Rassegna stampa 8 agosto

 

Giustizia: Unione Camere Penali; giù le mani dalla "Gozzini"

 

Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2008

 

La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane: "Il Governo rifletta su scelte emotive e sulla fondamentale importanza del recupero dei condannati".

Pende avanti al Parlamento della Repubblica un disegno di legge di iniziativa dei senatori Berselli e Balboni teso ad introdurre modifiche alla legge 26.7.75 n° 354 in materia di misure alternative alla detenzione. La proposta in esame mira a ridurre drasticamente tutta l’area delle misure alternative alla detenzione restringendo il possibile accesso all’affidamento in prova al servizio sociale, alla semilibertà, alla detenzione domiciliare.

Si propone altresì di eliminare la liberazione anticipata e di innalzare il tetto di pena scontato per godere dei permessi premiali. In particolare è prevista la restrizione della portata applicativa dell’affidamento in prova al servizio sociale che da 3 anni si vuole portare ad 1 anno.

La detenzione domiciliare attualmente prevista per pene inflitte fino a 4 anni dovrebbe essere ridotta a 2 anni. Per la semilibertà che attualmente si può concedere quando il condannato ha patito metà della pena è previsto il raggiungimento dei 2/3 della stessa e nei casi più gravi addirittura fino ai 3/4. Si prospetta altresì la soppressione della liberazione anticipata.

Tale scelta di complessiva regressione si inserisce all’interno di una errata riflessione politica e culturale che abbraccia il tema della sicurezza e della certezza della pena. La funzione rieducativa è rimessa in discussione dalla esaltazione della certezza della pena intesa come afflittiva e concreta privazione della libertà.

Tale scelta è peraltro alimentata dall’allarme suscitato nell’opinione pubblica da gravi fatti di criminalità commessi anche da recidivi che certamente rappresentano una eccezione al buon funzionamento e agli ottimi risultati offerti da molti anni dalla legge Gozzini.

Proprio i dati Ministeriali riproposti anche recentemente segnalano che la legge Gozzini è stata il più significativo strumento di contrasto alla recidiva. Nell’anno 2007, a fronte di oltre 7 mila misure alternative concesse, sono intervenute solo e soltanto una decina di revoche pari a circa lo 0,14%. Tale stima fondata certamente su dati in parte ridotti in virtù dell’applicazione dell’indulto è comunque in perfetta consonanza con quelli riferibili all’anno 2006 ove, a fronte di oltre 40 mila misure alternative concesse sono intervenute solo 66 revoche.

Si può pertanto pacificamente sostenere che il percorso tracciato dalla legge Gozzini consente tutela e sicurezza dei cittadini e riabilitazione per i condannati. Ciò che invece deve allarmare sono i recentissimi dati riguardanti l’aumento della popolazione detenuta nelle carceri italiane che ha raggiunto il tetto di circa 55 mila unità.

Ciò comporta sovraffollamento, condizioni di vita disumane, problemi igienici e sanitari, mancato rispetto dei più elementari diritti dei detenuti. La legge Gozzini, già fortemente aggredita dall’introduzione dell’art. 4-bis ordinamento Penitenziario nell’anno 1991, rappresenta un sicuro baluardo di civiltà nell’ambito della difficile e complessa materia della esecuzione della pena. L’Ucpi, proprio nel momento in cui si registra un così significativo attacco alla legge Gozzini, intende ribadire e rilanciare la propria battaglia a tutela delle misure alternative alla detenzione, anche sostenendo scelte nuove.

Tra queste l’idea di estendere l’istituto della messa alla prova anche al procedimento penale ordinario, dopo la positiva sperimentazione nell’ambito dell’ordinamento minorile. Per tale istituto è forse giunto il momento di un più esteso utilizzo. L’intento di ridimensionare e stravolgere la legge Gozzini e le sue più intime ragioni va combattuto rilanciando la battaglia che l’UCPI da tempo coltiva, di difesa della legge Gozzini, con l’ottenimento della modifica dell’art. 656 c. 9 c.p.p. che limita l’accesso alle misure alternative al carcere per alcuni titoli di reato e per talune categorie di soggetti.

Va conseguentemente e da subito combattuta la recente modifica, contenuta nel pacchetto sicurezza, che estende il divieto di sospendere l’esecuzione anche per altri titoli di reato. L’Ucpi intende pertanto, a partire dai prossimi mesi, riprendere l’iniziativa politica per tutelare la legge Gozzini e per cancellare l’art. 4 bis dall’ordinamento Penitenziario.

Tale norma ha di fatto scardinato il complessivo sistema della funzione rieducativa della pena, così come previsto dalla nostra Costituzione. L’Ucpi intende riaprire dibattito e confronto su questi temi, a tutela della funzione rieducativa e riabilitativa della pena senza il timore di misurarsi concretamente con le ragioni della sicurezza e della tutela della collettività. La legge Gozzini in questo ambito rappresenta un patrimonio storico e culturale di grande profilo a presidio della civiltà giuridica.

La legittima domanda di sicurezza dei cittadini va coltivata con iniziative mirate e coordinate di controllo del territorio, con adeguati interventi e stanziamenti finanziari, con il rafforzamento delle forze di polizia valorizzando percorsi di prevenzione e rimuovendo le cause del disagio sociale e della devianza. Sicurezza, prevenzione, rieducazione e riabilitazione nel rispetto della costituzione repubblicana, nel solco del grande percorso già tracciato dalla legge Gozzini.

Giustizia: il Vaticano; rispetto anche per chi rovista nei rifiuti

 

Corriere della Sera, 8 agosto 2008

 

"Combattere il racket dell’elemosina senza ledere il diritto di chiedere aiuto": così il Cardinale Renato Martino - Presidente del Consiglio Vaticano Giustizia e pace e di quello per i Migranti e gli itineranti - riassume il giusto atteggiamento cristiano di fronte all’aumento dei questuanti metropolitani, dei profittatori della generosità del prossimo e degli "accattoni molesti". Afferma anche che la proibizione dell’accattonaggio servirebbe a "nascondere" il bisogno invece di "rispondere a esso".

Ma l’atto dell’elemosinare ha ancora un senso nel terzo millennio? Possibile che non ci sia altra via per affrontare i casi di estremo bisogno? "Fino a oggi - risponde il cardinale - un’altra via non si è trovata e io credo che non si troverà presto se Nostro Signore ebbe a dirci: "I poveri li avrete sempre con voi". Si sconfigge una povertà e ne nasce un’altra". È vero che oggi ci sono tanti aiuti di enti e associazioni che vanno incontro a chi ha bisogno ma il cardinale osserva che "c’è il povero che non ha accesso al soccorso istituzionale perché senza documenti, c’è quello a cui quel soccorso non basta e c’è quello che per sua singolarità lo rifiuta e cerca aiuto nelle strade".

Va dunque difeso il diritto a chiedere l’elemosina per strada? Questa la risposta di Martino: "Credo sia un diritto umano fondamentale, quando si è alla fame e al freddo. È il diritto del vero povero a cercare come può un pezzo di pane e quindi anche a chiedere aiuto e a fare appello al prossimo per risvegliarne il sentimento di umanità".

All’obiezione che tanti ne approfittano e che ci sono bambini costretti a elemosinare, il cardinale replica che "va perseguito il profittatore e va combattuto il racket dell’elemosina, ma se proibiamo l’elemosina ci neghiamo al soccorso da uomo a uomo e non incidiamo minimamente sulle cause del fenomeno ".

Martino non vuole commentare le misure contro l’accattonaggio molesto annunciate dai sindaci di grandi città - da Venezia a Roma - che così cercano di andare incontro al fastidio che quel fenomeno provoca nella cittadinanza e nei visitatori: "Non giudico i singoli provvedimenti che possono avere le loro giustificazioni ma reputo inaccettabile la proibizione dell’ elemosina in generale. Ci vedo una tentazione a chiudere gli occhi davanti al bisogno o a guardare dall’altra parte.

Le autorità dovrebbero piuttosto aiutare la popolazione a cogliere la vera portata del bisogno non ancora coperto, o raggiunto, da nessuna forma di previdenza sociale". A proposito dell’idea di proibire ai barboni di rovistare nei cassonetti - pratica che metterebbe a rischio l’igiene dell’ambiente urbano - il cardinale dice: "Se in una città o in un quartiere vi sono persone che per sopravvivere hanno bisogno di rovistare nei rifiuti vuol dire che in essi è a rischio molto di più che l’igiene ambientale!

Quel fenomeno l’ho visto nelle Filippine, in Africa e in America Latina ed è vero che nei Paesi del benessere si dovrebbe essere in grado di prevenirlo, ma se non si riesce a prevenirlo, si rispetti almeno quella dolorosa necessità di rovistare tra le immondizie".

Giustizia: barboni, rom, nuovi poveri; i cassonetti per vivere

 

La Repubblica, 8 agosto 2008

 

Un esercito cencioso e sporco. Vomitato dalla notte, protetto dalle tenebre, si aggira intorno ai cassonetti di Roma. Rovista, fruga, si tuffa in quegli enormi scatoloni di metallo, inno al superfluo, per arricchirsi, pare, con le nostre frattaglie, regalando un’indecorosa immagine agli onesti cittadini. Talmente indecorosa da aver indotto mercoledì il sindaco di Roma Gianni Alemanno a proporre un provvedimento "anti-rovistaggio", che, fortemente criticato dalla Comunità Sant’Egidio, è adesso in "fase valutativa".

Ma chi sono questi frugatori di immondizia, questi parassiti del nulla? Sono i nuovi poveri, che, soprattutto nei pressi di un supermercato, di una panetteria, di una macelleria, di un mercato rionale, cercano qualcosa di mangiare, qualche avanzo rilucente per loro, ma da scartare per noi. Sono i cosiddetti barboni, quelli che nella strada hanno trovato l’estremo rifugio, quelli che la casa non sanno più cos’è e che se ne vanno in giro carichi di borse di plastica, di valigie strappate, di carrelli pieni di roba inutile. Inutile sempre e solo per noi.

Marta è una donna di 75 anni, che qui - a San Giovanni, nel mercato di via Orvieto - conoscono tutti. Con la misera pensione che riceve non ce la fa. Nei cassonetti saccheggia gli avanzi dei banchini, e così riesce a mettere insieme la cena e il pranzo, si fa regalare il pane secco e si inventa i dolci per la colazione, inventa anche che il pane secco le serve per i piccioni, poveri piccioni, come li trattano.

Viorica, invece, è una rom della Romania: ha 55 anni e gli incisivi d’oro, come d’oro sono i suoi orecchini, lunghi e penduli. Indossa un vestito a strati, tutto volant e lustrini, porta i capelli legati in una lunga treccia. Spinge una carrozzina; la fa vedere: è piena di ferro, c’è una pentola a pressione rotta, un pezzo di un qualche meccanismo - una lavatrice, un frullatore? - un lavandino di metallo, decine di metri di fili elettrici. Il suo bottino della giornata. Sta dietro un cassonetto di via Tuscolana, la gente passa e la guarda distratta. Infila il braccio e con una gruccia di metallo adattata a uncino fruga dentro. "Per ogni chilo di ferro mi danno 30 centesimi. Non è niente, no? Eppure così mangio, mangiano i miei figli. Vogliono impedircelo? E come farò?".

La stessa domanda se la fanno in tutti campi nomadi della città. Come faremo? "Perché, sai, noi ci campiamo veramente con i cassonetti, altroché rubare" esclama una ragazza che dice di chiamarsi Christina, "residente" di un campo abusivo della Magliana, vicinissimo al ferrivecchi "A. Calò" dove svettano cumuli e cumuli di metalli.

"Guarda le mie mani, guarda" continua mentre sventola i palmi ricoperti di calli. "I fili elettrici li dobbiamo liberare della plastica. Fa male. Quanto guadagniamo? Per un chilo di ferro ci danno 30 centesimi, per il rame 3 euro, per l’ottone 2, l’alluminio invece vale un euro al chilo. Vendiamo anche le scarpe, le magliette, tutto quello che troviamo e il prezzo varia". E ora? "Ora ce ne andremo. In Francia, magari: lì non sono razzisti. Oppure nel 2009 in America, ci faranno entrare, l’ha detto Basescu, il nostro presidente". Poi torna ai suoi fili elettrici, in questa tenda nel mezzo di un canneto, a due passi dalla strada, piena di altri come lei, frugatori di immondizia, parassiti del nulla.

Giustizia: Sant’Egidio; combattiamo la povertà, non i poveri

di Mario Marazziti (Comunità di Sant’Egidio)

 

Corriere della Sera, 8 agosto 2008

 

Nessuno di noi ci metterebbe le mani. Facciamo fatica anche a toccare le maniglie per alzare i portelloni verdi, quando dobbiamo buttare la spazzatura. Sono i cassonetti. Un anno fa un amico mi ha mandato una mail con una ventina di fotografie fatte col telefonino, da luoghi diversi di Roma. Anziani, qualche barbone che sembrava vecchio ma era giovane, un paio di famiglie rom, tutti con le buste di plastica. A rovistare nei cassonetti.

C’era il prima e il dopo: andavano via con le buste un po’ più piene, cibo e oggetti. "Ma come fanno a vivere così?", pensavo. Pensavo che la reazione normale di fronte a questo era: "non è possibile che tanta gente debba superare lo schifo e provare a sopravvivere così, bisogna fare qualcosa per aiutarli".

Ma non sono più sicuro che questa sia la reazione "normale". È come se si fosse creato uno slittamento, del linguaggio e delle coscienze: invece di rimuovere la povertà, di faticare a costruire soluzioni per chi vive in maniera non sopportabile, sembra più facile rimuovere i poveri. Ma può diventare una china pericolosa.

Per questo i cassonetti sono diventati una "frontiera". Intendiamoci: chi chiede l’elemosina è "fastidioso". Non solo se allunga le gambe un po’ di più o sé è insistente, non solo ai semafori. Ma non è giustificabile da niente la distanza che c’è tra la sua condizione e la nostra, anche quando ci lamentiamo. Chi è lacero, o manda cattivo odore, è fastidioso anche se sta zitto. Non esiste la mendicità "non molesta".

E il problema si allarga, perché la fragilità sociale aumenta, in Italia e alla fine anche a Roma. Che sì fa? Roma ha una grande occasione: può diventare come le altre città e perdere la sua anima, o può contribuire a dare un tono etico, umano, di buon senso, e aiutare a costruire soluzioni per fronteggiare la crisi sociale, rendendo meno dura la vita di chi vive anche di cassonetti, di mezzo euro al semaforo.

Può lanciare messaggi ai suoi cittadini che incoraggiano, anche involontariamente, a pensare con la pancia, a prendersela sempre con gli altri e quindi, cominciamo con i più antipatici o i più fastidiosi. Ma a forza di dare spazio ai fastidi sarà difficile rimanere uniti e alla fine sarà una città meno sicura. O può aiutarci a tenerci pure qualche fastidio per un buon motivo: perché è più grande quella civiltà in cui si combatte la povertà invece dei poveri. Tanti amano Roma per questo. Facciamolo anche noi.

Giustizia: il censimento dei sieropositivi presto al via in Italia

 

Corriere della Sera, 8 agosto 2008

 

Si dice che in Italia siano 120 mila, ma se ne conoscono soltanto 60 mila: sono le persone sieropositive per il virus dell’Aids. Un buon 50 per cento dei casi sfugge all’identificazione. L’obiettivo, adesso, è quello di portare alla luce questa realtà sommersa che va individuata nell’interesse non soltanto di chi è portatore del virus (che può essere seguito e curato) ma anche degli altri (che possono essere protetti da un eventuale contagio).

Il provvedimento che autorizza la costruzione di un Registro per i sieropositivi nel nostro Paese sta per essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed è frutto del lavoro della Commissione Nazionale per la Lotta all’Aids. "Oggi più che mai è importante arrivare alla notifica dei casi di sieropositività - ha commentato Giampiero Carosi infettivologo a Brescia e membro della Commissione, a margine della conferenza mondiale sull’Aids di Città del Messico - perché sempre più la realtà sta sfuggendo di mano. In passato, quando i casi di sieropositività inevitabilmente finivano per trasformarsi in Aids perché mancavano le terapie, era facile calcolare il numero dei sieropositivi. Adesso, che i farmaci permettono ai pazienti di sopravvivere a lungo, è difficile risalire ai portatori del virus che non hanno ancora sviluppato la malattia".

Per arrivare alla notifica dei casi di sieropositività gli esperti hanno dovuto vincere le resistenze delle associazioni dei pazienti e del Garante della privacy, ma grazie a un sistema criptato, messo a punto da Gianni Rezza dell’Istituto Superiore di Sanità, non soltanto si garantisce l’anonimato, ma si assicura anche la correttezza dei dati (impossibile infatti notificare, per motivi diversi, due volte la stessa persona). Una prima fase prevede che vengano registrati tutti i casi che attualmente sono seguiti dai Centri Aids italiani (i famosi 60.000 mila noti); nella seconda fase ci si preoccuperà di intercettare quel 50 per cento di sieropositivi attualmente non riconosciuti. Come? "Ci stiamo preparando" ha detto Carosi.

Un’idea potrebbe essere quella di prendere in considerazione la popolazione con comportamenti a rischio (come carcerati, immigrati, tossicodipendenti, prostitute, pazienti che si rivolgono ai centri per le malattie sessualmente trasmesse) e offrire il test. Una seconda idea è quella di proporre il test alle persone che vengono a contatto con le strutture sanitarie. "Ci sono due forme diverse per coinvolgere le persone - precisa Carosi.

Una è la cosiddetta option in: il medico consiglia il test, ottiene il consenso informato e procede con l’esame. È un approccio che va verificato ed è comunque quello più diffuso in Europa. Il secondo invece si chiama option out ed è quello suggerito dai Cdc (Center of Diseases Control) di Atlanta: si informa il paziente dell’esistenza del test, se quest’ultimo non si oppone, il test viene fatto".

Il problema, però, è quello dei costi. Offrire a tutti indiscriminatamente l’esame (per esempio all’ultraottantenne che viene ricoverato in ospedale) diventerebbe troppo dispendioso e inutile. Ecco perché è indispensabile individuare criteri clinici (per esempio la presenza di una febbricola o di qualche sintomo suggestivo di un’infezione da Hiv) o criteri comportamentali che possano guidare lo screening. Il gruppo di Carosi ha condotto uno studio nella Regione Lombardia in cui ha utilizzato un questionario, basato su 64 domande, con l’obiettivo di individuare i comportamenti più a rischio. Una volta identificati quelli più importanti, si riduce il questionario a una decina di domande che possono essere facilmente poste a un paziente nella pratica quotidiana. Il tema del censimento dei sieropositivi sarà dibattuto nel marzo prossimo in occasione dell’Hiv Summit: l’incontro si terrà a Roma sulla falsariga di un’analoga iniziativa che si è svolta a Bruxelles nell’ottobre scorso e che verrà replicata in diversi Paesi europei.

Giustizia: Bondi; il film "Il sol dell’avvenire" offende le vittime

 

Corriere della Sera, 8 agosto 2008

 

"Voglio fermare quel film". Al ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, non piace il film sulle Br "Il sol dell’avvenire", finanziato dal suo dicastero, che domani sarà presentato al Festival di Locarno. E mentre il direttore per il Cinema, Gaetano Blandini, presidente della Commissione che all’epoca deliberò il contributo al film di Gianfranco Pannone si scusa con le famiglie delle vittime dei terroristi ("Non vediamo i film finiti, ma esaminiamo dei progetti. E nel progetto di quel film non c’era alcuna esaltazione del terrorismo") Bondi insiste: "Vedrò cosa posso fare. Lo ritirerei subito".

Il film è tratto dal libro di Giovanni Fasanella e l’ex terrorista Alberto Franceschini, "Che cosa sono le Br". E rimette insieme a discutere i fondatori de "L’appartamento", centro di dissidenza dal Pci, da cui alcuni, come lo stesso Franceschini, passarono alla lotta armata.

Bondi spiega: "L’ho visto su sollecitazione di Giovanni Berardi, dell’associazione vittime del terrorismo, e sono rimasto impressionato: i terroristi non mostrano né rivisitazione critica né pietà. È un amarcord alla Fellini. Ci si rivede in trattoria, si ride, si scherza e si ricorda con nostalgia. Si dice persino: "Noi non eravamo terroristi. Terrorista era lo Stato".

Film come questo, finanziato dal precedente governo, non verranno più sovvenzionati perché feriscono le vittime. Ma sono allarmato che venga presentato in una platea internazionale". L’ex sottosegretario Andrea Marcucci (Pd) precisa che a finanziarlo fu la commissione nominata dall’ex ministro Cdl Buttiglione. Mentre gli autori si chiedono se "Bondi l’abbia davvero visto".

Tra i parenti delle vittime c’è chi plaude, chi spera e chi sbotta: "Basta con i politici che fanno del terrorismo una vetrina". Soddisfatto, ma amaro, Berardi: "La storia del terrorismo la fanno ancora i carnefici. E lo Stato la finanzia. Mentre a noi non dà il patrocinio gratuito per l’aggravamento dei feriti: hanno la sindrome dei reduci del Golfo ma non suscitano la stessa pietà della br Marina Petrella".

"Noi - precisa Berardi - non vogliamo censure. Ma dare una testimonianza per difendere la memoria di chi, come mio padre, si è fatto ammazzare per questo Paese". Il nipote del poliziotto Giuseppe Ciotta, Potito Peruggini, apprezza le parole di Bondi e auspica che il clima si svelenisca. "È fondamentale la riconciliazione con i terroristi. Un tavolo è già stato aperto da Gianni Letta. A noi interessa che dicano tutta la verità. Per non ritrovarci più terroristi come Sandalo candidati in Parlamento".

Boccia invece come "tardivo" l’intervento di Bondi, Lorenzo Conti, figlio di Lando, sindaco di Firenze assassinato da Br mai identificati. "Sentiamo parole meravigliose, le ultime del presidente Napolitano, ma servono i fatti. Non vogliamo più essere vetrina per nessuno".

Giustizia: Del Turco pronto a lasciare carcere per domiciliari

 

Agi, 8 agosto 2008

 

I giudici della Procura di Pescara chiederanno al Gip di sostituire gli arresti in carcere con gli arresti domiciliari. Ottaviano Del Turco potrebbe essere scarcerato nelle prossime ore, così come tutti gli arrestati nell’ambito della inchiesta sulle presunte tangenti nella sanità abruzzese. I pm - secondo quanto apprende l’Agi da ambienti giudiziari - potrebbero depositare nelle prossime ore al gip la richiesta di sostituzione degli arresti in carcere in arresti domiciliari.

Lettere: riguardo a certezza della pena e interesse collettivo

di Vincenzo Andraous

 

Lettera alla Redazione, 8 agosto 2008

 

Il Parlamento ha chiuso i battenti, forse è questo il momento più propizio per riflettere sulla funzione del carcere, senza il sibilo fastidioso delle strumentalizzazioni. In Italia, di pena e di carcere si parla poco e male, come se il "recinto chiuso" fosse una periferia da rimuovere, da annotare su una pagina stropicciata e illeggibile. I reati diminuiscono, ma la percezione di insicurezza aumenta, in rete la quota di allarmismo quotidiano straripa pericolosamente, formulando la pretesa di risolvere ogni questione con la galera, con la pedagogia dell’asprezza.

Come se a una doverosa esigenza di giustizia da parte della vittima, non dovesse corrispondere l’onestà intellettuale di una pena erogata con umanità, quanto meno per tentare di ricomporre la relazione tra le persone secondo reciprocità e responsabilità.

La certezza della pena deve comunque riconoscere l’importanza di un percorso di cambiamento, che non è realistico se non garantito da passaggi formativi e relazionali che spingono non solamente a apprendere quanto il proprio passato sia stato errato, ma anche a sentire il bisogno concreto e autentico di essere finalmente in relazione con gli altri.

Quanto c’è ancora di intuitivo e positivo del fare reciproco tra il dentro e il fuori, tra gli operatori penitenziari e i detenuti, per avere fiducia e forza sufficienti a mantenere alto nella sua dignità quel patto di lealtà stipulato con la collettività.

Quanto è ancora realmente condiviso il concetto che esiste un prima e un dopo, che passa necessariamente attraverso un "durante" carcerario solidale perché costruttivo, non certamente vendicativo al solo scopo di placare momentaneamente la richiesta di sollievo di una società confusa e perplessa, ma basato su una progettualità educativa.

È un cane che si morde la coda, come per il disagio giovanile, per la droga, per i morti e le tragedie sul lavoro, sulle strade, si invocano norme intransigenti ma confidando sui soliti investimenti residuali, peggio, si configura un disincanto educativo a vantaggio di un non meglio specificato obiettivo condiviso, quello della cementificazione delle coscienze, come se limitarsi a rinchiudere dentro una cella l’errore e l’inganno, potesse vincere la sofferenza per l’ennesimo accadimento tragico, come se nella riproposizione di una sordità trattamentale, vi fosse insita la chiave di accesso per riconsegnare all’opinione pubblica equilibrio e dignità.

Dimenticando che in carcere, se il detenuto è collocato nella stessa condizione di quando vi è entrato, non solamente permarrà nell’indifferenza verso chi ha offeso, ma anche nell’impossibilità di comprendere il valore come persona e dignità umiliata.

Sul carcere c’è tanto da fare più che da dire, soprattutto c’è tanto da sapere e conoscere per poter intervenire con la giusta volontà politica, ma la politica appare incapace di concorrere alla formazione dell’opinione pubblica, è più concentrata a moltiplicare i luoghi comuni, gli stereotipi possibili e impossibili, e ciò comporta una sequela infinita di rinculi, una confusione sugli interessi collettivi che ne tutelano diritti e garanzie.

Lettere: asili nido penitenziari... altre vacanze e altri bambini

di Riccardo Arena (Direttore di Radio Carcere)

 

www.radiocarcere.com, 8 agosto 2008

 

È tempo di vacanze. Tanti genitori sono al mare con i loro bambini. Bambini che giocano sulle spiagge. Ma ci sono altre vacanze. E altri bambini. Bambini che non hanno una spiaggia dove giocare. Né forse il ricordo di come è fatto il mare. Il loro svago estivo è passare qualche ore in un cortiletto, sovrastato da alte mura. E su quelle mura: lo sguardo attento di uomini in divisa. Uno svago detenuto. Uno svago che dura poche ore. Poi il ritorno in una cella.

È l’altra vacanza, di altri bambini. Di quei 50 bambini che sono detenuti nelle carceri italiane insieme alle loro madri. Bambini di 3 anni detenuti senza colpa. Ma in verità condannati. Condannati prima dalla nostra indifferenza. E poi condannati da una politica che non ha mai voluto far cessare questo scempio. Il carcere per un bambino di 3 anni.

Solo a Milano, Comune e Ministero della Giustizia, hanno unite le forze per creare una struttura diversa dal carcere per ospitare questi bambini. È bastata buona volontà e un semplice atto amministrativo. E in un appartamento è stata realizzata una sezione distaccata del carcere San Vittore di Milano. Lì ora vivono 13 bambini, ex detenuti. Ora, per loro l’estate è andare al mare. Ma solo per loro.

Milano: a San Vittore fino a 15 detenuti nelle celle da 4 posti

 

Corriere della Sera, 8 agosto 2008

 

I detenuti d’agosto sono soprattutto senzatetto colpevoli di reati da fame: furti nei supermercati. Mancano gli educatori. I nuovi arrivati sono sempre più poveri: "Colpevoli di furti nei supermercati, molti senza dimora malati psichici". Nel deserto d’agosto San Vittore è l’unica "azienda" che lavora a pieno regime. Talmente a pieno regime che le celle malconce da 4 sono diventate da 15, che per "non chiudere" i battenti il Provveditore alle carceri, Luigi Pagano, è costretto spostare i detenuti ogni mattina. Da Milano agli altri 18 istituti di pena lombardi, fino a quelli del Sud. A San Vittore, nonostante i salti mortali dei piani ferie e della buona volontà degli operatori, a ridosso di Ferragosto, saranno in servizio solo due dei quattro educatori. Uno solo la settimana successiva.

Alle prese poi con 1.364 reclusi rispetto a una capienza "ufficiale" scesa a 500 dopo la chiusura del quarto raggio e del Coc (Centro d’osservazione criminologica) al secondo. Non che si stia meglio a Opera (1.197) e a Bollate (709), ma i numeri sono e restano da emergenza. La stessa da affrontare prima dell’indulto. Già oggi - alla vigilia della prevista introduzione di nuovi reati come l’accattonaggio e la prostituzione - gli ingressi giornalieri sono una quarantina. Così, su disposizione del provveditore regionale Pagano, s’è deciso di trasferire in massa i detenuti al ritmo di 50 al giorno.

Ma chi sono i detenuti d’agosto? "Sono sempre più indigenti, senza tetto colpevoli di reati da fame: furti nei supermercati", racconta un operatore. San Vittore scoppia, e a poco servono le chiacchiere di chi, invece, vorrebbe riempirlo ancor di più: "Siamo costantemente sotto organico - racconta un’educatrice -: quale rieducazione offriamo ai detenuti, come possiamo aiutarli a non delinquere". "Gli stranieri sono circa il 70%", spiega la vice direttrice, Teresa Mazzotta. Soluzioni? "Aumentare l’organico e i fondi", per la Cisl.

Vicenza: 125 posti, 300 detenuti; situazione presto pericolosa

 

Giornale di Vicenza, 8 agosto 2008

 

Galera, un luogo di durezze. Che non riguardano solo i detenuti, ma anche gli agenti di Polizia Penitenziaria costretti a turni massacranti di fronte ad un popolazione carceraria in continuo e costante aumento. "A S. Pio X la situazione non solo è pesante, ma può diventare pericolosa, se si continua a tirare la corda come sta accadendo in queste ultime settimane".

A parlare è Sergio Merendino, rappresentante della Funzione Pubblica della Cgil che, per spiegare quanto sta accadendo in via della Scola, snocciola cifre e dati. "Gli unici parametri in grado di dare un’immagine reale di quando sta avvenendo nella casa circondariale di Vicenza".

Ecco i numeri. La disponibilità a S. Pio X è di 125 posti per i detenuti, a tutt’oggi ce ne sono 302, quindi più del doppio. Gli agenti di Polizia Penitenziaria sono 132, trenta in meno rispetto alla pianta organica prevista dal ministero. E questo che cosa comporta? "Innanzitutto - spiega il rappresentante sindacale - i riposi vengono effettuati ogni quindici giorni, mentre dovrebbero avvenire una volta la settimana. Anche i turni hanno subito una modifica: se, normalmente, gli agenti lavorano 6 ore per quattro rotazioni in grado di coprire le 24 ore di sorveglianza, adesso vengono utilizzati tre agenti che, per otto ore consecutive, assicurano lo stesso arco di impegno".

Questo significa, stress, disagio professionale, lavorativo, stanchezza, all’interno di una struttura dove non solo è stata ripristinata la sezione di massima sicurezza dopo i lavori di ristrutturazione che sono stati effettuati, ma con un numero di carcerati che continua ad aumentare, malgrado la disponibilità della struttura abbia numeri precisi. "Tutto questo non può che creare scontento e problemi - assicura Merendino - gli agenti sono provati, stanchi, distrutti anche se si rendono conto che non hanno alternative. Ma qui il limite di tolleranza è stato oltrepassato e loro sono i primi a dirlo".

Inoltre il clima a S. Pio X da alcune settimane è cambiato, la dott. Irene Iannucci è stata rimossa dall’incarico e rimandata ad Udine anche se ha inoltrato ricorso contro la decisione del capo del personale dell’amministrazione del dipartimento di polizia penitenziaria del ministero di Grazia e giustizia. Al suo posto è stato nominato Fabrizio Cacciabue che ricopriva il medesimo incarico nella casa circondariale di Rovigo.

Il cambio della guardia ha sollevato parecchie perplessità e una rottura tra i sindacati: Cgil e Uil contrari, mentre la Cisl più aperta ai cambiamenti. "Ma non è questo il punto - conclude Merendino -, la situazione è troppo pesante, rischia di scoppiare e noi sindacalisti non possiamo far altro che chiedere al dipartimento penitenziario di intervenire affinché a Vicenza arrivi più personale anche alla luce del nuovo decreto approvato dal Governo che, senza ombra di dubbio, aumenterà ulteriormente il numero.

Nuoro: detenuto fa sciopero della fame per ottenere ricovero

 

L’Unione Sarda, 8 agosto 2008

 

Un trentatreenne rinchiuso nel carcere di Nuoro è in sciopero della fame da lunedì perché vuole essere ricoverato in una struttura adeguata poiché ha un grave problema ad un ginocchio che non gli permette di camminare.

"Un albanese di 33 anni, detenuto nel carcere nuorese di Bad’e Carros, da lunedì si astiene dall’assunzione di cibo, non partecipa alla socializzazione e rifiuta l’ora d’aria per protestare contro l’inadeguata assistenza sanitaria. Da circa un anno ha chiesto di essere ricoverato in un centro terapeutico diagnostico per un grave problema a un ginocchio che gli impedisce di deambulare ma ancora non ha visto soddisfatta la sua istanza".

Lo denuncia il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris (PS), componente della Commissione "Diritti Civili", esprimendo preoccupazione per i numerosi casi di detenuti in precarie condizioni di salute i cui diritti non vengono rispettati. "Quello di Tom Fufi - sottolinea Caligaris - è un caso emblematico della scarsa considerazione in cui vengono tenuti i problemi sanitari dei ristretti, in particolare a Bad’e Carros da dove sono giunte diverse segnalazioni.

Il giovane, che si era rivolto al Dirigente Sanitario in servizio nella struttura carceraria ha ottenuto, dopo alcuni mesi, nello scorso mese di febbraio, un esame diagnostico da cui è emersa una lesione al legamento crociato del ginocchio sinistro. La richiesta di ricovero in un centro clinico, l’unico in Sardegna è quello di Buoncammino a Cagliari a cui fanno riferimento i detenuti isolani e talvolta anche del continente, non ha però ottenuto risposta.

Nell’attesa - ha scritto in una lettera Tom Fufi recapitata alla consigliera socialista - il problema si è aggravato al punto da non potermi più reggere sulle gambe e di conseguenza mi è stato autorizzato l’utilizzo delle stampelle e assegnato un piantone. Ho urgente necessità di subire un intervento chirurgico per il ripristino della funzionalità dell’arto e la prego di intervenire presso le competenti autorità al fine di risolvere il serio problema.

È inconcepibile - conclude Caligaris - che in un Paese civile si possano verificare situazioni come quelle che, purtroppo, molto spesso avvengono negli istituti di pena. Il diritto alla salute è proprio di ogni cittadino ed è compito delle istituzioni a qualunque livello rispettare le norme e garantire a ciascuno ciò che gli spetta. Il detenuto sconta la pena assegnatagli ma non per questo perde la dignità di persona".

Verona: detenuti in permesso per camminata di Santa Chiara

 

Comunicato stampa, 8 agosto 2008

 

Continuano le iniziative organizzate dall’associazione La Fraternità per arginare il distacco tra territorio e carcere. Domenica 10 agosto si svolgerà la Camminata di Santa Chiara tra il vicentino e Montagnana, in provincia di Padova.

Per il quarto anno consecutivo, l’associazione veronese, nella veste di fra Beppe Prioli, offre ad alcuni detenuti delle carceri di Verona, Vicenza e Padova che lo desiderano - e che possono beneficiare di un permesso premio - la possibilità di partecipare a questa esperienza. Tra gli obiettivi quello di far capire a chi partecipa il significato della notte, partendo dalla trasgressione e da ciò che essa produce.

Pensata dai frati minori del Triveneto per i giovani che non hanno la possibilità di partecipare alla Marcia Francescana che si svolge ogni anno ad Assisi, la camminata ha inizio dal paese di Cagnano (Vicenza) alle ore 23 e si dilunga per 18 km fino a Montagnana (Padova). L’arrivo è previsto verso le 6 del giorno seguente.

L’iniziativa è stata molto apprezzata fin dal primo anno. Alcuni ex detenuti che al tempo della detenzione avevano partecipato alla camminata, hanno chiesto di partecipare anche negli anni successivi. Spiega fra Beppe: "l’atmosfera che si crea è quella di un gruppo di persone che insieme cantano, chiacchierano e condividono esperienze senza giudicare o condannare nessuno, nel pieno rispetto e nella reciprocità". Il fondatore della Fraternità sottolinea che "non è stato facile ottenere i permessi per un’uscita notturna". E aggiunge: "ho dato 3 regole ai detenuti, che poi però rispettiamo tutti: no sostanze, no alcool, no sesso. In ogni caso io cammino sempre in fondo al gruppo, per meglio controllare le mie pecorelle al pascolo".

 

Associazione La Fraternità

Cosenza: premio a Corbelli, fondò il "Movimento Diritti Civili"

 

Giornale di Calabria, 8 agosto 2008

 

È stato assegnato al leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, il prestigioso Premio Nazionale "Capo Spulico", giunto alla sua decima edizione e organizzato dall’assessorato al Turismo e Spettacolo del Comune di Roseto Capo Spulico, comune dell’Alto Ionio Cosentino. Nel passato questo importante Premio è andato a campioni mondiali dello sport, come Gattuso, alla medaglia d’oro del nuoto, Fioravanti, a registi e personaggi nazionali famosi e impegnati nel sociale.

Quest’anno la giuria ha scelto il calabrese Corbelli, leader dei diritti civili. La consegna avverrà domani sera, venerdì, nel corso di una manifestazione che si svolgerà nell’incantevole Castello, fatto costruire da Federico II, di Roseto Capo Spulico. Corbelli ha espresso grande soddisfazione per questo riconoscimento, ha ringraziato l’Assessore al turismo e allo spettacolo del comune di Roseto, prof. Rocco Franco, e la giuria.

Corbelli è stato scelto e premiato per "il suo ultraventennale impegno civile, libertario, garantita e umanitario, in Calabria, in Italia e, per diverse sue battaglie a favore dei bambini poveri, anche all’estero". Corbelli, docente di economia aziendale e diritto, giornalista pubblicista, fondatore e coordinatore nazionale del Movimento Diritti Civili, è da oltre 25 anni promotore di iniziative e battaglie civili, libertarie e umanitarie in difesa dei diritti dei cittadini, degli immigrati e delle categorie più povere, deboli ed emarginate, per una giustizia giusta e umana e contro ogni forma di ingiustizia e discriminazione.

"Per il suo straordinario impegno civile e umanitario" Corbelli nel settembre del 2003 è stato insignito dall’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dell’alta onorificenza di Commendatore al Merito della Repubblica Italiana. Una nomina di grande prestigio e particolare significato perché fatta direttamente dal Capo dello Stato, senza passare prima dalle nomine, precedenti e preliminari, di Cavaliere e Ufficiale.

Innumerevoli sono state le battaglie e le grandi conquiste civili (una legge fatta approvare dal Parlamento per eliminare la vergogna dei bambini in carcere con le madri detenute; la grazia fatta ottenere ad un giovane ex emigrante calabrese, Natale Stramondinoli; l’asilo politico in Italia fatto concedere ad un giovane patriota cubano, Oriel De Armas Peraza; la lunga battaglia che dura da 7 anni per far rimanere e curare in Italia i due fratellini Serbi non vedenti, Marko e Branko… ) ottenute dal coordinatore di Diritti Civili in tutti questi anni, di cui si è occupata tutta la stampa nazionale e finanche il più autorevole giornale del mondo, The New York Times, che dedicò, nel 1995, una inchiesta e un’intervista a Corbelli per le sue battaglie a difesa dei diritti dei detenuti, malati e dimenticati in carcere.

Centinaia e centinaia sono stati i casi umani denunciati e risolti da Corbelli in tutti questi anni (tutti ricordati nel sito www.diritticivili.it). Numerose le gare di solidarietà e le campagne umanitarie, come l’aereo cargo carico di aiuti alimentari organizzato e allestito da Diritti Civili e consegnato il 17 febbraio 2003 all’aeroporto di Roma all’ambasciatore dell’Etiopia in Italia e per questo (Corbelli) pubblicamente ringraziato (sulla stampa e con una lettera personale) dal Governo dell’Etiopia a nome di tutto il popolo etiope.

Immigrazione: Al Jazeera processa Padova; una città razzista

di Filippo Tosatto

 

La Repubblica, 8 agosto 2008

 

Una città razzista e aggressiva, che disprezza gli immigrati di colore e, d’intesa con la destra al potere, mira a negare loro i diritti più elementari. Questo il ritratto a tinte fosche di Padova diffuso dall’emittente araba Al Jazeera. La tv del Qatar ha dedicato un reportage al capoluogo veneto nel notiziario del mattino, preceduto da una premessa dello speaker che ha il tono di un atto d’accusa: "Il ritorno della destra al governo ha influenzato in modo negativo la convivenza tra le comunità di stranieri e gli italiani, visto che i partiti alleati di Berlusconi sono noti per essere ostili agli immigrati. E la città di Padova è un esempio di questa influenza negativa".

A seguire, il collegamento in diretta che si apre con l’intervista dell’inviato Nureddin Bouziane a un giovane tunisino, di nome Alì, che abita nel quartiere popolare dell’Arcella: "Gli italiani vedono tutti gli stranieri, e in particolare quelli che arrivano dal Nordafrica, come spacciatori di droga e ladri, perciò rifiutano di offrire loro un lavoro", sostiene l’immigrato; che conclude amaramente: "Per chi non ha la pelle bianca è molto difficile vivere in questa città".

A conferma della xenofobia imperante, il servizio televisivo mostra la moschea di via Anelli "avversata dagli esponenti locali della destra che chiedono la chiusura del centro islamico e considerano terroristi tutti i musulmani". "Ecco come un Paese tradizionalmente aperto e tollerante è diventato razzista", commenta l’inviato. Che indica agli spettatori il fatidico muro anti-spacciatori e raccoglie le testimonianze allarmate di un gruppo di attivisti della comunità arabo-africana: "Solo i preti cattolici ci aiutano" è il ritornello.

Insomma, una condanna senza appello. Le reazioni non si sono fatte attendere. A cominciare dalla replica del sindaco Flavio Zanonato, esponente del partito democratico, che contesta sdegnato l’immagine della città emersa "dal servizio di pessimo giornalismo", taglia corto "quello che non si preoccupa, non dico di cercare una seconda fonte, ma neppure di verificare minimamente le notizie prima di diffonderle. Nessuno ci ha interpellati, peccato perché avremo potuto evitare una distorsione evidente della realtà".

Nel merito, l’amministratore ribatte cosi: "Padova ostile ai musulmani? Stiamo aiutandoli a costruire una nuova e più ampia moschea, abbiamo assegnato loro un edificio di proprietà comunale e anticiperemo i fondi necessari alla ristrutturazione e all’allestimento. Siamo una città ospitale verso gli stranieri onesti che arrivano, magari spinti dal bisogno, per cercare una vita migliore. Lo siamo sempre stati, è la storia a dirlo.

Oggi gli immigrati rappresentano il 12% della cittadinanza, con punte del 17% nella scuola e per questo stiamo costruendo nuovi asili ed elementari. Questi sono i fatti. Il muro? Lo rivendichiamo perché siamo e saremo intransigenti verso chi calpesta la legge, italiani o stranieri che siano. La tutela della sicurezza è il primo passo verso l’integrazione e la convivenza civile".

Usa: condanna a 5 anni e mezzo per l’ex autista di Bin Laden

 

Apcom, 8 agosto 2008

 

Alla fine la pena decisa per Salim Hamdan, l’ex autista di Osama Bin Laden, è stata ben più lieve degli almeno trent’anni chiesti dall’accusa e lontanissima dal carcere a vita, che appariva una delle ipotesi possibili. Lo yemenita è stato condannato a cinque anni e mezzo di reclusione dopo essere stato riconosciuto colpevole di "sostegno materiale al terrorismo", ma essere stato sollevato dall’accusa di "complotto".

Hamdan, quarant’anni, potrebbe essere libero già tra sei mesi. L’uomo ha infatti trascorso già sei anni a Guantanamo, dove fu portato nel maggio 2002 dopo essere stato arrestato in Afghanistan nel novembre 2001, due mesi dopo gli attentati di New York, con due missili terra aria nascosti in macchina. In ogni caso, il governo americano ha sempre chiarito che, anche in caso di assoluzione, la libertà per i terroristi giudicati non sarebbe automatica, ma comunque vincolata a criteri di sicurezza. Per il Pentagono inoltre rimane un "nemico combattente" e quindi passibile di imprigionamento a tempo indefinito.

L’ex autista ha ringraziato i giurati per la loro decisione e ha ribadito il proprio rammarico per avere lavorato per lo sceicco del terrore. "Chiedo scusa una volta di più a tutti e ringrazio per quello che avete fatto per me", ha detto Hamdan, che in precedenza aveva presentato le proprie "scuse personali alle vittime innocenti", nel caso in cui avesse fatto "qualcosa che ha potuto nuocere" a qualcuno.

"C’è qualcosa di triste e desolante nel vedere persone innocenti soffrire", ha detto Hamdan, commentando il verdetto di colpevolezza per il quale rischia ora il carcere a vita. Secondo uno psichiatra consultato dalla difesa, lo yemenita è "rimasto annichilito" dalla visione delle immagini degli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle del World Trade Center mostrate durante il processo..

Il processo ad Hamdan, celebrato da una corte appositamente creata per giudicare i crimini di guerra nell’ambito della lotta al terrorismo, è il primo di questo genere alla base militare di Guantanamo e il primo davanti a una corte americana dalla fine della seconda guerra mondiale. Hamdan si era dichiarato "non colpevole" sostenendo di avere lavorato per Bin Laden dal 1998 al 2001 ma di non essere stato coinvolto nella rete di Al Qaida e di non essere stato a conoscenza del ruolo del suo datore di lavoro. Per il governo americano, invece, il fatto che Hamdan avesse seguito Bin Laden anche in Afghanistan, restando a lungo al suo fianco, era una prova del suo ruolo attivo in al Qaida.

Ieri, la Casa Bianca aveva accolto con favore la sentenza, esprimendo "soddisfazione" per il fatto che Hamdan avesse avuto "un processo equo", come aveva spiegato il portavoce di Washington Tony Fratto. "Il sistema della Commissione Militare è equo e il procedimento legale appropriato per giudicare detenuti accusati di avere commesso crimini contro gli Stati Uniti", aveva detto Fratto, auspicando che "altri casi siano sottoposti ora a giudizio".

Usa: "waterboarding", uno spettacolo da parco divertimenti

 

Apcom, 8 agosto 2008

 

Quando la tortura diventa spettacolo. È il caso dell’installazione "Waterboarding thrill ride", creazione dell’artista Steve Powers in mostra presso il parco divertimenti di Coney Island, a New York. Rappresenta il waterboarding, una tecnica che il governo Bush ha deciso di adottare contro i presunti terroristi per strappare loro informazioni e confessioni ma che le organizzazioni per la difesa dei diritti umani definiscono tortura.

E allora ecco che basta inserire un dollaro per assicurarsi il raccapricciante show ideato attraverso dei robot: una figura incappucciata versa dell’acqua dentro la bocca e il naso di una persona legata a un lettino, che indossa una tuta arancione e che si agita in convulsioni per circa quindici secondi.

La tecnica del waterboarding consiste proprio in questo: stendere il detenuto su una tavola inclinata in modo che la sua testa sia più in basso dei piedi, nel coprirgli il viso con un asciugamano e nel gettarvi acqua sopra costringendolo così a parlare. "Voglio che le persone capiscano le implicazioni psicologiche di questa tecnica così dolorosa", ha detto Powers che ha anche dichiarato di volersi sottoporre di persona al waterboarding, proprio come ha fatto di recente il giornalista Christopher Hitchens.

Cina: sui diritti umani non accettiamo lezioni dagli Stati Uniti

 

La Repubblica, 8 agosto 2008

 

George Bush è arrivato ieri sera portando in regalo alla Cina un riconoscimento storico: è la prima volta che un presidente americano assiste a un’Olimpiade fuori dal proprio territorio. E questo avviene nella capitale della Repubblica Popolare, a lungo un nemico acerrimo, tuttora la più grande nazione del mondo governata da un regime che si definisce comunista. Il governo cinese incassa l’importante successo simbolico ma alle sue condizioni.

Sottolinea che non è disposto ad accettare critiche; ammonisce che i Giochi non devono diventare l’occasione per dar lezioni sui diritti umani. "Ci opponiamo con fermezza - ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Qin Gang - a qualunque dichiarazione o gesto che interferisce negli affari interni degli altri paesi col pretesto dei diritti umani, della religione o di altri argomenti".

Così il regime guidato da Hu Jintao ha respinto seccamente le pressioni di Bush e di altri leader occidentali sulla libertà di stampa e di espressione, sui diritti dei lavoratori, sulla persecuzione dei dissidenti e delle minoranze religiose. "Il governo cinese - ha aggiunto il portavoce degli Esteri - mette al primo posto gli interessi del proprio popolo, è impegnato a sviluppare i diritti fondamentali e le libertà dei propri cittadini. I cinesi hanno già la libertà religiosa, questa è una verità inconfutabile".

Per Bush è l’ultimo importante viaggio all’estero, e avviene in casa di una superpotenza che per l’America è ormai il rivale numero uno sul terreno economico, politico, militare. Nel corso dei due mandati di presidenza repubblicana i rapporti fra Washington e Pechino hanno attraversato profondi cambiamenti. Proprio all’inizio del primo mandato di Bush esplose una grave crisi diplomatica: nell’aprile 2001 i cinesi catturarono un aereo-spia americano e la detenzione dell’equipaggio fece salire alle stelle la tensione tra i due paesi.

L’atmosfera cominciò a cambiare con l’11 settembre 2001, quando la Cina appoggiò senza riserve la lotta contro Al Qaeda. Gli Usa restituirono il favore catalogando come organizzazione terroristica il fronte secessionista uiguro, a cui i cinesi attribuiscono la strage di 16 poliziotti avvenuta nello Xinjiang lunedì scorso. Su un altro fronte caldo, la cooperazione cinese si è rivelata indispensabile per placare la crisi nucleare con la Corea del Nord.

Sul terreno economico la relazione tra le due potenze si è consolidata a lungo come una vera e propria simbiosi: mentre il made in China godeva di un accesso illimitato al mercato americano, Pechino riciclava i suoi attivi commerciali investendoli in buoni del Tesoro Usa. Creditore e debitore, fornitore e cliente, i due paesi sembravano legati da un’interdipendenza senza precedenti. Ma l’ascesa dell’influenza cinese nel mondo suscita crescenti apprensioni a Washington. L’America ha visto i cinesi "infilarsi" progressivamente in Asia, in Africa e in America latina, non solo attraverso la penetrazione economica ma anche con una rete di alleanze che hanno coinvolto regimi invisi all’Occidente, dal Sudan allo Zimbabwe, dall’Iran al Venezuela.

All’interno degli Stati Uniti gli umori anti-cinesi sono in netto aumento. Il candidato repubblicano alle presidenziali ha escluso di cooptare la Cina nel G-8, che secondo lui deve essere un "club di democrazie". Il democratico Barack Obama è sensibile alle proteste dei colletti blu che chiedono misure protezioniste contro la concorrenza cinese. E la questione della libertà religiosa sta a cuore alle chiese del fondamentalismo protestante, una constituency tradizionale dei conservatori.

Perciò il viaggio di Bush è stato bersagliato da numerose critiche in patria. Nel suo viaggio di avvicinamento verso Pechino, durante le due tappe precedenti in Corea e in Tailandia il presidente ha esortato la Cina a mantenere gli impegni sui diritti umani che aveva preso quando le furono assegnati i Giochi olimpici. Ma il gruppo dirigente di Hu Jintao risponde a muso duro. Da tempo ha imparato a rintuzzare questi attacchi colpo su colpo.

Ormai da diversi anni, quando esce il tradizionale rapporto del Dipartimento di Stato Usa sugli abusi contro i diritti umani in Cina, da Pechino esce una dettagliata contro-denuncia che cita la pena di morte in America, Guantanamo, Abu Ghraib. Una parte consistente della popolazione cinese - per quanto traspare ad esempio dai commenti su Internet - sembra simpatizzare con il proprio governo quando rifiuta le "lezioni" di Washington. Il clima nazionalista che si è creato attorno ai Giochi probabilmente rafforza la posizione di Hu Jintao.

Anche Nicolas Sarkozy è arrivato a Pechino e stasera come Bush sarà a fianco di Hu Jintao in tribuna d’onore durante la cerimonia di apertura. Anche Sarkozy in patria deve difendersi dalle accuse di arrendevolezza verso il regime cinese. Il presidente francese - che rappresenta anche l’Unione europea - si destreggia in esercizi di equilibrismo.

È palese il suo sforzo di placare il risentimento anti-francese dopo le proteste di Parigi contro la fiaccola olimpica e i successivi boicottaggi cinesi del made in France: appena arrivato a Pechino, Sarkozy ha dichiarato che la Cina "ha già vinto la medaglia d’oro" per l’efficienza organizzativa di questi Giochi.

Al tempo stesso ha trasmesso al governo cinese un elenco di prigionieri politici di cui l’Europa chiede la liberazione. Ma ha preferito delegare a sua moglie Carla Bruni - almeno per ora - la partecipazione a una cerimonia con il Dalai Lama in programma il 22 agosto. La Cina ha già minacciato "gravi conseguenze sulle relazioni con la Francia" se il leader tibetano in esilio dovesse incontrare Sarkozy.

 

 

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