Rassegna stampa 20 aprile

 

Giustizia: Dap; 54% degli arrestati scarcerato entro 10 giorni

di Fiorenza Sarzanini

 

Corriere della Sera, 20 aprile 2008

 

Il rapporto del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: a metà aprile nelle celle italiane 52.038 persone.

Le carceri sono di nuovo in emergenza. A meno di due anni dall’approvazione dell’indulto, il dato sulle presenze torna al livello di sovraffollamento. Ogni mese entrano in cella mille detenuti in più, ma non è soltanto questo a preoccupare i responsabili del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Il vero timore riguarda la "qualità" degli ingressi.

Le statistiche dicono infatti che nel 2007 il 54 per cento dei detenuti è rimasto in cella meno di dieci giorni e ciò fa presumere che si tratti di arresti che potevano essere evitati o quantomeno che riguardino persone in attesa del processo con rito direttissimo. E in questi casi, fanno notare gli esperti, dovrebbero essere utilizzate le strutture a disposizione delle forze di polizia.

A fotografare la situazione è l’ultima relazione del Dap che conferma quanto è stato più volte denunciato dal direttore Ettore Ferrara. Quella della "sosta breve" è l’evidenza sottolineata con maggior vigore. Ma non è l’unica. Gli esperti rilevano come "la maggior parte delle persone ristrette è in attesa di un giudizio definitivo: al 31 gennaio 2008, su un totale di 49.963 detenuti, 15.948 erano i soggetti che dovevano essere sottoposti al processo di primo grado, 9.515 gli appellanti e 19.599 i definitivi pari al 39 per cento del totale". Attualmente (i numeri sono aggiornati al 16 aprile) nelle carceri ci sono 52.038 detenuti, appena 8.000 in meno di quanti erano presenti al momento dell’indulto. Nei primi tre mesi del 2008 si è dunque confermato il trend di crescita dell’anno precedente.

"Dall’analisi dei numeri - si legge nel documento dell’Amministrazione Penitenziaria - si ha la conferma di due dati di fondo che ormai caratterizzano la vita del sistema punitivo del nostro Paese: da un lato il grande numero di ingressi e uscite dal carcere che si registrano ogni anno, dall’altro la brevità dei periodi medi di detenzione. Volendo semplificare il concetto si potrebbe affermare che il nostro sistema ormai produce il carcere per molti ma per poco tempo. Basti pensare che dei 71.226 scarcerati nel corso del 2007, 58.045 erano in attesa della sentenza definitiva e 13.181 erano stati condannati. Ma non è tutto. Fra i soggetti imputati e successivamente scarcerati la maggioranza - pari a 31.439 persone - risulta aver trascorso in carcere meno di undici giorni".

Si tratta di un "aspetto patologico", così viene definito nella relazione, che "si è aggravato in maniera esponenziale e per questo si deve sottolineare come le riflessioni di chi è chiamato a gestire il momento dell’espiazione della pena non possano prescindere da questi dati evidenti. I numeri dimostrano infatti come le difficoltà del sistema siano causate in maniera forte proprio dal frenetico movimento in entrata e in uscita".

I sindacati della polizia penitenziaria si sono appellati ieri al futuro governo Berlusconi "affinché promuova interventi drastici se non si vuole arrivare a un nuovo provvedimento di clemenza". "È fondamentale - sottolinea Donato Capece, segretario del Sappe - limitare gli arresti che non creano allarme sociale se non si vuole arrivare al collasso del sistema. Quello della detenzione breve è un problema che va affrontato immediatamente, così come bisogna mettere mano alle misure alternative. Per questo chiederemo, fra l’altro, di rilanciare il braccialetto elettronico affidandone la gestione direttamente a noi, anziché a Polizia e Carabinieri che hanno già altri compiti operativi". Secondo Giuseppe Moretti dell’Ugl "c’è bisogno di nuove strutture perché la maggior parte di quelle esistenti sono vecchie e fatiscenti, ma si deve intervenire evitando di far trascorrere vent’anni per costruirle".

Giustizia: Sappe; è necessario potenziare l’Area penale esterna

 

Comunicato Sappe, 20 aprile 2008

 

Nelle carceri italiane è stata abbondantemente superata la quota di 52mila detenuti, nonostante l’indulto del 2006 ne fece uscire 27mila e la capienza regolamentare degli istituti è di 43mila posti. Un detenuto su 4 è tossicodipendente, con una percentuale nazionale media del 28 per cento, ed uno su tre è straniero (19.600 persone, pari al 38% delle presenze). Percentuale, questa, che in alcune realtà supera addirittura il 70% dei presenti, come nel nuovo complesso di Alessandria, Fossano, Macomer, Padova, Parma e Trento.

È questa la fotografia della situazione penitenziaria del Paese del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, organizzazione più rappresentativa della Categoria con 12mila iscritti.

"Sono dati estremamente significativi per comprendere la quotidiana difficoltà lavorativa delle donne e degli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria e la necessità che Ministero della Giustizia e Amministrazione centrale riservino un’attenzione particolare alla formazione ed all’aggiornamento professionale del nostro Personale, anche costituendo la Direzione generale del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. In tal senso, auspichiamo che il nuovo Esecutivo ed il nuovo Ministro della Giustizia confermino come Capo Dipartimento il presidente Ettore Ferrara, che gode della nostra stima ed apprezzamento. In caso di avvicendamento, riteniamo comunque che il Capo dell’Amministrazione penitenziaria debba necessariamente provenire dai ruoli della Magistratura" commenta Donato Capece, segretario generale Sappe.

"Questi dati" aggiunge Capece "rafforzano il nostro appello dei giorni scorsi alla nuova classe governativa e parlamentare finalizzato a porre tra le priorità di intervento quello dell’emergenza penitenziaria adottando con urgenza rimedi strutturali al sistema penitenziario. Di carcere, infatti, nell’ultima campagna elettorale se n’è parlato poco o nulla. Ci riferiamo in particolare alla necessità di una modifica del sistema penale - sostanziale e processuale - che rendano stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, prevedendo che i compiti di controllo sull’esecuzione penale e sulle misure alternative alla detenzione siano affidati alla Polizia Penitenziaria anche avvalendosi di strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici come il braccialetto elettronico. Ma è anche necessario prevedere che gli stranieri scontino la pena nei penitenziari dei loro Paesi d’origine. In questo contesto non può subire ulteriori ritardi la costituzione di una Direzione generale del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che auspichiamo continui ad essere retto dall’attuale Capo Dipartimento Ettore Ferrara. Qualora invece si ritenesse opportuno un suo avvicendamento, noi ribadiamo che il Capo dell’Amministrazione penitenziaria non può che essere un Magistrato".

Giustizia: sulla sicurezza il Pdl riparte dal "Pacchetto Amato"

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 20 aprile 2008

 

Il pacchetto-sicurezza del governo Prodi non è mai decollato ma l’esecutivo Berlusconi rischia di entrare in scena proprio con quelle misure. Non proprio le stesse, s’intende. Il canovaccio sarà modificato, la Lega già preme per intervenire subito sull’immigrazione.

Ma va pure ricordato che la Bossi-Fini è a tutti gli effetti legge dello Stato proprio perché il disegno di legge di revisione, approvato da Prodi, si è bloccato in Parlamento. Tuttavia "le maglie sono state allargate - sottolinea Alfredo Mantovano (Pdl) per esempio con i provvedimenti sul ricongiungimento dei familiari e le espulsioni: andranno corretti".

Da qui a dare seguito a interventi clamorosi, come vorrebbe Umberto Bossi, il passaggio non è semplice. Più facile, invece, riprendere la politica della sicurezza proprio dai temi discussi nell’estate scorsa e innescati dall’ordinanza antilavavetri del sindaco di Firenze, Leonardo Domenici.

Tanto che il primo cittadino i Milano, Letizia Moratti, ieri ha annunciato che "quel pacchetto sicurezza che noi sindaci abbiamo atteso da due anni dal vecchio governo, sarà preso in esame in tempi brevi dal nuovo esecutivo". Poi ha aggiunto: si tratta di "uno dei primi provvedimenti del nuovo governo, come mi ha assicurato Silvio Berlusconi che ho sentito per telefono in mattinata".

Certezza della pena e inasprimento del carcere per i cosiddetti "reati predatori", come la rapina e il furto, sono ai primi punti dell’ordine del giorno. Norme, però, che difficilmente possono essere varate con un decreto legge: dovranno affrontare, dunque, l’iter complicato del Parlamento prima di entrare in vigore. Sono linee di intervento già previste dal pacchetto Amato ma è possibile che si affianchi la scelta, prevista dal programma del Pdl, di rivedere la legge Gozzini: nel senso di ridurre i benefici e gli sconti di pena per i reati gravi come gli omicidi, gli stupri, le rapine.

Resta il tema dell’immigrazione, appena sfiorato dalle misure del precedente governo nonostante il clamore sulle norme anti-lavavetri. Va ricordato che proprio durante la definizione di quel pacchetto ci furono le pressioni del ministero dell’Interno - rivelatesi infruttuose - per inserire una norma che consentisse l’espulsione anche dei cittadini comunitari considerati pericolosi.

Tanto per dare una risposta a una serie di emergenze criminali, come quelle dei furti nelle abitazioni, dove la presenza di cittadini provenienti dall’Europa dell’Est è significativa. Senza contare che sugli insediamenti dei rom l’attuale maggioranza ha fatto ampi annunci di repulisti in campagna elettorale. Ma non va dimenticato che ruspe e sgomberi sono scattati fin da questa estate, a Roma per esempio.

Certo è che se al Viminale il prossimo ministro sarà della Lega, lo stress sulle norme anti immigrati sarà maggiore e potrebbero arrivare subito disposizioni più drastiche contro i clandestini. Se invece il ministro dell’Interno sarà Scajola o ancor di più Letta, si riproporrà lo stesso scenario visto con il precedente governo Berlusconi: con il moderato Beppe Pisanu (Fi) a lottare e mediare contro i toni drastici del collega alla Giustizia, il leghista Roberto Castelli.

Ma anche il Pd potrebbe essere costretto a mediare con se stesso. Perché dai banchi dell’opposizione rischia di trovarsi a votare, proposte dal governo del Cavaliere, le stesse norme (o quasi) che aveva sbandierato alcuni mesi prima.

Giustizia: Lega; per garantire la sicurezza subito leggi ad hoc

 

Corriere della Sera, 20 aprile 2008

 

Silvio Berlusconi si adoperi per emanare quanto prima provvedimenti ad hoc sulla sicurezza. Lo chiede la Lega, per bocca del coordinatore delle segreterie Roberto Calderoli, sulla scia della polemica dopo l’ultimo terribile episodio di violenza sessuale a Roma.

"Gli adempimenti previsti dalla Costituzione sono ben noti e chiari a tutti e devono essere certamente rispettati, ma è altrettanto urgente e necessario affrontare immediatamente il problema della sicurezza, perché ogni giorno di ritardo significa tante vittime in più che avrebbero potuto essere evitate - dice Calderoli -.

Rivolgo pertanto un forte appello a Berlusconi a fare presto a comporre la squadra di governo e ad emanare subito, una volta insediati, i primi provvedimenti in tema di sicurezza e legalità, alla maggioranza a sostenere tali provvedimenti e all’opposizione a dare un suo contributo perché una materia del genere ha bisogno dell’appoggio di tutti, anche per far capire a tutti che l’aria è cambiata".

Vertice ad Arcore - È fissato per il pomeriggio, intorno alle 17 a Villa San Martino ad Arcore, l’incontro tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, dopo il confronto sulla composizione del nuovo governo di centrodestra. Con il leader della Lega ci saranno anche Roberto Maroni e Roberto Calderoli. Il colloquio del Cavaliere con il Carroccio precederà quelli con il governatore della Lombardia Roberto Formigoni e con il presidente del Veneto Giancarlo Galan, previsti per lunedì.

Bonaiuti - Intanto Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, anticipa al Tg1 che i cittadini "chiedono quello che è già un impegno del programma" del leader del Pdl: "interventi rapidi, mirati ed efficaci per garantire la sicurezza e la tutela della vita quotidiana dei cittadini italiani". Ed Enrico La Loggia, deputato del Pdl: "Non si doveva, come hanno fatto il governo Prodi e la maggioranza che l’ha sostenuto, sacrificare sull’altare della propria sopravvivenza, un’esigenza fondamentale per ogni cittadino, la sicurezza. La questione è percepita dagli italiani come urgenza primaria e indifferibile".

Giustizia: Castelli (Lega); la festa è finita... riempiremo le celle

di Paolo Colonnello

 

La Stampa, 20 aprile 2008

 

"Glielo dico io, questo è il Paese del Bengodi! Qui ognuno può fare quello che vuole. Ma la festa è finita, glielo assicuro". L’ex ministro leghista della Giustizia è furioso. Quattro violenze sessuali in due giorni e tutte ad opera di stranieri o clandestini. Se non fosse una tragedia, per la Lega, in fondo, sarebbe una rivincita.

 

È così onorevole Roberto Castelli?

"Il fatto che gli stupri siano stati commessi sempre da clandestini si commenta da sé, la Lega come al solito è stata amaramente profetica. A questo punto auspichiamo che non solo il ministero degli Interni ma anche la Giustizia siano affidati a persone di polso. Non gente che sappia solo usare il buonismo. Comodo il buonismo, non da fastidio a nessuno. Qui invece bisogna dare un segnale subito alla gente".

 

Per esempio?

"Ma lo sa che il nostro Paese ha il numero di detenuti più basso d’Europa in proporzione al numero di abitanti?".

 

Quindi bisognerebbe riempire le carceri?

"Chi delinque va messo in galera, non ci sono mediazioni".

 

Più galera per tutti?

"Guardi che negli Usa dove la legge si applica sul serio, hanno due milioni di detenuti, uno ogni 150 persone".

 

Solo che la maggior parte è di colore...

"Se i neri delinquono... comunque con quella politica una città come Washington ha dimezzato il numero di omicidi in pochi anni".

 

Anche il Viminale dice che proprio le violenze sessuali negli ultimi due anni sono diminuite del 12,6%.

"Bisogna vedere che dati sono, andrebbero scorporati per scoprire quali sono reati leggeri, quali sono stupri. E comunque mi sembra che il messaggio uscito dalle urne sia chiarissimo: la gente vuole più sicurezza e bisogna dargliela".

 

E voi gliela darete?

"Certo, lo ha detto anche Berlusconi in campagna elettorale: tolleranza zero con i clandestini".

 

Insomma, con il nuovo governo dobbiamo aspettarci un aumento dei detenuti?

"Ma non c’è il minimo dubbio. Se no avremmo fallito il nostro programma in partenza".

 

Giro di vite sui clandestini?

"Non c’è niente da stare allegri: qui c’è un’orda di barbari che scorazza da troppo tempo impunemente sul territorio nazionale senza averne il diritto e che la sinistra non ha combattuto in nome del buonismo e dell’ideologia".

 

Quale ideologia, che il comunismo è scomparso?

"Quella figlia del ‘68 che dice: se un individuo delinque non è colpa sua ma della società. E chi è la società? Noi, i cittadini onesti. Così alla fine la colpa è dei cittadini onesti e non di questi qui. E i clandestini, persone teoricamente bisognose, possono far tutto quello che gli passa per la testa. Invece noi diciamo: esiste il libero arbitrio e se uno delinque è perché l’ha scelto. Allora prima va preso e messo in galera e, se è clandestino, va espulso".

 

E per i reati sessuali, anche lei è per la castrazione chimica come il suo collega Calderoli?

"Calderoli è un medico. Io invece non so quali siano gli effetti della castrazione chimica, se temporanei o permanenti. Non vorrei che poi se la potessero cavare con una pastiglietta... Si può prevedere che se uno accetta di sottoporsi a un programma terapeutico poi possa avere magari degli sconti. Guardi che noi non siamo forcaioli. Una certa legislazione premiale è necessaria, bisogna lasciare qualche speranza ai detenuti, non si può buttare via la chiave e basta. Ma deve essere chiaro che la prigione non è solo rieducazione ma anche protezione della società".

 

Morale?

"I cittadini vogliono vivere in pace. Lo ha capito anche la sinistra che è stata cancellata dalla faccia della terra in Italia... Quindi bisogna applicare le leggi che già esistono e che spesso non vengono applicate per colpa dei magistrati in preda all’ideologia di sinistra. Per questo il nuovo governo li dovrà incalzare anche sul piano culturale: la giustizia si applica in nome del popolo e il popolo vuole più sicurezza".

Giustizia: 16 sindaci chiedono più poteri in materia di sicurezza

 

Corriere della Sera, 20 aprile 2008

 

E dopo le ronde padane di nuovo in strada, un personaggio discusso come il cofondatore dell’Ucoii Rosario Pasquini che si presenta alla festa in moschea sollevando un vespaio, la giornata è finita con tre extracomunitari evasi dalla casa circondariale Sant’Anna.

Infine è arrivata puntuale la reprimenda della Lega Nord sull’eccessivo buonismo, abbinata ad una "sana critica costruttiva" che suggeriva di inserire dei microchip sottopelle ai carcerati che frequentano corsi di formazione. Il sindaco di Modena è un uomo capace di scherzare. "Certo, il microchip, come al cagnolino. L’immaginario leghista non conosce confini".

Ma ammette che la concorrenza ormai si sente. "Dietro alle parole grosse, c’è un progetto serio e chiaro". Giorgio Pighi è uno dei sindaci di centrosinistra che a Parma hanno firmato il documento bipartisan nel quale sedici primi cittadini di diverso colore politico - Lega, Pdl, Pd - chiedono più poteri in materia di sicurezza. L’intesa risale ad un mese fa, ma l’approvazione del documento è avvenuta venerdì. In mezzo c’è stata una cosuccia da niente, le elezioni vinte - soprattutto - dalla Lega. "Se qualcuno pensa che noi sindaci di centrosinistra siamo andati a Canossa, sbaglia. Piuttosto, sono "loro" che hanno fatto un passo avanti. Prima di questa intesa, non avevano mai riconosciuto che la sicurezza è un tema bipartisan".

Il sentiero sul quale camminano i sindaci Pd più esposti in tema di sicurezza è sicuramente stretto. Devono schivare le accuse di essere degli "sceriffi", proprio per non dare l’impressione di correre dietro alla Lega. Le cronache locali registrano però un certo attivismo sull’argomento, tale da instillare il sospetto che a partire da lunedì scorso sia stata la vittoria del Carroccio a dettare l’agenda delle priorità politiche.

A Cremona e La Spezia, città governate dal centrosinistra e aderenti al "patto dei 16" stanno arrivando il "superpoliziotto" - in realtà si tratta di un vicequestore che avrà il compito di dispensare consigli sulle zone più problematiche -, nuove telecamere nelle strade e la riqualificazione di un quartiere ad alta densità extracomunitaria.

A Belluno il presidente della Provincia Sergio Reolon, del centrosinistra, nell’auspicare "una stagione di collaborazione capace di andare oltre i colori politici e i ruoli", si augura che gli otto decimi delle tasse pagate dai residenti restino a Belluno. Nel territorio di sua competenza, il partito di Bossi è passato dal 12 al 28 per cento. "È la politica che perseguo dall’inizio del mio mandato - dice -. Tutto qui. Ma la Lega ha dimostrato di identificarsi con la società del Nord, e di questo occorre tenere conto".

Il sindaco di Modena, altro firmatario dell’accordo di Parma, ha appena annunciato l’introduzione di "servizi continuativi anche di notte, fino alle 3 e oltre se necessario" da parte della Polizia municipale. A molti in città è sembrata una risposta al ritorno delle ronde padane, più baldanzose che mai. Accuse di opportunismo politico che si mischiano a quelle su una eccessiva propensione "legge e ordine". Vita dura, soprattutto dopo il "patto" siglato anche con Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona dai metodi piuttosto spicci. Il primo che non ci sta è Flavio Zanonato, sindaco di Padova, e del muro di via Anelli: "Guardi i dati su quel quartiere. Siamo andati molto bene. La difesa dei deboli non è di destra, non è di sinistra.

Il documento di Parma contiene anche un punto sulle politiche di inclusione - peraltro sottoscritto dai colleghi leghisti -. Pazienza se ci chiameranno sceriffi. Noi abbiamo il dovere di essere credibili agli occhi degli elettori. E possiamo esserlo solo con i fatti". Gian Carlo Corada, sindaco di Cremona, non nasconde la propria insofferenza

"Guardi che anche noi sindaci siamo stati danneggiati dalla sconfitta nazionale del centrosinistra. Perché adesso sembra che facciamo qualcosa di diverso da quel che abbiamo sempre fatto. Non è così. La sicurezza non è qualcosa che uno si inventa dal mattino alla sera". Il suo collega di La Spezia, Massimo Federici, parla invece di "effetto ottico" causato dal voto nazionale. Con il pensiero si torna sempre a Roma, ritenuta responsabile di aver tarpato le ali all’esigenza di ordine dell’elettorato.

Un’occasione persa. "Non è stato preso in considerazione quello che era sotto gli occhi di tutti" dice Federici. La chiusura, malinconica, è di Zanonato: "Il decreto sulla criminalità è affondato tra mille veti incrociati, a noi non sono stati dati i mezzi. E adesso, oltre alle solite accuse di "sceriffismo", corriamo anche il rischio di sembrare demagogici. Una beffa".

Giustizia: Ugl, il Governo cancelli riforma Sanità Penitenziaria

 

Adnkronos, 20 aprile 2008

 

Sanità Penitenziaria: per il nuovo Governo diventi priorità ristabilire le condizioni precedenti al Decreto. È quanto chiede l’Ugl Ministeri, affermando che "quel provvedimento, fortemente voluto dal governo uscente e che dal 31 marzo trasferisce medici e infermieri delle carceri al Servizio Sanitario Nazionale, sia in realtà un "pasticcio istituzionale" visto che non porta e non può portare alcun beneficio a nessuno".

"In pratica - argomenta il segretario Nazionale dell’Ugl Ministeri, Paola Saraceni - con il trasferimento delle circa 5.000 unità di personale sanitario alle Asl, i detenuti dovranno essere tradotti negli ospedali in sovraffollate strutture già al limite della capienza e con difficoltà per i degenti ordinari. D’altro canto si parla di riforma a costo zero ma - conclude la Saraceni - zero sono anche i vantaggi della riforma".

Giustizia: Mantovano (An); basta con guerra magistrati - politica

 

Ansa, 20 aprile 2008

 

"Mi auguro che in questa legislatura siano messe da parte le guerre magistratura-politica, che non fanno bene a nessuno". È l’auspicio espresso da Alfredo Mantovano (An) che, nel corso di un confronto su Radio1 con il ministro della giustizia Luigi Scotti e con il segretario dell’Anm Luca Palamara, ha sottolineato la necessità di intervenire su "argomenti concreti che richiedono pragmatismo", come ad esempio le intercettazioni telefoniche oppure gli incentivi finanziari per i magistrati nelle sedi disagiate.

"Le risorse sono importanti. Se ci sono delle lacune - dice Mantovano - vanno colmate. Però, se manca la carta e se le stampanti sono poche, c’è anche uno spreco incredibile delle risorse per le intercettazioni telefoniche che in alcuni casi non servono assolutamente a nulla. Sappiamo di tanti processi per i quali vi è stato un dispendio di centinaia di migliaia di euro che si sono conclusi con archiviazioni. Certo, il magistrato non può prevederlo sin dall’inizio, ma nel momento in cui lamenta l’assenza delle risorse dovrebbe anche sapere sin dall’inizio che l’utilizzo saggio delle risorse dipende anche da lui".

Bari: domani incontro su "carcere, la punizione e la redenzione"

 

www.barilive.it, 20 aprile 2008

 

Il trittico di incontri organizzati in aprile dall’Aneb termina lunedì 21 aprile alle 18.30. Presso il Centro Sociale "Don Tonino Bello" (Parrocchia San Pio X) l’Aneb (Associazione nazionale educatori benemeriti), presieduta da Anna La Candia (foto), ha organizzato una conferenza sul tema "Quale carcere? Esperienze di volontariato, Progetti, Istituzioni".

A discutere sul tema ci saranno la prof. Anna Maria Azzarita, già dirigente scolastico, volontaria presso il carcere di Trani; la prof. Maria Carmela de Gioia, referente del progetto europeo V.I.P. (Visita In Prigione) e la Dott. Mirella Malcangi, assistente sociale presso il carcere di Trani.

L’analisi punterà sul confronto tra mondi antitetici, tra essere e non essere, tra luogo del castigo e quello della vita, tra negazione della persona e sua apparente affermazione. Il carcere è anche momento di redenzione, di allontanamento dagli affetti, di solitudine e spersonalizzazione. La presenza di volontari che fungano da ponte tra le due realtà, che associno la realtà quotidiana all’"antivita" del carcere, riveste un ruolo fondamentale.

L’assenza della famiglia, l’allontanamento dalle abitudini consuete, per quanto conseguenza di una colpa commessa, rappresenta un fattore di potenziale distruzione. Mitigare il disorientamento del carcerato, concedergli un barlume di speranza, credere nelle possibilità di recupero di chi ha sbagliato, può essere una fonte di sopravvivenza morale per i detenuti.

Ed è in questo contesto che le istituzioni hanno l’obbligo di non circondare di deserto i carcerati; proprio qui devono valorizzarne le positività per favorire l’agevole ritorno alla realtà (vicino o lontano che sia).

Allora l’attività di volontariato diventa un elemento di solidarietà formidabile, è in tali frangenti che personalità come Anna Maria Azzarita, Maria Carmela De Gioia e Mirella Malcangi, possono intervenire con la loro competenza e sensibilità per rendere il detenuto un essere umano. Proprio come tutti, con i suoi errori (anche gravi) e le sue possibilità di recupero.

Foggia: detenuti e scrittori diventano calciatori per un giorno

 

www.barilive.it, 20 aprile 2008

 

Potrebbe sembrare la solita partita di calcetto, in realtà ha un significato che riesce ad andare oltre, anche alle sbarre. A battersi in campo, rispettivamente con le casacche azzurre e gialle, la nazionale scrittori e i detenuti del carcere di Foggia. "Per noi che viviamo venti ore al giorno chiusi in una stanza, oggi è stata una giornata di festa, ha dichiarato ai nostri microfoni un detenuto. Spero di non venirci più qua, ormai di esperienza ne ho fatta già tanta. Ho capito che ho sbagliato".

Un’iniziativa originale che rientra nel progetto "Libri a Trazione anteriore", organizzata dalla biblioteca provinciale di Foggia e dall’ associazione culturale Books Brothers, in collaborazione con l’assessorato comunale alla legalità e il carcere di Foggia. I detenuti, hanno avuto modo di confrontarsi con alcuni scrittori che proprio in carcere hanno presentato i loro libri.

Poi per loro anche la possibilità di scontrarsi con la nazionale scrittori. Nella squadra anche Carlo D’Amicis, vincitore della passata edizione di libri a trazione anteriore. "È un’esperienza forte perché l’impressione che si ha entrando in un carcere, è intensa. Si intuisce meglio che cosa è la libertà, ma soprattutto cosa significa perderla". In campo anche Lino Del Carmine che per una volta ha messo da parte gli abiti dell’assessore per vestire quelli del giocatore. "Ho giocato con i detenuti, perché come al solito tendo sempre a stare con gli ultimi".

Immigrazione: Moratti; sanzioni più dure contro i clandestini

 

Il Corriere della Sera, 20 aprile 2008

 

Nell’agenda dei futuro premier si affollano la scelta dei ministri, la questione Alitalia, il taglio delle tasse. La chiamata del sindaco di Milano Letizia Moratti, dopo lo stupro della studentessa americana avvenuto nella notte, riporta però la rotta del nuovo governo sulla questione sicurezza. "Sarà uno dei primi provvedimenti che sarà preso dal nuovo esecutivo", ha assicurato Berlusconi. Si parla di "certezza della pena e inasprimento delle sanzioni". "Quel pacchetto sicurezza che noi sindaci abbiamo atteso due anni dal vecchio governo - spiega la Moratti in tarda mattinata - sarà esaminato in tempi brevi".

Ancora Milano e le sue paure. Il senso comune che alimenta l’associazione stranieri - clandestini - reati, e che tanto ha pesato sulla vittoria del Pdl e sul boom della Lega. Lo stupratore arrestato all’alba di ieri dalle volanti della polizia aveva una sfilza di precedenti, quattro nomi farlocchi collegati dalle impronte, un decreto di espulsione.

Il suo caso riapre il dibattito sul rimpatrio degli irregolari. "È la conferma - spiega Ignazio La Russa, probabile futuro ministro - che occorre inasprire le modalità di espulsione dei clandestini. E in particolare mettere in atto le misure che impediscano a chi ha commesso reati di nuocere ancora".

La promessa: "Noi di An ci impegneremo nel Pdl perché questa sia una priorità assoluta". La Russa ipotizza "espulsioni per via amministrativa", attacca il "garantismo mal riposto", e infine mette il dito nella vera piaga del sistema: "Il punto chiave è la rapidità".

Perché, ad analizzarlo oggi, il dibattito sugli "accompagnamenti alla frontiera" si scontra con un semplice calcolo. Per fare un esempio: il Comune di Milano stima che in città ci siano almeno 100mila clandestini. Il Centro di Permanenza Temporanea di via Corelli, anticamera delle espulsioni per tutta la Lombardia, ha però solo 140 posti. Un imbuto.

Una barriera invalicabile. Che spiega il perché tra gli ordini di espulsione firmati dai questori di tutta Italia e i clandestini che effettivamente finiscono su un aereo, il rapporto sia irrisorio. Senza considerare una serie di altri intoppi: il tempo di permanenza media nel Cpt di Milano è più di un mese, i ricorsi sono centinaia, gli aerei per i Paesi extra Ue non partono ogni giorno, e così via. Risultato: la maggior parte degli stranieri che finiscono sui mattinali di polizia e carabinieri sono già stati denunciati per "violazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione". "Il sistema delle espulsioni nel nostro Paese è una presa in giro", taglia corto il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato.

Il ministro uscente per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, dice di essere "vicina alla giovane donna che ha denunciato la violenza", ringrazia "per l’immediato intervento le forze dell’ordine", e conclude: "L’importante è garantire la certezza della pena".

Droghe: Radicali; riduzione danno, Milano peggio di Teheran

 

Agenzia Radicale, 20 aprile 2008

 

Dichiarazione di Virginia Fiume, tesoriere dell’associazione Enzo Tortora- Radicali Milano: "A Teheran, nell’Iran dove il traffico di stupefacenti viene punito con l’impiccagione, sta per iniziare un programma sperimentale di macchinette per la distribuzione di preservativi, siringhe e materiali per la medicazione. Con lo scopo di limitare i danni relativi alla diffusione di malattie come l’aids e l’epatite tra i tossicodipendenti.

Forse la situazione proibizionista e repressiva iraniana non è paragonabile a quella italiana. Forse. Ma noi radicali dell’Associazione Enzo Tortora- Radicali Milano cogliamo l’occasione per invitare il sindaco Letizia Moratti a farsi qualche domanda se il regime di Amadinejad avvia politiche di riduzione del danno, mentre a Milano le macchinette scambia siringhe non sono funzionanti da settembre.

Davvero la città dell’Expo 2015 vuole tornare indietro di 12 anni sulle politiche di riduzione del danno, mentre anche uno dei paesi più repressivi del nostro tempo ne riconosce l’utilità? Davvero l’astinenza è la soluzione alla tossicodipendenza? Continua faticosamente la raccolta firme sulla petizione che chiede il ripristino delle macchine scambia siringhe. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti i milanesi di "buon senso" per chiedere al sindaco di rispondere a queste domande e dimostrare di essere più aperta del dittatore iraniano e del suo entourage".

Stati Uniti: "cultura giuridica", pena di morte e altre torture

di Stefano Rizzo

 

Aprile on-line, 20 aprile 2008

 

La Corte suprema Usa stabilisce che il "cocktail letale" non è una violazione della costituzione. La tortura è lecita se non porta alla morte, l’iniezione letale è lecita perché porta alla morte.

Che differenza c’è tra un prigioniero torturato a Guantanamo (ad Abu Ghraib, a Bagram e in tanti altri luoghi ignoti di detenzione americana) e un condannato a morte? Secondo la nuova cultura giuridica instauratasi sotto la presidenza di George W. Bush nessuna.

Già, perché la molto attesa sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti sulla pena di morte non doveva giudicare se fosse legittima nell’ordinamento costituzionale, ma "solo" se l’attuale e prevalentemente usato metodo del "cocktail letale" violasse l’ottavo emendamento della costituzione, infliggendo una "pena inusuale e crudele al condannato".

Che la pena di morte non sia "inusuale" sta nelle cose, dal momento che dal 1976, anno in cui è stata reintrodotta con un’altra sentenza della Corte, le condanne capitali negli Stati Uniti sono state 1098. Tutta la questione, quindi, verteva sulla "crudeltà" della messa a morte, cioè sulla quantità di dolore che è legittimo infliggere a qualcuno come punizione.

La stessa questione era stata dibattuta a lungo da fini giuristi (professori universitari al servizio della Casa bianca come John Yoo o consiglieri giuridici come Alberto Gozales, poi ministro della Giustizia) all’inizio della guerra mondiale al terrore, ma per altre finalità. In quell’occasione si trattava di stabilire quanto dolore fosse legittimo infliggere per far parlare un detenuto senza superare la soglia della tortura vietata dalle leggi interne e dal diritto internazionale. La conclusione cui pervennero gli esperti giuridici e che venne fatta propria dal Presidente fu molto semplice: alzare l’asticella del dolore sopportabile. "Nella lotta contro il terrorismo - scrissero - non deve essere considerata tortura qualunque azione, per quanto dolorosa, che non porti direttamente alla morte o alla distruzione di un organo vitale". Come è noto a tutti i torturatori, tra la vita e la morte c’è spazio per tantissime torture che solo l’ingegnosità umana può ideare.

Nel caso dei giudici supremi il problema era perfino più semplice. Il prigioniero debitamente (o indebitamente - ma questo non era affar loro) condannato doveva comunque essere messo a morte. Si trattava solo di capire quanta tortura fosse legittimo infliggergli per porre fine alla sua vita. Come si ricorderà, il caso era nato sulla stampa e alla fine approdato alla Corte suprema perché erano emersi numerosi episodi in cui i condannati a morte avevano sofferto in modo terribile prima di morire. L’esatta ragione di queste sofferenze era uno dei punti del contendere: liquidi letali fuori vena? Inadeguato dosaggio? Inefficacia di uno dei veleni? Robusta costituzione del detenuto? Difficile decidere. A fianco di questi dubbiosi intenzionati a mantenere la pena di morte senza fare soffrire troppo il condannato, c’erano anche gli "estremisti", le anime candide, che sostenevano che in ogni caso mettere a morte qualcuno è di fatto "una forma inusuale e crudele di punizione", e quindi dovrebbe essere vietato in base alla Costituzione.

Nella sentenza dell’altro ieri la tesi estremista è stata fatta propria da un solo giudice, il cui nome, a suo onore, va ricordato: John Paul Stevens. Il giudice Stevens non ha dissentito dall’opinione della maggioranza, ritenendo che il caso specifico andava risolto sulla base dei precedenti. Ma nella sua opinione ha affermato che la pena di morte è soggetta a così tanti errori e rischi di discriminazione - particolarmente nei confronti degli afroamericani che sono la maggior parte dei condannati - e produce così scarsi effetti deterrenti, che dovrebbe essere dichiarata incostituzionale.

Ma la maggioranza (sette giudici su nove) ha ritenuto diversamente. John Roberts, l’estensore della sentenza e presidente della Corte (nominato da George W. Bush), si è profuso in una lunga dissertazione per sostenere che sì, forse vi era dolore inflitto ai condannati nel metodo di messa a morte usato dallo stato del Kentucky (e da 37 altri stati), ma non c’erano prove sufficienti che questo dolore fosse insopportabile. Del resto, per sapere quanto è insopportabile si dovrebbe chiederlo al condannato che purtroppo, essendo morto, non è in grado di testimoniare.

In sostanza: nel caso di Abu Ghraib ecc. la tortura è lecita se non porta alla morte, mentre nel caso dell’iniezione letale è lecita perché porta alla morte. I due giudici più reazionari della Corte (per la cronaca, l’afroamericano Clarence Thomas e l’italoamericano Anthony Scalia) hanno integrato la sentenza con una chiosa che perfeziona l’analogia tra torturati e condannati a morte: "il dolore procurato è sempre legittimo se non vi sono prove che venga inflitto intenzionalmente". Ma via! E perché mai dovrebbe essere intenzionale? Chi mai ammetterebbe di torturare qualcuno volutamente o per il piacere di farlo? Qualunque torturatore afferma che quello che fa forse non è piacevole, ma si giustifica perché è finalizzato ad un bene superiore da conseguire: fare parlare il detenuto, oppure metterlo a morte. E poi i boia non sono torturatori: sono soltanto funzionari dello stato che fanno il loro lavoro.

 

 

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