Rassegna stampa 22 aprile

 

Giustizia: Berlusconi; pene più dure per recidivi e clandestini

 

La Stampa, 22 aprile 2008

 

Basterà una denuncia di polizia per mandare in carcere. Pene più dure per i recidivi. Berlusconi: subito il decreto. Ma anche nel Pdl è polemica sulle ronde.

"Sarà uno dei primi provvedimenti che prenderemo", annuncia Silvio Berlusconi. Il tema è incandescente e il futuro governo si rende conto che non c’è tempo da perdere. Roberto Maroni, il ministro dell’Interno in pectore, annuncia un gran dispiego di uomini, ma poi rilancia le ronde e "vedo con compiacimento che a Bologna il sindaco Cofferati le ha istituzionalizzate". Punture di spillo. Intanto il tema delle ronde, dopo un iniziale rifiuto ("Se armate, sono incostituzionali"), chiarito che sono disarmate, trova d’accordo pure Antonio Di Pietro: "Anche noi dell’Idv auspichiamo che i cittadini italiani segnalino alle forze dell’ordine episodi di pericolo e di criminalità".

Ma è Maurizio Gasparri a ridimensionare il tutto: "Se si tratta di mobilitare nonni davanti alle scuole, va bene". Comunque è una questione calda. In risposta al sindaco di Milano, Letizia Moratti, che l’aveva criticato perché arrivato buon ultimo ai temi della sicurezza, pure Walter Veltroni si sfoga: "Una caduta di stile. Severità, rigore, certezza della pena sono cose su cui tutti i sindaci hanno premuto".

In queste ore, anche se non sono chiari i contorni del futuro governo, alcuni tecnici del centrodestra si sono messi al lavoro. L’idea che sta prendendo corpo nel Pdl è di ripartire dal Pacchetto Sicurezza di Giuliano Amato, poi decaduto. Lo riprenderanno nella prima versione, quella che la sinistra radicale aveva fatto abortire, e in più inaspriranno alcune norme.

Siccome la parola d’ordine è "certezza della pena", ci sarà dunque la detenzione e il processo per direttissima per chiunque sia arrestato in flagrante mentre commette taluni reati ad alto allarme sociale. I nuovi governanti del centrodestra non si fermeranno

Una delle idee sul tavolo, in forma ancora embrionale, in vista del nuovo Pacchetto, è d’introdurre il reato di "false generalità" per colpire gli immigrati clandestini che si nascondono dietro una miriade di alias. Da tempo la polizia spinge per colpire più severamente chi gira con carte d’identità contraffatte.

Secondo duro inasprimento, colpire i recidivi. Per chi commette in maniera ripetitiva lo stesso reato, si pensi a certi ladri di auto o predoni di appartamento, si tagliano drasticamente i benefici della legge Gozzini ovvero le semilibertà o gli sconti di pena.

"Oggi è tutto troppo automatico", spiega Alfredo Mantovano. Ma poi i recidivi potrebbero essere colpiti anche in sede di aggravanti durante il processo. "E si potrebbe pensare - dice Filippo Saltamartini, neosenatore Pdl e segretario del sindacato autonomo di polizia Sap - a una forma di recidiva a-tecnica basata non soltanto sulle condanne passate in giudicato, ma anche sulle denunce di polizia o su nuovi arresti in flagrante".

Un piccolo accorgimento tecnico per rendere molto più difficile l’entrata e l’uscita continua dal carcere. Sono statistiche ufficiali, diramate qualche giorno fa dal dipartimento penitenziario: i detenuti, in Italia, mediamente stazionano in cella per dieci giorni.

Se s’annuncia un giro di vite sul fronte delle espulsioni, molto più rigore s’introdurrà anche sotto il versante dei permessi di soggiorno. Non soltanto la Bossi-Fini avrà un’applicazione rigida e non all’acqua di rose come aveva preteso il ministro rifondarolo Paolo Ferrero, ma lo straniero che richiederà il rinnovo del permesso di soggiorno dovrà dimostrare di vivere legalmente e quindi di pagare le tasse.

Verrà perciò richiesto, tra i diversi documenti da esibire, anche la dichiarazione dei redditi o il modulo F24 (per i lavoratori autonomi) che costringerà molti a mettersi in regola anche verso l’Agenzia per le Entrate. Brusca stretta anche per chi verrà trovato a guidare un’auto senza assicurazione: attualmente si rischia una contravvenzione, un domani potrebbe scattare una sanzione penale e il ritiro della patente.

Giustizia: creare emergenze… arma di "distrazione di massa"

di Pietro Yates Moretti (Presidente Associazione Utenti e Consumatori)

 

Notiziario Aduc, 22 aprile 2008

 

Diciamoci la verità: la vita sarebbe molto più noiosa senza l’emergenza. Se non fosse per lei, quel telegiornale potremmo vederlo più tardi o addirittura saltarlo, e non staremmo attaccati allo schermo del computer per seguirne l’evoluzione minuto per minuto. Senza la quotidiana emergenza, al bar saremmo costretti ad iniziare ogni conversazione facendo il punto sulle condizioni meteorologiche, ed ogni tentativo di andare oltre rischierebbe di essere travolto dal profluvio di notizie ordinarie.

Fate caso all’uso scientifico della parola emergenza la prossima volta che usufruite di qualche organo di informazione. Ecco alcuni esempi recenti: "Stuprata: è emergenza sicurezza" (funziona solo se il violentatore è un immigrato, meglio se rumeno). Oppure: "adescava minori online: è emergenza pedofilia on-line" (poco importa che oltre il 90% delle violenze sui minori avvenga in famiglia). O ancora: "a scuola con uno spinello: è emergenza giovani" (il bravo analista ricama poi con espressioni del tipo "giovani allo sbando", "profondo disagio giovanile", "generazione a rischio"). C’è da chiedersi perché, al contrario, il recente arresto per droga di un volto noto della Cnn e del direttore di TF1 International non abbia ancora ispirato titoli come "emergenza giornalisti", "categoria allo sbando", "informazione drogata".

L’emergenza nazionale, quella proclamata all’unanimità dai media, ci permette di dimenticare, seppur brevemente, le nostre emergenze personali: la quarta settimana, il mutuo, il lavoro, il costo della vita, le liste d’attesa nella sanità, le tasse, i disservizi pubblici. Ci consente di ignorare le mille distrazioni che informano e frammentano le nostre preoccupazioni, concentrando in un sol punto il nostro senso di rivalsa, di giustizia e di vendetta. Quando va bene, l’emergenza ci aiuta anche a sdoganare fugacemente le nostre fobie, che altrimenti dobbiamo tenere nascoste, represse, per pudore.

Ma l’emergenza non è solo la regina delle notizie. Sta diventando anche il motore immobile della politica. Essa costituisce una delle armi più potenti del bravo eletto, tanto da meritarsi nel mondo anglosassone l’appellativo di "weapon of mass distraction" (arma di distrazione di massa). Un efficace analgesico a doppia azione per lenire i sintomi da responsabilizzazione del pubblico amministratore.

I problemi ordinari e mai risolti, quelli che realmente vessano nel quotidiano la quasi totalità dei cittadini, passano in secondo piano: troppo complessi, troppo quotidiani per fare notizia e per essere affrontati a colpi di leggi emergenziali. E anche laddove un problema ordinario fosse promosso ad emergenza, il nuovo status mediatico potrebbe in parte scusare l’inadeguatezza delle risposte ordinarie date fino a quel momento.

Tanto potente è l’emergenza, che oggi è difficilissimo far passare una legge in meno di due anni senza di essa. Basti vedere quante leggi negli ultimi anni portano il nome "Norme urgenti in materia di...". Il Codice della Strada è oramai un collage di modifiche emergenziali stimolate da questo e quel caso di cronaca, ed anche le leggi sull’immigrazione, sulla droga e lo stesso codice penale seguono allegramente la stessa via. I politici navigati fiutano immediatamente l’emergenza e come giavellottisti olimpionici fanno a gara a chi lancia la soluzione più lungimirante, almeno in termini di economia elettorale: "tolleranza zero", "chi sbaglia paga", "chiudere le frontiere", "più galera".

Non fraintendetemi, la fabbrica mediatica dell’emergenza c’è ed ha tutto il diritto di continuare ad esserci. Ma ho l’impressione - o forse solo l’auspicio - che sia presa sempre meno sul serio, con il rischio che la vera emergenza sia poi ignorata al pari di tutte le altre. Un po’ come quel ridicolo sistema di colori (giallo, arancione, rosso, etc.) che ogni mattina ci hanno propinato i media statunitensi per indicare il livello di allerta antiterrorismo.

Insomma, pur di entrare nelle conversazioni da bar, la fabbrica dell’emergenza ha adottato a tutti gli effetti gli strumenti della previsione meteorologica: temperature in diminuzione, nuvoloso sulle regioni centrali, con elevato rischio di violenza da immigrato sulle aree urbane.

Un invito a giornalisti e politici a spendere con parsimonia l’efficacia mediatica dell’emergenza è ovviamente inutile. E proporre una legge per proibirne l’abuso ("Norme urgenti in materia di emergenza") sarebbe altrettanto infruttuoso, oltre che incostituzionale. Pertanto l’invito lo rivolgo agli utenti dell’informazione, spesso molto più maturi di quanto i professionisti dell’emergenza possano immaginare: giudicate sempre con la vostra esperienza, conoscenza e intelligenza tutte le emergenze. Soprattutto, valutatene bene le cause, che non sempre - anzi, quasi mai - coincidono con gli effetti visibili.

Se le carceri sono piene di immigrati, non è necessariamente perché lo straniero è geneticamente più criminale dell’italiano. Sapete che basta non mostrare un documento di riconoscimento alla Polizia - magari perché si è dimenticato il portafogli a casa - per finire in carcere, se si è stranieri? E poi, detto fra noi, se io (caucasico) ed un immigrato di colore giriamo con uno spinello in tasca, chi dei due ha maggiori possibilità di essere fermato per un controllo di polizia?

E se, in presenza di una delle leggi sulle droghe più severe del mondo occidentale, in Italia aumenta il consumo di droghe, e quindi anche i profitti delle organizzazioni criminali che a loro volta incrementano l’offerta, forse la colpa è di una società "allo sbando", "senza valori"? Davvero è "la crisi dei giovani d’oggi" che causa le morti da sballo del sabato per l’assunzione di sostanze incontrollate ed incontrollabili. Forse la colpa è anche un po’ delle "Norme urgenti in materia di...".

Giustizia: espulsioni, cpt, commissari speciali e... braccialetti!

di Laura Eduati

 

Liberazione, 22 aprile 2008

 

Ronde, commissari speciali per la sicurezza, espulsioni massicce, polizia regionale. Come era prevedibile, dopo lo stupro e l’accoltellamento di una giovane sudafricana da parte di un rumeno nella stazioncina romana La Storta, centrodestra e centrosinistra fanno a gara per promettere il pugno di ferro contro la criminalità straniera, talvolta commettendo svarioni come quello di Rutelli secondo il quale "in Italia ci sono un milione e centomila rom". In realtà, nonostante manchi un censimento preciso, i rom sono circa dieci volte di meno e cioè 150mila.

Il problema è che spesso le boutade dei politici non potrebbero essere messe in pratica perché violano i principi giuridici e costituzionali. Cominciamo delle ronde rilanciate dal futuro ministro dell’Interno Roberto Maroni. "Non si tratta di militarizzare il territorio" assicura il leghista. Tuona l’ex magistrato Antonio Di Pietro: "Le ronde sono anticostituzionali" ed è "inaccettabile" che dei semplici cittadini vadano in giro armati.

È proprio ciò che ribadiscono gli avvocati penalisti in una nota preoccupata dell’Unione Camere Penali, dove si specifica l’ovvio e cioè che la sicurezza pubblica va tutelata ma "nel rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà costituzionali".

Il sindaco di Cittadella (Pd) Massimo Bitonci, balzato alle cronache nazionali per l’ordinanza anti-sbandati che rifiuta l’iscrizione all’anagrafe ai cittadini comunitari poveri, dice che nessuno ci ha capito niente e che, in fondo, le ronde sono semplici gruppi di volontari disarmati con il semplice compito di segnalare sospetti delinquenti alle forze dell’ordine in sotto organico.

La realtà è che Bitonci, sotto il profilo giuridico, ha ragione. La legge peraltro non impedirebbe che un Comune desse in appalto la sicurezza dei cittadini ad una società di vigilanza privata e armata. Ma questa vigilanza dovrebbe limitarsi esclusivamente a segnalare eventuali reati alla polizia, senza intervenire. Le ronde, armate o disarmate, potrebbero sventare dei crimini arrestando il colpevole in flagranza di reato e consegnarlo alle forze dell’ordine. Nulla più.

A Roma, la piazza da conquistare domenica con il ballottaggio, "città insicura e violenta" assicura Robilotta del Pdl, Alemanno promette di cacciare 20mila clandestini e di istituire un commissario speciale per la sicurezza. Entrambe le misure cozzano con il diritto. La convenzione di Strasburgo vieta le espulsioni di massa, mentre bisognerebbe cambiare la legge per permettere ad una figura istituzionale di riunire i poteri di sindaco, prefetto e questore. Per ora al sindaco è permesso di prendere dei provvedimenti urgenti circa la salvaguardia dell’incolumità pubblica ma non per la pubblica sicurezza, altrimenti ogni città avrebbe regole differenti, decisamente incostituzionale.

Nei giorni scorsi la Lega ha promesso poi di dare completa applicazione alla Bossi-Fini. "La legge Bossi-Fini è inefficace perché colpisce allo stesso modo i clandestini, coloro che vogliono vivere in Italia di nascosto, e gli irregolari cioè gli stranieri che per ragioni meramente burocratiche non hanno un valido permesso di soggiorno" sottolinea l’avvocato Lucio Barletta dell’associazione Sos Diritti Onlus di Roma. È come sparare col cannone ad una mosca, dice Barletta. In questo modo, soltanto il 2% dei criminali stranieri viene effettivamente rimpatriato, mentre spesso viene riaccompagnato alla frontiera il clandestino che cercava l’integrazione onesta.

Secondo le stime Caritas gli stranieri senza documenti sono circa 1 milione. Espellerli tutti costerebbe probabilmente miliardi di euro. La soluzione? Distinguere i delinquenti dagli stranieri che vogliono integrarsi. "Peraltro il tasso di criminalità degli stranieri regolari è leggermente inferiore a quella italiana" conclude Barletta. E il 25% dei detenuti prima dell’indulto erano straniero che avevano violato semplicemente l’ordine di espulsione senza aver commesso altri reati.

"La Bossi-Fini crea l’immagine di un invasore potenzialmente criminale" commenta l’avvocato padovano Marco Paggi dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi): "una legge che mantiene una amministrazione inefficiente e sprecona. Una scelta politica del tanto peggio tanto meglio". Basta vedere, dice Paggi, i dati sui Cpt che il nuovo governo si appresta a potenziare e moltiplicare: a malapena una persona su tre viene poi accompagnata alla frontiera " e spesso", concorda Paggi, "non si tratta di criminali".

Il centrodestra promette di espellere immediatamente lo straniero che commette reati. Anche questo è vietato dalla Costituzione: il processo va fatto in Italia, ed eventualmente la pena scontata in patria previo accordo bilaterale con il Paese d’origine.

Rutelli risponde ad Alemanno rilanciando con una commissione consultiva per la sicurezza integrata dal suggestivo acronimo Csi, anticipando che se sarà eletto sindaco si occuperà personalmente dell’ordine pubblico senza deleghe agli assessorati. Fin qui, nulla di illegale. Tuttavia i pacchetti sicurezza bipartisan, appoggiati anche dal Partito democratico, fanno storcere il naso ai giuristi.

I sindaci vogliono più poteri sulla sicurezza, ma anche questo travalica i normali compiti affidati ai primi cittadini. E per quanto riguarda il potere dei prefetti di espellere dei cittadini comunitari in base alla pericolosità e non ai crimini effettivamente compiuti, si tratta di una ampia concessione alla discrezionalità delle forze di polizia.

Tutto ciò varrebbe, forse, se esistesse davvero un allarme criminalità. "In realtà i reati non aumentano e lo dicono le stesse forze dell’ordine" conclude Paggi "ma aumenta la percezione della criminalità. Vorrei che ci fosse questa sensibilità per le morti sul lavoro, ma l’impressione è che siamo talmente abituati a questa piaga che ce la prendiamo con gli altri, gli stranieri. Parliamo dell’integralismo islamico ma questo è il nostro integralismo, la xenofobia, che è fatta di insicurezza, paura e ignoranza".

L’unica idea che sembra correttamente in linea con la legge è il braccialetto elettronico per le donne che girano da sole, proposto dall’ex sindaco di Roma. A bocciarlo intervengono, però, le donne del centrodestra come la segretaria generale del sindacato Ugl Renata Polverini: "Non abbiamo bisogno dell’antifurto".

A difesa di Rutelli intervengono le 22 candidate nella lista civica per Rutelli, augurandosi la distribuzione di un milione di braccialetti. L’iniziativa trova il placet della ex ministra per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini e di politiche del calibro di Linda Lanzillotta e Maria Pia Garavaglia, che non vedono nulla di male nel dispositivo che all’occorrenza potrebbe inviare un sms di soccorso alle forze dell’ordine. Anzi, per Garavaglia il braccialettino indispettisce il centrodestra proprio perché è un’idea concreta.

Giustizia: 13 violenze sessuali al giorno, ma poche le denunce

di Vladimiro Polchi

 

La Repubblica, 22 aprile 2008

 

Tredici stupri al giorno: quasi un arrestato su quattro è immigrato, uno su venti è romeno. Le denunce? In calo. Quelle per violenza sessuale, nel secondo semestre 2007, sono state 2.174: il 12,6% in meno rispetto al semestre precedente. "Ma attenzione - avverte il sociologo, Marzio Barbagli, curatore del "Rapporto sulla criminalità 2007" - solo il 4% delle donne denuncia il suo stupratore".

Le ultime violenze di Milano e Roma riaccendono, dunque, i riflettori su un fenomeno spesso sottostimato. Il ministero dell’Interno, ieri, si è affrettato a fornirne una fotografia: nel 2007 sono stati accertati 4.663 casi di violenza sessuale, quasi 13 al giorno. Un dato in leggero calo rispetto ai 4.694 del 2006. Secondo il Viminale, in verità, le violenze denunciate dalle donne sono progressivamente aumentate negli anni: 2.194 nel secondo semestre 2005, 2.279 nel primo semestre 2006, 2.415 nel secondo semestre 2006, 2.489 nel primo semestre 2007.

Poi, l’inversione di tendenza: nel secondo semestre dell’anno scorso, infatti, le violenze sessuali sono state 2.174, il 12,6% in meno rispetto al semestre precedente. Il merito? Secondo il ministero dell’Interno, spetta ai patti per la sicurezza siglati dal Viminale coi sindaci delle principali città, tra maggio e luglio 2007. Nel primo semestre dell’anno, in effetti, i delitti sono stati 1 milione e 485mila, mentre nel secondo sono scesi a 1 milione e 379mila. Gli omicidi volontari sono scesi da 323 a 304, i furti da 838.956 a 783.262, le rapine da 26.681 a 23.861, gli scippi da 11.973 a 10.693, le estorsioni da 3.278 a 2.899.

Non solo. Guardando a quanto accade nelle grandi città, si rileva come sempre tra il primo e il secondo semestre del 2007, le violenze sessuali sono scese da 247 a 197 a Milano, da 38 a 34 a Venezia, da 85 a 75 a Bologna, da 82 a 56 a Firenze, da 166 a 154 a Roma, da 102 a 85 a Napoli e da 29 a 19 a Catania. Unica eccezione Genova, dove le violenze sessuali sono passate da 24 a 40. Questo, per quanto riguarda i reati denunciati.

"Nel caso delle violenze sessuali - spiega però Barbagli - le denunce sono pochissime rispetto ai reati consumati. L’Istat, infatti, ci dice che su 100 donne stuprate solo 4 denunciano il fatto, quando il colpevole è il partner, 6 quando l’accusato è invece un estraneo. E nel 69% dei casi la violenza sessuale è proprio ad opera del partner o dell’ex". Ma chi sono le persone più denunciate? "Guardiamo ai dati: nel 2004, su 2.780 denunciati o arrestati per violenza sessuale, il 35% erano cittadini stranieri. Nel 2005 su 2.382 denunciati, gli immigrati salgono al 38,2%; nel 2006 su 2.706 denunciati, gli stranieri sono il 38%".

Dunque nel 2006 oltre un denunciato per stupro su tre è immigrato: "Di questi, il 6,7% è romeno, il 5,9% marocchino, il 3.7% albanese". E nel 2007? "Le persone denunciate o arrestate per violenza sessuale sono aumentate del 15% rispetto al 2006 - fa sapere Barbagli, che ha sotto gli occhi i dati inediti del Viminale - e l’incremento è dovuto quasi esclusivamente ai romeni".

Dunque l’equazione criminalità-immigrazione è qualcosa di più di un pericoloso luogo comune. "Va ribadito - ricorda però Barbagli - che la maggior parte degli autori di reato sono irregolari: nel caso di spaccio, per esempio, i clandestini sono il 90% del totale degli stranieri denunciati; nelle violenze carnali, il 62%". Un ultimo elemento: "Le violenze commesse da stranieri - spiega Barbagli - avvengono per lo più all’interno del proprio gruppo o di gruppi affini. E in questo caso le donne che denunciano si contano sul palmo di una mano".

Giustizia: carceri di nuovo affollate, "merito" della Bossi-Fini

 

Ansa, 22 aprile 2008

 

Al ritmo di mille detenuti al mese, le carceri italiane sono tornate a sovraffollarsi: sono 52.686 i detenuti per una capienza regolamentare di 43.068 (ma il limite "tollerabile" è stimato in 63.413 unità). Di questi, il 19.821 (pari al 37,62%) sono stranieri. Dall’ultima fotografia scattata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) che quotidianamente monitora la situazione nei 207 istituti penitenziari emerge non solo che l’effetto indulto è quasi esaurito e che si sta inesorabilmente marciando verso il record storico di 63mila detenuti raggiunto due anni fa, ma anche che è in continuo aumento il numero degli stranieri nelle carceri italiane.

I più numerosi provengono dal Marocco (sono 4.284, pari al 21,61% del totale), e dalla Romania (2.762, 13,93%), Albania (2.401, 12,11%), Tunisia (2.117, 10,68%), Nigeria (806, 4,07%). Il trend è in continua crescita se si pensa che nel 1990 gli stranieri erano circa l’8% Sull’incremento ha pesato anche la legge Bossi Fini: circa il 20% dei detenuti extracomunitari è in carcere per aver disatteso la norme anti-clandestini.

Per decongestionare le carceri, gli ultimi due governi Berlusconi e Prodi hanno avviato intese bilaterali per consentire il rimpatrio dei detenuti stranieri nei paesi di origine. Ma non sempre alle parole sono seguite i fatti. L’ultimo accordo, stretto lo scorso novembre tra l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella e il suo omologo romeno Tudor Chiuariu prevedeva il trasferimento nelle carceri della Romania di 330 detenuti condannati con sentenza definitiva in Italia. Ma ad oggi - fanno notare in ambienti del Dap - i rimpatri sono proceduti a rilento.

Monza: progetto "Scarcerando" per i detenuti malati mentali 

 

Dire, 22 aprile 2008

 

"Alcuni sono entrati che erano già malati, in altri i disturbi sono emersi con la detenzione", spiega Davide Motto, della cooperativa Lotta contro l’emarginazione. Mercoledì la presentazione del libro che racconta la loro storia.

Racconta Lorenzo che è finito in carcere per aver rubato dei dvd. Mentre parla con lo psicologo ridacchia. Ha tentato di suicidarsi due volte. Fabrizio, invece, dice che è tornato in carcere, dopo l’indulto, perché "mi sono fatto prendere da una gran sete di alcool, altre volte ho resistito, ma faceva caldo" e conclude che "mi piacerebbe tornare a lavorare, al momento non sono in grado... per problemi di denti". Sono due dei 19 casi seguiti, con il progetto "Scarcerando", dalla cooperativa "Lotta contro l’emarginazione" e dai due psichiatri degli ospedali San Gerardo di Monza e Civile di Vimercate. Storie drammatiche, di malati mentali che sono finiti in carcere. Ora un libro, che ha lo stesso titolo del progetto, racconta le lo storie. Verrà presentato mercoledì 23 aprile, dalle 9.30 alle 13.00 presso la Sala Teatro della Casa Circondariale di Monza. Interverranno, fra gli altri, Massimo Parisi, direttore del carcere di Monza, Patrizia Ciardiello, garante dei diritti dei detenuti, e Stefano Carugo, assessore alle Politiche sociali del comune di Monza.

Per alcuni dei detenuti seguiti dal progetto "Scarcerando", la malattia era già conclamata, per altri i sintomi si sono manifestati proprio con la detenzione. "Con questo progetto, che è durato due anni, abbiamo cercato di assisterli in carcere insieme al medico dell’istituto -spiega Davide Motto, della cooperativa Lotta contro l’emarginazione-. E abbiamo garantito che fossero seguiti una volta usciti dai servizi territoriali". Le carceri lombarde sono ormai quasi tutte al limite del sovraffollamento, anche quello di Monza. "Purtroppo le condizioni di vita all’interno degli istituti finisce per aggravare lo stato di salute di queste persone", conclude Davide Motto.

Alba: kit del dimittendo, un progetto per i detenuti scarcerati

 

www.grandain.com, 22 aprile 2008

 

C’è anche un’associazione braidese, fra le beneficiarie dei finanziamenti stanziati dal Comune di Alba per sostenere associazioni operanti nel campo del volontariato: il gruppo della comunità parrocchiale San Giovanni di Bra, associazione regolarmente iscritta al registro del Volontariato. Dalla fine degli anni 90 i volontari braidesi collaborano con quelli di Alba, da pochi mesi costituitisi in una propria associazione, chiamata "Arcobaleno" (coordinata da suor Angela Lano); fra gli partner anche la Caritas diocesana di don Luigi Alessandria, l’associazione interetnica Mosaico di Bra e l’associazione Aurora (famiglie contro la tossicodipendenza) di Bra.

Il nome dato al progetto (del costo totale di 4.500 euro, e per il quale sono stati assegnati solo 2.000 euro, a fronte dei 3.150 richiesti), i cui destinatari sono i detenuti della Casa Circondariale di Alba in fase di dimissione, è quello di "Kit del dimettendo": sostanzialmente si tratta di offrire un sostegno economico e sociale, nel momento dell’uscita, alle persone dimesse dal carcere.

"È il modo migliore per evitare che, appena usciti, per necessità gli ex-detenuti tornino a commettere qualche crimine - spiega il braidese Giuseppe Tibaldi -; la condizione di passaggio dal periodo detentivo a quello in cui si diventa ex-detenuti è una sorta di zona franca, che dura pochi giorni, nei quali però ci si trova spesso senza appoggi. Il nostro intervento arriva anche a colmare un vuoto normativo dall’uscita all’inclusione in un percorso di reinserimento lavorativo: è una fase delicata, in cui si hanno anche necessità economiche".

In pratica, vale il principio del vecchio motto "prevenire è meglio che curare": ottica lungimirante, che va a vantaggio non solo dei diretti destinatari dei 30 kit (ciascuno dei quali comprende le necessità primarie quali pasto, abitazione, trasferimenti, per evitare l’immediata recidività), ma dell’intera collettività. Nel momento in cui viene commesso un reato, infatti, per quanto banale possa essere affermarlo, se c’è chi lo commette c’è anche qualcuno che lo subisce: se si prevengono fenomeni delinquenziali, dunque, ne deriva un beneficio per l’intera società.

Napoli: don Ciotti; temi choc… raccogliere quelle confessioni

 

Dire, 22 aprile 2008

 

"Come Stato, come istituzioni, come gruppi della società responsabile dobbiamo raccogliere quelle confessioni e trasformarle in stimolo a fare di più e meglio. Perché la storia ci dimostra che quando sono state offerte ai ragazzi risposte e opportunità concrete un cambiamento è sempre stato possibile". Così Don Ciotti, presidente dell’associazione contro le mafie Libera, interviene sul caso dei temi choc scritti da alcuni alunni di una scuola di Miano, a nord di Napoli.

Quei temi "non devono farci dimenticare che quei ragazzi sono anche il prodotto del loro contesto di vita- dice Don Ciotti - dobbiamo allora interrogarci sì sulle storie individuali, ma intervenire anche sul tessuto sociale". È vero, continua il presidente di Libera, "che le mafie danno protezione, come ci raccontano i temi, ma è una protezione momentanea e dal prezzo altissimo. Una sicurezza - spiega - che riduce alla condizione di sudditi, un debito che non si finisce mai di risarcire e che alla lunga non lascia altra scelta che quella di diventare mafiosi o quantomeno pensare e agire come mafiosi".

Come intervenire allora? "Ci vogliono risposte concrete e tempestive - sottolinea Don Ciotti - i ragazzi hanno bisogno di trovare spazi, interessi, opportunità. Solo così è possibile sconfiggere questa loro sfiducia nelle istituzioni e nello Stato. Una sfiducia che a volte è fondata, prodotta da mancanze e distanze reali, ma che tante volte è anche indotta dal sistema criminale e amplificata da un sistema di connivenze e complicità che ha tutto l’interesse nel far apparire lo Stato come una figura assente o ostile".

Roma: "Liberi di Informarci"… rassegna stampa dal carcere

 

Vita, 22 aprile 2008

 

Iniziativa realizzata dagli studenti detenuti dell’Istituto Penitenziario Rebibbia Nuovo Complesso in collaborazione con i volontari di Emergency. Questo uno degli obiettivi di "Liberi di Informarci" una rassegna stampa realizzata dagli studenti detenuti dell’Istituto Penitenziario Rebibbia Nuovo Complesso in collaborazione con i volontari di Emergency e consultabile attraverso il sito internet delle Biblioteche di Roma nella sezione Biblioteche in Carcere. Ogni settimana, nella biblioteca del penitenziario, gli studenti detenuti incontrano i volontari di Emergency, insieme leggono le notizie ed approfondiscono i temi legati alla guerra, alla pace e ai diritti umani. Agli studenti detenuti è affidato il compito redazionale di ricerca, elaborazione ed impaginazione dei materiali che poi andranno a comporre la rassegna stampa.

Completano il quadro di approfondimento numerosi incontri con medici di Emergency, giornalisti, scrittori ed inviati speciali. Durante ogni incontro i detenuti realizzano delle interviste agli ospiti che possono essere lette ed ascoltate attraverso il sito internet delle Biblioteche di Roma. Il progetto, nato nel 2005 dalla collaborazione tra un gruppo di volontari di Emergency e gli insegnanti della scuola media di Rebibbia, vede quest’anno anche la partecipazione degli studenti detenuti dell’Itis "Von Neuman" oltre che degli studenti del Cpt "Via Tiburtina Vecchia" e dei vecchi alunni. Per ulteriori informazioni sul progetto: scuola.carceri@emergency.it.

Parma: Università; domani una conferenza di Mauro Palma

 

Asca, 22 aprile 2008

 

Mercoledì 23 aprile, alle 11.45, presso l’Aula B dell’Università di Parma (Via Università 12 - primo piano), il Prof. Mauro Palma, Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, terrà una conferenza volta a illustrare l’attività di tale Comitato nel suo complesso. L’intervento si inserisce nell’ambito delle attività seminariali del corso di Diritto internazionale della Facoltà di Giurisprudenza, tenuto dalla Prof.ssa Laura Pineschi.

Il Comitato, istituito ai sensi dell’art. 1 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (Strasburgo, 26 novembre 1987), è composto da esperti indipendenti. Il suo compito principale consiste nell’effettuare visite periodiche o ad hoc nel territorio degli Stati parti in qualsiasi luogo in cui si trovino individui privati della libertà da parte di autorità pubbliche (es. carceri, commissariati di polizia, centri di immigrazione, ospedali psichiatrici), al fine di accertare il loro trattamento.

Durante tali visite, i membri del Comitato hanno diritto di accesso illimitato ai luoghi di detenzione e possono intrattenere colloqui riservati con le persone private della libertà. Tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa (ivi compresa l’Italia) sono attualmente parti alla Convenzione europea per la prevenzione della tortura. Dalla sua istituzione a oggi, il Comitato ha effettuato 246 visite (156 periodiche e 95 ad hoc), di cui sei in Italia. Una settima visita è prevista nel 2008.

Immigrazione: Viminale; 35% dei reati commessi da stranieri

 

Ansa, 22 aprile 2008

 

Circa il 35% dei reati in Italia sono commessi da stranieri, con i romeni al primo posto. E sono soprattutto i clandestini a delinquere, mentre tra gli immigrati regolari il tasso di criminalità è in media con quello degli italiani. Questi gli ultimi dati del Viminale, dopo che negli ultimi giorni diversi episodi di criminalità (come ad esempio le violenze sessuali a Milano, Roma e Torino) hanno visto come autori proprio immigrati irregolari.

Nel periodo gennaio-agosto 2007 sono state denunciate o arrestate complessivamente 567mila persone, di cui circa 364mila italiani e 203mila stranieri (pari appunto al 35% del totale). Tra questi ultimi, 32.468 sono di nazionalità romena. Nei primi otto mesi dell’anno il totale delle segnalazioni riguardanti romeni corrisponde al 5,71% del totale dei reati ed al 16% del totale di quelli commessi da stranieri. Da poco più di un anno, da quando è entrato in vigore l’accordo di collaborazione tra le polizie italiana e romena, sono stati oltre 1.100 i cittadini romeni arrestati in Italia e più di 2.000 i denunciati.

La quota di stranieri autori dei reati è cresciuta con l’aumentare della presenza di immigrati in Italia: ad esempio, nel 1988 la quota di stranieri sul totale dei denunciati per omicidio era del 6%, contro una popolazione straniera residente in Italia dello 0,8%; dieci anni dopo, gli immigrati denunciati per omicidio salgono al 18%, contro l’1,7% degli stranieri in Italia; nel 2006 la quota di stranieri denunciati per omicidio balza al 32%, contro una popolazione straniera del 5%.

Sono romeni, marocchini ed albanesi a commettere più reati. E le tre nazionalità sono anche le più numerose presenti in Italia. Per quanto riguarda gli omicidi, i romeni sono al primo posto (il 15,4% del totale degli stranieri denunciati per questo reato), seguiti dagli albanesi (11,9%) e dai marocchini (9,1%).

Anche per le violenze sessuali i romeni sono in testa (rappresentano il 16,2% del totale degli stranieri denunciati per questo reato), seguiti dai marocchini (15,9%) e dai croati (13,9%). Per le rapine in casa, ancora romeni al comando (19,8%), seguiti da albanesi (13,8%) e marocchini (8,7%). Per gli scippi i marocchini sono al primo posto (20,6%), seguiti da romeni (19,3%) e albanesi (6%). Per quanto riguarda i furti d’auto, i romeni tornano in testa (29,8%), seguiti da marocchini (13,2%) e albanesi (8,8%). Per le estorsioni, infine, ancora romeni primi (15%), seguiti da albanesi (11,2%) e marocchini (10,7%).

Immigrazione: Roma; campagna elettorale fatta su sicurezza

 

Dire, 22 aprile 2008

 

Si gioca sul tema della sicurezza il rush finale della campagna elettorale per il Campidoglio tra i candidati a sindaco di Roma per il centrosinistra Francesco Rutelli e per il Pdl Gianni Alemanno, dopo l’aggressione e la violenza sessuale compiuta da un romeno giovedì scorso nella Capitale ai danni di una studentessa del Lesotho. In vista del ballottaggio di domenica 27 e lunedì 28 aprile, Rutelli ha proposto ieri di adottare per la sicurezza delle donne un braccialetto elettronico con un pulsante per la richiesta di aiuto.

Idea che non è piaciuta ad una trentina di donne del Pdl che ieri si sono incatenate e velate di nero davanti alla stazione de La Storta dove l’africana di 31 anni è stata aggredita. Il candidato del centrosinistra nel pomeriggio ha annunciato che, se sarà eletto sindaco, si avvarrà di un nuovo organismo: "la Commissione Consultiva per la Sicurezza Integrata (Csi), formata da personalità di alto profilo istituzionale e con provata esperienza nel campo della sicurezza", come l’ex vice direttore vicario della direzione investigativa antimafia (Dia) generale Roberto Mantini, l’ex prefetto di Reggio Calabria Luigi De Sena, l’ex capo di Stato maggiore dei carabinieri Alfonso Venditti, l’ex presidente della Commissione antimafia Francesco Forgione e l’ex comandante generale dei carabinieri ed ex direttore del Sismi Sergio Siracusa.

"Roma - ha detto Rutelli - è la vetrina del Paese e sarà la vetrina della sicurezza. Sarò io stesso, se eletto, a guidare le politiche per la sicurezza di competenza del Comune di Roma", eliminando quindi l’apposito assessorato. E ha annunciato anche che "la polizia municipale assumerà un ruolo strategico nella politica comunale per la sicurezza. Gli operatori saranno ulteriormente qualificati e muniti delle conoscenze e strumenti per svolgere al meglio il loro lavoro".

Anche Alemanno ha un progetto per i vigili urbani della Capitale, in primis l’armamento: "Voglio trasformare la polizia municipale romana, oggi abbandonata, in una vera polizia locale come previsto nella Costituzione, una vera polizia di prossimità, armata, che sia destinata a fare la lotta al degrado". Il candidato del Pdl ha anche ricordato: "Se sarò eletto sindaco, provvederò all’espulsione dei 20mila stranieri che hanno commesso reati, nomadi, immigrati o romeni che siano, non è una questione etnica".

Per Alemanno, inoltre, serve "un nuovo Patto su Roma, perché con quello fatto da Veltroni e Amato non si è concluso nulla, che permetta di dispiegare sulle aree a rischio tutte le forze dell’ordine che servono. Del pericolo che corre Roma abbiamo dato notizia da due anni a questa parte anche con la convocazione di due consigli comunali straordinari. In quelle occasioni Veltroni e l’ex prefetto Serra dicevano che Roma è sicura ma i nostri avvertimenti si sono rivelati reali. Dopo la morte di Giovanna Reggiani - ha insistito - niente è cambiato e quanto avvenuto nella stazione di La Storta lo dimostra". Pronta la risposta di Rutelli: "I provvedimenti che hanno consentito un’immigrazione così pesante sono stati tutti presi dal governo Berlusconi e in quel governo c’era il ministro Alemanno che li ha votati tutti. Quindi basta polemiche".

Droghe: Cozart Dds, presto in uso il "rilevatore di sostanze"

 

Notiziario Aduc, 22 aprile 2008

 

Prima di iniziare a usarlo sulle strade, il Cozart Dds verrà sperimentato a Bologna. Il futuro terrore dei consumatori di cannabinoidi, anfetamine, cocaina, ecstasy che poi si mettono alla guida, viene testato sotto le Due Torri. Già battezzato "l’etilometro per le droghe", l’apparecchio rivela in pochi minuti se la persona al volante è sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

Come? Basta prelevare un po’ di saliva con un tampone di cotone e si capisce se l’autista ha assunto sostanze prima di guidare. Al momento la verifica si fa con gli esami delle urine, che però, a differenza di quelli sulla saliva, possono risultare positivi anche se l’assunzione è avvenuta fino a 20 giorni prima.

La sperimentazione si propone di verificare l’efficacia del tampone confrontandola con gli esami del sangue, come richiesto dalla procedura di validazione. Una volta validato, infatti, il Cozart può essere utilizzato anche a fini legali. I primi test sono già stati effettuati, in forma anonima, su ragazzi e ragazze volontari in discoteche e luoghi di incontro. Il progetto, uno dei più innovativi e avanzati in Italia, sarà illustrato nel corso di un convegno sull’uso delle droghe a Bologna, organizzato dall’Università dopodomani in Sala Farnese a Palazzo D’Accursio.

Giappone: pena morte a minorenne condannato per omicidio

 

La Repubblica, 22 aprile 2008

 

Era minorenne all’epoca del duplice omicidio. Gli è stata commutata la pena all’ergastolo - fissata in primo grado - in quella capitale. Questa la sentenza inflitta a un giovane giapponese al termine del giudizio d’appello.

"La mancata premeditazione non è un motivo sufficiente per evitare la pena di morte". Questo è quanto ha commentato Yasuhide Narazaki, presidente dell’Alta Corte di Hiroshima al termine del processo che ha attirato l’attenzione dei media sia per l’atrocità dei delitti, sia per la questione dell’abuso della pena di morte nel Sol Levante. La maggiore età in Giappone parte dai 20 anni: i condannati minorenni possono essere giustiziati per impiccagione se hanno almeno 18 anni al momento del delitto, ma la pena capitale é rara, se non un’eccezione.

L’episodio risale all’aprile del 1999 quando un ragazzo, poco più che diciottenne, si intromette nella casa di una giovane di 23 anni violentandola e strangolandola. Non soddisfatto, uccide anche la figlia della donna, di appena 11 mesi. "Non è qualcosa di cui rallegrarsi.

Ho accettato la decisione del giudice - ha affermato in una conferenza stampa, Hiroshi Motomura, marito e padre delle due vittime - C’é una punizione per cui la mia famiglia é stata compensata in una certa misura, anche se i risultati finali sono la morte di mia moglie e mia figlia e dell’omicida. Non é un fatto positivo per la società".

"Ci deve essere una spiegazione perché non poteva essere comminata un’altra punizione" ha ribattuto da parte sua Makoto Teranaka, segretario generale di Amnesty International in Giappone. L’organizzazione internazionale da sempre lotta contro la pena capitale.

In linea con l’attuale indirizzo del ministro della Giustizia, che vuole portare i detenuti del braccio della morte a un numero "fisiologico", quattro pene capitali sono state eseguite qualche giorno fa, soltanto due mesi dopo l’ultimo round d’impiccagioni.

Francia: storia di Abdel, il gangster che sbanca… le librerie

di Domenico Quirico

 

La Stampa, 22 aprile 2008

 

C’è una gloria che risplende e c’è una celebrità che dà sul nero. Esultano gli angeli nel cielo ma anche Satana laggiù in fondo, nel buio, ha diritto a qualche momento di esultanza. Chi ha detto che la gloria spetti soltanto ai vittoriosi della vita, ai buoni, a quelli che stanno, beati loro, dalla parte giusta? È qui che ci imbattiamo in Abdel Hafed Benotman, rapinatore molto recidivo, incallitissimo, che "ricade" si direbbe con allegra esultanza, e insieme scrittore di successo, uomo di teatro, militante di cause condivisibili e eccellenti. Le due tracce biografiche viaggiano insieme, inseparabili come i binari del tram, intriganti, una specie di flagrante smentita, un capovolgimento quasi crudele della favola per cui scrivere e meditare non si acconciano con quella che una volta si chiamava appunto "malavita".

Ah certo, il delinquente redento a furia di penna, che racconta i suoi fati trascorsi, una vita di catastrofi, di burrasche e di naufragi come una confessione al signor commissario e per di più in bella forma, quello lo conosciamo bene, ci garba appuntino e consente a rendere di cemento i pilastri della nostra normalità, civile e giudiziaria.

Ma Abdel, con il suo sorriso da Gavroche incanutito, è uno che nel delinquere si ingorga, ne adora la promiscuità più densa e fastidiosa, si accampa nel delitto da quando aveva sedici anni e adesso ne ha 48, l’età in cui si fanno i bilanci non solo letterari e si tirano i remi all’asciutto. E invece continua nella doppia "fatica", nella frizione e nell’usura quotidiana dell’anima, prigione e libreria, verbale di interrogatorio e romanzo di successo.

Tanto che un giudice, stufo di trovarsi davanti quel delinquente con il casellario giudiziario e la bibliografia così ingombranti, gli ha sibilato: "Lo Stato francese non può continuare a pagare dei laboratori di scrittura a lei, signor Benotman". E gli ha affibbiato quattro anni quando la rapina, che è la sua specialità come la prosa, avrebbe dovuto garantirgliene almeno quindici.

La giustizia, che è semplicista per necessità, lo maneggia male uno così, uno scrittore-rapinatore. Il "braquage" lo pratica in grande stile, a mano armata, anche se in modo vagamente galantuomo; nel senso che non ha mai sparato, non ha mai strascinato via vigliaccamente il codazzo di ostaggi, non ha mai ferito nessuno. Ma questi sono discorsi un po’ letterari, oltre che da ricerca avvocatesca delle circostanze attenuanti. Perché dentro la pesatura del nostro Arsenio Lupin bisognerebbe ben conteggiare quella che lui si benigna di ninnare come la "violenza psicologica".

Eccolo allora in azione: filiale della Barclay’s a Neuilly, sì, proprio il delizioso ninnolo da miliardari da cui è sbocciato Sarkozy, il suo ultimo colpo. E si trova, questo forziere, proprio in faccia al municipio e accanto al commissariato. Lui "ha fatto irruzione" in bella prosa da nera, niente complici, ribaldamente senza il passamontagna; e gli hanno consegnato, gli impiegati indotti dalla "violenza psicologica", 18.600 euro con cui se n’è andato a piedi, senza turbare la quiete di una cittadina così distinta con sfregamenti di gomme e gincane scenografiche.

La prima volta, quella che imprime un destino, dannazione o vocazione fu a sedici anni e lo agguantarono per "furto violento". Ai poliziotti non deve esser sembrata una grande storia da trasformare in prosa, il solito "voyou" di origini algerine e con il corredo modestamente assolutorio di un padre autoritario e violento. Dietro le sbarre ha passato la maggior parte della vita, le sue accademie si chiamano Fresnes e Fleury, l’ispirazione si è rodata nei commissariati tra una liberazione condizionale e un’altra, con il breve intermezzo di un’evasione. Detenuto modello, cortese con i compagni di ventura e con i poliziotti che "fanno il loro mestiere", poverini. Un conforto per i signori direttori: bravo Abdel, così impegnato furiosamente a leggere, indefesso saccheggiatore della biblioteche carcerarie. E non sapevano che il sentimento di rivolta che gli anni di prigione non hanno fatto che accrescere e temprare come una punta di acciaio andava intanto a innicchiarsi in pagine fitte e urticanti.

Altro che redenzione. Le prime novelle, "Les forcenés", sono state pubblicate nel ‘93 grazie alla responsabile del laboratorio di scrittura. Ma uno scrittore inglese che ne fu folgorato, senza che l’autore lo sapesse, le fece ripubblicare dal suo editore. E Abdel scoprì di essere diventato scrittore per caso, su Internet, in prigione.

"Sono un renitente, da sempre, un comunardo", sintetizza adesso che un altro libro, "Marche de nuit sans lune", il terzo, è appena uscito tra il tripudio dei critici. Scritto anche questo in galera. E ci viene il dubbio che ormai la rapina seguita dall’auspicato arresto sia diventata per lo scrittore Benotman una necessità, l’appuntamento un po’ ruvido e faticoso, fertile e selvatico, con l’ispirazione.

Stati Uniti: un ex detenuto si candida al Comune di Cleveland

 

www.peacereporter.net, 22 aprile 2008

 

Nel giorno in cui l’attenzione della politica americana torna alla sfida infinita tra Obama e Hillary, in un quartiere di Cleveland va in scena un’elezione locale, sì, ma che potrebbe scatenare un nuovo dibattito negli Usa. Perché al consiglio comunale della città dell’Ohio, da domani, potrebbe sedere un politico condannato per omicidio, che ha passato metà della sua vita adulta in carcere. E ora che è una persona diversa, lotta per il diritto di vedersi dare fiducia e una possibilità di far del bene per la sua comunità.

La sua storia. Quando aveva 16 anni, John Boyd partecipò a una rapina che finì in omicidio. Era un posto dove si tenevano riffe clandestine: lui e il padrone si contesero un’arma, nella colluttazione partì un colpo. L’uomo morì più tardi per le ferite riportate. "Fu un incidente. Ma il risultato del mio essere lì fu la perdita di una vita, ne accetto la responsabilità", dice ora Boyd. L’altro risultato è che lui fu condannato a 15 anni di reclusione.

Sette anni dopo, la sua pena fu commutata e lui uscì. Ma la sua vita era ormai segnata: difficile trovare lavoro, con un omicidio sulla fedina penale. Negli anni successivi arrivarono altre condanne: furto, contraffazione, traffico di eroina. In carcere Boyd ebbe il tempo e la voglia di farsi l’istruzione che gli mancava: sono arrivati un diploma superiore e minilauree in economia, scienze sociali e psicologia. Nonché una forte fede in Dio, che l’ha aiutato nei momenti peggiori.

Seconda vita. Oggi, a 51 anni, Boyd è insomma un uomo rinato. Da tempo è attivamente impegnato nei servizi sociali del Ward 6, un quartiere di Cleveland simbolo della crisi economica della grande industria statunitense. E dove è difficile trovare qualcuno che non abbia un amico, un conoscente, un parente finito almeno una volta in carcere. Così, Boyd ha un certo seguito. Nelle primarie di un mese fa si è guadagnato un posto sulla scheda per l’elezione al consiglio comunale, dove se la vedrà contro uno che fino a poco tempo fa faceva il pubblico ministero. L’ex detenuto sfida l’ex rappresentante della giustizia, anche se questi ha evitato di far leva sul passato del rivale durante la campagna elettorale. Per alcuni la sfida è intrigante. Per altri, non dovrebbe neanche essere permessa: un omicida in corsa per una carica pubblica da 70.000 dollari di stipendio l’anno, non esiste. Ma Boyd rivendica il suo diritto a continuare il suo percorso di riabilitazione. "La società si riempie la bocca di parole sulla seconda possibilità, ma quando si tratta di venire al dunque, non la dà. Ho il diritto di non essere condannato a una vita di persecuzione".

Enigmi legali. A seconda delle diverse leggi in vigore, in alcuni Stati Usa una condanna penale ti toglie anche il diritto di votare, figurarsi quello di essere eletto. In Florida le persone "disenfranchised", che vivono appunto impedimenti del genere perché hanno la fedina penale sporca, sono circa un milione. Persino la situazione per Boyd è ambigua: rischia di scoprire di non poter servire il suo mandato, anche se conquisterà la maggioranza dei voti.

Le leggi dell’Ohio impediscono di candidarsi a chi si è macchiato di reati, a meno che la loro condanna sia stata annullata. Ma due anni fa il procuratore generale dello Stato ha interpretato la legge allargando il discorso anche a chi ha tenuto una buona condotta durante la libertà condizionale, quello che ha fatto Boyd. Se verrà eletto, un chiarimento della legge sarà necessario. E si potrebbe passare direttamente dall’urna elettorale al tribunale.

Filippine: la danza come strumento per riabilitare i detenuti

di Paolo Affatato

 

Ventiquattro, 22 aprile 2008

 

Nel carcere si danza per non morire. Per scaricare emozioni e frustrazioni. Forse per dimenticare la cruda realtà ed entrare in un paradiso sognato. O per esorcizzare, grazie alla musica e al movimento, l’inferno che si vive dietro le sbarre. È una storia di sudore e redenzione, di inattesi successi e nuove speranze, quella del carcere provinciale di Cebu city, centro turistico sull’omonima isola, al centro dell’arcipelago delle Filippine. È la storia di Byron Garcia, abile e cocciuto consulente dell’istituto di pena, e dei 1500 detenuti che Garcia ha convinto a faticare, provare e riprovare passi e coreografie per diventare - primo esperimento al mondo, nella storia della criminologia - il corpo di ballo di una prigione.

Stupratori, omicidi, spacciatori e criminali d’ogni risma hanno trovato, grazie alla danza, nuovo senso alla loro giornata, nuove motivazioni nel forzato soggiorno fra le mura del penitenziario. Scoprendo perfino inattese prospettive per il futuro, divenuto un po’ meno scuro del solito.

I "mostri" si sono trasformati in provetti ballerini. E quale poteva essere l’esibizione di esordio, se non il video di Thriller, indimenticato successo di Michael Jackson? In un originale medley fra allegoria e simbolo, in una straordinaria esperienza di realtà che oltrepassa e reinventa la fiction, in una geniale performance meta-teatrale, i detenuti hanno danzato, nelle loro sgargianti divise arancioni, impersonando gli zombi del videoclip più famoso della storia. Omaggio a quel brano e quel long plain che proprio nel 2008 ha celebrato il suo 25° anniversario.

Garcia, 47 anni, ha portato con convinzione nel carcere di Cebu il suo approccio quanto meno originale alla rieducazione dei detenuti e alla gestione degli istituti di pena. La danza è per lui "un ottimo mezzo di riabilitazione, uno strumento con capacità educative, di disciplina, di relazione di gruppo". E la performance, l’ebbrezza dello spettacolo e del risultato finale è, nella psicologia di un detenuto, un piccolo grande traguardo conquistato con sudore, impegno, sacrificio. Ci ha creduto fino in fondo Garcia e, dopo le prime difficoltà, è riuscito ad arruolare coreografi e convincere i prigionieri a cimentarsi, fino a risultati strabilianti.

Con una ciliegina posata sulla torta grazie alle moderne tecnologie. Garcia infatti ha filmato il tutto l’ha inserito in un post su youtube. La rete, con il suo poderoso effetto moltiplicatore, ha ben presto trasformato il video dei prigionieri di Cebu in un successo di caratura internazionale, persino più vasto del video originale. In pochi mesi il video di Garcia ha scalato le hit parade ed è risultato, a fine 2007, fra i dieci più visti dell’anno in assoluto. Cliccato più di 10 milioni di volte (per vederlo basta inserire su youtube il nome dell’autore, "byronfgarcia"). Citato sui grandi network della stampa internazionale, come Time magazine, Herald Tribune, Bbc, Cnn.

I detenuti di Cebu sono stati catapultati all’improvviso nello star system. Invitati ad esibirsi al "Sinulog Festival" di Cebu, la maggiore manifestazione culturale locale. Scritturati come veri artisti. Reclamati da curiosi e turisti. Tanto che, sull’onda dell’entusiasmo (e della pubblicità), il carcere ha ora disposto performance mensili aperte al pubblico.

Secondo Garcia "non si tratta di un fenomeno da baraccone. È invece parte di un approccio innovativo alla rieducazione, basato su disciplina, fitness, lotta alla corruzione, decongestione preventiva. Ho visto un netto miglioramento nei detenuti. La danza aiuta a sviluppare autostima, contribuisce a un graduale cambiamento nella percezione di sè. Intanto la comunità civile ha ricominciato ad apprezzarli in quanto persone, ed essi hanno l’occasione di guadagnare un po’ di denaro per le loro necessità. Infatti i turisti che assistono agli spettacoli pagano un biglietto e il denaro ricavato finisce in un fondo comune a beneficio delle condizioni di vita dei carcerati". E allora avanti con altre performance, sulle note di Grease, Ymca, Radio Gaga, Sister Act.

La danza nel carcere di Cebu, però, non ha trovato solo consensi. Organizzazioni per i diritti civili e militanti per i diritti umani hanno storto il naso. Garcia non è certo un Re Mida, dicono. Le carceri filippine versano in condizioni insostenibili: strutture rudimentali, carenze di cibo e assistenza sanitaria, sovraffollamento, brutalità, maltrattamenti, sono all’ordine del giorno. Il codice penale nazionale risale agli anni ‘30, mentre il sistema carcerario è improntato a una logica essenzialmente punitiva. Numerosi penitenziari sono plurisecolari, costruiti dai colonizzatori spagnoli a partire dal sec. XVI.

Per non dire della totale assenza di carceri minorili (non previsti dalla legge): la mescolanza di adulti e ragazzi rende più facili gli abusi sessuali sui minori. Si aggiunga, poi, che il 96% dei detenuti (60mila in totale) proviene dagli strati più poveri della popolazione e che la corruzione è endemica fra guardie e funzionari: ne consegue un diffuso traffico di droga, prostitute, alcolici. Insomma, un quadro a tinte fosche. Il video di Cebu, allora, deve servire a puntare i riflettori sull’inferno che l’ex detenuto Raymund Narag (sette anni in prigione per un crimine non commesso) ha descritto, in un racconto impietoso quanto dettagliato, nel best-seller "Freedom and death inside the jail" (ed. Rod P. Fajardo, Filippine 2005).

Sul Thriller di Cebu si addensano, poi, altre ombre. Sembra che Garcia non abbia esitato a usare metodi violenti e brutali per disciplinare i detenuti. Inoltre è un uomo con solidi agganci politici. Sua sorella Gwendalyn è governatore della provincia di Cebu e suo padre è un noto uomo politico, che siede nel Parlamento nazionale. Specchio fedele di un consolidato sistema di oligarchie che nelle Filippine gestiscono il potere politico ed economico: il crony capitalism, ovvero "capitalismo di famiglia". Garcia sta costruendo la sua notorietà e la sua ascesa politica sulla pelle dei detenuti di Cebu? Potrebbe essere così, ma può darsi che la sua originale idea abbia fatto breccia e possa tornare comunque utile per un cambiamento di mentalità e di strategie nella riabilitazione dei carcerati. Segnali ce ne sono. Nella provincia di Quezon 425 detenuti del carcere di Pagbilao hanno vinto un premio televisivo ballando sulle note di Papaya dance, noto motivo pop filippino. La danza è contagiosa.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva