,5 per cento contro la persona, il 15,2 per cento per violazione della legge sulle droghe, il 3,7 per cento per reati contro l’amministrazione, il 3,2 per cento per associazione mafiosa.

Le donne rappresentano il 4 per cento dell’intera popolazione carceraria, per loro non vale il problema del sovraffollamento: sono 2.278 su 2.358 posti disponibili. Tuttavia esiste il problema delle detenute madri con bambino al seguito, di età inferiore ai tre anni. I detenuti stranieri sono il 35 per cento della popolazione. Nel 1990 erano solo l’8 per cento. Per lo più si tratta di africani. Il 23,4 per cento dei detenuti è tossicodipendente e il 4 per cento in trattamento metadonico. Un altro 2 per cento ha problemi di alcolismo. Per quanto riguarda la durata delle pene, il 31,9 per cento dei detenuti sconta pene inferiori ai tre anni, e potrebbero beneficiare - almeno in astratto - delle cosiddette pene alternative. Il 21,3 per cento sconta pene tra i tre e i sei anni, il 46,8 per cento sconta pene di durata superiore.

5) C’è anche un problema di carenza di personale di polizia penitenziaria. Il segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) Donato Capace, ricorda che mancano circa settemila agenti: 4.425 uomini e 335 donne. Le carenze più consistenti si registrano in Lombardia (1.200 unità), Piemonte (900 unità), Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Liguria.

Giustizia: Osapp, anche Ferrara è responsabile crisi sistema

 

Agi, 23 aprile 2008

 

In alcuni Istituti Penitenziari vi è la disponibilità di posti-detenuto aggiuntivi che potrebbero alleviare le condizioni di lavoro della Polizia penitenziaria e dei detenuti: ci riferiamo al caso di Milano Bollate, dove non esiste sovraffollamento e vi sarebbero oltre 600 posti in più". L’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp) replica così all’allarme lanciato dal capo del Dap, Ettore Ferrara, sull’emergenza negli istituti carcerari. Secondo il segretario del sindacato Leo Beneduci, "infarcendo di dati statistici e numeri" una lettura della situazione già di per sé grave, Ferrara "si sottrae all’interpretazione di una crisi del sistema determinata anche dall’inattività del suo incarico".

L’Osapp invita il capo del Dap ad illustrare alla stampa "una panoramica complessiva sulla situazione delle carceri nel territorio nazionale, soprattutto sulle iniziative concretamente assunte rispetto al problema dei centri della criminalità nelle sezioni, o della tutela delle condizioni di lavoro del personale di Polizia penitenziaria".

L’Osapp si dice anche d’accordo con la revisione di alcune norme, tra cui la Bossi-Fini, e "a una nuova interpretazioni delle disposizioni sull’utilizzo delle sostanze stupefacenti", a patto però che non procurino l’alibi per la mancata gestione del post-indulto, favorito proprio dall’attuale Amministrazione Penitenziaria.

Giustizia: CNVG; psicologi carcerari, orario ridotto del 50%

 

Comunicato stampa, 23 aprile 2008

 

Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia: "Psicologi precari in carcere non passano al Ssn. Ridotte del 50% le ore di assistenza psicologica ai detenuti".

Con il decreto del Presidente del Consiglio del 19.03.2008 si dà finalmente avvio al trasferimento della sanità penitenziaria al S.S.N., in attuazione della l. 230/1999. Ci sono voluti 9 anni perché le persone in carcere potessero godere dello stesso trattamento riservato a tutti i cittadini per la tutela della salute, ma a quanto pare il Dpcm non sembra del tutto garantire ancora quella psichica. Medici e paramedici penitenziari passano in forza alle Asl, ma dal provvedimento rimangono esclusi i 480 psicologi (esperti ex art. 80) che svolgono attività di consulenza per l’Amministrazione penitenziaria in regime trentennale di precariato. Nel passaggio, solo 16 psicologi di ruolo nel settore adulti transitano alle Asl ed a loro viene riconosciuto una funzione dirigenziale(detto personale proviene da ruoli diversi dell’Amministrazione penitenziaria e con una riqualificazione interna ha assunto tali mansioni). I 39 psicologi già vincitori di concorso pubblico non sono stati mai assunti.

La Cnvg esprime solidarietà ai 480 psicologi che sono stati inspiegabilmente discriminati. C’è da chiedersi quale logica abbia guidato la decisione che l’attività degli psicologi fosse espropriata della funzione di cura del disagio psichico, propria delle competenze di tali professionisti. L’Amministrazione Penitenziaria opera artificiose frammentazioni interne al ruolo dello psicologo, il quale viene chiamato in causa per la sola convalida dei percorsi trattamentali nell’ambito dell’osservazione di personalità ed esclude che i detenuti fino ad allora osservati, possano avere diritto al trattamento psicologico, qualora necessario.

Si ha inoltre l’impressione che l’impiego temporaneo degli psicologi ministeriali presso le Asl, "a titolo non oneroso" per l’accoglienza dei nuovi giunti ed eventuale sostegno psicologico all’ingresso, venga considerato un servizio del tutto marginale e non risolutivo dei bisogni presenti. È ben noto infatti che nella popolazione detenuta il disagio psichico, sia esso preesistente od anche causato dalla pesante condizione detentiva, assume proporzioni assai rilevanti che richiederebbe un adeguato e costante supporto da parte degli psicologi in tutto il percorso detentivo.

La Cnvg esprime preoccupazione per la drastica riduzione di oltre il 50% dell’impegno professionale degli psicologi, riducendo a circa 6 minuti al mese per detenuto l’ intervento psicologico. Si assiste così al totale annullamento di professionalità e servizi, rendendo oltremodo più precarie le posizioni di diritto della popolazione detenuta.

Auspichiamo pertanto che la questione possa essere riesaminata e risolta all’interno di un riassetto più generale del sistema penitenziario, le cui gravi carenze si trascinano da molti anni e vengono puntualmente denunciate non solo dal Volontariato, ma da tutti gli operatori istituzionali della Giustizia.

 

Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

Giustizia: conclusioni dell'indagine conoscitiva sulla sicurezza

 

Dire, 23 aprile 2008

 

La Commissione Affari Costituzionali della Camera conclude l’indagine conoscitiva sulla sicurezza: tra le priorità lotta alle mafie, aumento del personale e pene certe.

Liberazione dalle organizzazioni mafiose (che rendono unica l’Italia rispetto a tutti gli altri paesi avanzati), superamento del concetto di microcriminalità, responsabilità personale di chi delinque, dignità degli operatori della sicurezza, certezza della pena. Sono le cinque priorità in tema di sicurezza, indicate dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, dopo l’indagine conoscitiva, i cui risultati sono affidati alla nuova legislatura.

Dall’inchiesta, durata circa un anno (11 sedute di audizioni per 96 intervenuti), emerge che, in termini generali, il numero complessivo dei reati è sostanzialmente stabile, ma aumentano quelli di natura violenta che destano maggior allarme sociale.

Sul fronte di mafia, ‘ndrangheta e camorra la commissione segnala che il contrasto non è stato "una priorità permanente, anzi alcuni interventi legislativi sul processo penale, nell’ultimo decennio, hanno reso più difficile l’accertamento delle responsabilità". Insomma, è mancato "un impegno duraturo nel tempo".

Secondo punto, abbandonare il concetto inadeguato di microcriminalità: i cosiddetti piccoli reati causano un senso di insicurezza diffuso, anche perché colpiscono fasce più deboli. La commissione constata poi che alla radice di un delitto ci sono spesso cause sociali, ma questa constatazione "non può annullare la responsabilità individuale".

Dalle forze dell’ordine viene poi un "servizio essenziale" a cui però non corrisponde un "riconoscimento sociale e pubblico altrettanto significativo". Ma per dare autorevolezza servono anche "retribuzione e mezzi". Infine, "certezza della pena" per evitare che l’arresto in flagranza di un delitto sia restituito alla libertà nel giro di poche ore. "Occorre riflettere sul processo penale - chiude il dossier della Commissione - per ritrovare un accettabile punto di equilibrio tra le garanzie per il reo, la garanzie per la vittima e la più generale esigenza di sicurezza dei cittadini". L’indagine, ricorda il capogruppo in Commissione di An Italo Bocchino, "nasce da una proposta mia e di La Russa e si è deciso, per non sprecare un lavoro di istruttoria importante, di fare una pubblicazione con tutti i dati raccolti". Sulle priorità indicate, il deputato del Pdl prevede che esse "saranno rimodulate dai parlamentari che verranno".

Giustizia: Amato critica le Camere sul tema della sicurezza 

di Liana Milella

 

La Repubblica, 23 aprile 2008

 

Amato critica le Camere: "lavoro insoddisfacente". Fini: visti per i romeni. Il Pd: una gaffe, decide la Ue.

Prima Maroni, ora Fini. Contro i delitti commessi da rom e rumeni la destra si rifugia in una battaglia dall’esito impossibile. Rivedere l’accordo Ue che fissala libera circolazione tra i 27 paesi membri. Due giorni fa il ministro dell’Interno in pectore Roberto Maroni annunciava la richiesta di "porre dei limiti quando è in gioco la sicurezza nazionale".

Ieri il leader di An Gianfranco Fini è andato molto più in là: "Non escludo di reintrodurre il visto d’ingresso per i rumeni". A chi gli obietta che la trattativa con la Ue sarà difficile ribatte: "Di impossibile non c’è nulla". Ma dopo la secca bocciatura della radicale Emma Bonino, il niet arriva dal Pd. Marina Sereni consiglia a Fini di parlarne con il forzista Franco Frattini, Commissario uscente a Bruxelles per giustizia e immigrazione, perché la via di cambiare un trattato su richiesta di un solo paese è tutta in salita. La destra dovrebbe fare autocritica e ammettere i suoi errori visto che fu il governo Berlusconi a non "controllare e limitare l’ingresso in Italia dei nuovi cittadini europei".

Ma se la sinistra avesse voluto avrebbe potuto cambiare rotta su rom e rumeni. E tocca a Giuliano Amato prendersela con il Parlamento che avrebbe potuto confermare il decreto legge sulle espulsioni dei cittadini comunitari anziché farlo cadere costringendo il governo Prodi a ben tre successive reiterazioni.

Il ministro dell’Interno uscente non fa sconti alle Camere: "Per come questo Parlamento ha affrontato i temi della sicurezza non ho alcuna soddisfazione da esprimere". Sugli esempi non si tira indietro: "Sono insoddisfatto per come è stato trattato il Dl espulsioni e per quello che è stato fatto, o meglio non fatto, sul pacchetto sicurezza".

Entrambi i provvedimenti sono rimasti al palo e il secondo, con le norme su sicurezza urbana, certezza della pena, misure di prevenzione e banca dati del Dna, avrebbe potuto dare un’immediata risposta all’emergenza criminale. I contrasti con la sinistra radicale e l’opposizione della Cdl li hanno fermati come s’erano arenate le leggi sulla cittadinanza agli immigrati (da dieci a cinque gli anni per ottenerla) e la revisione della Bossi-Fini.

Amato mastica amaro mentre si accende lo scontro sui dati della sicurezza. Da Milano il sindaco Letizia Moratti lamenta che non sia mai giunto in città il Commissario straordinario per l’emergenza rom e l’assessore alla sicurezza Riccardo De Corato si dice certo che col governo Prodi siano aumentati i reati predatori. Ma dalla polizia arriva la smentita perché nel capoluogo lombardo nel secondo semestre del 2007 furti e rapine gravi sono calati da 160 a 142mila rispetto ai sei mesi precedenti.

Sul calo dei reati Amato non ha dubbi e per questo apprezza l’indagine conoscitiva licenziata, dopo due anni di audizioni a tappeto, dal Presidente della Commissione Affari costituzionali Luciano Violante che motiva "la preoccupante crescita del sentimento di insicurezza" degli italiani dandone la responsabilità anche ai mezzi d’informazione che, per ragioni di share, "patologicamente", si scontrano seguendo "la regola delle tre "s", sesso, sangue, soldi".

Giustizia: se la televisione promuove l’etica del coprifuoco

di Domenico Ciardulli

 

Aprile on-line, 23 aprile 2008

 

Dove sono i guru delle Università italiane? Dove sono i grandi analisti della mente, frequentatori dei salotti televisivi ? Dove è il Garante delle Comunicazioni? Quello a cui assistiamo in alcuni telegiornali di questa vigilia elettorale fa veramente accapponare la pelle.

Con spregiudicatezza irresponsabile si fa a gara per mettere al centro dell’informazione episodi di cronaca nera raccontando fatti, mettendo insieme frasi raccolte, assembrando immagini il cui effetto è di incutere nei telespettatori, soprattutto nelle fasce di popolazione più fragili per età e per cultura, un senso di terrore incombente alimentato dalla presenza degli stranieri.

A volte, meno importanti e più normali, invece, appaiono paradossalmente i delitti di sangue più efferati commessi dai mostri nostrani e spesso rappresentati con i plastici in miniatura nella trasmissione "Porta a porta". Con tali modalità di comunicazione mediatica, probabilmente finalizzata ad orientare l’opinione pubblica per la scadenza elettorale, si sta perpetrando a spese della comunità un danno di proporzioni incommensurabili.

La ferita al corpo sociale, inferta da un’informazione siffatta, è priva, a mio avviso, dei principi basilari dell’etica giornalistica e indica indirettamente strade selvagge di "coprifuoco" permanente, di chiusura e aggressività verso chiunque abbia tratti somatici o linguistici o nomi diversi dai nostri.

Si tratta di un’opera sistematica scellerata di distruzione progressiva del sistema naturale delle relazioni umane. Si tratta di una lucida folle filosofia che si inietta pericolosamente nell’opinione pubblica per far credere che l’unica soluzione per la sicurezza sia la costruzione di infinite carceri e manicomi dove dividere i "cattivi" dai "buoni".

È un’incultura delle barricate che suggerisce allo spettatore acritico il rifugio principe dove sentirsi più sicuri al tramonto: in casa, davanti agli accattivanti intrattenimenti e format televisivi, dove l’unico innocuo gioco interattivo è il televoto a pagamento. Uno schermo intercetta e si sostituisce al nostro bisogno di relazioni sociali e affettive e le fa entrare virtualmente dentro ogni salotto e camera da letto attraverso il reality show, dove non esistono fastidiose o "minacciose" presenze di rom, immigrati ed extracomunitari.

Giustizia: Fini; no alle ronde in divisa, sì ai cittadini volontari

 

Apcom, 23 aprile 2008

 

No alle ronde con divise e manganelli, sì a cittadini volontari che vigilino per le strade delle città. Il leader di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini, ospite di "Porta a Porta" dice la sua sul dibattito avviato dalla proposta del leghista Roberto Maroni di ronde contro la criminalità. "Se lei immagina qualcuno col manganello in mano e la divisa - afferma Fini - dico no. A Bologna però ci sono gruppi di cittadini volontari che girano per i quartieri e già questo è un deterrente per i malintenzionati". Certo "non sostituiscono le forze dell’ordine". Fini boccia anche la proposta di Francesco Rutelli di un braccialetto per le donne: "I braccialetti si usano per i detenuti, non per chi può subire violenze...".

 

Imprimatur su spray e manganelli a Bologna

 

"Meglio tardi che mai, mi fa piacere". Ha risposto così, ieri sera dagli studi di "Porta a porta", il leader di An, Gianfranco Fini, quando Bruno Vespa lo ha informato dell’intenzione del Pd di Bologna di votare un ordine del giorno per fornire ai Vigili urbani lo spray al peperoncino e il manganello (o meglio, il bastone distanziatore). Se dunque il leghista Roberto Maroni loda le "ronde" alla bolognese, di anziani e studenti, Fini apprezza la svolta sulla Polizia Municipale.

"Meglio tardi che mai, mi fa piacere: il problema della dotazione di strumenti per la Polizia municipale lo abbiamo posto da tempo", ha detto Fini in risposta alla sollecitazione di Vespa. Risponde a distanza Massimo D’Alema: "Se uno stupro avviene a Roma è colpa del sindaco di Roma, se avviene a Milano è colpa del governo". Accusa il centrodestra di una "volgare strumentalizzazione che rivela l’animo di una destra che non è in grado di dare risposte alle gente perché soffia sulle paure". D’Alema, infine, ricorda che "Berlusconi è stato al governo per cinque anni e ancora attendiamo i poliziotti di quartiere".

Giustizia: "cittadini vigilanti" reclutati a Firenze e Bologna

di Francesca Basso

 

Il Corriere della Sera, 23 aprile 2008

 

Rotto il tabù della sicurezza, tema sdoganato ormai anche a sinistra, specie in campagna elettorale, ora tocca alle "scandalose" ronde padane, nuova frontiera bipartisan dei Comuni (rossi compresi) alle prese con il problema del degrado. Anche in questo caso a fare da apripista - come in altre battaglie scomode (due esempi: sgomberi e accattonaggio) - sono Bologna e Firenze. Certo, il nome è cambiato e non c’è la divisa, ma se ne parla. E si comincia pure a discutere di dotare i vigili urbani di spray urticante al peperoncino e bastoni distanziatori (definizione di sinistra) o manganelli (definizione di destra).

A Bologna preferiscono chiamarli "assistenti civici": "Una ventina di studenti avrà il compito di vigilare sulla zona universitaria - spiega l’assessore alla Sicurezza Libero Mancuso -. Per diventare assistenti civici dovranno vincere un concorso. Saranno poi educati a garantire la loro sicurezza personale e dotati di telefonino per le emergenze". Guai, però, a ricordare le "sorelle" padane. "Non sono delle ronde e non vanno definite come tali - puntualizza Mancuso -. Non hanno un orientamento repressivo, dovranno con il dialogo coinvolgere e sensibilizzare gli altri giovani al rispetto della città".

Intanto a Bologna, da meno di un mese sono in azione squadre di pensionati che controllano il Villaggio Ina, nel quartiere Borgo. Panigale. Anche in questo caso il Gruppo Primavera preferisce definirsi "cittadinanza attiva". Il nome ronda lo usano ancora quelli della Lega, che vogliono arruolare volontari "per partecipare all’attività di controllo della città". Comunque, qualcosa sta cambiando a Bologna.

Proprio ieri il Partito democratico ha annunciato l’ordine del giorno per la modifica del regolamento comunale per dotare i vigili di spray e bastoni distanziatori, "non manganelli" come tiene a sottolineare il capogruppo del Pd in Comune Claudio Merighi: "Il primo fa pensare alla difesa personale - argomenta -, la parola manganello al bastone fascista. Oggi abbiamo incontrato il comandante dei vigili di Modena, dove sono già in uso, e ci ha raccontato la sua esperienza. "È ora di togliere dall’oggetto la velleità ideologica: spray e bastone sono strumenti che aiutano i vigili a difendersi".

È probabile che i consiglieri di An e FI voteranno a favore. Del resto anche ieri il leader di An Gianfranco Fini, pur prendendo le distanze dalle ronde di Maroni, ha dato la sua benedizione "ai cittadini che si organizzano per difendere il proprio quartiere, a patto che non sostituiscano le forze dell’ordine".

Un po’ quello che accade a Firenze dal 2002, cioè da tempi non sospetti: i vigili urbani con il Comune hanno lanciato il progetto di "Marketing della sicurezza", che coinvolge circa seicento cittadini, selezionati, impegnati a segnalare alla polizia locale situazioni di degrado nei quartieri e a seguire progetti di rilancio, come spiega oggi il Corriere fiorentino. "La politica delle ronde non mi convince - risponde al telefono l’assessore alla Sicurezza, Graziano Cioni -. La percezione di insicurezza dipende spesso da elementi di degrado, come scritte sui muri, lampade rotte, atti vandalici.

La polizia municipale ha nei quartieri dei "partner": possono essere il barista, il parroco, il barbiere o il pensionato, che fanno rapporto e segnalano quello che non va". L’informatore dei telefilm americani? "Non sono un gruppo di spie sul territorio - mette le mani avanti Cioni -. Si tratta di una collaborazione civile". La conferma arriva da Patrizia Verrusio, vicecomandante vicario della Polizia locale di Firenze: "Dei 21 progetti avviati, come il rifacimento di piazze o il recupero di alcune aree, il 90% è stato portato a termine. La logica di invertire il meccanismo, sentendo i cittadini prima di agire ha funzionato".

Giustizia: "Ludwig"; Marco Furlan affidato ai Servizi sociali

 

Ansa, 23 aprile 2008

 

Il veronese Marco Furlan, 48 anni, che in coppia con Wolfgang Abel aveva dato vita alla formazione neonazista ‘Ludwig’, è stato affidato in prova ai servizi sociali dal tribunale di sorveglianza di Milano. Con la sigla ‘Ludwig’ erano stati rivendicati, tra il 1977 e il 1984, 15 omicidi: tra le vittime barboni, preti, prostitute, omosessuali.

Condannato a 27 anni di carcere Furlan, attraverso il suo legale, l’avvocato milanese Corrado Limentani, aveva chiesto la semilibertà, cioè di poter lasciare il carcere di giorno per tornarvi la notte e nei fine settimana. Il pronunciamento dell’organismo giudiziario - scrivono alcuni quotidiani - ha anticipato di un anno la scarcerazione, superando anche le più rosee aspettative della difesa.

Furlan dovrà rispettare comunque una serie di obblighi. Tenendo conto dei quattro anni di carcerazione preventiva, di tre indulti e della buona condotta, il veronese sarebbe uscito l’anno prossimo, scontati 19 anni. Wolfgang Abel - ritenuto dalla perizia psichiatrica l’elemento trascinatore - e Marco Furlan, secondo quanto emerso dalle indagini agivano in coppia.

La concessione dell’affidamento ai servizi sociali a Marco Furlan è stata fatta dal tribunale di sorveglianza di Milano oltre che per il venir meno della pericolosità sociale, anche perché dal momento che il fine pena per il detenuto è nel gennaio del 2009, non c’erano i tempi tecnici per la concessione della semilibertà che, di norma, è un passaggio per ottenere l’ affidamento. Lo ha spiegato il legale di Furlan, Corrado Limentani.

Furlan lavorerà in una società di informatica e non potrà uscire la notte. Furlan fu arrestato con Abel il 4 marzo dell’84 dopo aver cercato di dar fuoco alla discoteca "Melamara" di Castiglione delle Stiviere (Mantova). Uscito dal carcere per scadenza dei termini nell’88, fuggì dalla dimora obbligata e fu nuovamente arrestato il 7 maggio del ‘95. In precedenza i giudici di sorveglianza avevano sempre respinto la concessione di qualsiasi beneficio.

Puglia: tra le 12 carceri della Regione 5 sono sovraffollate

 

Bari Sera, 23 aprile 2008

 

Cancellati in poco più di un anno gli effetti dell’indulto. Le carceri italiane, così come parte di quelle pugliesi, hanno superato i livelli massimi di accoglienza. Dei 12 istituti carcerari della regione, cinque accolgono più detenuti di quanti ne potrebbero contenere. La situazione più grave è a Taranto dove il sovraffollamento ha raggiunto, al 31 dicembre 2007, il 43%, pari a 449 detenuti. Con un aumento rispetto al 2006 del 27%. Segue Lecce con il 40% in più, Bari con il 18%, Lucera con il 15% e Foggia con il 9%.

In particolare a Bari sono detenute 366 persone, 56 in più di quanti l’istituto ne potrebbe contenere. Un dato importante a poco più di un anno dall’indulto, ma in lieve diminuzione rispetto al 2006, quando l’esubero raggiungeva il 20%, ovvero 62 detenuti in più.

Un dato in linea con quanto avviene nel resto del Paese dove il sovraffollamento delle carceri raggiunge valori medi del 113%, con punte massime del 240% nella casa circondariale di Busto Arsizio, del 219% di Bologna e del 200% al San Vittore di Milano. Restano invece ampiamente al di sotto della soglia di accoglienza gli istituti di Trani, Brindisi, Altamura, Turi, Spinazzola e San Severo.

A rivelare i dati un’indagine de Il Sole24ore che ha svelato il fallimento dell’indulto. Non solo le carceri sono tornate a superare la capienza massima consentita, ma un terzo dei detenuti che hanno beneficiato del provvedimento, sono tornati in carcere. Ovvero 8.508 su 27.236 beneficiari. Questo con un aggravio della pena.

Chi nei cinque anni successivi all’indulto commette un nuovo reato, deve scontare non solo la nuova pena, ma anche gli anni scontati dall’indulto. Stando così le cose, le intenzioni del Governo di ridurre la popolazione carceraria hanno avuto effetto solo per un anno. Il picco raggiunto nel 2005 di oltre 59 mila detenuti è sì sceso nel 2006 a 39 mila per effetto dell’indulto, ma l’effetto benefico è durato poco. In un solo anno, le persone detenute nelle carceri italiane ha raggiunto il numero di 48.693. Di cui il 58% è in attesa di sentenza definitiva. Il 35 viene internato in ospedali psichiatrici e solo il 39% è condannato in via definitiva.

Come se non bastasse, nulla è stato fatto in questo lasso di tempo per evitare che si venissero a ricreare le condizioni che hanno portato all’emanazione dell’indulto, ad esclusione di un piano di interventi di risanamento e adeguamento degli istituti, con lo scopo di conoscere le condizioni delle carceri italiane.

Nessun piano di edilizia penitenziaria è stato avviato così come alcuna riforma dei processi, per garantire che solo chi è stato condannato in via definitiva sconti la sua pena in carcere e non anche chi è in attesa di giudizio.

Campania: Papa (Pdl); nuove carceri e più poteri a polizia

di Antonella Autero

 

Il Denaro, 23 aprile 2008

 

Sarà la sicurezza il cavallo di battaglia in aula di Alfonso Papa, il magistrato napoletano eletto alla Camera dei deputati sotto le insegne del Pdl. "Il mio primo impegno sarà la presentazione di una proposta di legge-obiettivo per realizzare nuove carceri. Penso anche a interventi in tema di restrizione dei benefici di legge per i condannati per gravi reati, proposte in materia di revisione del beneficio della sospensione condizionale della pena, interventi urgenti contro la microcriminalità e i reati di grave allarme sociale. E infine - aggiunge Papa - occorre ampliare i poteri di polizia in materia di fermo ed aumentare i minimi edittali per alcuni reati di grave allarme sociale". Sul fronte delle professioni, invece, riforma della legge Bersan, che "non ha di fatto attuato le liberalizzazioni - conclude Papa - ma penalizza fortemente il mondo delle libere professioni".

 

Onorevole, quali saranno i suoi primi impegni in aula?

Sicuramente, come già anticipato agli elettori sul mio blog, il primo impegno sarà la presentazione di alcune proposte di legge in materia di sicurezza.

 

Ha già qualcosa in mente?

Penso, in particolare, a una legge obiettivo per realizzare nuove carceri; interventi in tema di restrizione dei benefici di legge per i condannati per gravi reati; proposte in materia di revisione del beneficio della sospensione condizionale della pena; interventi urgenti contro la micro criminalità e i reati di grave allarme sociale e, ancora, proposte di rivisitazione del sistema dei benefici. Infine, punterei ad ampliare i poteri di polizia in materia di fermo e ad aumentare i minimi edittali per alcuni reati di grave allarme sociale.

 

Proposte ritagliate sulla gravità della situazione sicurezza a Napoli?

Queste proposte rispondono a un’esigenza specifica di sicurezza avvertita in tutto il Paese, che sicuramente trova a Napoli una delle sue manifestazioni più violente.

 

In che cosa ha fallito il patto targato Amato?

Il patto per la sicurezza in realtà non è mai partito per una serie di errori tecnici commessi nella stessa elaborazione del testo. Per quanto riguarda i contenuti, gli stessi autori hanno dato atto della loro assoluta inadeguatezza: tanto è vero che il testo, in tante parti significative, è stato addirittura ritirato. Parliamo, quindi, di un progetto che in realtà ha avuto un ruolo meramente virtuale e di immagine.

Trani: lunedì convegno su riforma di Sanità penitenziaria

 

www.tranionline.it, 23 aprile 2008

 

Il presidente della Regione Vendola Nichi Vendola, il commissario straordinario Asl/Ba Lea Casentino e Rocco Canosa, il vicecapo del Dap Armando D’Alterio, il dirigente del Centro Giustizia Minorile Francesca Perrini il responsabile Regionale dell’associazione Libera Don Raffaele Bruno, la Segretaria Nazionale della Cgil Fp Rossana Dettori e tanti altri ancora tra operatori, politici e dirigenti parleranno di quanto la effettiva applicazione del d.l. 230/99 possa essere importante per la difesa della qualità della vita e della dignità della pena quali condizioni indispensabili per un reale recupero sociale.

"L’attuazione della riforma del d.l. 230/99, che prevede il trasferimento delle competenze della medicina penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario nazionale è stata finora limitata alla sola parte relativa alle tossicodipendenze.

Ciò ha consentito il permanere di un servizio sanitario, a disposizione dei ristretti, approssimativo, arcaico, autorefenziale, basato sull’emergenza, subordinato alle esigenze di ordine e sicurezza, in netta contrapposizione alla norma costituzionale che garantisce anche ai cittadini privati della libertà pari diritti alla salute e alla cura.

Vale a dire che una grande quantità di detenuti affetti da gravi patologie, sieropositivi, con problemi mentali, portatori di handicap e madri e figli da zero a tre anni si sono visti esclusi da interventi di prevenzione e cure appropriate delle malattie. Sulla tutela del diritto alla salute (anche degli "esclusi sociali") ha prevalso in passato la resistenza alla riforma da parte dei due Dicasteri interessati ma anche l’atteggiamento indifferente e prudente di istituzioni e forze politiche.

Il 13.06.06 un Protocollo di intesa tra Regione Puglia, Provveditorato e Centro Giustizia Minorile ha definito le azioni che assicurassero un’assistenza sanitaria integrata tra le strutture delle due amministrazioni, così come viene riportato nel Piano regionale della salute 2008/10. Finalmente, con la legge finanziaria 2008 il Parlamento ha trasferito al Servizio Sanitario nazionale le risorse finanziarie relative all’assistenza sanitaria dei detenuti e un decreto del Consiglio dei Ministri ha indicato il 31 marzo quale data per individuare il personale e i beni che passeranno alle Asl competenti per territorio.

Noi, con il nostro incontro, vogliamo sensibilizzare la cittadinanza, ancora una volta e ancora di più, alle problematiche urgenti e preoccupanti di cui sopra e contribuire all’accelerazione del percorso che sancirà un passaggio di civiltà dovuto.

Passaggio che riconosce dignità e diritto di esistere decorosamente per tutti, anche quando si sconta una pena. Pena che ha come fine ultimo la rieducazione e la reintegrazione nella società e non può consistere nella negazione dei diritti più elementari, quali quello alla salute.

Lodi: convegno; carcere, luogo di pena o di rieducazione?

 

Il Cittadino, 23 aprile 2008

 

"Non servono altri volontari in carcere: bisogna avvicinare la società agli ex detenuti e viceversa". È uno dei punti cardine espressi giovedì scorso a Carpiano nell’incontro "Carcere, luogo della pena o della rieducazione?", proposto dalla parrocchia di San Martino, che sta affrontando una serie di temi etici di frontiera. Muovendo dagli effetti postumi e dalle valutazioni dell’indulto di fine 2006, i relatori hanno tracciato la realtà delle istituzioni carcerarie nell’Italia di oggi. Non ha potuto essere presente Giacinto Siciliano, direttore della casa circondariale di Opera, la principale di Milano con 1.400 detenuti maschi.

Sono comunque intervenuti i due cappellani del supercarcere operese, padre Marcellino Brivio e padre Antonio Loi, il sostituto commissario di polizia penitenziaria Ferdinando Mazzotta, l’esperto di diritto penale Natale Zannino con i moderatori Carlo Erasmo Gatto e Piercarlo Fizzotti, parroco di Carpiano.

L’appuntamento si è fatto apprezzare perché, innanzitutto, ha dissipato molte confusioni a cominciare dal fatto, sottolineato da Mazzotta, che "il carcere non è tutto uguale". "Non esiste il carcere e stop - ha osservato - perché l’Italia distingue la sezione comune, media sorveglianza, alta sorveglianza e 41 bis, destinata ai reati più gravi. Questa tipologia è stata esportata all’estero e ha fatto da modello per altre realtà".

Mazzotta ha anche ricordato, con una punta polemica, come "tv e fiction non facciano mai vedere un solo aspetto positivo, o quantomeno normale, del mondo dei detenuti. Ci si ferma all’arresto e poi c’è qualcosa che si può solo intuire". In ciò tuttavia gioca un ruolo anche la norma, forse anacronistica, per cui nessun media è autorizzato a riprendere la "vera" vita penale: va tutta ricostruita. Venendo al punto fondamentale, si è cercato di capire se l’indulto concesso nel 2006 con sconto anche retroattivo di tre anni di pena fosse necessario o no.

La conclusione è che le carceri scoppiavano - 60mila detenuti contro un parametro di 38mila -, a meno di non avviarsi sulla strada americana dove le prigioni ospitano due milioni di persone. Ma "il provvedimento di clemenza non è stato dilazionato come doveva - ha osservato padre Loi -; non c’era alcuna rete sociale e lavorativa a riceverlo". Padre Brivio ha aggiunto:"Non bisogna illudersi che qualche forma di punizione faccia piazza pulita. D’altro canto, occorre evitare di scadere in un buonismo di maniera".

Busto Arsizio: un evento per avvicinare il carcere alla città

 

Varese News, 23 aprile 2008

 

Un evento per far conoscere la realtà del carcere ai cittadini di Busto Arsizio. Lo propongono il Comune - nello specifico assessorato ai servizi sociali e relativa commissione consiliare - l’amministrazione penitenziaria e i volontari che con il loro impegno aiutano a rendere meno duro, e perché no formativo, il forzoso soggiorno dietro le sbarre di chi ha sbagliato ed è stato separato dalla società "di fuori". Siamo ancora alla fase organizzativa, e non è fissata la data (24 giugno o 3 luglio), ma si sta preparando un happening in cui rendere nota una realtà spesso ignorata, ma nondimeno concreta.

La manifestazione si terrà probabilmente davanti al Municipio (anche qui la location sarà da valutare), in concomitanza con uno dei giovedì sera a negozi aperti organizzati dai commercianti del centro, proprio per raggiungere e sensibilizzare un pubblico vasto e vario, soprattutto i giovani. È prevista la proiezione di un cortometraggio realizzato nel carcere di via per Cassano, per far conoscere la condizione di detenuti, operatori, volontari, all’interno della struttura penitenziaria. A seguire, le testimonianze di chi partecipa quotidianamente alla vita della casa circondariale, per lavoro o impegno personale.

"Spesso l’idea che la gente ha di un carcere è veicolata da qualche film americano" spiega Sergio Preite, fra gli organizzatori, che si occupa fra l’altro di inserimento lavorativo degli ex detenuti e del giornalino scritto dai detenuti "Mezzo Busto". "Vogliamo mostrare soprattutto ai ragazzi che la realtà è differente, usando il linguaggio artistico dell’audiovisivo. Il carcere è un luogo dimenticato, mentre nella realtà è una città nella città, con le sue regole, i suoi ruoli, i suoi bisogni e attività, non c’è solo degrado e violenza".

"Mi fa molto piacere questa iniziativa, che andremo a precisare meglio nelle prossime settimane" spiega Enrico Salomi, consigliere comunale per l’Udc, "in quanto nata dalla volontà di tutti i membri della commissione servizi sociali. Si dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che ha torto chi dice che le Commissioni non servono, come qualcuno nello sconforto ha detto nell’ultima seduta di consiglio comunale. Di concerto con l’assessore Chierichetti tutti hanno dato il loro apporto: io, Corrado, Lattuada, Pecchini, Farhanghi, Porfidio, e altri colleghi ancora, da tutti gli schieramenti".

Non un incontro per fare "pistolotti" moraleggianti, non una riunione tecnica per specialisti, ma un modo di portare a conoscenza di tanti un "pianeta sconosciuto" sul quale approdano, certo malvolentieri, soprattutto stranieri: i due terzi dei detenuti, al momento, soprattutto i tanti corrieri della droga catturati a Malpensa e gli onnipresenti clandestini recidivi.

Il compito di chi gestisce il carcere e di chi ha deciso di prestarvi la sua opera volontaria è e resta immane: separare dalla società da un lato, preparare il rientro dall’altro. E quando un detenuto esce di cella convinto che in fondo ci si possa anche fidare del prossimo, che valga la pena di rispettare l’altro come persona, allora metà del lavoro è stato fatto. L’altra metà è compito di chi sta fuori.

Larino: una menzione speciale per gli studenti del carcere

 

Comunicato stampa, 23 aprile 2008

 

Una menzione speciale del concorso nazionale "Premio delle buone pratiche di educazione alla sicurezza e alla salute" è andato agli studenti della Casa Circondariale di Larino che guidati dalla professoressa Italia Martusciello hanno preso parte al progetto intitolato "W la vita!". Le classi del carcere di Larino hanno partecipato al concorso nella sezione: "La sicurezza a scuola e dintorni".

La motivazione della menzione speciale è la seguente: "Al termine di un percorso di riflessione e di educazione alla legalità, gli studenti si sono cimentati nell’ideazione e realizzazione di spot di utilità sociale per la prevenzione della tossicodipendenza, ponendosi quindi nel ruolo di "trasformatori attivi" della realtà, attraverso lo strumento della comunicazione e dell’informazione tra pari. Valore aggiunto del progetto è il coinvolgimento degli studenti-detenuti della sede carceraria (Larino-Cb) dell’Itis "E. Majorana", ma come semplici destinatari del processo educativo ma come autori di un prodotto di comunicazione che può essere destinato anche da altri".

La professoressa Italia Martusciello ha dichiarato: "Un dato interessante da segnalare è il particolare habitat dove è stato ideato questo percorso, all’interno di un istituto penitenziario di Alta Sicurezza". Un apprezzamento particolare è stato espresso dal Direttore del carcere Rosa La Ginestra "Se finalità della pena è per la Costituzione il recupero della persona che ha commesso il reato, l’obiettivo istituzionale del carcere non può che essere la restituzione alla società di tale persona nell’interezza della sua dignità, conquistata attraverso la riscoperta di valori e l’ampliamento degli orizzonti culturali e la scuola all’interno del carcere rappresenta uno dei punti fondamentali del recupero, sia in quanto permette il conseguimento di un titolo, sia perché promuove e stimola nuovi percorsi educativi finalizzati alla crescita civile".

Immigrazione: Veltroni; con Bossi-Fini aumento di irregolari

 

Dire, 23 aprile 2008

 

"Sulla sicurezza si dicono cose demagogiche. Se è aumentato il numero di clandestini lo dobbiamo alla Bossi-Fini che ha permesso l’ingresso di centinaia di migliaia di persone". Così il segretario del Pd, Walter Veltroni, incontrando i cittadini al centro commerciale Le Torri, a Tor Bella Monaca, periferia est della Capitale, insieme al candidato alla presidenza dell’VIII Municipio, Fabrizio Scorzoni.

Veltroni, quindi, spiega che "il problema riguarda tutto il Paese. Quando ero sindaco ho incontrato i ministri degli Interni del centrodestra prima e del centrosinistra poi. Questa città per prima ha richiamato l’attenzione di chi attento non era". Il segretario del Pd, quindi, ricorda quanto fatto da sindaco di Roma: "Abbiamo sgomberato decine di migliaia di persone dalle baracche e dai campi rom". La soluzione, secondo Veltroni, si trova nella "certezza della pena. Chi sbaglia deve pagare".

Immigrazione: Berlusconi; usare fermezza nelle espulsioni

 

"Il nostro Governo applicherà con fermezza la legge Bossi-Fini per espellere chi non è in regola, potenzierà i Cpt, aprirà una trattativa con la Romania per concordare una deroga alla normativa dell’Ue e filtrare i flussi degli immigrati" e stringerà "accordi con i paesi da cui partono i flussi". Lo ha detto il premier in pectore Silvio Berlusconi in diretta su "Radio Radio" parlando della questione sicurezza. "Prodi e Veltroni sono stati d’accordo nel non applicare la Bossi-Fini che impone di espellere l’immigrato clandestino che non ha un contratto di lavoro regolare. Non solo. Prodi non ha mosso un dito quando il primo gennaio 2007 si sono aperte le frontiere con la Romania: lui poteva negoziare una moratoria per ridurre la libertà dell’ingresso come hanno fatto tutti i maggiori paesi europea ma non l’ha fatto".

Immigrazione: De Corato (Pdl); apriremo nuovi Cpt al nord

 

Dire, 23 aprile 2008

 

"Se oggi il sistema delle espulsioni dei clandestini fa acqua, ciò è dovuto anche all’erronea politica del centrosinistra, che ha delegittimato i Cpt, chiudendo 3 dei 14 centri e auspicando, per bocca del ministro Ferrero, il loro progressivo svuotamento. Serve un’inversione di rotta: la costruzione e l’apertura di nuove strutture, in particolare al Nord, dove i cpt di Milano, Torino e Gorizia coprono solo 488 posti. A fronte di centinaia di migliaia di irregolari presenti in questi territori". Lo dichiara Riccardo De Corato, vice sindaco ed esponente del Pdl.

"La necessaria apertura di nuovi Cpt - fa notare De Corato -, che è bene ricordare sono stati istituiti dalla sinistra con la legge Turco-Napolitano, è scritta negli stessi numeri della relazione della commissione presieduta dall’ambasciatore Staffan De Mistura. Che, data una capienza complessiva di 1940 posti, ha stimato, sulla base di un’ipotetica rotazione ogni 60 giorni, una possibilità di accoglienza massima in un anno di 11.742 persone. Questo significa- prosegue- che tutte le strutture presenti in Italia sono in grado di ospitare solo un terzo dei soli clandestini presenti a Milano città. Che, come ha certificato l’Ismu, sono circa 40 mila".

Immigrazione: tra "sicurezza" e "razzismo" il confine esiste

di Gian Antonio Stella

 

Il Corriere della Sera, 23 aprile 2008

 

Mi davano del razzista e adesso mi copiano anche i sindaci del Pd", ha detto il "vero sindaco" di Treviso, Giancarlo Gentilini (vice-sindaco, d’accordo, ma lui nel cuore si sente il titolare), in un’intervista a Stefano Filippi del Giornale. Il tema della sicurezza per le strade? Copiano da lui. Quello dei venditori ambulanti abusivi? Copiano da lui. Quello dei campi nomadi? Copiano da lui. E chiede, parlando in terza persona come Giulio Cesare: "È Gentilini un grande amministratore o sono i giornali falsi?".

Forse è lui che, ormai vegliardo, non ha ancora afferrato un punto: un conto è la polemica politica, un altro il razzismo. Gli piace ammiccare agli anni di "Giovinezza!" al punto di dire che "questa amministrazione va verso il ventennio leghista, e voi capite che il ventennio è una cosa che mi ricorda il passato, la maschia gioventù che lavorava, faceva il suo dovere e obbediva alle leggi"?

Gioca a fare il balilla come se fosse stata abolita la legge Scelba che vieta l’apologia del fascismo, ma non è razzista. Bolla La Tribuna di Treviso come la Pravda. Fa ridere, ma non è razzismo. Chiama Furio Colombo e i suoi compagni "leninisti, stalinisti, bolscevichi, trinariciuti"? È come dare del nazista a lui (che giustamente pretese le scuse da chi lo aveva dipinto coi baffetti e la scritta "Genthitler") ma fa parte della politica volgare di questi anni: non è razzismo.

Come non è razzismo avere posizioni durissime sui clandestini, decidere lo sgombero di case occupate, pretendere che chi viene in Italia rispetti le leggi o chiedere pene severe per chi le viola. E infatti nessuno si è mai sognato di dare del razzista a tanti amministratori locali, leghisti compresi, che abbiano espresse solide, convinte, granitiche posizioni ispirate alla "tolleranza zero" ma esenti da quell’inconfondibile fetore che è la xenofobia. I più scalmanati no-global si sono spinti a dire il peggio del peggio di Sergio Cofferati. Ma razzista no, neanche loro gliel’hanno detto.

Come mai? "SuperG", come ama essere chiamato il "vero sindaco" trevisano, doveva capirlo almeno il giorno in cui, dopo aver detto "darò subito disposizioni alla mia comandante dei vigili urbani affinché faccia pulizia etnica dei culattoni", fu scaricato da Giancarlo Galan e perfino da Roberto Calderoli ("Ben vengano le pulizie delle zone degli scambisti e della prostituzione, ma parlare di "pulizia etnica dei culattoni" proprio no") e dal sindaco di Verona Flavio Tosi: "Pulizia etnica è un’espressione che, per le tragiche vicende che richiama, non dovrebbe essere usata, nemmeno metaforicamente".

Un conto è chiedere l’espulsione degli immigrati clandestini e un altro è invocare, come lui, i "vagoni piombati". Un conto è difendere la propria identità e un altro sparare contro chi "inquina la razza Piave". Un conto è essere fieri della propria terra e un altro marchiare gli africani come "gente che a casa sua era inseguita dalle gazzelle e dai leoni" e sostenere che "la nostra civiltà è superiore a quella della savana". Crede di essere solo un po’ spiritoso? Si rilegga i diari degli emigranti veneti in Australia, in Svizzera, in Belgio. Anche loro avevano a che fare con dei Gentilini locali. Ma non li trovavano spiritosi per niente.

Droghe: i Ser.T. sotto accusa; fanno uscire troppi carcerati

 

Dire, 23 aprile 2008

 

Per un criminale che viene definito "alcolista" dai Ser.T. (Servizi pubblici per le tossicodipendenze) è molto più facile uscire dal carcere. A denunciarlo è l’indagine sulla Sicurezza in Italia condotta dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera presieduta da Luciano Violante. Nel dossier, infatti, si critica la "ricorrente strumentalizzazione delle misure nate per i tossicodipendenti e gli alcol dipendenti".

La dipendenze da alcool, si spiega, è davvero difficile da accertare e, una volta ricevuto l’attestato di alcolista dai Ser.T. ("che certificano uno stato di dipendenza quasi come fosse un attestato di servizio"), si può uscire dal carcere ed essere affidati alle comunità di recupero, eludendo, di fatto, "la pena sino a sei anni di reclusione".

Questa situazione, si legge nell’indagine della Prima commissione della Camera, "è dovuta in parte all’atteggiamento di superficialità di tutti i Ser.T., decisamente troppo di manica larga nell’attribuire la "patente di alcolista" a qualcuno. In più, i controlli sui programmi di recupero che si dovrebbero fare in alternativa al carcere, non sono adeguati.

Droghe: Federserd; conclusioni indagine superficiali ed errate

 

Dire, 23 aprile 2008

 

"Commenti superficiali ed errati": così Federserd, la federazione dei Servizi pubblici per le dipendenze, definisce i giudizi della Commissione Affari Costituzionali della Camera presieduta da Luciano Violante sull’operato dei Sert in tema di certificazione della dipendenza dall’alcol o dalle droghe. "I Ser.T. e i servizi di alcologia in Italia - precisa il segretario esecutivo nazionale di Federserd, Pietro Fausto D’Egidio - certificano la malattia da tossicodipendenza e da alcol dipendenza con professionalità, nei modi specificatamente previsti dalla legge".

Una legge, la 309/90 e successive, che è "pensata male" e per questo "da anni la nostra federazione ha chiesto di rivederla alla luce delle nuove modalità di consumo, del dilagare degli usi, dei risultati assolutamente deludenti dell’applicazione degli articoli 89 e 94, che andrebbero sottoposti a verifica dopo oltre 15 anni di applicazione".

"Perché - si chiede D’Egidio - l’unico punto su cui tutti i legislatori, di qualsiasi parte politica, si sono trovati d’accordo è stato quello di aumentare da due a quattro e ora a sei gli anni di pena residua che un detenuto può chiedere di trasformare in un periodo di cura per alcolismo o droga fuori dal carcere?".

Per non parlare poi, aggiunge, del fatto che nei territori dove impera la criminalità organizzata spesso sono gli stessi avvocati dei boss a chiedere, anche con minacce, la certificazione per i loro clienti. Su questi temi Federserd chiede quindi al presidente della Commissione, Luciano Violante, un dibattito pubblico.

 

 

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