Rassegna stampa 18 agosto

 

Giustizia: "tagli" a sicurezza per 1,7 miliardi di euro in 3 anni

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 18 agosto 2008

 

I tagli della manovra estiva "incidono significativamente sulle dotazioni di bilancio del Ministero dell’Interno". È lo stesso Viminale ad ammetterlo in un documento ufficiale appena pubblicato sul suo sito. Nel 2009 ci sono 413 milioni in meno; l’anno dopo 462 milioni e nel 2011 la riduzione è pari a 798 milioni. Le cifre più preoccupanti riguardano l’attività di polizia, 492 milioni nel triennio, ma anche l’immigrazione perde 90 milioni e il soccorso civile è penalizzato per 86 milioni.

Senza contare la diminuzione del numero di poliziotti. Stando ai calcoli del Silp-Cgil, alla carenza di organico già in corso, pari a 9.030 unità, va aggiunta - per effetto delle ulteriori riduzioni di personale previste dalla manovra una quota pari a 6.689, in totale, nel 2012. In quell’anno, dice il sindacato, rispetto alla pianta organica mancheranno 15.719 uomini, circa il 15%. Certo, a guardarsi indietro, non c’è stato anno che il Viminale non abbia dovuto stringere la cinghia Negli ultimi tempi, i tagli all’Interno sono stati di 275 milioni (legge finanziaria 2002), 114 (2003), 51 (2004), 214 (2005), 300 (2006), 201 (2007) e, appunto, 412 quest’anno.

E poteva andare peggio. Per attenuare un taglio ancora superiore ai 798 milioni nel triennio il ministro Roberto Maroni, come ricorda il documento del Viminale, è riuscito a strappare 200 milioni per esigenze di sicurezza e soccorso pubblico. Ce ne sono poi altri 100 destinati ai Comuni per la sicurezza urbana, da definire in un protocollo con l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani)dopo il decreto che concede più poteri ai sindaci. Previsto infine un fondo unico, stimato in circa 1,5 miliardi, alimentato con i proventi delle confische alla mafia. Anche se ci sono dubbi sull’effettiva disponibilità di queste risorse, oltre che sulla destinazione di somme che dovrebbero andare principalmente alle vittime della criminalità organizzata.

In realtà il dilemma, al Viminale, è sempre il solito. Da una parte, rendere più efficiente un’amministrazione mastodontica ma anche sempre più impegnata. Dall’altra parte, il rischio è di compromettere la capacità di funzionamento.

Ancora una volta è lo stesso ministero a riconoscerlo, nel documento "Funzioni-Risorse" (maggio 2007): "La distribuzione delle risorse secondo il modello organizzativo attuale non risponde in larga misura a parametri di efficacia ed efficienza". E sono le duplicazioni di compiti e di specialità operative tra le forze di polizia uno dei punti sui quali dovrebbe esserci ora un intervento forte (si veda l’articolo in basso). In ogni caso, osserva però il ministero in quel documento, nell’ultimo decennio le riduzioni di risorse "hanno di fatto determinato un vero e proprio blocco operativo con reali difficoltà".

C’è poi una questione annosa, che si ripropone regolarmente. E non è detto che non se ne parli anche stavolta: l’idea è di ridurre i 6.140 presidi dell’Arma presenti sul territorio, di cui 4.632 stazioni, che si affiancano a 1.851 presidi della Polizia, di cui 360 commissariati. Sul presunto numero eccessivo delle stazioni dei Carabinieri è intervenuto perfino il ministero dell’Economia, ai tempi di Tommaso Padoa-Schioppa.

Sul piano pratico, una misura di questo genere è difficile da decidere. Rischia, poi, di essere impopolare per ogni comune interessato e controproducente sul piano politico. Oltre che discutibile, visto il ruolo di presidio e di "garanzia sociale" che l’Arma svolge nei piccoli e piccolissimi comuni. È possibile che alla fine non se ne faccia niente. Ma l’argomento, finora, non si è mai prescritto.

La manovra estiva non prevede interventi sugli organici ufficiali delle forze dell’ordine - i tagli denunciati dai sindacati sono l’effetto sul turnover - escluse dal riassetto della pubblica amministrazione. Nella riorganizzazione sono invece ricomprese le prefetture, quasi a scindere, in modo singolare, le due anime del Viminale. È probabile, semmai, che la revisione più volte annunciata della polizia locale possa ripartire i compiti e attribuire alcune funzioni svolte finora da Polizia di Stato e Carabinieri.

Il ministro Maroni, poi, più volte ha sostenuto che i tagli "sono l’occasione per rendere più efficiente il modello attuale". Fino ad affermare che "è necessario riflettere su un sistema di sicurezza con due forze di polizia a competenza generale". È una suggestione non da poco, ma il punto di verità non si farà adesso. L’architettura di Arma e Polizia potrebbe modificarsi "con l’attuazione del federalismo" come ha spiegato il ministro. Se ne riparlerà in autunno.

Giustizia: basta chiamarci sceriffi è la gente che chiede ordine

di Enrico Bonerandi

 

La Repubblica, 18 agosto 2008

 

Flavio Tosi, sindaco di Verona, ha letto l’articolo dell’Indipendent?

"Mi hanno riferito. Noi copiamo gli anglosassoni e quelli ci prendono in giro? I bobbies hanno poteri che i nostri vigili si sognano".

 

Lei ha già emesso parecchie Ordinanze. Quella che multa i clienti delle prostitute....

"Cinquecento euro, altro che i 36 previsti prima per intralcio alla circolazione".

 

Contro l’accattonaggio e i lavavetri…

"Si è ripulito il centro. Confisca dei soldi e 100 euro di multa".

 

Vietato mangiare e bere vicino ai monumenti…

"E un’ordinanza complessiva per il decoro. Girare a torso nudo, lavarsi nelle fontane, accamparsi nei giardini...".

 

Consumare alcolici fuori dalle pertinenze dei bar…

"Mica si può andare in giro con la bottiglia".

 

Le panchine con i braccioli centrali…

"Così la vergogna di gente che ci dorme l’abbiamo eliminata".

 

Dicono che multate anche i bambini che fanno merenda e che avete bloccato la circolazione notturna in una zona dove si incontravano i gay…

"Cretinate. Multiamo i genitori, non i bambini. E via Basso d’Acquar era invasa da prostituti".

 

Insomma, le sue Ordinanze ci volevano?

"Fioccano anche nelle città amministrate dalla sinistra, è la gente che le vuole".

 

Col rischio a volte di finire nel ridicolo?

"Mah! Magari qualcuno ordina cose stravaganti, ma è raro. Ci vorrebbero ancora più poteri localmente".

 

Per esempio?

"La possibilità di sbattere dentro per 24 ore chi si rende responsabile di comportamenti molesti. Il vandalo, l’ubriaco. Ogni città ha i suoi disturbatori fissi. Mica tanti, ma molto rompicoglioni. Se cominci a metterli in cella, la prossima volta ci pensano due volte".

 

Non è che ci state prendendo gusto, voi sindaci-sceriffi?

"Ma no, un sindaco ha tante cose a cui pensare, altro che girare con la stella sul petto".

Giustizia: Independent; in Italia i sindaci proibiscono di tutto

 

La Repubblica, 18 agosto 2008

 

"Cari turisti, state attenti in Italia: se esiste qualcosa di divertente, c’è una legge che la vieta". Non bastavano le scottature, le meduse, la crisi economica: il Paese della tolleranza zero rende la vita difficile agli stranieri. L’Independent on Sunday ora avverte che la nostra è diventata la terra dei divieti, ed è bene stare attenti a non sgarrare se si vogliono evitare multe salate.

Sì, perché, per il quotidiano di Londra, la tempesta di leggi e regolamenti voluta dai sindaci che hanno avuto carta bianca da Berlusconi in tema di sicurezza, sta "trasformando l’Italia in uno Stato baby-sitter". L’articolo dell’Independent arriva dopo quello del giornale svizzero Le Matin, che ha titolato "L’Italia ha perso la brocca". Spiegando che "i primi cittadini combattono il disordine, e intanto si ha paura che torni il fascismo". E solo l’ultima di una serie di bacchettate che la stampa straniera ha inflitto al Belpaese negli ultimi anni. "Un mafioso in ogni italiano", scrisse il Sunday Times nel 2004. "Addio dolce vita", segnalò l’anno dopo l’Economist.

Ora, l’Independent riassume: "In Italia gli stranieri rischiano di essere multati per aver fatto cose perfettamente legali in qualsiasi altra parte del mondo". E fioccano gli esempi: "A Genova - spiega il corrispondente, Peter Popham - è vietato andare in giro con una bottiglia di vino. A Roma, se ti sdrai sotto un pino o sulla scalinata di Piazza di Spagna per bere o mangiare un sandwich, potresti essere multato".

L’effetto, insomma, è paradossale. "Berlusconi - attacca l’Independent - ha istituito il dicastero per la Semplificazione, mentre il suo ministro degli Interni Maroni dà il permesso ai sindaci di creare una miriade di nuove leggi a livello locale". Il sindaco della capitale Gianni Alemanno si sente attaccato e risponde. "L’articolo del giornale britannico è delirante". Poi, aggiunge: "Ma è vero che ci vorrebbe un tavolo per rendere più omogenee le ordinanze emesse dai primi cittadini". Ne è consapevole anche Osvaldo Napoli (Pdl), vicepresidente dell’Anci. Che nota: "Agli occhi di chi coltiva lo stereotipo di un paese tutto sole e mandolini, può sembrare stravagante trovarsi di fronte al divieto di fare schiamazzi notturni".

Eppure, segnalavano anche altri giornali inglesi, da noi il clima è cambiato. Il Times ieri titolava: "Perché l’Italia odia così gli zingari?". Per non parlare della caccia alle streghe contro i mendicanti. "A Firenze - rileva ancora l’Independent - è illegale pulire i vetri". Mendicare è oramai vietato ovunque, pure nella patria di San Francesco, il poverello di Assisi. A Roma, una legge contro chi rovista contro i cassonetti è stata bloccata solo dalle proteste della Comunità di Sant’Egidio.

In spiaggia, poi, il relax è impossibile. L’Independent segnala che a Olbia i fumatori rischiano multe di 360 euro, "mentre su scala nazionale sono stati vietati i massaggi". A Eraclea, Venezia, i genitori devono tenere d’occhio i loro bambini: i castelli di sabbia sono vietati perché ostruiscono il passaggio lungo la battigia. Lontano dall’acqua, la situazione non migliora. A Novara due persone possono sedere su una panchina di un parco, ma se una terza si unisce a loro dopo le 23 scatta il divieto. via i lucchetti dell’amore: a Firenze scatta l’ultimo giro di vite.

Sono stati rimossi dai vigili urbani i lucchetti dell’amore appesi dagli innamorati di tutto il mondo agli anelli d’acciaio delle catene che separano il Lungarno dalla terrazza che affaccia sul fiume davanti al cortile degli Uffizi. È il risultato delle nuove disposizioni sul decoro urbano varate dall’amministrazione comunale.

Giustizia: Radicali; carceri sono un inferno a rischio di rivolta

 

L’Unità, 18 agosto 2008

 

Alla ripresa di settembre i parlamentari "devono affrontare di petto" i problemi delle carceri visto che la situazione in cui versano gli istituti penitenziari italiani "rischia in breve tempo di degenerare in proteste, sommosse e rivolte, soprattutto se si peggiorerà la Legge Gozzini che fino ad oggi ha dato una speranza ai detenuti".

Lo sostengono i Radicali, tirando le somme della mobilitazione di questi giorni che li ha portati in visita in diverse carceri italiane. Un giro di orizzonte che ha permesso di constatare come non ci sia solo il problema del"sovraffollamento" ("12.000 persone detenute in più rispetto alla capienza regolamentare"), ma anche quello del "cronico sottodimensionamento del personale di Polita Penitenziaria, carente di cinquemila agenti rispetto all’organico".

Lavoratori, hanno spiegato i Radicali, che "svolgono le loro delicate mansioni in condizioni di stress indicibili" e che sono "pagati con una cifra ridicola che varia dai 6 agli 8 euro all’ora" per le loro ore di straordinario. Le galere italiane, segnalano inoltre i Radicali, sono "luoghi infernali dove sempre di più sono segregati extracomunitari che difficilmente riescono ad ottenere il giusto diritto alla difesa".

La segretaria di Radicali Italiani Antonella Casu ha ringraziato poi tutti i parlamentari che hanno partecipato all’iniziativa e li ha invitati ad organizzarsi come primo nucleo di deputati e senatori che, alla ripresa dei lavori di Senato e Camera, si adoperino nelle Commissioni e in Aula per affrontare subito l’emergenza carceri.

Giustizia: Radicali; nuovi rapporti visite carceri a Ferragosto

 

Agenzia Radicale, 18 agosto 2008

 

Perugia: carcere sovraffollato, ma con padiglione inutilizzato

 

Questa struttura, pur ultimata, per anni è rimasta inutilizzata. Un carcere costruito con moderni criteri, dotato di tutte le necessarie e moderne infrastrutture, "semplicemente" chiuso. Per alcuni anni l’unico uso che si è fatto di quel carcere è stato farne la sede del processo per il delitto di Mino Pecorelli, che vedeva imputato, tra gli altri, il senatore Giulio Andreotti.

Dopo decenni, la situazione è a dir poco paradossale. Solo uno dei due padiglioni è operativo e ospita 243 detenuti - in celle che originariamente concepite per un detenuto ne ospitano due - mentre l’altro padiglione è chiuso per mancanza di personale penitenziario. Secondo la pianta organica dovrebbero essere assegnati 339 agenti, in realtà sono operativi 246 agenti, con tutte le conseguenze del caso, sia per quanto riguarda la sicurezza, che le iniziative per il reinserimento e la socializzazione del detenuto e il suo recupero. Iniziative che sono le prime a essere penalizzate.

Una carenza di personale che di fatto obbliga il personale a pesanti turni e a lavoro straordinario. Se, infatti, il personale si attenesse solo a quello che prevede il contratto di lavoro, immediatamente la situazione del carcere di Perugia diverrebbe ingovernabile e ingestibile.

 

Viterbo: sovraffollamento, 41-bis, suicidi, carenza di personale

 

Stesso discorso si può fare per la situazione del carcere di Viterbo, un istituto che dovrebbe ospitare 433 detenuti. Ve ne sono invece 578: 421 "comuni"; 108 sottoposti a regime di "alta sicurezza"; 49 sottoposti al regime 41-bis. Nel carcere di Viterbo inoltre si sono registrati nel solo 2008 due suicidi. Quello di Claudio Tomaino, accusato della strage di Caraffa (nella quale vennero uccisi lo zio, la zia e due cugini) e quello di Mihai, un giovane romeno, che doveva scontare una breve pena per una tentata rapina. Nel carcere di Viterbo, secondo i dati che abbiamo acquisito, i condannati con sentenza definitiva sono 319. Gli altri sono in attesa di giudizio o appellanti. I tossicodipendenti sono 170, e solo 15 sottoposti a trattamento metadonico. Per gli altri ci si affida alle strutture del carcere, che sono quelle che sono.

Per quanto riguarda il 41bis, fatta salva la buona volontà dell’amministrazione penitenziaria, si ricava la conferma si tratta di un regime di "tortura democratica", incompatibile con quanto prescrive la Costituzione. Non c’è dubbio che le esigenze della sicurezza vanno garantite e tutelate, ma questo deve avvenire senza che il detenuto sia annichilito. Quale che sia il reato di cui si è macchiato, si tratta comunque di una persona titolare, come tutti, dei diritti garantiti dalla Costituzione.

Da questa come da altre visite, si ricava che i problemi del carcere sono essenzialmente due: carenza di organici per quel che riguarda la polizia penitenziaria e sovraffollamento dei detenuti. Se invece di misure demagogiche come la dislocazione dei militari in ogni città italiana, si "investisse" nelle carceri, si provvedesse a rinforzare gli organici della polizia penitenziaria, assicurare un’adeguata rete ausiliaria costituita da medici, personale infermieristico, psicologi, educatori, assistenti sociali (spesso ci si affida al solo cappellano) e si cominciasse a creare una "rete" di reinserimento per il detenuto, anche le esigenze legate alla sicurezza ne ricaverebbero un indubbio beneficio.

 

Bolzano: carcere vecchio e affollato, senza attività educative

 

Un carcere sovraffollato - ci sono 134 detenuti a fronte di una capienza prevista di 80 - con un’assistenza sanitaria inadeguata (presenza fissa del medico dalle 13 alle 22 e la domenica dalle 10 alle 19), nemmeno un fazzoletto di verde, spazi angusti e assenza di locali per attività educative.

Questo è il quadro tracciato da Donatella Trevisan, Elena Dondio e Achille Chiomento dei Radicali, dalla deputata del Pd Luisa Gnecchi e dalla capogruppo del Pd a Bolzano Franca Berti dopo la visita, il giorno di Ferragosto, alla Casa Circondariale di via Dante.

Le critiche più dure sono venute dalla radicale Donatella Trevisan. "È un carcere vecchio, costruito nel 1843, e fatiscente, con piccole celle che ospitano 4, 6 o persino 8 detenuti". "Sono gli stessi detenuti - sottolinea la Trevisan - che devono provvedere direttamente alle pulizie, quindi ci sono celle più e meno pulite e in ordine. Tutte, in ogni caso, sono anguste, con i servizi divisi da un separé da un piccolo angolo cottura".

C’è, poi, il problema della dipendenza da stupefacenti, che renderebbe necessaria la presenza di un medico tutto il giorno. Non è, invece, così. "Una percentuale consistente di detenuti - sottolinea la rappresentante dei radicali - è costituita da tossicodipendenti, una parte dei quali, sebbene non consumino più droga, seguono un trattamento farmacologico.

Servirebbe, pertanto, un’assistenza sanitaria 24 ore su 24. La notte, che è il momento più critico soprattutto per i detenuti con problemi depressivi, il servizio è scoperto. Nel carcere manca personale e venti agenti della polizia penitenziaria, complici gli affitti troppo elevati in città, sono costretti ad alloggiare in caserma. Si può e si deve fare qualcosa a breve per migliorare la situazione".

Luisa Gnecchi, deputato del Pd, ritiene sia necessario spingere sull’acceleratore per costruire il nuovo penitenziario in zona Agruzzo. "Con il precedente Governo i colloqui erano ben avviati e Bolzano era tra le prime città italiane in lista d’attesa. La Provincia sta spingendo da tempo in questa direzione e ha dato la sua massima disponibilità al Governo.

Il nuovo carcere è assolutamente necessario. Per quanto attiene i detenuti ritengo positiva l’attività di formazione professionale che impegna molti di essi. Dobbiamo dare loro la possibilità di reinserirsi, una volta usciti, nel mondo del lavoro". Franca Berti ha ribadito l’assoluta mancanza di spazi per svolgere attività educativa all’interno della casa circondariale di via Dante.

"Il nuovo carcere - ha sottolineato - è una priorità. Lavoro all’interno di questa struttura da 27 anni e si discute della necessità di trasferirla altrove da 25. Le mura grigie, dall’interno, assomigliano a quelle della vecchia gabbia dell’orso Pippo, sui prati del Talvera".

 

Sassari: in carcere è obsoleto, serve una nuova struttura

 

Come da tradizione nel giorno di Ferragosto i Radicali organizzano manifestazioni politiche sui temi che "non vanno in ferie", tra i quali c’è sicuramente quello relativo alla situazione delle carceri italiane. Quest’anno si è svolto un monitoraggio per conoscere la realtà della situazione penitenziaria dopo l’indulto, cui peraltro non hanno fatto seguito le riforme procedurali e penali necessarie ad evitare che i problemi di sovraffollamento si ripresentassero. A Sassari la visita al carcere di San Sebastiano si è svolta, dalle 9.30, grazie alla presenza di Guido Melis, deputato sassarese del Partito Democratico e membro della commissione Giustizia della Camera. Nella delegazione c’era anche Irene Testa, presidente nazionale dell’associazione Detenuto Ignoto, Tiziana Marranci, dell’associazione radicale di Sassari e Franco Uda, presidente regionale dell’Arci. Una visita attraverso la quale è stata rilevata ancora una volta la necessità di avere in tempi brevi la nuova struttura penitenziaria. L’antico edificio di via Roma ha infatti le solite e ben note carenze.

 

Lucca: il carcere di S. Giorgio affollato a livello di allarme

 

La situazione del carcere di San Giorgio: è tornata a livelli di allarme. Gli agenti fanno il possibile, ma sono sotto organico. In aggiunta, dopo l’effimero effetto indulto, durato non oltre diciotto mesi, il numero dei detenuti è tornato a superare la capienza massima, prevista in cento detenuti. Che adesso sono circa 150, stipati in celle di pochi metri quadrati, spesso in quattro persone. Almeno il 70 per cento è extracomunitario, in carcere per immigrazione clandestina o spaccio di stupefacenti. È evidente che la carcerazione non è la soluzione, non dovrebbe essere loro consentito di sbarcare e divenire facile preda della criminalità locale, che li sfrutta e li utilizza, trasformandoli a loro volta in delinquenti. Interesserò della questione i parlamentari locali e i rappresentanti di governo. Ma anche le fondazioni bancarie e gli enti locali, a partire dal comune possono aiutare, organizzando iniziative mirate al recupero di chi non vuol ridurre la propria vita ad entrare ed uscire dal carcere. Le statistiche dicono che purtroppo i detenuti che ritornano a delinquere sono moltissimi.

Giustizia: Sappe; da settembre nuove politiche penitenziarie?

 

Comunicato stampa, 18 agosto 2008

 

"Siamo indubbiamente soddisfatti che molti esponenti politici, di maggioranza ed opposizione politica, abbiamo accolto l’invito del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria ed hanno portato, il giorno di Ferragosto, la loro vicinanza e solidarietà all’Istituzione penitenziaria e in particolare alle donne ed agli uomini della Polizia penitenziaria, che hanno lavorato e lavorano con estreme difficoltà ma con alto senso del dovere e professionalità nelle carceri per adulti e minorenni del Paese.

Chiedemmo di trascorrere qualche ora in carcere per portare solidarietà ai poliziotti penitenziari, a chi svolge un lavoro duro, difficile e ancora poco conosciuto, e questa nostra richiesta è stata accolta, dando modo di constatare la drammaticità che caratterizza oggi le carceri del Paese, tanto più in un periodo come questo che si caratterizza per un elevato sovraffollamento di detenuti (più di 55 mila presenti, a fronte di un numero di posti letto di poco superiore a 42mila) in costante crescita. Il nostro auspicio è che queste autorevoli visite in carcere non restino "senza conseguenze" ma a settembre Governo e Parlamento si impegnino concretamente, anche con il coinvolgimento del Sindacato della Polizia penitenziaria, per mettere in cantiere finalmente nuove politiche penitenziarie per il Paese".

È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, alle visite nelle carceri italiane di molti esponenti politici nel giorno d Ferragosto.

"Credo che dopo il "Ferragosto alternativo in carcere" dei molti esponenti politici che hanno raccolto le sollecitazioni del Sappe Governo e Parlamento debbano adottare nuove politiche penitenziarie per il Paese, visto il fallimento di quelle attuali come emerge impietosamente dai numeri, e prevedere nella prossima Finanziaria lo stanziamento di fondi per il "sistema carcere". Sono oltre 55mila i detenuti presenti nei 205 penitenziari italiani (Case circondariali, di reclusione, istituti per le misure di sicurezza) a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti. E sul fronte Personale che lavora nelle carceri i dati sono altrettanto allarmanti. La differenza tra il Personale di Polizia Penitenziaria effettivamente in forza e quello previsto registra una carenza di 4.694 Agenti uomini e 352 Agenti donne. Riteniamo dunque che per risolvere queste gravissime criticità il Governo Berlusconi debba riservare appositi fondi nella prossima Finanziaria per il "sistema carcere". Non solo. Riteniamo debba essere l’intero Parlamento a porre la questione penitenziaria tra le priorità d’intervento, prevedendo tra l’altro una modifica del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando però a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale.

Prevedendo, ad esempio, che coloro che hanno pene breve da scontarsi siano impiegati in lavori socialmente utili all’esterno del carcere, senza cioè la loro presenza fisica in carcere ma - con l’introduzione del sistema di controllo del braccialetto elettronico in dotazione al Corpo di Polizia penitenziaria - nel circuito dell’area penale esterna. La metaforica "pacca sulla spalla" che molti politici hanno dato nel giorno di Ferragosto alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria che lavorano nelle carceri del Paese deve dunque prodursi, come auspichiamo, in concreti interventi legislativi per deflazionare i sovraffollati penitenziari italiani.

Giustizia: Anfu; più esecuzione penale in misura alternativa

 

Comunicato stampa, 18 agosto 2008

 

"Troviamo assolutamente condivisibile la posizione del Sindacato maggiormente rappresentativo di Polizia Penitenziaria Sappe circa lo spostamento di parte dell’esecuzione penale dai penitenziari ad altri contesti a questo alternativi. È una considerazione sinonimo di una attenta valutazione del futuro scenario in cui ci troveremo ad operare, attesa l’attuale presenza di più di 55mila detenuti che determina l’attuale sovraffollamento delle carceri nazionali.

Tali futuri contesti di potenziamento dell’area penale esterna, per essere funzionali, non possono prescindere da primarie analisi nonché confronti lungimiranti che tengano conto di tutte le componenti in gioco. Il nostro auspicio è che l’invito ad un incontro urgente con il Ministro della Giustizia Angelino Alfano possa essere in breve accordato prevedendone l’estensione anche all’Associazione nazionale dei funzionari del Corpo di Polizia penitenziaria, che nei prossimi giorni lo richiederà formalmente."

A dichiararlo è il commissario Mariano Salvatore, segretario nazionale dell’Anfu - Associazione nazionale dei Funzionari della Polizia Penitenziaria, in relazione alle dichiarazioni dei giorni scorsi del Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria Sappe con cui è stato chiesto al Ministro della Giustizia Angelino Alfano un incontro nei primi giorni di settembre sul futuro professionale del Corpo.

Salvatore prosegue: "Si ritiene che per lo scenario futuro, nel recente passato, siano state varate leggi inopportune che pur coinvolgendo la medesima amministrazione hanno iniquamente valorizzato tutte, o quasi, le categorie che ne fanno parte ad eccezione della sola Polizia Penitenziaria che vanta un organico di circa 42.000 unità a fronte dei circa 46.000 dipendenti dell’intera e multi professionale amministrazione penitenziaria. L’Anfu rivendica il ruolo e la posizione dei vertici del Corpo di polizia penitenziaria da sempre propulsore instancabile della corretta gestione dell’esecuzione penale ma sino ad oggi sempre adombrato da altre professionalità. È impensabile, soprattutto se sullo sfondo appaiono nuovi contesti, che per la loro tipicità rientrano nelle esclusive competenze di una forza di polizia, non prevedere, nell’immediato, una completa rivisitazione dell’intera Amministrazione penitenziaria che passi attraverso la riorganizzazione del Corpo di polizia penitenziaria affinché esso possa finalmente contare su una dirigenza propria, numericamente adeguata e soprattutto scelta, nell’immediato, fra tutti coloro che oggi ricoprono incarichi direttivi."

Lettere: Palma; è "garante dei detenuti" solo se indipendente

di Mauro Palma (Presidente del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura)

 

Ristretti Orizzonti, 18 agosto 2008

 

C’è un po’ di confusione nella discussione italiana sulla figura del "garante delle persone private di libertà", di cui da tempo si è avviata una sperimentazione a livello locale, grazie all’impegno di comuni, province, regioni. Esperienze positive, ma limitate perché prive di una normativa nazionale che dia a tale figura autorevolezza, indipendenza e incisività.

Infatti i garanti, a qualsiasi livello nominati, visitano quasi sempre soltanto gli istituti penitenziari - non essendo previsto il loro ruolo in altre strutture, da quelle di polizia o dei carabinieri, ai centri per immigrati - e soprattutto li visitano grazie a un’autorizzazione delle competenti autorità, per appuntamento e spesso accompagnati; o altrimenti in base alle regole per l’accesso in carcere dei volontari. Ben lontani, quindi, dal ruolo di supervisione indipendente previsto in altri paesi. Il rischio è che un’esperienza pilota, avviata per dare indicazioni per una normativa nazionale, finisca col retroagire negativamente incardinando una figura debole di mero affiancamento dell’amministrazione.

Di questo sono ben consapevoli molti degli attuali garanti, che da tempo spingono per una legge specifica, in coordinamento con Antigone che ne lanciò la proposta, ormai undici anni fa.

Non tutti però. Ad alcuni sembra bastare questa immagine debole, unita a un po’ di visibilità nel mondo politico. E qui si annida la confusione dei ruoli. Riporta il giornale La Sicilia del 7 agosto che il garante dei detenuti dell’isola ha chiesto informazioni circa il gravissimo caso di abusi e violenza ai danni di un giovane ristretto nel carcere di Catania, perpetrati da altri detenuti come punizione per la sua presunta omosessualità.

Il garante - dice il giornale - "ha chiesto delle dettagliate notizie al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria" e quest’ultima "ha attestato che nessun episodio di violenza sessuale con le caratteristiche descritte dai servizi stampa si è mai verificato, nel periodo di tempo indicato". Pertanto "sulla base delle esaurienti ed immediate informazioni ricevute, il garante ha ritenuto di non dovere attivare alcuna iniziativa di sua competenza".

Non sembra certo un brillante esempio di indipendente accertamento: se si tratta di chiedere alle autorità e di accoglierne le conclusioni senza alcuna ulteriore indagine autonoma, non si vede proprio quale sia il bisogno di tale figura. Si resta poi perplessi nel notare che tale garante è attualmente senatore - del Pdl, ma questo poco importa - perché tale figura dovrebbe essere indipendente dal potere politico e come tale essere percepita da detenuti e osservatori. In particolare, dagli organismi internazionali che devono valutare la qualità della supervisione, appunto indipendente, di luoghi di per sé mai così trasparenti.

Quest’anno il Comitato europeo che supervisiona i luoghi di privazione della libertà in Europa - qualsiasi sia l’autorità da cui dipendono - visiterà l’Italia: tempi, istituti, casi in esame non sono noti perché le visite non sono annunciate e l’accesso a documenti e persone è autonomo e non limitabile: un modello per gli stati sulle norme che devono regolare le proprie indipendenti autorità. Un modello anche per l’Italia, per evitare organismi inutili o imbarazzanti.

Lettere: dai volontari di Porto Azzurro in difesa della Gozzini

 

Ristretti Orizzonti, 18 agosto 2008

 

L’Associazione Volontariato Carcere "Dialogo" di Portoferraio che da decenni si occupa dei reclusi all’interno e all’esterno della Casa di Reclusione di Porto Azzurro e il Centro Interculturale "Samarcanda" di Piombino che dall’inizio di quest’anno svolge attività di volontariato nella stessa struttura carceraria, aderiscono all’appello della redazione di Ristretti Orizzonti contro la proposta di legge presentata in Parlamento da deputati della maggioranza di governo tendente a modificare in modo restrittivo e quindi a svilire la legge Gozzini.

I presidenti delle due associazioni, Licia Baldi e Vittorio Pineschi, e tutti i volontari vedono in questo tentativo un inasprimento della situazione carceraria già di per sé aggravatasi, dopo la parentesi indulto, con il ritorno al sovraffollamento e che vede nei detenuti stranieri un’altissima percentuale. Una presenza, quest’ultima, che sicuramente tenderà ad aumentare con l’applicazione rigida della legge Bossi-Fini e con la guerra dichiarata da questo governo ai cosiddetti "clandestini".

Le due associazioni, per l’esperienza diretta acquisita nel loro impegno di volontariato, ritengono invece che la Riforma penitenziaria del 1975 e la legge "Gozzini" vadano applicate meglio e più efficacemente, col potenziare l’area educativa e trattamentale, aumentando le misure alternative e istituendo un periodo di preparazione e di accompagnamento per chi, scontata la pena, ritorni libero.

Sono cioè convinte che si debbano spendere energie e risorse finanziarie su educatori, psicologi, scuola, cultura, lavoro, perché siano forniti gli strumenti necessari e indispensabili per un’azione tesa alla riabilitazione e al reinserimento della persona reclusa, coniugando a una decisa affermazione della legalità e della giustizia un autentico senso di umanità e di rispetto per la persona, anche se detenuta.

La flessibilità della pena ed i benefici previsti dalla "Gozzini" tendono a rendere il reo più consapevole e responsabile, attraverso la gradualità degli interventi, ad accompagnarlo verso un reinserimento sano e onesto, con vantaggio per tutta la società. Ogni reinserimento riuscito è una scommessa vinta, ogni recidiva è un fallimento per tutti.

L’inasprimento delle pene e la restrizione dei benefici, al contrario, non può che peggiorare la vita del carcere e riportarlo a quei gravi fenomeni che lo caratterizzavano prima degli anni 70-80 (rivolte, autolesioni, omicidi, suicidi), che si sono notevolmente attenuati dopo la Riforma, anche se recentemente si notano segni di regressione e di crescente disagio.

Noi tutti volontari che operiamo nel Carcere di Porto Azzurro concludiamo questo nostro appello auspicando il profondo rispetto del dettato costituzionale (art. 27 della Costituzione italiana) e dello spirito riformatore di legislatori esperti e lungimiranti che hanno tentato di cambiare il carcere e in parte ci sono riusciti, anche se ci rendiamo conto che la politica repressiva è più facile da esercitare e più fruttuosa a fini elettoralistici, così come il chiuderli tutti dentro e buttare via la chiave. Alle istituzioni e al contesto sociale intero è rivolto il nostro appello, in nome della civiltà.

 

Associazione Volontariato Carcere Dialogo

Centro Interculturale Samarcanda

Liguria: un dossier sulle carceri regionali, per il Parlamento

 

Secolo XIX, 18 agosto 2008

 

A Ferragosto resto al mio posto. Roberto Cassinelli non si è preso una pausa dal suo ruolo di deputato neanche il 15 di agosto e, nella mattinata di venerdì, si è presentato davanti ai cancelli del carcere di Chiavari per valutare le condizioni di vita e di lavoro all’interno del penitenziario.

Il deputato genovese, membro della commissione Giustizia di Montecitorio, sta lavorando ad un dossier sulla situazione delle carceri in Liguria: "Ho pensato che anche un piccolo penitenziario meritasse attenzione e così mi sono presentato per una visita - ha spiegato Roberto Cassinelli -. Un politico deve pensare a chi lavora e a chi è detenuto anche quando tutti vanno in ferie".

Anche nel carcere di Chiavari non mancano le problematiche: "Lamento la carenza di organici della Polizia Penitenziaria - denuncia il deputato Pdl - qui come altrove questi preziosi servitori dello Stato sono soggetti a condizioni di lavoro faticose e proibitive. Garantisco che anche le condizioni di Chiavari, la cui situazione è comunque ben migliore rispetto alla media delle carceri italiane, saranno annotate nel dossier sulle carceri liguri che porterò alla Camera". Il tour nei penitenziari dell’onorevole Cassinelli proseguirà al carcere femminile di Pontedecimo.

Verona: Valdegamberi; finanziati 4 progetti per i detenuti…

 

Regione Veneto, 18 agosto 2008

 

Quattro importanti progetti veronesi, che riguardano gli istituti penitenziari e che hanno finalità educative, sono stati finanziati dalla Giunta regionale che, su proposta dell’Assessore alle Politiche Sociali, Stefano Valdegamberi, ha approvato un riparto complessivo per tutto il Veneto. A Verona sono stati assegnati quasi 74 mila euro che consentiranno la realizzazione del Progetto Carcere 663 Acta Non Verba di Verona (22.379 euro); di quello dell’Associazione La Libellula di Villafranca (22.857 euro); di quello dell’Istituto Salesiano Don Bosco - San Zeno di Verona (6.288 euro); e di quello dell’Associazione Iride Onlus di Legnago (21.968 euro).

"Questi progetti - sottolinea Valdegamberi - sono quelli che maggiormente traducono in azioni operative i nuovi obbiettivi regionali previsti anche dal recente Protocollo rinnovato tra Regione e Ministero, vale a dire acquisizione di competenze lavorative, esercizio di diritti e doveri di cittadinanza, supporto al rientro in patria dei detenuti stranieri privi del permesso di soggiorno, costruzione di percorsi di accompagnamento per il reinserimento sociale".

"Con questo provvedimento - aggiunge Valdegamberi - abbiamo anche posto una particolare attenzione alla tutela dei minori come, in questo caso, i figli di madri detenute. Da un punto di vista generale - aggiunge l’Assessore - il sostegno delle iniziative educative destinate ai detenuti vede il costante impegno della Regione, con l’obbiettivo di recuperare la persona detenuta e di reinserirla nel lavoro e nella società civile". Con questo scopo, negli ultimi 7 anni, la Regione ha stanziato 3 milioni di euro, la maggior parte dei quali con fondi propri, coinvolgendo la totalità delle carceri venete e attuando 215 progetti rivolti a oltre 40 mila detenuti.

Immigrazione: appello del Papa; fermiamo il nuovo razzismo

 

La Repubblica, 18 agosto 2008

 

"È tempo ormai di fermare le nuove forme di razzismo e di intolleranza che vanno sempre più emergendo in tante parti del mondo". Monito di papa Ratzinger contro "ogni forma di discriminazione razziale", lanciato ieri alla preghiera dell’Angelus recitata dalla residenza di Castel Gandolfo. Prendendo lo spunto dalle domenicali letture bibliche, Benedetto XVI ha ricordato a cristiani, credenti, non credenti e uomini di buona volontà il dovere "primario" dell’aiuto per chi soffre, per chi vive nella povertà o è costretto a scappare da guerre, fame e malattie.

Un dovere - ha puntualizzato - che non "ci può non interpellare", ad esempio, nei confronti dei tanti immigrati che cercano rifugio nei paesi dell’Occidente, a partire dall’Italia dove il Papa esercita la sua missione di primate. E forse anche per questo è sembrato che Ratzinger - sebbene indirettamente - abbia voluto in qualche modo rilanciare i richiami fatti recentemente dal settimanale Famiglia Cristiana alla classe politica italiana, invitata ad essere più sensibile ai problemi degli ultimi, paventando persino pericoli di derive fasciste e razziali.

Senza fare riferimento a situazioni specifiche, Ratzinger ha però ricordato che troppe volte ormai il popolo dei migranti è oggetto di discriminazioni inaccettabili. "Si tratta - ha detto - di manifestazioni preoccupanti, legate spesso a problemi sociali e economici, che tuttavia mai possono giustificare il disprezzo e la discriminazione razziale. Serve, invece, una reciproca accoglienza da parte di tutti per chi soffre e vive nel disagio".

Prendendo spunto dalle letture del profeta Isaia e dell’apostolo Paolo sull’accoglienza degli stranieri, il Papa ha sottolineato quanto sia importante "soprattutto nel nostro tempo, che ogni comunità cristiana approfondisca sempre più questa sua consapevolezza, al fine di aiutare anche la società civile a superare ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclusione e ad organizzarsi con scelte rispettose della dignità di ogni essere umano".

Da qui il pressante invito a "pregare Dio perché dovunque cresca il rispetto per ogni persona, insieme alla responsabile consapevolezza che solo nella reciproca accoglienza di tutti è possibile costruire un mondo segnato da autentica giustizia e pace vera". Il Papa ha anche ricordato la recente guerra "lampo" conclusa nei giorni scorsi in Georgia e le tante vittime di incidenti stradali, invitando gli automobilisti "ad osservare una guida sicura e prudente".

"Il Santo Padre, come ha sempre fatto, ha commentato il passo evangelico odierno, dove si parla della Cananea, una ebrea non accettata dal suo popolo. Non ha fatto nessun riferimento specifico legato all’attualità italiana", assicurano in segreteria di Stato, per evitare di inserire l’omelia papale di ieri nelle polemiche politiche esplose intorno al caso Famiglia Cristiana.

"Fa bene il Papa a ricordare al mondo la piaga del razzismo e della discriminazione razziale - avverte il cardinale Julian Herranz, presidente della commissione disciplinare della Santa Sede, secondo il quale "non si può tacere o far finta di niente di fronte alle tante, troppe manifestazioni di intolleranza che stanno emergendo in tante parti del mondo". "La difesa della dignità umana, specialmente per chi vive nel bisogno e della povertà, è un dovere primario al di là di differenze politiche, sociali e religiose. I cristiani è bene che ne tengano sempre conto. Ed il Santo Padre ha fatto bene a ricordarlo", conclude Herranz.

Immigrazione: un appello chiaro, ora mettiamolo in pratica!

di Gian Guido Vecchi

 

Corriere della Sera, 18 agosto 2008

 

"L’appello del Papa chiede ora di essere messo in pratica", il cardinale Dionigi Tettamanzi, nelle parole di Benedetto XVI all’Angelus, invita a cogliere anzitutto l’aspetto della coerenza, a cominciare dai fedeli: la responsabilità di chi regola la propria vita in base a quella che ha più volte definito come la "Carta" dei cristiani, le Beatitudini evangeliche, l’attenzione ai poveri e agli ultimi. L’arcivescovo di Milano è tra i non moltissimi ambrosiani rimasti a presidiare la città di metà agosto, nell’omelia dell’Assunta aveva invitato i fedeli ad "andare controcorrente", a liberarsi dalla "schiavitù della materialità" e "dall’affermazione di un egoismo violento che spegne ogni apertura e sensibilità verso chi è debole e povero", ad essere "ostinati testimoni di speranza".

Così ora misura le parole e spiega: "È da sottolineare, tra l’altro - laddove il Santo Padre parla di "tentazione del razzismo, l’impostazione che ha voluto dare al suo intervento. Egli si rivolge anzitutto alla comunità cristiana affinché sia attenta, vigile e protagonista nell’accoglienza, e al tempo stesso con la sua presenza brilli come segno profetico di comunione e di solidarietà dentro la società". Quando in aprile, dopo lo sgombero di un campo rom, una nota della Curia milanese aveva denunciato che si era scesi "sotto il rispetto dei diritti umani", la faccenda non riguardava gli schieramenti ma, ancora una volta, la famosa "Carta", quel rispetto umano "che imporrebbe qualche tanica d’acqua, del latte per i più piccoli, un presidio medico, una qualche soluzione alternativa", si leggeva.

Il cardinale non ama che le sue parole vengano piegate alla cronaca, interpretate secondo gli schemi della polemica politica. La cosa, a maggior ragione, vale per il Papa e le sue parole sull’intolleranza e il razzismo. "L’insegnamento di Benedetto XVI è rivolto alla Chiesa universale", premette Dionigi Tettamanzi. "Anche a Milano, quindi, ci sentiamo Abbiamo una preoccupazione educativa affinché non prevalga l’istintiva paura nel rapporto con Io straniero, con il diverso interpellati dalle sue parole".

L’essenziale, di là dalle interpretazioni interessate e dalle polemiche, è appunto "mettere in pratica" ciò che il Pontefice ha ripetuto, scandisce l’arcivescovo: "Nella diocesi ambrosiana assistiamo da tempo ad un consistente fenomeno di immigrazione che sta portando da noi un notevole numero di stranieri: nelle nostre parrocchie siamo attivi affinché questi nuovi venuti siano accolti, aiutati nell’inserimento nella comunità cristiana e nella società e non siano oggetto di pregiudizi, anzitutto da parte dei credenti".

Questo è il punto. E l’arcivescovo lo sa bene, è l’esperienza quotidiana del suo episcopato da sei anni a questa parte. L’accoglienza aliena da pregiudizi, considera, "non è una missione facile, anche perché il problema è complesso e la sua soluzione esige saggezza e impegno a rispettare ú insieme ú i diritti dei singoli e della società". In quell’"insieme" c’è il cuore del discorso. La Chiesa sa bene come l’intolleranza verso gli stranieri e i diversi esprima talvolta il disagio di altri "ultimi".

Lo stesso Benedetto XVI ha parlato di "manifestazioni preoccupanti, legate spesso a problemi sociali ed economici, che tuttavia mai possono giustificare il disprezzo e la discriminazione razziale". Di qui la necessità, più volte espressa dal cardinale nei suoi "discorsi alla città" alla vigilia di Sant’Ambrogio, di dare "risposte concrete nel segno della legalità, della sicurezza, dell’accoglienza". L’unica è tenere assieme le tre cose, anche se non è davvero facile.

"Rispettare i diritti dei singoli e della società", il cardinale allarga le braccia: "Non sempre l’azione è coronata da successo. Abbiamo - come primaria - una preoccupazione educativa, affinché non prevalga la paura istintiva: nel rapporto con l’altro, con lo straniero, con il diverso". Qui possono venire in soccorso la responsabilità sociale di tutti e, per i credenti, la coerenza rispetto alle Beatitudini. Nell’ultimo discorso di Sant’Ambrogio Tettamanzi aveva puntato il dito contro "l’incoerenza tra il dire e il fare, uno dei segnali più evidenti dell’individualismo parolaio di chi crede di essere al passo con i tempi e magari si sente moralmente importante, ma solo a parole".

Quanto ai fedeli, ancora risuonano le parole (in apparenza) paradossali che Tettamanzi pronunciò due anni fa, al convegno Cei di Verona: "È meglio essere cristiano senza dirlo che proclamarlo senza esserlo". La coerenza, ancora una volta, "non alla maniera di semplici ripetitori ma di testimoni efficaci". Anche se talvolta esige di pagare un prezzo.

L’alternativa è quella che l’arcivescovo ha descritto a giugno, nella sua ultima lettera pastorale, con parole insolitamente dure: "Non è spontaneo per nessuno rifarsi e ispirarsi allo spirito radicale del Vangelo e c’è per tutti il rischio di chiudersi in una preoccupazione per noi stessi, che ci fa scoprire la più grande miseria morale". Perché "il rapporto con l’altro, lo straniero e il diverso sono temi decisivi", ripete ora Tettamanzi. Come decisive sono le parole di Benedetto XVI, conclude: "Su questi temi, il mio magistero si muove a partire dalla Parola di Dio ed è sostenuto dalla preghiera, così come ci ha insegnato con grande chiarezza e sapienza il Papa nell’Angelus, ed ha come esclusivo obiettivo l’azione pastorale, la crescita nella santità del popolo che il Signore mi ha affidato e l’amore preferenziale per i poveri".

Immigrazione: Giovanardi; fratelli, ma c’è Caino e c’è Abele

di Mauro Favale

 

La Repubblica, 18 agosto 2008

 

"Rischio razzismo in Italia? Ma non scherziamo. Il Papa ha una prospettiva globale, non parlava dell’Italia". Carlo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, non ritiene che il monito lanciato da Benedetto XVI possa avere come bersaglio anche il nostro Paese.

 

Ma condivide la preoccupazione dei pontefice?

"La condivido, certo. Il razzismo è un fenomeno preoccupante".

 

Che non riguarda l’Italia, però, secondo lei?

"No, non ci riguarda. Il Papa non si riferiva al nostro Paese. Non vedo da noi un aumento del razzismo. Sa cos’è che fa veramente la differenza tra le persone?".

 

Cosa?

"Le persone si dividono tra onesti e delinquenti. E i delinquenti possono essere italiani e, purtroppo, anche extracomunitari. Le nostre carceri sono piene per dì detenuti stranieri, questo è un fatto. Sa qual è il mio motto?".

 

Quale?

"Ogni uomo è mio fratello. Però in giro ci sono anche tanti Caino. Ecco, bisogna saper distinguere tra Caino e Abele".

 

Secondo il Papa disprezzo e discriminazione nascono a causa dei problemi legati alle condizioni socio-economiche…

"Questo può avvenire anche tra persone della stessa nazione. Io sono sempre stato democristiano. Penso che chi, altrove, ha provato a combattere le disuguaglianze con sistemi totalitari abbia combinato dei disastri. Noi abbiamo scelto un sistema che ha sviluppato molto benessere ma ha prodotto anche sacche di povertà da affrontare e superare".

 

Benedetto XVI ha parlato di "accoglienza reciproca": è praticabile in Italia?

"E praticabile e noi la pratichiamo. In alcune scuole di Modena, dove vivo, i nuovi iscritti extracomunitari sono l’82%. E un fenomeno che viene vissuto in assoluta tranquillità. Il problema è un altro".

 

Quale?

"Quando in città come Padova o Sassuolo interi quartieri diventano preda di un’unica etnia, la popolazione del posto si sente espropriata. È il comportamento che crea l’intolleranza, non il colore della pelle".

 

Mercoledì Famiglia Cristiana paventava in Italia il rischio di fascismo. Ieri il Papa sul "nuovo razzismo": non vede un legame tra i due interventi?

"Assolutamente no. Sono iscritto all’associazione Italia-Israele da quando avevo 18 anni. Evocare, come ha fatto Famiglia Cristiana, la foto del bimbo ebreo nel ghetto di Varsavia e accostarla all’Italia è una cosa che mi fa urlare di rabbia. Il Papa ha detto cose che aveva già detto un anno fa. E parlava di una situazione globale. Non esiste nessun legame tra i due interventi".

Immigrazione: Pera; il Papa parla del mondo, non dell’Italia

di Antonella Rampino

 

La Stampa, 18 agosto 2008

 

"Tutte le volte che l’ho incontrato, non l’ho mai, sentito parlare dell’Italia in modo particolare. Benedetto XVI è un Papa universale, un teologo. E come tale si esprime. Se elaborasse giudizi politici, non sarebbe il grande Papa che è".

Ratzingerologo di prima fila e di lungo corso, autore con l’allora cardinale del saggio epistolare "Senza radici", e poi della prefazione al libro del Papa, il forzista ex presidente del Senato Marcello Pera condivide, in politica, da sempre le elaborazioni teoriche di Benedetto XVI. Non vede nelle parole dell’ultimo Angelus papalino una stigmatizzazione della politica del governo Berlusconi, proprio all’indomani della polemica inaugurata dal settimanale dei paolini "Famiglia Cristiana", la cui posizione è stata stigmatizzata dalla Santa Sede.

Anche in quel caso, dice Pera, "la nota gli sarà stata certamente mostrata dalla Segreteria di Stato, ma dubito fortemente che il Papa l’abbia ispirata: ha dato il suo benestare, certo. E del resto era una nota di contenimento...".

 

Il Papa ha lanciato un allarme contro il razzismo, anche se motivato - ha detto da ragioni sociali ed economiche. Nel maggio scorso il messaggio alla politica del governo impostata dalla Lega era stato anche più esplicito: "Anche la Sacra Famiglia era di migranti", aveva detto Ratzinger all’indomani dei primo blitz contro un campo di rumeni...

"Il Papa non fa mai osservazioni su questo o quel Paese. Parla di principi e di dottrina cristiana. E ritiene che sia chi lo ascolta a dover tradurre il suo pensiero nelle situazioni politiche particolari. Come infatti avviene".

 

Eppure il Papa ha parlato dopo la violenta polemica che ha investito il settimanale "Famiglia Cristiana", reo di aver accusato la politica del governo di essere razzista, ai limiti del fascismo...

"Famiglia Cristiana ha espresso espliciti giudizi politici, di qui la nota della sala stampa vaticana: c’è il rischio di interferenza. E l’interferenza, poi, significa anche sminuire la dottrina".

 

Rischio al quale però neanche la Santa Sede si sottrae quando, com’è accaduto nel caso di Eluana Englaro, si chiede un intervento politico che blocchi la sentenza di un tribunale italiano…

"C’è un’enorme differenza. Una cosa è dire "rispettate la vita", altro è dire "c’è il fascismo in Italia". Nel caso Englaro c’è un richiamo forte alla dottrina, nel rispetto della vita e della dignità della persona. Nel caso della valutazione critica sull’operato del governo, certamente non è il Papa che esprime giudizi di tal natura. E la sua autorevolezza sta in questo: nell’elevatezza del messaggio, e nell’indicazione a tradurli nella vita quotidiana".

 

Dunque il richiamo al governo Berlusconi c’è?

"La lettura è lasciata a chi ascolta. Ma non vedo nessuno specifico problema italiano che riguardi il razzismo. Quella di "Famiglia Cristiana" è la posizione di un giornale. Si può condividere o meno, ma sono solo opinioni. A me il riferimento al fascismo è sembrato esagerato, un giudizio antistorico. Ma non è un’invadenza, è appunto solo un’opinione. Viziata da un pregiudizio e sbagliata, secondo me".

 

Lei dice che il Papa si occupa della dottrina e parla al mondo. Nel mondo però c’è anche l’Italia. Perché si sente di escludere che Benedetto XVI si riferisse alla politica italiana?

"Che il Papa segua la politica italiana è indubbio, che ne sia informato è altrettanto certo. Ma che nei suoi interventi abbia di mira l’Italia mi pare di poterlo escludere. A parte quella volta che dovette difendersi perché gli venne impedito di parlare all’Università La Sapienza di Roma. Il Papa teme rigurgiti di guerre e di razzismo, di cui il mondo è oggi pieno. Tutti i Paesi sono esposti alle ondate migratorie che, come ha ricordato il Papa, hanno conseguenze sociali ed economiche. In Georgia c’è il rischio di una nuova guerra fredda. I richiami di Benedetto XVI sono quasi dovuti. Ma se il Papa si esprimesse come si esprime "Famiglia Cristiana", non sarebbe il grande Papa che è".

Immigrazione: Confedilizia; affitti a rischio per i "regolari"

 

La Repubblica, 18 agosto 2008

 

L’ultimo appartamento è stato sequestrato qualche giorno fa a Modena: ci abitavano 4 clandestini. Il proprietario rischia il carcere fino a tre anni. Lo inchioda l’articolo 5 del decreto sicurezza, che colpisce chiunque affitti a immigrati irregolari. Una norma applicata massicciamente, dalla sua entrata in vigore a fine maggio. I risultati? Imprevisti: primo, chiusura del mercato immobiliare anche agli immigrati coi documenti in regola (Confedilizia in una circolare ai propri associati denuncia infatti "il problema della difformità temporale tra durata dei titoli di soggiorno e dei contratti di locazione", insomma il permesso scade prima del contratto d’affitto); secondo, affari d’oro per gli speculatori (Caritas avverte: "La legge non scoraggia gli speculatori, anzi gli dà la scusa per aumentare vertiginosamente i prezzi").

Il decreto sicurezza del 23 maggio scorso, convertito in legge il 23 luglio, prevede all’articolo 5 che "chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio a uno straniero, privo di titolo di soggiorno, in un immobile di cui abbia disponibilità, ovvero lo cede in locazione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni". La condanna comporta anche la confisca dell’appartamento. Insomma stop agli affitti ai clandestini. Gli effetti? Immediati.

In due mesi sono una cinquantina gli appartamenti sequestrati in via preventiva ed altrettanti i proprietari denunciati. A partire dalla doppia confisca del 6 giugno a Zingonia e Ciserano, in provincia di Bergamo: due appartamenti affittati a cinque irregolari marocchini, sequestrati dai carabinieri della compagnia di Treviglio. Poco prima, il 30 maggio, analogo sequestro aveva colpito un appartamento a Lido Adriano (Ravenna). Altri interventi sono seguiti a Roma, nel quartiere Tor Bella Monaca (il 10 giugno); a Bergamo (20 giugno); a Torvaianica (21 giugno); a Milano (21 giugno); a Decimomannu, in provincia di Cagliari (21 giugno); ad Ardea (sempre lo stesso giorno); ad Olbia (il 18 luglio).

I sequestri, sulla carta, dovrebbero colpire solo i clandestini e gli speculatori. Ma alla prova pratica, gli effetti sono ben diversi: mercato chiuso anche ai regolari, affari d’oro per gli speculatori. La condizione abitativa degli immigrati regolari non è certo facile. Secondo i dati del rapporto Censis 2006, solo l’11,8% degli stranieri presenti in Italia è proprietario di casa. Oltre il 72% è in affitto, mentre il 16,1% "vive in condizioni abitative precarie". Più precisamente, il 7,5% vive in casa di parenti e amici, il 6,8% è accampato sul luogo di lavoro. Non è tutto. Del 72% di immigrati che stanno in affitto, quasi il 20% si trova in condizioni di "grave sovraffollamento". Una situazione difficile, che il decreto sicurezza rischia ora di aggravare.

A lanciare l’allarme è Confedilizia in una circolare alle proprie Associazioni territoriali: "Sarà più difficile locare in sicurezza agli immigrati regolari. Il problema è infatti rappresentato dalla difformità temporale fra la durata dei titoli di soggiorno e dei contratti di locazione. Ove i titoli in questione siano di durata inferiore a quella minima prevista per i contratti di locazione ordinari (8 o 5 anni), i proprietari di casa possono locare i propri immobili a immigrati regolari senza correre rischi solo utilizzando la formula dei contratti transitori".

Insomma, il problema è che permesso di soggiorno del migrante e contratto d’affitto hanno durata diversa. Può così capitare di affittare a un regolare, che poi diventa clandestino, senza che il proprietario lo sappia. "Non si può demandare ai locatori, quanto spetta alle forze dell’ordine, ossia verificare durata e rinnovo dei permessi di soggiorno - denuncia Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas italiana - il rischio è la chiusura del mercato degli affitti agli extracomunitari". Non solo. "Il decreto sicurezza, anziché dissuadere gli speculatori, sta servendo loro da scusa per far lievitare ancora più i prezzi degli affitti agli immigrati, regolari o clandestini".

Droghe: eroina in "saldo" e due morti al giorno per overdose

di Anna Maria Sersale

 

Il Messaggero, 18 agosto 2008

 

Otto morti per overdose in pochi giorni. E scatta l’emergenza droga. Era già accaduto tra dicembre e gennaio, quando i morti furono undici. Bisogna fare un salto indietro di una ventina d’anni per ritrovare cifre simili. L’eroina ci aveva disabituato a tante morti tutte insieme. Ma adesso dobbiamo stare attenti, l’eroina è tornata a invadere il mercato. Ecco il tragico bollettino di Ferragosto: il 16 di agosto a Martinsicuro, in provincia di Teramo, Pietro P., 35 anni, muore in sella al suo scooter, parcheggiato in una via del centro, con il capo appoggiato al cruscotto.

Alcuni passanti pensano che stia male e si avvicinano. Siringa e laccio emostatico sono segni inequivocabili. Chiamano i carabinieri. Nello stesso giorno, sempre in Abruzzo, a Lanciano, in provincia di Chieti, Giovanni T., 30 anni, di Fara San Martino, viene trovato dal fratello riverso sul divano. A Siena, lutto nella contrada del Nicchio, le bandiere per il Palo dell’Assunta vengono abbrunate: è morto per overdose un trentaseienne. Arrestato il pusher.

Vincenzo P. 48 anni, sulla strada sterrata vicino al fiume Oreto, a Palermo, muore e accanto gli vengono trovate la siringa e l’eroina. È il 10 di agosto. Il 7 di agosto, invece, un romano di 37 anni in un angolo appartato del sottopassaggio pedonale di Acilia si buca e muore. Solo due giorni dopo si scopre il cadavere. Il giorno prima era toccato a un uomo di Avellino, 45 anni, morto a Solofra, trovato dai carabinieri. Una vita spezzata anche a Guardea, in provincia di Terni.

Un ventisettenne muore in casa, dove c’erano anche i genitori. Accade il 5 agosto. Il giorno precedente l’eroina aveva ucciso un trentaquattrenne di Viterbo, Marco M., residente a Monteromano, morto nel parco di Prato Giardino, se ne accorge il personale che al mattino apre i cancelli. Ad Ancona, una giovane coppia, è il 3 di agosto, viene trovata dalla polizia in auto in stato di incoscienza. È overdose, i due vengono salvati.

C’è un fiume di droga a prezzi di saldo. Il costo di una dose di eroina è sceso dai 47 ai 30 e anche ai 20 euro (il ventino in gergo). La cocaina, il cui consumo è sempre in crescita, si attesta tra i 50 e i 60. L’esplosione dell’eroina non è solo legata al surplus dell’oppio afgano, che nel 2007 e nel 2008 ha immesso sul mercato dosi a prezzi stracciati.

"Costano poco più di una pizza", sottolineano gli esperti di Prevo-Lab, un Osservatorio antidroga della Lombardia. Ma il ritorno dell’eroina è anche legato a nuove strategie dei narcotrafficanti e a un cambiamento dei consumi. I giovani la fumano e la inalano. Dopo le droghe eccitanti, ecstasy e coca, hanno bisogno dell’effetto calmante dell’eroina.

"Durante le vacanze aumenta la domanda di droga", avvertono gli esperti. Il mercato è sempre pronto a rifornire, ma aumentano i rischi dei "tagli" fatti male. L’allarme ha riguardato anche la Basilicata, dopo quattro recenti casi di morti per overdose. "Le istituzioni - sostiene Prospero De Franchi, presidente del Consiglio regionale -devono collaborare per strategie di intervento e nuove politiche tese a garantire la riabilitazione e il reinserimento".

Alla riabilitazione e al reinserimento lavora il governo che con la ricostituzione del Dipartimento centrale antidroga non abbassa la guardia sul fenomeno droga. Incostante allerta anche le forze dell’ordine. Nel 2007 sono aumentati i sequestri, con un più 41%, passando dai 1.328 chili del 2006 ai 1.872 del 2007. E questo a fronte di un lieve calo dei sequestri di cocaina.

Perché l’overdose? Si muore quando l’eroina è, come si dice, tagliata male o quando è troppo pura, con un più elevato principio attivo. Il rischio, dunque, viene anche dall’eccesso di purezza, dannoso quanto i tagli "cattivi". Sembra che siano morte per eroina troppo pura almeno tre delle otto vittime del mese di agosto.

L’Italia, come il resto d’Europa, e dell’Occidente, è teatro della feroce guerra che si è scatenata per conquistare i nuovi mercati della droga. È una battaglia a colpi di prezzi: l’eroina, su certe piazze, in mi-nidosi viene venduta anche a cinque euro per sfondare tra i giovanissimi. I narcotrafficanti puntano a espandersi e a trasformare i consumatori occasionali in tossicodipendenti. Alle spalle c’è il boom nella produzione di oppio che nel 2008 dovrebbe avere un calo. "D’estate, così come nei periodi di festa, i tossicomani rischiano di più l’overdose".

Secondo il presidente nazionale della Croce rossa, Massimo Barra, che è stato anche il fondatore di Villa Maraini, "alla droga si aggiunge la solitudine, amplificata per coloro che non conoscono ferie e vivono ai margini della società che ad agosto chiude e va in vacanza". "Non si muore solo di eroina - avverte Carmelo Furnari, tossicologo dell’Università di Tor Vergata di Roma, e consulente di alcune Procure -Anche la cocaina comincia a mietere vittime. I dipendenti da cocaina muoiono per infarto, una morte più difficile da identificare rispetto alla overdose.

Ecco perché il dato è comunque sottostimato. Però va detto che ora nei Pronto Soccorso c’è una maggiore attenzione e che i morti per droga vengono intercettati più che in passato. Quanto alla cocaina, posso dire che i morti stanno aumentando. Ora non ho sotto mano i dati, ma le statistiche che ho elaborato nel 2008 dicono che rispetto allo stesso periodo del 2007 c’è stato un incremento".

Perché l’infarto? "La cocaina è una sostanza che oltre al cervello danneggia il cuore, agisce sulla circolazione sanguigna e può provocare qualche cosa che assomiglia molto all’infarto. Ma ci sono-anche gli effetti a lungo termine, sono quelli che riguardano il cervello, sappiamo che la cocaina provoca allucinazioni e una serie patologie di tipo psichiatrico. Pochi mesi fa ho dovuto fare esami tossicologici sul corpo di un ragazzo morto a diciannove anni. Ebbene, ho accertato che era morto per gli effetti della cocaina. Purtroppo sa salendo il consumo tra le fasce giovanili".

Israele: il Governo Olmert scarcera 200 detenuti palestinesi

 

Ansa, 18 agosto 2008

 

Il governo israeliano di Ehud Olmert ha deciso oggi a larga maggioranza di liberare circa 200 detenuti palestinesi prima del digiuno del Ramadan, che inizierà fra due settimane. Fonti governative hanno spiegato che il provvedimento è stato deciso nel tentativo di rafforzare il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas).

Fra quanti saranno liberati, è stato precisato, figurano anche due reclusi che sono stati condannati a lunghe pene detentive per aver partecipato ad attentati terroristici. Secondo le fonti Israele intende con questo gesto confutare una tesi sostenuta in passato da Hezbollah e Hamas secondo cui lo stato ebraico rilascia detenuti palestinesi solo se costretto con la forza, ad esempio mediante la cattura di soldati israeliani. Da Gaza si è intanto appreso che negli ultimi giorni miliziani palestinesi hanno simulato a Gaza un attacco ad un avamposto israeliano e il rapimento di soldati.

Cuba: meno detenuti ma la situazione dei diritti non migliora

 

Associated Press, 18 agosto 2008

 

Anche se il numero dei detenuti politici è leggermente calato, la situazione dei diritti umani a Cuba non migliora e rimane "sfavorevole" anche dopo due anni di governo del presidente Raul Castro. La denuncia è della Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale, il principale gruppo per i diritti umani dell’isola.

In base alla relazione che la commissione stila ogni due anni, sono 219 i prigionieri politici detenuti a Cuba fino al 20 luglio, una cifra lievemente inferiore in confronto ai 234 detenuti all’inizio del 2008. Il calo è "minimo", ha spiegato nel documento il capo della commissione Elizardo Sanchez. "Due anni dopo alcuni aggiustamenti agli alti livelli di governo, la situazione per i diritti civili, politici ed economici continua a essere molto sfavorevole", ha aggiunto.

Quando Raul Castro ha ereditato i poteri temporanei dal fratello Fidel nel luglio 2006, la commissione registrava 316 prigionieri. Raul ha poi assunto la presidenza in modo permanente a febbraio. Il numero rimane comunque troppo alto, nonostante la costante diminuzione del numero di detenuti politici da quando Fidel Castro ha ceduto il potere al fratello più giovane, secondo il rapporto.

Iraq: Radicali; raggiunto obiettivo moratoria per Tarek Aziz

 

Agi, 18 agosto 2008

 

"L’obiettivo che avevamo, quello di scongiurare la scomparsa definitiva di Tarek Aziz e garantire attenzione internazionale a questa storia, mi pare per ora realizzato". Lo aveva già annunciato, ma questa volta ai microfoni di Radio Radicale Marco Pannella ha spiegato la fine dello sciopero della fame da lui avviato, seguito da decine di militanti nonviolenti e radicali, perché la moratoria delle esecuzioni capitali fosse estesa anche a Tarek Aziz, il vice di Saddam Hussein.

"Quello che noi abbiamo cercato manifestamente e reiteratamente di fare è stato disseppellire un esponente come Tarek Aziz, onoratissimo ai massimi livelli ancora dieci giorni prima dello scoppio della guerra in Iraq, dal Papa, dal Governo, un po’ da tutti quanti, che era sepolto, di cui non si sapeva più nulla".

Numerose le conferme arrivate nel frattempo: Aziz "è detenuto dagli americani e non direttamente dagli iracheni"; "abbiamo verificato che dei suoi due difensori uno è stato assassinato mentre l’altro, scappato in Giordania - aggiunge Pannella - ha avuto garanzie tali che gli hanno permesso di tornare in Iraq; e che un altro avvocato di livello, anche con un’oncia di autonomia rispetto al tribunale ed al potere politico, è anche lui divenuto avvocato di Tarek Aziz".

"Inoltre abbiamo avuto la certezza che, per la fine di agosto, l’imputato avrà l’autorizzazione concreta a poter avere una difesa anche di tipo internazionale, seppure solo sotto forma di consulenza degli avvocati iracheni. Abbiamo ottenuto pienamente ciò che speravamo di ottenere - spiega il leader radicale - ma l’iniziativa ha sollevato pure il problema vero, cioè quello di una inadeguata inattenzione, per non dire totale inerzia, se non forse a livello dell’amministrazione pubblica della Farnesina, del nostro governo rispetto al fatto che la nuova Assemblea Generale dell’Onu, per decisione della precedente, ha il compito di monitorare la situazione di rispetto di questa moratoria che abbiamo conquistato lo scorso anno. L’attività della Farnesina, se non sostenuta da posizioni pubbliche e chiare del Governo e dell’autorità politica, molto difficilmente può essere efficace. Abbiamo la sensazione -conclude Pannella - anche da questo punto di vista, di dover ricominciare da zero. Ma, come accaduto la scorsa volta, non disperiamo".

Stati Uniti: negata la libertà vigilata a uccisore John Lennon

 

Adnkronos, 18 agosto 2008

 

Per la quinta volta il Parole Board ha negato la libertà vigilata per buona condotta a Mark David Chapman, da 28 anni rinchiuso in una cella della prigione di Attica, nello stato di New York. Nei giorni scorsi ai giudici ha ribadito di aver ucciso con "la mente assolutamente lucida".

Mark David Chapman, l’assassino 53enne di John Lennon, si è visto negare per la quinta volta dalle autorità americane la richiesta di libertà vigilata. L’uomo, che la sera dell’8 dicembre 1980 sparò quattro colpi di pistola al cantante dei Beatles a Manhattan, è rinchiuso in una cella del carcere di Attica, nello stato di New York, da ormai 28 anni.

È la quinta volta in otto anni che Chapman si avvale della possibilità di chiedere la libertà vigilata per buona condotta al Parole Board, la commissione competente sulla valutazione del comportamento dei detenuti. Ma per l’ennesima volta nei giorni scorsi il Board gli ha negato questo diritto, motivando la sua decisione con il fatto che far tornare libero Chapman non sarebbe nell’interesse della comunità.

Anche perché negli ultimi anni sono state inviate oltre mille lettere di protesta contro la possibile decisione di scarcerare il killer, considerato ancora una minaccia per la vedova, Yoko Ono, e per i figli del celebre cantante. "Ho paura che Chapman riporti il caos, la confusione e l’incubo - scrisse a suo tempo Yoko Ono in una lettera indirizzata ai giudici - Io e i figli di John non ci sentiremmo più sicuri per il resto della nostra vita". Il killer ha avuto una condotta impeccabile dal 1994.

Ancor prima dell’ennesima decisione del Board di negargli la libertà vigilata, aveva suscitato scalpore tra i fan dei Beatles la notizia, pubblicata da un tabloid di New York, secondo cui l’assassino di John Lennon pur essendo in carcere ha la possibilità da almeno 16 anni, sulla base di uno specifico programma di recupero, di intrattenere relazioni coniugali con sua moglie, Gloria Hiroko Chapman.

Infatti l’uomo gode di un trattamento penitenziario particolare: ha diritto a stare 44 ore consecutive all’anno in una struttura confortevole molto simile a un appartamento piuttosto che a una cella. Una struttura messa a disposizione dell’uomo dallo stesso carcere, senza telecamere o altre misure di sorveglianza. Si tratta di un complesso residenziale che si trova all’interno di un’area recintata. A quanto pare, la signora Chapman, che ora è residente alle Hawaii, può far visita al marito una volta all’anno dal 1992.

Era l’8 dicembre del 1980, quando Chapman uccise il celebre artista dei Beatles. Il killer incontrò Lennon mentre si allontanava dalla sua residenza, il residence The Dakota, di fronte al Central Park a Manhattan. Chapman inizialmente gli aveva stretto la mano e si era fatto fare un autografo sulla copertina dell’ultimo album di Lennon, Double Fantasy.

Secondo la ricostruzione, Chapman era rimasto sul posto per 4 ore in attesa, fino alle 22.50, quando Lennon era rientrato insieme alla moglie Yoko Ono. Chapman lo chiamò, disse "Ehi Mr. Lennon" e poi gli esplose contro cinque colpi di pistola. Uno dei proiettili trapassò l’aorta; Lennon fu dichiarato morto alle 23.09. Al momento dell’omicidio, l’assassino aveva con sé una copia de ‘Il giovane Holden’ da cui dichiarò di essere stato fortemente influenzato.

Per anni l’uomo era stato un fan dei Beatles, e di Lennon in particolare. Nella sua ossessione era arrivato al punto di sposare una donna americana di origine giapponese che gli ricordava in un certo qual modo Yoko Ono. Ma con il tempo si era convinto che Lennon aveva tradito gli ideali della sua generazione e si era sentito investito della missione di punirlo.

Interrogato dai giudici nei giorni scorsi, Chapman ha riaffermato di aver ucciso Lennon con "la mente assolutamente lucida". Questa affermazione ha portato la corte a definire l’assassino come ancora "un possibile pericolo per la pubblica sicurezza", per questo è stato rispedito in prigione fino al 2010, anno in cui potrà riaffrontare un nuovo colloquio.

Il killer del cantante si dichiara un fervente cristiano e un’associazione religiosa ne ha chiesto la scarcerazione. Da anni l’uomo svolge in carcere lavori socialmente utili come assistente bibliotecario e facchino.

 

 

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