Rassegna stampa 7 agosto

 

Giustizia: la gara dei sindaci e il "tritacarne" delle ordinanze

 

Dire, 7 agosto 2008

 

"Dopo il decreto sulla sicurezza del ministro Maroni, si è scatenata una gara tra sindaci per chi conquista il palmares del sindaco più "sceriffo". Nel recente tritacarne delle ordinanze c’è di tutto: prostituzione, spaccio, accattonaggio, vagabondaggio, rovistaggio, rimessaggio, vendite abusive. Il tutto senza un euro: anzi, la speranza è di incassare, elevando multe a clienti e fornitori, spendendo il meno possibile (qualche assunzione di vigile urbano)".

Questa l’analisi di don Vinicio Albanesi, presidente della comunità di Capodarco. "Mai una riflessione seria tra sindaci di illustri capoluoghi - prosegue don Albanesi - oggi attenti al "decoro" della città, per chiedersi che cose stesse avvenendo nei loro territori. Eppure le loro città si stavano popolando di tutto quel sottobosco fatto di miserie, delinquenza, spaccio, abusivismo che coinvolgevano abitanti dei loro quartieri, degradandoli. Non sapendo (o non volendo) fare, i sindaci odierni hanno assunto due volti: uno tollerante (verso i buoni) l’altro feroce (verso i cattivi), dimenticando che bene e male convivono".

"Non li sfiora il dubbio che ogni città ha risorse e spazzatura; eccellenze e degrado. Vorrebbero che tutti i quartieri fossero sfavillanti come i loro viali prestigiosi dove la gente, ben educata e ricca, fa shopping il pomeriggio e si diverte la sera. Se così fosse non capiscono che sarebbero inutili: basterebbe un buon amministratore di marketing per i buoni e un vero sceriffo per i cattivi. Probabilmente sono veramente inutili, semplicemente perché incapaci di gestire il territorio: sanno amministrare solamente - questo sì - il consenso che li elegge". "La cronaca e la storia - conclude don Albanesi - insegnano che ogni convivenza crea sviluppo e degrado; quest’ultimo si accelera nelle epoche delle espansioni, perché ogni arricchimento per alcuni, produce degrado per altri. Buon amministratore è colui che interviene perché siano rispettati gli interessi di tutti, avendo ciascuno una dignità e una storia da tutelare. Almeno così ci avevano insegnato".

Giustizia: i minori stranieri rischiano il carcere 23 volte di più

 

Ansa, 7 agosto 2008

 

Per i minori stranieri il rischio di carcere è 23 volte più alto rispetto a coetanei italiani. Secondo le statistiche del Dipartimento di Giustizia Minorile, infatti, in carcere la presenza media giornaliera dei ragazzi stranieri è di 226,5 contro i 191,1 italiani; un dato che va messo in relazione alla popolazione (minori italiani sono 10.614.879 e 509.606 i coetanei stranieri, sia residenti che non accompagnati).

La denuncia arriva dall’Associazione Soleterre. "Il dato è in continua crescita e non per una maggiore propensione culturale a delinquere, ma per ragioni di condizioni sociali. Il più delle volte i ragazzi sono, infatti, esclusivamente colpevoli di reati contro il patrimonio (furti, "reati da fame") e vittime di adulti sfruttatori. L’ampia sproporzione dimostra come i minori stranieri presenti in Italia siano particolarmente vulnerabili ed esposti ai rischi della devianza e del disagio". L’Associazione Soleterre ha realizzato il progetto sperimentale "Altra Tutela", con il contributo del Ministero per la Solidarietà sociale e con la collaborazione del Centro di Giustizia Minorile di Milano, l’Ufficio Servizio Sociale Minorenni di Milano, l’Istituto Penale Minorile Cesare Beccaria di Milano e il Servizio Educativo Adolescenti in Difficoltà del Comune di Milano.

"Occorre un nuovo patto sociale - sottolinea Damiano Rizzi, presidente di Soleterre - sancito da una legge dello stato per iniziare ad adottare una visione che vede negli immigrati una fondamentale risorsa di equilibrio internazionale. Basta pensare che se oggi gli immigrati di El Salvador, uno dei Paesi in cui è impegnata Soleterre, smettessero di inviare rimesse i tassi di povertà peggiorerebbero di sette volte. E, non dimentichiamo, che l’invio delle rimesse avviene grazie al loro inserimento nella società italiana".

Giustizia: Sappe; sovraffollamento delle carceri è allarmante

 

Comunicato stampa, 7 agosto 2008

 

Appello del Sappe al Ministro Alfano e al Capo del Dap Ionta. Da tempo sosteniamo che l’assenza di una seria politica di riforme strutturali sul sistema penitenziario da approvarsi congiuntamente al provvedimento di indulto del 2006 avrebbe portato in poco tempo le carceri a livelli allarmanti di affollamento. Alla fine dello scorso mese di luglio, i detenuti a vario titolo nelle Case Circondariali, nelle Case di Reclusione e negli istituti per le misure di sicurezza erano vicinissimi a sfondare quota 55mila (54.945), cioè quasi il 30% in più del livello di capienza delle 205 strutture penitenziarie attive in Italia (42.950 posti ).

E ogni settimana il numero dei detenuti aumenta. Servono dunque risposte concrete ed urgenti, alle quali vogliamo contribuire con alcune soluzioni che indichiamo al Ministro della Giustizia Angelino Alfano ed al nuovo Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, con i quali intendiamo collaborare seriamente per risolvere una grave criticità del sistema Giustizia del nostro Paese.

Servono interventi correttivi urgenti in materia penitenziaria. A cominciare, ad esempio, dall’incremento del grado di attuazione della norma che prevede l’applicazione della misura alternativa dell’espulsione per i detenuti extracomunitari i quali debbano scontare una pena, anche residua, inferiore ai due anni. La disposizione infatti attribuisce al Magistrato di Sorveglianza un potere di attivazione di ufficio finalizzato alla verifica dei presupposti per l’emissione del decreto di espulsione, che potrebbero dare un primo segnale di deflazione penitenziaria.

Il Ministro Alfano potrebbe richiamare le Magistrature di Sorveglianza a percorrere tale strada. Un altro esempio di intervento è quello che il Sappe auspica da tempo: adottare il braccialetto elettronico per il controllo dei detenuti potenziando l’area penale esterna e impiegare il Personale di Polizia Penitenziaria nei pertinenti controlli, inserendoli negli Uffici per l’Esecuzione penale esterna. Se n’è discusso nell’importante e riuscito convegno da noi organizzato a Bologna, con autorevoli e qualificati relatori, e nel recentissimo incontro dei Sindacati della Polizia penitenziaria con il ministro della Giustizia Angelino Alfano, che si è detto favorevole all’adozione di questo strumento di controllo elettronico. Anche in questo caso, il titolare del Dicastero della Giustizia potrebbe indicare alla Magistratura di tenere in conto questa soluzione in sede di condanna per pene di breve durata piuttosto della contenzione fisica in carcere.

Il Sappe auspica inoltre che il ministro Alfano incontri quanto prima il Ministro dell’Interno Roberto Maroni per arrivare a definire quel decreto interministeriale Interno e Giustizia, incomprensibilmente sospeso, finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe).

Ci sono già stati diversi incontri tra Amministrazione penitenziaria e Sindacati del Corpo per definire il ruolo della Polizia penitenziaria negli Uffici per l’esecuzione penale esterna, e cioè svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova.

Non sappiamo perché quel decreto sia stato sospeso, ma è necessario porlo tra le priorità di intervento sul sistema carcerario del Paese. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno e sull’adozione del braccialetto elettronico, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene. Ma è urgente intervenire presto perché la situazione penitenziaria del Paese sta raggiungendo livelli davvero allarmanti.

Giustizia: l’Anfu scrive al Ministro per riforma delle carriere

 

Carceri: sostituire l’impianto giuridico lacunoso ed obsoleto che pregiudica l’operatività dei Funzionari del Corpo di Polizia Penitenziaria e riallinearne le carriere con quelle dei colleghi della Polizia di Stato.

A chiederlo in una nota inviata oggi al Ministro della Giustizia Angelino Alfano ed al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta è Mariano Salvatore, segretario nazionale dell’Associazione Funzionari della Polizia Penitenziaria Anfu e commissario del Corpo.

Spiega il Commissario Salvatore: "L’Anfu riconosce il lodevole sforzo dell’Amministrazione penitenziaria verso il conseguimento di obiettivi tendenti alla valorizzazione dei funzionari direttivi e conseguentemente di tutta la Polizia penitenziaria con la predisposizione di uno schema di decreto ministeriale istitutivo del ruolo di "Direttore Area Sicurezza", la cui discussione con le Organizzazioni sindacali di Categoria è attualmente sospesa. Tuttavia, al di là delle considerazioni sui diversi aspetti trattati, per alcuni versi condivisi e per altri dissentiti, ci si sente in dovere di affermare che l’istituzione di una figura professionale attraverso un regolamento che , pur avendo una sua valenza giuridica, non si colloca tra gli atti con vigore e rilevanza di legge bensì a questi deve necessariamente uniformarsi, genererebbe esclusivamente un ulteriore stato di disordine normativo risultando assolutamente superfluo oltre che nocivo.

La categoria dei funzionari direttivi della Polizia penitenziaria ritiene assolutamente indispensabile, qualora effettivamente avvertito dall’amministrazione il disagio dei Funzionari del Corpo come un disagio proprio, di rivedere l’intero quadro normativo ed avviare gli opportuni iter di modifiche ed integrazioni di legge che garantiscano, cosi come avvenuto per altre professionalità operanti in seno all’amministrazione, quel processo di crescita professionale definito comune ma che di fatto, ad oggi, esclude il solo personale direttivo della Polizia penitenziaria.

Basti pensare che i colleghi della Polizia di Stato che terminano il corso di formazione per Funzionario diventato subito Commissari Capo mentre noi della Penitenziaria siamo fermi a vice Commissari. Lo schema di Decreto ministeriale in discussione con le Organizzazioni sindacali del Corpo, pertanto, lascia presagire alla consapevolezza dell’Amministrazione di dover e voler valorizzare la specialità anche del ruolo di tutta la Polizia Penitenziaria mediante l’attribuzione di compiti onerosi e della necessaria autonomia ai commissari ma, pur avendo come alleato le norme che disciplinano le funzioni dei ruoli direttivi nella pubblica amministrazione di fatto deve fare i conti con un impianto giuridico, quello afferente il mondo penitenziario, lacunoso ed obsoleto rappresentato in larga misura dalla legge istitutiva del Corpo di Polizia penitenziaria dai decreti legislativi da essa delegati, dall’ordinamento penitenziario e dal suo regolamento attuativo, dalla legge istitutiva dei ruoli direttivi del Corpo e dal decreto legislativo da essa delegato ed in ultimo dal regolamento del Corpo di Polizia penitenziaria.".

Il Segretario Anfu Salvatore, il quale confida che "l’Amministrazione vorrà tenere debitamente in conto le nostre aspettative di modifica delle norme citate" esterna "la volontà dell’Associazione dei Funzionari della Polizia Penitenziaria Anfu a voler prevedere l’inserimento di funzionari direttivi in eventuali gruppi di lavoro per la proposizione di nuovi strumenti giuridici che valorizzino la categoria" e chiede al Ministro della Giustizia Alfano ed al Capo del Dap Ionta di "predisporre i provvedimenti di competenza per riallineare concretamente le carriere della Polizia Penitenziaria a quella della Polizia di Stato, sanando una ingiusta discriminazione".

Lombardia: i Radicali chiedono interventi per salute detenuti

 

Comunicato stampa, 7 agosto 2008

 

Lettera dalle Associazioni Radicali "Satyagraha" e "Il Detenuto Ignoto": ora che la Sanità Penitenziaria è passata al Servizio Sanitario Nazionale l’Assessore regionale disponga subito che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria adotti misure concrete per il benessere in carcere dei cittadini detenuti".

Le associazioni radicali "Satyagraha! e "Il detenuto ignoto" con una lettera inviata oggi da Lucio Bertè, hanno sollecitato l’Assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Prof. Luciano Bresciani e il Dott. Carlo Lucchina, suo Direttore Generale, a disporre nei confronti del Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria della regione l’apertura notturna delle porte blindate delle celle nel periodo estivo, e altre misure per mitigare il forte disagio fisico e psicologico dei cittadini detenuti e il rischio di collasso di quelli affetti da cardiopatie, asma e malattie respiratorie.

La lettera chiede all’Assessore di esercitare autorevolmente la responsabilità esclusiva di tutela della salute dei detenuti derivante dal recente Dpcm 1 aprile 2008, che dà finalmente attuazione al D.Lgs. n. 230/1999 (Rosy Bindi), che stabilisce il passaggio della Sanità Penitenziaria dal Dap al Servizio Sanitario Nazionale, e quindi agli Assessorati alla Sanità delle Regioni e alle ASL.. Lucio Bertè ha dichiarato: "Ora occorre che nelle carceri l’Amministrazione si adegui alle misure indicate dalla Sanità regionale per il "benessere" dei cittadini detenuti, e che la Sanità regionale si decida ad assumersi in pieno le proprie responsabilità senza sottomettersi a eventuali motivi di "sicurezza interna" che nulla hanno a che fare con l’indebito aggravio di pena costituito dalle condizioni di vergognosa inabitabilità delle nostre carceri, di nuovo sovraffollate e dimenticate".

 

Segue il testo della lettera

 

Signor Assessore, in molte carceri italiane è consuetudine chiudere le celle nelle ore notturne oltre che con la normale porta a sbarre, anche con la porta blindata. Di solito la chiusura avviene dalle ore 23 o 24 fino al mattino.

Ciò avviene anche nelle carceri lombarde, per quanto da me rilevato negli anni 2003/2005 nelle frequenti visite ispettive fatte nel mese di agosto da Consigliere regionale, e per quanto risulta dalle testimonianze diffuse attraverso la rubrica "Radio carcere" di Radio Radicale.

Rammento come particolarmente grave la situazione della Casa circondariale di Brescia Canton Mombello, dove il sovraffollamento aveva raggiunto il limite disumano di 5 detenuti per cella singola. Poi c’è stato l’indulto, ma l’effetto deflattivo è durato poco.

Oggi il sovraffollamento è tornato in tutte le carceri italiane agli stessi livelli parossistici rilevati alla data dell’indulto. Faccio presente che la porta blindata realizza una chiusura pressoché ermetica, a parte uno spioncino di pochi cmq., peraltro sempre chiuso dall’esterno. Inoltre la finestra, oltre alle sbarre, è munita di una rete metallica con maglie di cm. 1,5 che riduce ancor più l’afflusso di aria. In definitiva si realizza una situazione di asfissia e la percezione di una chiusura tombale. I cittadini detenuti soffrono tutti fisicamente e psicologicamente per questa situazione, che costituisce di fatto una indebita pena aggiuntiva. Ma particolarmente grave è la condizione di quanti, tra loro, e sono numerosi, soffrono di cardiopatie, asma e altre patologie respiratorie, claustrofobia, insonnia, ecc. Questi detenuti non sono ricoverati in infermeria, ma restano nelle normali sezioni dove la chiusura delle porte blindate non può che determinare l’aggravamento delle loro patologie nonché concreti rischi di collasso. Negli anni scorsi ho sollecitato l’apertura estiva delle porte blindate sia ai Sindaci dei Comuni sul cui territorio era ubicato il carcere e sia al Dap regionale, previo sopralluogo e rapporto da parte delle Asl, dato che il Ssn era già competente per le misure di prevenzione sanitaria.

Dal 14 giugno 2008 sono trasferite al Servizio sanitario nazionale tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia. È quanto prevede il Dpcm 1 aprile 2008 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 30 maggio 2008, n. 126)

Pertanto il Ssn, nelle sue articolazioni regionali, è responsabile della salute dei cittadini in ambito penitenziario, anche nel senso del perseguimento delle condizioni di "benessere" dei suoi iscritti, conformemente al concetto di salute enunciato dall’Oms, a partire dal potere dell’Assessore regionale alla Sanità di imporre la rimozione delle cause di malessere evitabile nei confronti dei cittadini detenuti.

È per questo che oggi mi rivolgo direttamente a Lei e chiedo all’Assessore regionale alla Sanità, o al facente funzione, e ai Dirigenti competenti, di inviare al Dap regionale una disposizione urgente affinché nelle carceri lombarde sia immediatamente assicurata l’apertura notturna delle porte blindate nel periodo estivo come misura di prevenzione sanitaria ineludibile e indifferibile. Faccio presente che le porte a sbarre assicurano al 100% la sicurezza e quindi non possono essere addotti "motivi di sicurezza" per la chiusura delle porte blindate neanche nei reparti ad "alta sicurezza" (AS) e ad "elevato indice di sorveglianza" (Eiv).

Chiedo comunque di monitorare le condizioni di salute dei cittadini detenuti, al fine di poter disporre comunque eventuali ricoveri nelle strutture sanitarie esterne.

Per assicurare condizioni minime di benessere e prevenire gravi danni alla salute dei cittadini detenuti, l’Assessorato può dare indicazione al Dap di disporre per il periodo estivo che sia data la possibilità di fare la doccia con maggior frequenza, che abbiano tutti una maggiore disponibilità di frutta e verdura fresca, che sia distribuita gratuitamente acqua minerale per i meno abbienti, che ogni cella o almeno ciascuna sezione sia dotata di un refrigeratore per alimenti, che sia consentita la possibilità di usare piccoli ventilatori nelle celle o almeno di avere un ventilatore a soffitto nelle aree della socialità. All’Amministrazione penitenziaria può essere suggerito l’aumento delle ore d’aria e l’apertura diurna delle celle ovunque non vi siano specifiche ragioni di sicurezza.

Signor Assessore, le chiedo come cittadino e come membro delle Associazioni Radicali "Satyagraha" e "Il Detenuto Ignoto", di agire con la massima urgenza.

 

Lucio Bertè

Lazio: sovraffollamento, una costante nelle carceri regionali

 

Dire, 7 agosto 2008

 

Avviato il "censimento" degli istituti di pena, in vista l’Assessore regionale Nieri, e il presidente di Antigone Gonnella. A Latina meno di 3 mq a persona; 130 i detenuti (capienza 87). A Velletri sono 370 a fronte dei 197 posti.

È il carcere di Latina il primo istituto visitato dalla delegazione composta dall’Assessore al Bilancio, programmazione economico-finanziaria e partecipazione della Regione Lazio, Luigi Nieri e dal Presidente dell’Associazione Antigone, Patrizio Gonnella. "Si tratta di un carcere molto affollato. Gli stranieri rappresentano il 40-45% della popolazione carceraria - spiegano gli osservatori.

Per quanto riguarda la sezione maschile, la capienza regolamentare è di 87 posti, mentre ad oggi i detenuti sono addirittura 130. Ciò significa che in alcune celle 6 persone vivono in letti a castello a tre piani in soli 16 mq, hanno quindi a disposizione meno di 3mq a persona. Salvo che in una piccola sezione, in generale non sono rispettati i dettami del regolamento di esecuzione del 2000, che prevedeva, fra le altre cose, le docce in cella".

Nella sezione femminile 36 detenute per 18 posti letto, anche in questo caso al di sopra della capienza regolamentare; il doppio più precisamente. In questa sezione ci sono anche 6 detenute che hanno compiuto, ormai 30 anni fa, reati di terrorismo e questo secondo gli osservatori spinge a un "ingiustificato regime di elevato indice di vigilanza, imposto dal Ministero della Giustizia". Tra i nodi critici, la schermatura delle finestre nella sezione femminile, che impedisce la naturale filtrazione della luce. Un problema strutturale" lesivo dei diritti fondamentali", spiega la delegazione.

Il secondo carcere visitato quello di Velletri, diventato il quinto carcere romano, dove vengono indirizzati i detenuti per i quali non c’è spazio a Regina Coeli: "Anche in questo caso, l’istituto è sovraffollato. La capienza regolamentare è, infatti, di 197 posti, mentre ad oggi i detenuti sono ben 370. In pratica, in ogni cella di 10mq pensata per una persona, ce ne sono sempre 2", sottolineano gli osservatori.

In crisi l’azienda agricola del carcere che produce vino, olio, frutta e verdura biologica per la difficoltà di conciliare i tempi del carcere con quelli della produzione: c’è l’impegno dell’assessore Nieri a sollecitare il ministro all’Istruzione Maria Stella Gelmini per l’attivazione di una classe dell’istituto agrario nel carcere. L’Assessore scriverà anche al Provveditorato scolastico del Lazio, per sensibilizzarli sull’argomento.

 

Tubercolotici e collaboratori di giustizia nel carcere di Paliano

 

Ospita collaboratori di giustizia e tubercolotici il carcere di Paliano, dove sono detenuti 42 persone; 66 i posti disponibili. "I malati di tubercolosi sono 9, tutti stranieri. - sottolineano gli osservatori - In carcere, quindi, ancora ci sono malattie che all’esterno sono praticamente scomparse, segno che si tratta di un luogo socialmente difficile di doppia emarginazione sociale". Attenzione al valore artistico e archeologico della struttura ("va protetto e valorizzato dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali) ma anche al personale: "Sarebbe ingiustificata la dismissione dell’istituto, visto il grande impegno profuso dagli operatori penitenziari che in questo istituto gestiscono situazioni particolarmente difficili. La cultura giuridica e l’umanità degli operatori civili e di polizia penitenziaria che lavorano in questo istituto è decisamente più avanti di quella delle forze politiche che attualmente governano il paese".

Milano: violenze contro viados, ma non denunciano per paura

 

Dire, 7 agosto 2008

 

Parla Alessandro Spadavecchia, operatore di strada che a Milano segue la prostituzione transessuale: "Sono impauriti, inermi, vittime di rapine e aggressioni. Ma non riescono a uscire dall’ombra perché clandestini".

Rapine, aggressioni, automobili che passano a tutta velocità fingendo di volerti investire, fino a che non capita davvero l’incidente. "Le violenze nel mondo dei viados sono una costante quotidiana", racconta Alessandro Spadavecchia, operatore di Cabiria, il gruppo di strada dell’associazione Naga che segue la prostituzione transessuale. "Pur vivendo nella continua paura, però, - aggiunge - non riescono a uscire dall’ombra perché quasi tutte clandestine".

La morte di Gustavo Brandau, ucciso con violenza inaudita da un 19enne italiano e da un ragazzo marocchino di appena 17 anni, per gli operatori di Cabiria non è che l’ultima di una lunga lista di aggressioni: "Negli ultimi anni di storie come queste ne ho sentite tante - dice Alessandro Spadavecchia - così come ho saputo di altre persone sparite e mai più ritrovate".

"Martedì siamo passati per la solita visita settimanale - aggiunge Marilisa Cosello - . Le abbiamo trovate molto preoccupate. Sapevano che una di loro era sparita e temevano quello che poi si è scoperto essere accaduto davvero". Ai maltrattamenti si aggiungono le rapine: "I viados sono persone totalmente impaurite, inermi, senza protettori ma con al massimo l’aiuto del proprio gruppo di amiche. La loro clandestinità li spinge a non denunciare tutte le violenze subite".

La zona di via Novara, in cui si prostituiva il transessuale ucciso, è la stessa in cui l’equipe di Cabiria opera da diversi anni: "Il mercato dei trans - spiega Alessandro Spadavecchia - si concentra nella zona di Figino, in un grande parcheggio nei pressi del ponte della tangenziale, anche se di recente la protesta dei residenti e l’aumento di controlli della polizia hanno spinto molti viados a trasferirsi a Monza".

La prostituzione transessuale a Milano è fatta soprattutto di brasiliani, che hanno dai 18 ai 35 anni: i loro clienti trenta-quarantenni sono persone spesso facoltose. "Il piano migratorio dei brasiliani è di rimanere in Italia per due o tre anni per poi tornare a casa. Ma spesso, una volta rientrati, molti di loro preferiscono tornare sulle strade di Milano pur di non restare nella povertà del proprio paese".

Cagliari: Is Arenas, la colonia penale agricola verso la rovina

 

La Nuova Sardegna, 7 agosto 2008

 

La Casa di Reclusione di Is Arenas, paradiso delle vacanze per alcuni eletti e inferno per tanti altri, è in una situazione esplosiva: organizzazione interna nel caos, personale di sorveglianza ridotto all’osso e con turni massacranti, funzioni stravolte dalla direzione carceraria, servizi di sicurezza inadeguati se non inesistenti, anche i cavalli del reparto addetto al controllo dei circa tremila ettari della Casa di Reclusione soffrono le pene dell’inferno perché abbandonati a se stessi.

Il quadro piuttosto sconcertante di quanto starebbe accadendo nella struttura carceraria con la location più suggestiva in assoluto (circondata dalle dune di Piscinas, dal mare e dalla spiaggia di Scivu: chiedere all’ex ministro della Giustizia Castelli, che nella suite direzionale vi trascorreva esotiche vacanze), lo dipinge l’agente Sandro Atzeni, responsabile della Cgil-Fp Polizia penitenziaria, che del carcere di Is Arenas conosce tutto per filo e per segno prestandoci servizio da diverso tempo.

E da rappresentante sindacale si permette di denunciare "una situazione caotica, diventata addirittura esplosiva con la riapertura della diramazione di Conca d’Oro, dove è stato utilizzato in vigilanza il personale del reparto a cavallo, i cui compiti sono stati soppressi con ordine di servizio dalla direzione carceraria di Is Arenas per poterlo impiegare diversamente, seppur rientranti nei doveri di un appartenente al Corpo di Polizia penitenziaria".

Secondo l’agente-sindacalista, la soppressione del reparto è un fatto gravissimo "perché è preposto a garantire l’ordine e la sicurezza degli istituti penitenziari con sedi allocate in aree rurali, dove sono presenti detenuti che lavorano all’aperto (prevalentemente nel pascolo) in località, come Conca d’Oro, isolata dalla diramazione centrale e presidiata da due agenti per turno con circa quarantacinque detenuti da controllare in un vasto territorio". La convinzione, per quanto inconfessata, è che proprio da queste zone di pascolo passino illecitamente droga e chissà che altro. Ma il reparto a cavallo cancellato sarebbe solo la punta dell’iceberg di una condizione penitenziaria insostenibile. Ancora Sandro Atzeni: "Parte del personale deve usufruire ancora delle ferie del 2007, i ruoli di ispettore e sovrintendente con compiti di coordinamento e sorveglianza sono pressoché inesistenti in vari turni, mentre in altri ce n’è più d’uno".

La pianta organica è la stessa del 2001 nonostante siano cresciuti i carichi di lavoro e le mansioni, con presunte agevolazioni da parte della direzione verso qualche dipendente, come denuncia Atzeni, "destinato al controllo detenuti nella stalla senza indire un regolare interpello come prevede il protocollo d’intesa fra Prap di Cagliari e organizzazioni sindacali". Per chiudere una nota di stampo animalista: "I cavalli del reparto rimangono gran parte della giornata abbandonati a se stessi, senza cibo né acqua. Quando la fame e la sete (soprattutto in questi giorni di afa) si fanno insostenibili, sfondano le recinzioni per cercare da mangiare e bere, vagando incontrollati nel territorio della colonia".

Genova: un progetto per il sostegno dei detenuti sieropositivi

 

Asca, 7 agosto 2008

 

Offrire il maggior numero di informazioni alle persone detenute sull’Aids e accogliere le persone sieropositive o ammalate di Hiv che all’uscita dal carcere non hanno una casa o una famiglia. Sono gli obiettivi dei due progetti approvati dalla Commissione Speciale Carceri della Provincia di Genova. Sono state anche realizzate nuove intese interistituzionali per il reinserimento lavorativo e sociale di detenuti ed ex detenuti.

Il primo dei due progetti finanziati sarà attuato, sotto la guida di un infettivologo del Galliera, in collaborazione con il Coordinamento ligure delle persone sieropositive nel carcere di Marassi, per offrire informazioni sulla prevenzione e i rischi del virus Hiv sia alle persone detenute che agli operatori e al personale della Polizia Penitenziaria.

Il secondo progetto che la Provincia ha cofinanziato con la commissione carceri si chiama "Sostegno" e sarà attuato dal Centro di Solidarietà Ceis con piccole strutture abitative per le persone sieropositive o ammalate di Hiv che all’uscita dal carcere non hanno famiglie o punti di riferimento che possano accoglierli.

"Come quello dell’occupazione, della formazione, della scuola anche i problemi sanitari e sociali sono importantissimi per le persone in carcere - ha ribadito la Commissione Speciale Carceri - promuovere nuove iniziative in questa direzione può aprire ulteriori collegamenti tra il carcere e la società, sviluppando anche nuove consapevolezze".

Volterra: una cena in carcere, con i cuochi detenuti e lo chef

 

Il Tirreno, 7 agosto 2008

 

Quarto appuntamento per le cene solidali a cura dei detenuti del carcere di Volterra. Domani, in cucina ci sarà lo chef Fabrizio Innocenti del ristorante fiorentino "Grand Hotel Incanto" ad aiutare i detenuti, nell’occasione cuochi, a preparare un menu d’autore.

Torna come ogni mese fino a dicembre l’appuntamento con le Cene Galeotte, progetto a scopo benefico organizzato da Unicoop Firenze, ministero di Giustizia e Casa Circondariale. Ventisette i carcerati impegnati nell’organizzazione della serata e nella preparazione del menù. Dopo l’aperitivo, i partecipanti potranno degustare i piatti preparati dai detenuti e i vini serviti dai sommelier Fisar nel cortile del carcere sotto le mura del Maschio di Volterra. L’incasso dell’8 agosto sarà donato all’Arci per progetti a favore del Libano (35 euro a persona, cento i posti a serata e prenotazione obbligatoria: Agenzie Toscana Turismo - Argonauta Viaggi, tel. 055.2342777).

Catania: il Garante; nessuno stupro di gruppo tra i detenuti

 

La Sicilia, 7 agosto 2008

 

Il Garante dei Diritti dei Detenuti e del loro reinserimento sociale, senatore del Pdl, Salvo Fleres, ha chiesto lumi sul caso del ragazzo che sarebbe stato sodomizzato perché scriveva poesie ma pare che all’Amministrazione Penitenziaria non risulti nulla del genere.

Con riferimento alle notizie di stampa secondo le quali un recluso delle carceri di Piazza Lanza a Catania sarebbe stato violentato sessualmente, due anni fa, da altri detenuti, il Garante dei Diritti dei Detenuti e del loro reinserimento sociale, senatore del Pdl, Salvo Fleres, ha chiesto delle dettagliate notizie al Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria per la Sicilia.

Quest’ultimo, avendo esperito accurate ed approfondite indagini presso l’infermeria del carcere, dove secondo le notizie stampa il presunto violentato sarebbe stato medicato e presso il personale in servizio nella citata struttura penitenziaria, ha attestato che nessun episodio, di violenza sessuale con le caratteristiche descritte dai servizi stampa, si è mai verificato, nel periodo di tempo indicato, nel carcere di Piazza Lanza. Pertanto, sulla base delle esaurienti ed immediate informazioni ricevute, il Garante ha ritenuto di non dovere attivare alcuna iniziativa di sua competenza.

Torino: il Comune inserisce i figli delle detenute in asilo - nido

 

Comunicato Stampa, 7 agosto 2008

 

Martedì 29 luglio scorso, su proposta dell’Assessore alle Risorse Educative Luigi Saragnese, la Giunta Comunale della Città di Torino ha approvato la Proposta di modifica del Regolamento comunale Nidi d’Infanzia (Mecc. 2008 04783/007). Tale modifica offre alle madri detenute all’interno della Casa Circondariale "Lorusso e Cutugno" con figli infratreenni, l’opportunità di usufruire delle strutture per l’infanzia cittadine.

Il provvedimento citato era stato sollecitato dalla Garante dei diritti dei detenuti Maria Pia Brunato unitamente alle Commissioni Consiliari competenti.

 

Ufficio del Garante diritti detenuti Città di Torino

Busto Arsizio: dal carcere un coro, "don Silvano non si tocca"

 

Varese News, 7 agosto 2008

 

Il cappellano, nonché parroco di Santa Croce, doveva essere trasferito ad altra sede ma resterà grazie alla mobilitazione generale a suo favore. Intanto, agosto dietro le sbarre resta un mese critico.

Per lui è scattata una mobilitazione: la Curia ha dovuto fare dietrofront. Quasi un braccio di ferro, una sorta di "lotta per le investiture" fra amministrazione penitenziaria e gerarchie ecclesiastiche: invece di cambiare destinazione alla fine è rimasto dov’è, fra i suoi parrocchiani di Santa Croce e si suoi detenuti che segue come cappellano del carcere di via per Cassano. Don Silvano Brambilla, uomo pratico e schietto, conosce la virtù dell’umiltà e si schermisce: "Non si voleva creare un cambiamento nella situazione all’interno del penitenziario in un momento delicato, così si è fatta presente la situazione" riassume. Agenti, detenuti, volontari, direzione, ebbene sì un po’ tutti hanno chiesto che rimanesse. Una mobilitazione per una persona, prima che un sacerdote, che applicando il precetto cristiano di visitare i carcerati ha saputo guadagnarsi la stima e la benevolenza di tanti in un ambiente pur duro come quello di una prigione.

Quando gli chiediamo se agosto sia ancora un mese particolarmente difficile per chi si trova dietro le sbarre, il cappellano del carcere bustese conferma. "C’è il caldo, qualche volontario in meno per le ferie - ma devo dire che tanti ci sono comunque - ma soprattutto con agosto si fermano tutte le iniziative. Diventa difficile anche trovare un avvocato per chi si trova ad essere incarcerato in questo periodo". La solitudine di chi sta "fuori", si pensi a tanti anziani, si rispecchia paradossalmente in quella di chi sta dentro. Non avere nulla da fare, un obiettivo qualsiasi cui dedicare un altro giorno, per il carcerato è la morte civile: e la reclusione diviene pena crudele, contrariamente ai fini di recupero alla socialità che si pone, almeno in linea di principio, nell’ordinamento democratico.

C’è poi il problema del sovraffollamento, cronico (si legga questa protesta del marzo 2001...) ed ineliminabile in assenza di serie politiche di aumento dei posti nel sistema carcerario nazionale. "Siamo a circa 390 detenuti" dice don Silvano: di nuovo troppi, manco a dirlo. "Due anni fa con l’indulto erano usciti circa in 120, ma in meno di un anno la situazione è tornata quella solita".

Non perché qui si delinqua più che altrove, ma perché Busto è un carcere "di passaggio" con un altissimo turnover: più che "lungodegenti" con sentenze definitive, qui si trovano soprattutto persone in attesa di processo o trasferimento. "Non pochi vengono scarcerati applicando le misure alternative al carcere (ad esempio i domiciliari); ma in tanti arrivano, specialmente da Malpensa (i corrieri della droga ndr)".

Il tutto in circostanze che spingono persino gli agenti di custodia a manifestare apertamente la difficoltà di compiere il loro lavoro fra turni sfiancanti e straordinari, una situazione che non lascia troppi margini alla programmazione gestionale. E che da fare ci sia ancora e sempre tanto ce lo conferma don Silvano, quando si scusa e ci lascia, perché, anche se stanco dopo il rientro dal pellegrinaggio a Lourdes, dietro le sbarre c’è chi ha bisogno di lui, cappellano in servizio permanente effettivo.

Verona: Progetto 663; in 4 mesi nessun permesso ai detenuti

 

Dire, 7 agosto 2008

 

La denuncia di Ristretti Orizzonti: "Negli ultimi 4 mesi respinte dal magistrato di sorveglianza tutte le richieste per partecipare alle attività sportive e culturali dell’Associazione 663. Legge da cambiare".

Da quattro mesi i detenuti non escono dal carcere di Verona con Progetto Carcere 663, un’associazione che organizza incontri sportivi, culturali e musicali e che ogni anno mette centinaia di studenti in contatto con l’universo carcerario. A denunciarlo è il notiziario quotidiano della redazione "Ristretti Orizzonti", che dalla Casa Circondariale di Padova dirama informazioni quotidiane dal e sul carcere.

Il notiziario riporta le dichiarazione del Presidente dell’Associazione Maurizio Ruzzenenti, che racconta: "Per il quarto mese di fila il magistrato di sorveglianza non ha concesso alcun permesso premio ai detenuti che hanno chiesto di partecipare a una delle iniziative che organizziamo all’esterno del carcere. La situazione è ormai al collasso. Nessun permesso su una trentina di domande e su quasi 200 definitivi è qualcosa che come minimo ci fa rammaricare".

L’associazione, che prende il nome dalla legge Gozzini numero 663, è nata nel 1986 per promuovere un reale reinserimento nella società dei "carcerati". "È statisticamente provato - continua Ruzzenenti - che con l’applicazione di questi permessi e delle altre misure alternative previste dalla Gozzini si abbassa drasticamente il tasso di recidività, che passa dal 69% di chi si fa tutta la galera al 19% di chi esce gradualmente con tali misure, e di conseguenza aumenta la sicurezza".

Dopo l’indulto però, essendo diminuito il numero dei detenuti che possono godere dei benefici, la situazione si sarebbe ulteriormente complicata. "Prima organizzavamo incontri sportivi nei vari paesi disposti ad accoglierci, ma adesso questi tipi di iniziative sono impossibili".

Ma come funzionano i permessi premio? "Ci limitiamo a far affiggere in bacheca l’annuncio di un’eventuale uscita per la quale è possibile richiedere un permesso premio", spiega Ruzzenenti. L’ultima parola spetta, tuttavia, al magistrato di sorveglianza. "Ogni mese vengono presentate all’incirca una ventina di domande, ma negli ultimi mesi non ne è stata accolta nessuna. Forse bisognerebbe modificare le leggi per agevolare tale processo e non rischiare un distacco sempre più marcato e pericoloso tra carcere e territorio".

Palermo: i giovani detenuti del Malaspina diventano scrittori

 

Dire, 7 agosto 2008

 

"Non fare il passo più lungo della gamba" è il titolo del lavoro nato grazie all’impegno della cooperativa Solidaria che ha aiutato i ragazzi a raccontarsi.

"Non fare il passo più lungo della gamba" è il titolo del libro nato da un lavoro svolto dalla cooperativa sociale Solidaria insieme da un gruppo di ragazzi detenuti presso l’istituto penale per minorenni Malaspina.

Il volume, stato presentato ieri presso la Camera di commercio di Palermo alla presenza del direttore e degli educatori del Malaspina, è il risultato del progetto "Istituzioni e società civile contro racket ed usura", finanziato con il Por Sicilia 2000/06 e promosso dall’associazione temporanea di scopo costituita tra la Camera di commercio di Palermo, la Confesercenti provinciale, il Cat-Confcommercio e la cooperativa sociale Solidaria.

"Un"iniziativa importante - dice il presidente della Camera di commercio, Roberto Helg - per l’integrazione dei ragazzi detenuti". Anche per l’amministratore unico Salvatore Cernigliaro iniziative del genere "devono proseguire con chi ha vissuto esperienze di illegalità". Un apprezzamento per quanto realizzato è giunto pure dal presidente di Confesercenti, Giovanni Felice.

Foggia: agenti in malattia, non riescono a rientrare al lavoro

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 7 agosto 2008

 

Trenta poliziotti penitenziari in servizio presso gli istituti di Lucera, Trani e Turi costretti a rimanere in malattia perché non riescono ad essere reintegrati in servizio mentre nelle carceri pugliesi la situazione è sempre più drammatica a causa della carenza di organico e del sovraffollamento di detenuti.

Non riescono ad essere sottoposti agli accertamenti medico legali presso l’Ospedale Militare di Bari, perché sprovvisti di una certificazione medica, che la sanità penitenziaria non può più garantire. Un decreto Ministeriale del 1 aprile 2008 ha infatti trasferito la sanità penitenziaria al servizio nazionale: i medici delle carceri, per intenderci, non hanno più un rapporto diretto con la struttura, ma dipendono direttamente dalle Asl e non hanno più l’obbligo di quelle certificazioni. Certificazioni di idoneità senza le quali l’Ospedale Militare di Bari rimanda indietro i poliziotti e non li riammette in servizio.

A segnalare questa situazione, Federico Pilagatti, Segretario regionale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria, che in un comunicato denuncia questa incredibile circostanza, resa ancora più drammatica se si pensa che nelle carceri pugliesi mancano circa 500 unità e il numero di detenuti è oltre la capienza prevista: a Foggia, a fronte di 370 posti disponibili ci sono oltre 600 detenuti e anche istituti piccoli come quello di Lucera, hanno superato di molto la capienza regolamentare.

Rovigo: agenti dormivano in servizio, sospesi e poi reintegrati

di Marco Signorini

 

Il Giorno, 7 agosto 2008

 

C’era una volta chi si imboscava in ufficio dall’alba al tramonto e andava a casa dicendo di essere più affaticato degli altri, chi faceva pause caffè che duravano fino all’ora di pranzo, chi era abbonato all’influenza e, infine, chi, poliziotto a Rovigo, invece di pattugliare il territorio come gli era stato prescritto, si fermava con la propria auto a schiacciare qualche pisolino. Poi è arrivato il ministro Brunetta e, secondo i dati forniti nei giorni scorsi, negli uffici pubblici sono tutti più pimpanti, il caffè si è ristretto e i ricostituenti hanno fatto miracoli. Ma in Polesine le cose sono andate un po’ diversamente.

Dieci agenti della questura di Rovigo, che erano stati sospesi dal servizio per aver dormito nelle vetture durante le ore di pattugliamento notturno, sono infatti riusciti ad ottenere dal dipartimento di pubblica sicurezza il blocco dei trasferimenti che erano stati richiesti proprio dal questore Amalia Di Ruocco (in pratica è stata sospesa la sospensione e i dieci sono tornati al lavoro).

Una richiesta che fece seguito a un’indagine condotta dalla stessa polizia lo scorso inverno e che, ad aprile, portò la Procura ad indagare 22 agenti per abbandono di posto con interruzione di servizio, falso in atto pubblico e truffa ai danni dello Stato. Intanto, la scorsa settimana ha visto l’arrivo in questura degli ispettori ministeriali per fare chiarezza sulla vicenda e la chiusura delle indagini sui 22 agenti da parte del sostituto procuratore Ciro Alberto Savino che, evidentemente ritenendo le prove schiaccianti, ha chiesto al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Rovigo il giudizio immediato per tutti.

I dieci agenti di cui era stato chiesto il trasferimento rappresenterebbero i casi più gravi emersi dall’indagine, ossia quelli a cui è contestato il maggior numero di episodi. La maggior parte intercettati dalla squadra mobile a cui la magistratura aveva affidato il compito di svolgere le indagini, avvenute con intercettazioni ambientali.

Immigrazione: gli stranieri ghettizzati in nome della sicurezza

 

Il Domani, 7 agosto 2008

 

E entrata in vigore la legge di conversione del decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92 in materia di sicurezza pubblica, primo atto normativo che apre la serie di una stagione di riforme centrate sull’allarme sicurezza. Del resto è di questi giorni la dichiarazione da parte del Consiglio dei ministri dello stato di e-mergenza nazionale causato dall’arrivo di un numero di stranieri irregolari superiore a qualsiasi altro periodo.

A prescindere dalla considerazione ovvia che se aumento di clandestini è in essere, è di tutta evidenza che una legge quale la Bossi - Fini, ha con tutta evidenza fallito, pure se fortemente repressiva e improntata alla considerazione del non comunitario come problema di ordine pubblico, la complessità del problema e le ragioni che spingono ad un flusso migratorio, soprattutto dall’Africa, ma non solo, rischia di non trovare nessuna soluzione con un approccio solo sicuritario, ma, anzi, di fomentare una pericolosa escalation di paura verso il diverso.

Va innanzitutto ricordato per la ricaduta che avrà sulle sanzioni penali e quindi sul carcere, ma anche per i fondati dubbi di legittimità costituzionale che sono già stati sollevati, l’introduzione di una nuova aggravante comune che colpisce gli autori di qualunque reato che siano irregolari sul territorio, in base cioè ad una condizione personale, a prescindere dall’effettiva pericolosità dello stesso.

La norma è pericolosa sul piano culturale perché porta l’equiparazione tra chi è in clandestinità e chi è portatore di pericolo per la collettività e accompagna la possibile, ma non ancora sicura, introduzione nella legge sull’immigrazione del reato di "clandestinità". cioè la condotta di colui che si introduce irregolarmente sul territorio i-taliano.

Più rigorosa è la disciplina dell’espulsione od allontanamento dello straniero come misura di sicurezza, che è prevista tutte le volte in cui il cittadino straniero o appartenente all’unione europea riporti sentenza di condanna per un tempo superiore ad anni due, ma ciò non potrà esimere il giudice dalla verifica da una situazione di concreto pericolo sociale. Un altro segnale di cambiamento è rappresentato dalla modifica della denominazione dei centri di permanenza temporanea, destinati all’espulsione, e che adesso si chiamano centri per l’identificazione e l’espulsione, venendo meno

quell’indicazione di temporaneità della permanenza rappresentato da un tempo di 30 giorni prorogabile fino a 60 . La modifica del nome preannuncia anche qui il probabile mutamento strutturale dei centri, il cui numero peraltro è destinato ad aumentare per assicurarne la presenza in ogni regione, se è vero che il disegno di legge presentato in materia di sicurezza prevede l’ampliamento dei termini di permanenza da sei mesi sino a 18 mesi al fine di assicurare la effettività delle espulsioni che, come è noto, si realizzano soprattutto se ed in quanto esistano e siano operanti gli accordi di riammissione con i paesi interessati.

Se la proposta dovesse diventare norma è evidente che strutture che avranno tempi di permanenza così ampio saranno luoghi di detenzione a tutti gli effetti e dovrà essere ripensata la gestione affidata a privati. Il diritto speciale per gli stranieri si arricchisce anche della previsione di una più celere trattazione dei processi per reati commessi in violazione del testo unico in materia di immigrazione, a prescindere dalla gravità.

Nella versione definitiva sono state introdotte le tanto discusse norme per incidere sulla definizione dei processi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto, al fine di ridurre il carico giudiziario. Una apposita norma prevede che nella formazione dei ruoli delle udienze si dia, tra gli altri, priorità assoluta anche ai processi sopra menzionati, a riprova di una chiara scelta di stigmatizzazione della irregolarità in sé, a prescindere dalla gravità della condotta e dalla pericolosità della persona.

Vedremo quali riflessi avrà questo approccio al tema immigrazione, accompagnato in questo periodo dalle polemiche sulla raccolta delle impronte digitali per i bambini rom e dalla ventilata riduzione degli spazi per i richiedenti asilo, cioè di coloro che sfuggono a situazione di persecuzione personale o da paesi nei quali non sono assicurate le libertà democratiche previste dalla nostra costituzione. Il timore, fondato, è quello di una ghettizzazione dell’immigrato che crei xenofobia e razzismo. Del resto, anche la storia più recente lo insegna.

 

Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone

private della libertà personale del Comune di Bologna

Immigrazione: Bari; reportage dal centro per richiedenti asilo

 

Dire, 7 agosto 2008

 

Sorge in una base dell’Aeronautica militare. Inaugurato il 28 aprile con una capienza di 744 posti, ospita già 978 richiedenti asilo. Solo 70 all’anno saranno accolte nello Sprar. Gli altri torneranno in strada, con o senza documenti.

Sulla vecchia pista dell’aeroporto militare di Bari Palese è cresciuta l’erba. Le 250 roulotte che dal 1991 ogni estate erano destinate alla prima accoglienza dei migranti che sbarcavano in Puglia, Calabria e Sicilia, non ci sono più. Al loro posto sorge un nuovo centro. Sempre all’interno della base dell’aeronautica militare. Un piccolo villaggio di 124 moduli prefabbricati montati su un grande piazzale di cemento, intorno ad una grande cupola di tela, usata come mensa e sala comune. Ci sono campi da calcio e da pallavolo. C’è l’ufficio immigrazione della polizia. Ogni modulo ha l’aria condizionata, c’è un infermeria, i bagni sono puliti e gli spazi comuni ben curati. C’è una ludoteca, una scuola di italiano. E tuttavia si respira una certa tensione.

Il centro è stato inaugurato il 28 aprile 2008. Inizialmente i posti disponibili erano 744, che vuol dire 6 persone per ogni modulo, ovvero due letti in ognuna delle tre piccole stanze. Gli ospiti presenti alla data del sei agosto sono 928. Quasi 200 in più. In alcune stanze sono stati montati letti a castello. Ai 20 nuclei familiari presenti è comunque garantita la possibilità di condividere la stessa stanza. Ci sono 109 donne (due su tre sono somale) e 14 minori, tutti con meno di 14 anni. Due bambini sono nati qui a Bari.

Una donna sta per terminare la gravidanza. La maggior parte degli ospiti arrivano da Lampedusa e sono stati portati a Bari con un ponte aereo. La prima nazionalità è quella somala con 380 presenze, tra cui 69 donne. Segue quella nigeriana (163, di cui 34 donne) e poi quella eritrea (134) e ghanese (82).

Gli afgani sono solo 18. Dall’inizio dell’anno sono transitati dal Cara 1.247 ospiti, tra cui 171 donne e 24 minori. Dei 319 ospiti che hanno lasciato il centro, in molti casi si tratta di allontanamenti non autorizzati. Così hanno fatto 64 tunisini, 6 algerini, ma anche 31 eritrei. Dal centro si può uscire dalle 8:00 alle 22:00. Così chi sa di non avere le carte per chiedere asilo abbandona la struttura. E lo stesso fa chi invece l’asilo non lo vuole chiedere in Italia, ma in Inghilterra o in Nord Europa. I pochi che hanno avuto i documenti invece sono accompagnati alla stazione con un biglietto per le città del nord.

Lo Sprar (Servizio di protezione nazionale per richiedenti asilo) ha infatti affidato al Cara di Bari soltanto 70 posti all’anno, su 978 richiedenti asilo attualmente ospitati. In pratica vengono usati solo per nuclei familiari e casi vulnerabili. Per adesso una trentina di persone sono state accolte. Per gli altri c’è la strada, il ritorno al via. Arrivati da soli in terra straniera, saranno di nuovo abbandonati a se stessi.

Con o senza un documenti. Con la differenza che nel frattempo lo Stato avrà speso migliaia di euro per ognuno di loro. L’ente gestore del Cara di Bari, la cooperativa sociale Auxilium - che tra operatori sociali, mediatori, personale sanitario e amministrativo, impiega 160 persone nella struttura - riceve un’indennità di 49 euro al giorno per ogni ospite. Che fanno 45.000 euro al giorno; un milione trecento mila euro al mese, 16 milioni all’anno. Una montagna di denaro che, nonostante la buona volontà degli operatori e la qualità della struttura, rischia di essere speso inutilmente, visto il giro di vite sulla seconda accoglienza.

Tuttavia la maggior parte degli ospiti di Bari Palese sta ancora aspettando di essere intervistato dalla Commissione per il riconoscimento per lo status di rifugiato. I lavori vanno a rilento. Molti sono qui da oltre tre mesi. E intanto iniziano ad arrivare i primi dinieghi. Nigeriani, ghanesi, maliani, nigerini, difficilmente saranno riconosciuti come rifugiati politici. Vengono da paesi che non sono in guerra.

E salvo rari casi, non hanno prove che dimostrino la loro persecuzione personale. E spesso non lo sono affatto. Dire che i loro paesi sono in mano a governi corrotti, che mafie, corruzione e impunità li hanno costretti a partire per garantire un futuro libero ai propri figli non li aiuterà a strappare un permesso di soggiorno alla Commissione. Le prime risposte negative hanno diffuso la paura. E adesso tutti temono un decreto di espulsione. Per questo hanno protestato, lunedì scorso, bloccando l’auto blu del sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, in visita al Cara, e esponendo cartelli contro il razzismo.

E hanno presentato le stesse richieste al sindaco di Bari, Michele Emiliano, che ha visitato il centro martedì scorso. Nessuno si lamenta delle condizioni del centro. "Very good!" dicono, molto buone. Sono i tempi di attesa e la paura di un diniego a far montare la protesta. I somali, che sono la comunità più numerosa, chiedono tempi più celeri per le interviste, che ad oggi procedono ad un ritmo di 10 al giorno.

Ghanesi e nigeriani chiedono invece di riconoscere il loro bisogno di protezione, anche se i loro paesi non sono in guerra. Ma le loro richieste difficilmente saranno accettate. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati è chiara, e parla di persecuzioni personali. Usciranno dal centro senza documenti e andranno ad alimentare le fila del lavoro nero. Entrati nei Cara come richiedenti asilo, usciranno come clandestini. E intanto lo stesso governo che ne ordina l’espulsione ha già annunciato che chiederà l’ingresso di 170.000 lavoratori stranieri non comunitari entro la fine dell’anno.

Iran: Amnesty; tribunale sospende la lapidazione di sei donne

 

Vita, 7 agosto 2008

 

Amnesty International ha accolto positivamente l’annuncio, da parte di un portavoce del potere giudiziario iraniano, che la pena della lapidazione è stata sospesa per sei donne, che hanno ottenuto la commutazione della condanna a morte. "La lapidazione è una pratica orribile, volta ad accrescere la sofferenza, e che non può avere alcuno spazio nel mondo moderno. Auspichiamo che le autorità iraniane garantiscano che questa pena terrificante non verrà mai più usata" ha dichiarato Amnesty International.

L’organizzazione per i diritti umani chiede alle autorità di Teheran di assicurare che non si tratti di una "promessa bugiarda". Nel dicembre 2002, infatti, il capo del potere giudiziario, l’ayatollah Shahroudi, aveva annunciato una moratoria sulle lapidazioni, smentita nei fatti da almeno una lapidazione portata a termine nel 2007 nella provincia di Qavzin.

"Ora ci aspettiamo ulteriori decisioni da parte delle autorità iraniane" ha proseguito Amnesty "per porre fine ad altre pene crudeli e inumane come le frustate e l’amputazione degli arti, così come per ridurre l’applicazione della pena di morte".

Il codice penale iraniano prevede l’esecuzione tramite lapidazione. Secondo l’articolo 102, gli uomini devono essere sotterrati fino alla vita, le donne fino al petto. Con riferimento al reato di adulterio, l’articolo 104 afferma che le pietre da usare dovrebbero essere "non così grandi da uccidere la persona con uno o due colpi, e nemmeno così piccole da non poter essere definite pietre".

Il sistema giudiziario iraniano presenta gravi lacune che spesso sfociano in processi iniqui, anche nei casi di pena capitale. Nonostante la moratoria del 2002 e le smentite ufficiali sulle esecuzioni tramite questa pratica crudele, Amnesty International è venuta a conoscenza di alcuni casi di lapidazione. Jàfar Kiani è stato lapidato il 5 luglio 2007 ad Aghche-kand, nella provincia di Qazvin. Sono le donne a essere più di frequente condannate a morire per lapidazione, spesso a causa del diverso trattamento che subiscono davanti alla legge e nei tribunali, in aperta violazione degli standard internazionali sul giusto processo. Sono in particolar modo vittime di processi iniqui perché meno istruite rispetto agli uomini e per questo motivo indotte più facilmente a firmare confessioni di crimini mai commessi. Inoltre, la discriminazione cui vanno incontro in altri aspetti della loro vita fa sì che siano più soggette a condanne a morte per adulterio.

Di fronte a questa cupa realtà e nonostante la dura repressione cui vanno incontro, nell’ottobre 2006 i coraggiosi e ostinati difensori dei diritti umani in Iran hanno lanciato la campagna "Stop alla lapidazione per sempre!". Fino all’annuncio della sospensione delle lapidazioni, la campagna aveva ottenuto che fossero commutate sei condanne a morte.

Cina: presidente francese Sarkozy invia lista detenuti politici

 

Agi, 7 agosto 2008

 

Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha inviato alle autorità cinesi un elenco di detenuti politici prima della partenza per Pechino per assistere alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi. Nell’elenco figurano "casi individuali di detenuti e di attivisti per i diritti umani" su cui viene richiamata l’attenzione a nome dell’Ue, di cui la Francia ha la presidenza di turno, ha spiegato il portavoce del ministero degli Esteri, Romain Nadal.

Ci sono sia casi individuali già sollevati dall’Ue nell’ambito del dialogo periodico con la Cina che casi segnalati dalle organizzazioni per i diritti umani e dall’eurodeputato Daniel Cohn-Bendit. L’invio dell’elenco è stato annunciato poche ore dopo che la polizia francese ha deciso di vietare un sit-in davanti all’ambasciata cinese che si sarebbe dovuto svolgere in concomitanza con la cerimonia inaugurale dei Giochi. Il divieto è stato imposto dalla polizia per impedire il ripetersi dei violenti disordini scoppiati ad aprile nella capitale francese per il passaggio della fiaccola olimpica.

Cina: presidente del Comitato Olimpico "invitato" in carcere

 

Agi, 7 agosto 2008

 

He Depu, dissidente cinese condannato a otto anni di carcere, ha inviato una lettera al Presidente del Comitato Olimpico Internazionale, Jacques Rogge, invitandolo a visitare il penitenziario di Pechino ove e rinchiuso per verificare di persona le condizioni di detenzione dei prigionieri politici nella Repubblica Popolare: lo ha riferito l’organizzazione non governativa Human Rights in China.

Per l’oppositore, rinchiuso nella cella 17 del carcere numero 2 della capitale, l’arrivo dell’Olimpiade in Cina non ha migliorato le condizioni dei carcerati. "Le limitazioni imposte ai prigionieri politici", ha scritto He al numero uno del Cio, "non sono diminuite, anzi sono aumentate". Il dissidente non aveva mandato giù un articolo scritto dal leader del Cio nel 2007 e intitolato "Un catalizzatore, non una cura", nel quale si sottolineava il valore di stimolo dei Giochi Olimpici, da non considerarsi invece una "panacea" di tutti i mali della Cina.

Da qui l’invito a Rogge a entrare nella prigione pechinese per "accertare se il ‘catalizzatore" abbia prodotto realmente qualcosa di positivo". He ha partecipato a vari movimenti di protesta e pro-riformistici, compreso quello di piazza Tienanmen del 1989. È detenuto dal novembre 2002 per aver firmato una lettera aperta, inviata al XVI Congresso del Partito Comunista, in cui chiedeva mutamenti politici per l’introduzione della democrazia.

Un anno dopo fu condannato alla reclusione per ‘incitamento alla sovversione del potere statale, accusa ambigua utilizzata dal regime della Repubblica Popolare contro tutti gli oppositori.

Iran: guerra alle droghe; 76mila arresti e 181 uccisi nel 2008

 

Notiziario Aduc, 7 agosto 2008

 

Hamid Reza Hassanabadi, capo dei servizi antinarcotici iraniani, ha annunciato che nei primi quattro mesi dell’anno (l’anno persiano inizia il 21 marzo) sono stati arrestati in 896 operazioni 76mila trafficanti e spacciatori di sostanze stupefacenti. Hassanabadi ha anche aggiunto che nelle ultime due settimane 36 trafficanti sono stati impiccati, mentre 145 sono morti in conflitti a fuoco con le forze di sicurezza. Negli ultimi quattro mesi sono stati sequestrati 185mila chili sostanze stupefacenti di vario tipo. La Repubblica Islamica è il paese dove transita gran parte dell’oppio prodotto in Afghanistan.

Hassanabadi ha avuto parole molto dure per le forze della Nato presenti in Afghanistan, che a suo dire "non fanno nulla o ben poco per contrastare la produzione e l’esportazione di oppio. L’Iran - ha aggiunto - spende ogni anno oltre 600 milioni di dollari nella lotta contro il narcotraffico". Negli ultimi 30 anni, oltre 3500 agenti del narcotraffico iraniano hanno perso la vita negli scontri con le bande di trafficanti di stupefacenti. Intanto, il sito Tabnak, vicino all’ex comandante dei Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione, attacca duramente il presidente afghano Hamid Karzai, accusandolo indirettamente di essere coinvolto nel narcotraffico.

Secondo Tabnak, il fratello del presidente, Ezzatullah Wasifi, è stato in passato arrestato negli Stati Uniti insieme alla moglie Fereshteh Behbahani per detenzione di stupefacenti. Wasifi, sempre secondo Tabnak, sarebbe a capo "di una delle più importanti bande di narcotraffico del mondo", con un fatturato che "supera mille miliardi di dollari l’anno. Wasifi, attraverso la moglie che risiede a Los Angeles, ha stabilito rapporti anche con clan di narcos latinoamericani", accusa infine il sito.

India: un’interrogazione parlamentare per italiano detenuto

 

Agi, 7 agosto 2008

 

L’On. Elisabetta Zamparutti è la prima firmataria di un’interrogazione ai ministri di Giustizia ed Esteri per Angelo Falcone, imprigionato dal marzo 2007 con l’accusa di traffico di droga.

L’On. Elisabetta Zamparutti, radicale eletta nel Pd, è la prima firmataria di un’interrogazione - sostenuta anche dai deputati Salvatore Margiotta e Antonio Luongo (Pd) - ai Ministri della Giustizia e degli Esteri, per conoscere "la situazione processuale" di Angelo Falcone, un giovane lucano detenuto in un carcere indiano dal 10 marzo 2007 insieme ad un amico, Simone Nobili, piacentino, con l’accusa di traffico di droga.

Lo ha reso noto la stessa Zamparutti, che ha chiesto anche notizie sulle condizioni di salute dei due giovani e "sul tipo di assistenza consolare fornita". L’interrogazione evidenzia che Falcone e Nobili sono detenuti "in condizioni igieniche disperate, hanno più volte contratto l’epatite virale, la dissenteria e altre infezioni.

In particolare - è scritto nella nota - Falcone ha problemi di deambulazione dovuti a dolori alla schiena per l’umidità del pavimento sul quale dormirebbe da 16 mesi insieme ad altri 70 detenuti".

 

 

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