Rassegna stampa 20 settembre

 

Livorno: si uccide 28enne polacco; secondo suicidio in 7 giorni

 

Corriere di Livorno, 20 settembre 2007

 

Si è coricato come ogni sera, rannicchiato, dando quasi le spalle alla porta della cella. Poi, senza essere visto dagli agenti di polizia penitenziaria, si è infilato un sacchetto di plastica in testa e ha aperto la valvola del gas del fornellino in dotazione. Si è suicidato così Silwestro Szeczensovicr, 29 anni, polacco, detenuto con l’accusa di omicidio per la morte di un suo connazionale trovato morto in strada a Grosseto nel gennaio scorso.

Il corpo del polacco senza fissa dimora, ucciso a coltellate e deceduto da alcuni giorni, fu trovato all’interno di un ex casello ferroviario del capoluogo maremmano. Le indagini dei carabinieri furono molto rapide e in poche ore individuarono altri due polacchi come presunti autori del delitto. Uno di questi era proprio Szeczensovicr, che dopo un periodo di detenzione nel carcere grossetano fu trasferito a Livorno.

L’uomo viene descritto, alle Sughere, come un solitario con il quale non era facile stabilire un legame, tanto che la direzione della casa circondariale faceva fatica a trovargli un compagno di prigionia proprio per le sue "spigolosità". Il polacco, tuttavia, non aveva mai dato particolari problemi ed era detenuto in regime di custodia cautelare. Solo pochi giorni dopo il suo arrivo a Livorno si era abbandonato a comportamenti autolesionistici di lieve entità: si era procurato piccoli tagli con alcuni frammenti di vetro di una lampadina che aveva mandato in frantumi. Poi mesi di silenzio e anonimato, senza mai creare problemi. Era solitario sì, ma non pericoloso.

Faceva vita a sé, ma non destava preoccupazioni. Il polacco, tuttavia, è riuscito a uccidersi eludendo la sorveglianza a vista che la polizia penitenziaria aveva predisposto appena 24 ore prima per i genitori dei piccoli rumeni morti nel tragico rogo di Pian di Rota. Sabato, infatti, Victor Lacatus, il padre di Lenuca, aveva tentato di impiccarsi con la cintura dell’accappatoio, ma gli agenti sono intervenuti in tempo, mentre ancora lo straniero stava realizzando il cappio.

Poche ore dopo, Szeczensovicr ha messo in atto il suo piano suicida e si è tolto la vita senza che nessuno se ne accorgesse. Il corpo senza vita del polacco è stato infatti rinvenuto la mattina dopo al momento di consegnarli in cella la colazione. Secondo le prime analisi lo straniero sarebbe morto nella serata di sabato. Quello del detenuto straniero è il secondo suicidio in meno di una settimana, al quale va aggiunto il tentativo fermato sul nascere di Lacatus, e riapre le polemiche sulla qualità della vita nella casa circondariale livornese, anche se dalle Sughere si getta acqua sul fuoco: "Non esiste un’emergenza Livorno - spiega la direttrice, Anna Carnimeo - perché purtroppo questi episodio capitano, anche quando la vigilanza è alta e puntuale".

Tuttavia qualcosa deve essere andato storto, perché gli agenti che vigilavano sui rumeni, rinchiusi in una cella prossima a quella del polacco non si sono accorti di nulla. Non solo, hanno anche tenuto d’occhio Szeczensovicr, perché comunque quella posizione che si è protratta a lungo aveva comunque insospettito la polizia penitenziaria, ma, è la spiegazione di Anna Carnimeo, "era comunque identica a quella di tutte le altre notti". "Sembrava che stesse riposando regolarmente - ha aggiunto la direttrice - e gli agenti hanno ritenuto che tutto fosse sotto controllo". Dalla cella non proveniva alcun rumore, né lamenti e solo al mattino è stato quindi possibile rendersi conto della gravità del fatto.

Ma i numeri danno torto alla casa circondariale livornese, che dopo un periodo di relativa calma (è ancora aperta l’indagine giudiziaria sulla morte di Marcello Lonzi, che secondo la madre del detenuto è deceduto in seguito a un pestaggio e non per un infarto come stabilito dal medico legale), è tornata alla ribalta per i suicidi in cella.

Giustizia: Mazzoni (Udc); va riordinato il sistema penitenziario

 

Ansa, 20 settembre 2007

 

Le parole del capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara, sollecitano un’attenzione diversa del Parlamento sul mondo penitenziario". Lo dichiara Erminia Mazzoni, capogruppo Udc in commissione Giustizia della Camera. "L’attenzione di questi mesi - afferma la Mazzoni - si è concentrata sul dibattito tra pro e contro indulto lasciando dietro i veri problemi del sistema sui quali pure il governo si era impegnato alla vigilia dell’approvazione del provvedimento di clemenza. Prima fra tutte le emergenze quella del riordino del corpo di polizia penitenziaria costretto a confrontarsi con situazioni nuove che richiedono specializzazione e poteri diversi".

"Mi auguro che il capo dello Stato raccolga l’appello di Ferrara e che inviti a imprimere un’accelerazione all’esame parlamentare della mia proposta di legge e delle altre di contenuto analogo che giacciono da mesi nelle commissioni parlamentari di merito. La lotta all’illegalità per garantire la sicurezza dei cittadini deve passare anche attraverso una riorganizzazione complessiva del mondo penitenziario che restituisca alla pena detentiva quella funzione rieducativa che la Costituzione le attribuisce, altrimenti - conclude il capogruppo dell’Udc in commissione Giustizia alla Camera - continueremo a far lievitare non solo i costi delle strutture penitenziarie, ma anche il numero dei recidivi in circolazione".

Giustizia: sindaci chiedono maggiori poteri in tema di sicurezza 

 

Ansa, 20 settembre 2007

 

Contro l’illegalità diffusa misure più incisive nella lotta alla prostituzione, spaccio di stupefacenti e nomadismo. È questa la prima concreta richiesta fatta dall’Anci al governo nel primo incontro ieri al Vicinale sul "pacchetto sicurezza" che l’esecutivo si è prefisso di licenziare entro la fine del mese. Nella sostanza i sindaci seduti al tavolo con il viceministro all’Interno Marco Minniti, il capo del gabinetto Gianni De Gennaro e il vicecapo della Polizia Luigi De Sena, chiedono una revisione dell’art. 54 del Testo Unico degli Enti Locali (Tuel) al fine di migliorare lo strumento di cui i sindaci stessi dispongono per adottare misure urgenti che non debbano limitarsi alla lotta ai writers e contro lo sfruttamento dei minori. Sono intervenuti all’incontro, oltre al presidente dell’associazione dei Comuni, Leonardo Dominici, Walter Veltroni, Letizia Moratti, Sergio Chiamparino, Sergio Cofferati e Umberto Scapagnini.

Le proposte per intervenire con efficacia sul degrado delle condizioni di vita nelle città, si incrociano con quelle di preparazione da parte del governo con il quale, fa sapere l’Anci, "c’è condivisione delle proposte relative alla lotta alla criminalità organizzata e alla certezza delle pena".

L’obiettivo dei sindaci è che anche solo una parte di questi provvedimenti possa essere adottata con un disegno di legge "per dare risposte certe e celeri alla domanda sociale presente oggi nelle città". È da due settimane fa che il governo ha messo in moto un piano per avviare un giro di vite su permessi e custodia cautelare, lotta alla criminalità con la confisca dei beni, cancellazioni delle scarcerazioni facili.

Ma è soprattutto la certezza della pena la priorità del governo ribadita ieri anche dal ministro dell’Interno Giuliano Amato, nel corso di un question time alla Camera. Il capo del Viminale si è detto orgoglioso del lavoro fatto dalle forze di polizia ma rivela che si può fare "di più, con più mezzi e con una maggiore sintonia tra il lavoro di indagine e di primo fermo o arresto e le norme che riguardano l’esecuzione della pena che troppo spesso la rendono non certa come dovrebbe essere".

Amato, criticato dal capogruppo dei senatori leghisti Roberto Castelli ("Bella coerenza da chi ha votato e sostenuto l’indulto") fa riferimento al massacro di Duisburg e alla figura di Giovanni Strangio, considerato il possibile autore del massacro, che a dicembre fu processato e poi libero dopo un patteggiamento.

Il testo sul pacchetto anti-illegalità che verrà limato, studiato e valutato con una seconda serie di incontri con i sindaci previsti nei prossimi giorni, prevede iniziative soprattutto per garantire la sicurezza nelle aree metropolitane, con particolare attenzione per la prevenzione e il contrasto delle molestie e delle violenze nei confronti delle donne. Resta dominante anche la scelta di sostituire le sanzioni economiche e amministrative con l’obbligo a svolgere lavori socialmente utili e nel mirino anche la "questua molesta" che verrebbe punita come le molestie. Per il governo il vero nodo che si intreccia, seppur indirettamente, con il patto per la sicurezza, riguarda l’utilizzo di 30 mila uomini di polizia contro la criminalità organizzata.

Giustizia: la legge sulla decadenza parlamentare dei condannati

 

www.radiocarcere.com, 20 settembre 2007

 

Proposta Grillo. Grillo, con il V-Day, propone la sottoscrizione di una legge ad iniziativa popolare detta "Parlamento Pulito". La proposta mira, tra l’altro, a mandare via dal parlamento i deputati o i senatori che siano stati condannati. La condanna non deve essere necessariamente definitiva, ma è sufficiente che sia stata emessa dal giudice di appello. La questione sollevata da Grillo è seria. Per valutarla è opportuno considerare la disciplina odierna. La legge, infatti, prevede cause di ineleggibilità e di decadenza del parlamentare. L’ineleggibilità, riguarda i casi in cui una persona non può essere eletta in Parlamento perché condannata ad una certa pena o a un certo reato. La decadenza, si riferisce al caso in cui un parlamentare, eletto regolarmente, viene in seguito raggiunto da una condanna penale, e per ineleggibilità sopravvenuta si apre il procedimento di decadenza dalla carica.

Inneleggibilità. Il criterio per stabilire se un condannato per un reato può essere o meno eletto parlamentare, è stabilito dall’art. 28 del codice penale. Questa norma prevede i casi in cui si applica la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. E l’essere interdetti dai pubblici uffici comporta il non poter ricoprire un incarico pubblico e di conseguenza il non poter ricoprire la carica di parlamentare. Presupposto per l’ineleggibilità è pertanto che sia stata emessa una condanna definitiva ed esecutiva che abbia comminato l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.

Non tutte le condanne penali, definitive ed esecutive, determinano però la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e quindi l’ineleggibilità. La legge penale prevede infatti che questa pena accessoria deve essere inflitta solo per condanne riferite a reati o a pene particolarmente gravi. La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per esempio non può essere inflitta nel caso dei reati colposi. L’interdizione dai pubblici uffici può essere perpetua o temporanea. Chi è stato condannato a una pena interdittiva temporanea, una volta scontato il tempo della pena accessoria, torna ad essere eleggibile.

La riabilitazione, è un altro istituto che fa venir meno le pene accessorie e quindi l’ineleggibilità. La riabilitazione è concessa quando sono decorsi un certo numero di anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita, o si è in altro modo estinta, e il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta. Riabilitato, il condannato può essere di nuovo eletto (è il caso dell’On. Sergio D’Elia). Altra causa di estinzione dell’interdizione dai pubblici uffici è la misura alternativa alla detenzione, come l’affidamento il prova ai servizi sociali.

La decadenza. Se un parlamentare, regolarmente eletto, viene poi condannato in via definitiva anche alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e nei suoi confronti la pena deve essere eseguita, inizia per lui il procedimento di decadenza dalla carica di parlamentare per sopravvenuta ineleggibilità. È compito della Giunta per le elezioni della Camera o del Senato, l’accertamento di ineleggibilità e di sussistenza di cause di decadenza dal mandato parlamentare.

In questi casi avviene che il pubblico ministero competente invia, ai sensi dell’art. 662 del c.p.p., l’estratto della sentenza di condanna alla Camera o al Senato, per l’esecuzione della pena accessoria, che nel caso di specie è l’interdizione dai pubblici uffici e quindi dalla carica di parlamentare. La Giunta per le elezioni inizia un procedimento e alla fine presenta all’aula, la proposta di decadenza o di non decadenza. L’aula, nella sua autonomia, poi decide se dichiarare o meno decaduto dal mandato il parlamentare di turno. Nella prassi questo procedimento interno al Parlamento è tutt’altro che veloce.

Di solito passano anni dall’inizio del procedimento dinanzi alla giunta, fino alla sua conclusione con la proposta all’aula. E in questo lungo lasso di tempo può accedere di tutto. Come nel caso dell’on. Gian Stefano Frigerio (Fi), sulla cui decadenza si è discusso dal 2001 al 2004. Ovvero il tempo utile perché il deputato scontasse la pena temporanea dell’interdizione dai pubblici uffici, potendo così non decadere.

Considerazioni. La proposta di Grillo innoverebbe rispetto alla legislazione vigente sotto due profili. Il primo è che qualunque condanna comporterebbe ineleggibilità e decadenza. Il secondo è che non è necessaria una condanna definitiva ma è sufficiente una condanna in appello. Prevedere che qualunque condanna per qualunque reato determini l’impossibilità di diventare parlamentare può fare nascere qualche perplessità. La proposta sembra sottintendere che qualunque condanna faccia perdere quell’onorabilità necessaria per accedere in Parlamento. L’argomento sembra valido. La condanna penale è sicuramente tale da determinare un giudizio di disvalore verso la persona e forse non è opportuno che questa rappresenti il paese. Sarebbe però forse necessario restituire alla condanna penale questo valore: a) depenalizzando quei reati che per la società non generano un disvalore tale da comportare l’applicazione di una pena; b) ridando credibilità al processo tanto da fare in modo che la condanna abbia il necessario rispetto. Il prevedere che non sia necessaria una condanna definitiva ma è sufficiente che questa consegua all’appello è determinato dal non funzionamento del processo penale. Perché si arrivi ad una condanna definitiva occorre solitamente un lasso di tempo di circa dieci anni. È pertanto intollerabile che una persona macchiata di gravi reati stia in Parlamento solo perché il processo penale è drammaticamente lento.

Giustizia: la magistratura militare; poco lavoro e viaggi-premio

 

Corriere della Sera, 20 settembre 2007

 

Un terzo dei magistrati militari in Spagna per un convegno. Prevista anche una diaria di 80 euro. Stremati da dieci settimane di pausa estiva, che per consuetudine comincia intorno al 10 luglio e si trascina fino all’ultima decade di settembre, i magistrati militari hanno deciso di tuffarsi di nuovo nel lavoro con un convegno internazionale. Nella bellissima Toledo. Dove, per attrezzarsi ad affrontare al meglio i mesi finali dell’anno quando sono attesi a volte perfino da tre udienze al mese (tre al mese!), sbarcano oggi in trentadue: un terzo di tutti i giudici con le stellette italiani.

Perché mandare una delegazione di due o tre persone se tanto paga lo Stato? I viaggetti in comitiva, si sa, sono dalle nostre parti una passione antica. Basti ricordare certe migrazioni di massa a New York per il Columbus Day. O la trasferta di un gruppo di deputati regionali siciliani in Norvegia (con un codazzo di musicisti di un’orchestrina folk, trenta giornalisti, quattro cuochi, un po’ di mogli...) per vedere come i norvegesi avessero organizzato un mondiale di ciclismo: totale 120 persone. O ancora la spedizione di Bettino Craxi a Pechino ("andiamo in Cina con Craxi e i suoi cari", ironizzò Giulio Andreotti) finita con mille polemiche sulla scelta di tornare con una sosta in India per far visita al fratello Antonio, discepolo del santone Sai Baba, e una strepitosa interrogazione parlamentare di Renato Nicolini con domande tipo: "Vuole il presidente dirci quali siano le attrazioni di Macao e di Hong Kong più consigliabili al turista italiano al fine di sprovincializzarne la mentalità? "

Va da sé che, con questi precedenti, i giudici con le stellette hanno deciso che non era proprio il caso di fare gli sparagnini. E appena hanno saputo che nell’antica capitale della Castiglia organizzavano un congresso internazionale, si sono dati da fare.

Certo, il tema del simposio ("La legge criminale tra guerra e pace: giustizia e cooperazione in materie criminali negli interventi internazionali militari") non è una leccornia. Ma Toledo è Toledo. L’Alcazar! Il fondaco dell’Alhóndiga! Il Castillo de San Servando! La Plaza de Zocodover! La casa e i quadri del Greco tra cui la celebre "sepoltura del conte di Orgaz"! Fatto sta che la delibera del 5 giugno scorso era assai invitante: le spese del convegno (350 euro a testa, compresi il materiale didattico e i pasti all’Accademia di Fanteria), più le spese di viaggio e pernottamento, più il "trattamento di missione internazionale", più una indennità forfettaria giornaliera di un’ottantina di euro erano infatti a carico del ministero.

Un salasso? Ma no, avrebbe risposto la successiva delibera del 3 luglio. Nonostante Padoa Schioppa stia sempre lì a pianger miseria, diceva il documento, "sono state individuate disponibilità finanziarie che consentono di coprire la spesa per la partecipazione al predetto congresso di tutti i magistrati richiedenti".

Tutti? Crepi l’avarizia: tutti. Cioè 32. Tra i quali l’unico (unico) invitato come relatore, Antonino Intelisano. Vi chiederete: costi a parte, come farà la Giustizia militare a reggere per ben tre giorni senza un terzo dei suoi pilastri, dato che i giudici, da Vipiteno a Lampedusa, sono 103? Rassicuratevi: reggerà. Anche quando presidiano il loro posto di lavoro, infatti, non è che i nostri siano sommersi da cataste di fascicoli come i colleghi della magistratura ordinaria. Anzi.

I giudici della Procura Generale Militare presso la Cassazione, per dire, hanno dovuto sobbarcarsi nel 2006 (assistiti da 35 dipendenti vari, per circa metà militari e circa metà civili) sei udienze: una ogni due mesi, da spartire in quattro. I tre del Tribunale di Sorveglianza militare, che contano su 32 assistenti a vario titolo e hanno competenza sull’unico carcere militare rimasto aperto, quello casertano di Santa Maria Capua a Vetere do ve sono recluse solo persone in divisa condannate dalla giustizia ordinaria per reati ordinari, hanno un solo detenuto militare per reati militari: Erich Priebke, condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine.

Quanto ai dati complessivi, lasciano di sasso: i 79 magistrati "con le stellette" (in realtà non le portano per niente: sono giudici come gli altri solo che hanno scelto una carriera parallela) addetti ai nove tribunali sparsi per la penisola (Roma, La Spezia, Torino, Verona, Padova, Napoli, Bari, Cagliari e Palermo) e i loro 17 colleghi delle tre corti d’Appello (Roma, Napoli e Verona) sono chiamati infatti a lavorare sempre di meno. Al punto che nel 2006 hanno emesso, tutti insieme, un migliaio di sentenze su temi spesso irrilevanti se non ridicoli: circa 300 in meno dei verdetti penali (poi ci sono i civili) di un tribunale ordinario minore come quello di Bassano del Grappa.

Un esempio di carico di lavoro? Il presidente della Corte Militare d’Appello di Roma, Vito Nicolò Diana, quando dirigeva la sezione distaccata di Verona (dal 1992 a poco fa) aveva ottenuto non solo un alloggio di servizio nel cuore del centro storico della città scaligera (aiuto concesso solo ai militari che guadagnano stipendi assai minori) ma perfino il permesso di abitare nella capitale, in riva non all’Adige ma al Tevere.

Insomma, una situazione assurda. Tanto che, dopo la prima denuncia del Corriere, i ministri della Difesa e della Giustizia, Clemente Mastella e Arturo Parisi, avevano scritto al giornale convenendo che si trattava d’un quadro "inaccettabile" e assicurando che "nel quadro del disegno di legge relativo alla riforma dell’Ordinamento Giudiziario" già approvato dal Consiglio dei ministri, erano stati decisi tagli drastici, "riducendo il numero complessivo degli Uffici Giudiziari Militari, giudicanti e requirenti, di ben due terzi: cioè da 12 a 4 (3 Tribunali e un’unica Corte d’Appello, senza Sezioni distaccate)". Bastarono tre giorni, però, perché il progetto venisse stralciato e quei buoni propositi fossero abbattuti come birilli dal vento delle proteste corporative.

Adesso, "per capire ", vorrebbero fare una commissione di studio. La terza, dopo quella del 1992 varata dal ministro della Difesa Salvo Andò e quella del 2003/2004 presieduta dal procuratore generale Giuseppe Scandina. Nel frattempo la quota dei magistrati con le stellette che hanno tempo in abbondanza per gli incarichi extragiudiziari è salita al 36%, contro il 3% dei giudici ordinari. E il lavoro degli uffici, grazie a tutte le cose che sono cambiate a partire dall’abolizione del servizio di leva obbligatorio, ha continuato a calare, calare, calare. Fino a dimezzarsi quest’anno rispetto perfino al 2006.

Benedetto Roberti, uno dei giudici che con Sergio Dini e pochi altri invoca da anni una riforma, ricorda che nel 1997, quando faceva il Gup a Torino, arrivò da solo a 1.375 sentenze. Sapete quante ne ha emesse quest’anno il giudice che fa quello stesso lavoro? Tenetevi forte: 28.

Napoli: festa della Polizia penitenziaria, partecipa Napolitano

 

Il Denaro, 20 settembre 2007

 

La polizia penitenziaria compie 190 anni e per la prima volta la tradizionale festa non sarà a Roma ma a Napoli, in piazza del Plebiscito, alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, del ministro della Giustizia Clemente Mastella, del capo del Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), il napoletano Ettore Ferrara e delle più alte cariche istituzionali. Festa della polizia penitenziaria: scelta è caduta su Napoli per sottolineare - fa notare il Dap - il contributo dell’amministrazione penitenziaria al mantenimento della legalità e per portare "una tangibile testimonianza della professionalità e dell’impegno del Corpo di polizia penitenziaria in una grande città del sud". Sono 231 gli istituti penitenziari (inclusi quelli penali per minori) dove circa 42 mila poliziotti penitenziari (di cui 3.500 donne) garantiscono la sicurezza.

Prima che venisse varato l’indulto, il 31 luglio 2006, i detenuti erano arrivati a sforare quota 60 mila, contro i circa 43.500 posti regolamentari. Sino ad oggi hanno beneficiato dell’indulto 26.762 persone. Attualmente il numero dei detenuti sta lentamente tornando ad aumentare ed è arrivato a quota 46 mila circa, di cui poco meno di 6 mila in Campania.. Servizio cinofili, servizio navale e reparto a cavallo: sono alcune delle specializzazioni della polizia penitenziaria che, a partire dal 1990, con la legge di riforma, svolge nuovi e più ampi compiti di sicurezza e legalità. Nel corso della festa del Corpo il capo dello Stato consegnerà alcune onorificenze, tra cui tre medaglie d’oro al merito civile e alla memoria. Le celebrazioni cominceranno già oggi, con un concerto della banda della polizia penitenziaria nella chiesa di Santa Chiara. Il clou della festa sarà domani, alle 11, in piazza del Plebiscito. Alle 15 si esibiranno alcuni atleti del gruppo sportivo Fiamme azzurre, tra cui Carolina Kostner e Nadia Cortassa.

Roma: azioni per il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti

 

Ags Media, 20 settembre 2007

 

Oggi pomeriggio, con un’iniziativa-spettacolo di musica e cabaret presso la Sezione Femminile di Rebibbia, organizzata dall’Associazione Il Pavone in collaborazione con il Municipio Roma XI e la Casa Circondariale Femminile e Agenzia Lazio Lavoro, si concluderà il progetto "Municipio a Porte Aperte".

Con esso si sono realizzate azioni di sostegno al reinserimento sociale e lavorativo ed azioni a carattere culturale e ricreativo. Tra le prime rientra il tirocinio formativo e di orientamento che ha impegnato per sei mesi una donna proveniente dalla Casa Circondariale di Rebibbia, che ha lavorato, "formandosi", proprio presso il Municipio Roma XI, nell’ufficio della Delegata alle Politiche Culturali Carla Di Veroli. Tra le seconde rientra la kermesse odierna, a cui parteciperanno: Claudio Amendola, Francesco Di Giacomo, Rodolfo Maltese, Stefano Fabrizi, Barbara Livi, Riccardo Sinigallia, Daniele Sinigallia, Andrea Rivera, Filippo Gatti, Maurizio Battista, Amirr Issa, Veronica Look. Saranno presenti, inoltre, numerosi politici, amministratori locali e giornalisti.

"Quest’ultimo atto del progetto Municipio a Porte Aperte - dichiara il Presidente del Municipio Roma XI Andrea Catarci - si tiene in coincidenza con le celebrazioni della breccia di Porta Pia, con cui si ricorda quel 20 settembre 1870 in cui Roma fu annessa al Regno d’Italia, ultimo atto dell’unificazione nazionale e definitiva fine del potere temporale dei pontefici romani. "Fare breccia", proprio oggi, mi sembra l’espressione più giusta da usare quando si parla di carcere, detenzione, e post pena: occorre aprire varchi e rompere quel muro di silenzio e indifferenza che impedisce di discutere seriamente su come accompagnare le persone che hanno avuto esperienze di detenzione nel difficile cammino del rientro in società, occorre sensibilizzare l’opinione pubblica sui fini rieducativi e non punitivi delle pene, e, non da ultimo, va rilanciato il ruolo e l’azione delle istituzioni pubbliche, in relazione a quelle carcerarie, per sostenere gli sforzi di detenuti ed ex detenuti. Un ringraziamento particolare va all’Associazione "Il Pavone" e agli artisti, per l’impegno profuso e la sensibilità dimostrata". "Gli enti locali - conclude la Delegata alle Politiche culturali del Municipio Roma XI Carla Di Veroli - devono essere in prima fila nel progettare e attuare i percorsi di formazione ed inserimento al lavoro più idonei, prevedendo investimenti e risorse per questi scopi. Per questo il prossimo anno, nel nostro piccolo, rinnoveremo gli sforzi, con la seconda edizione di "Municipio a porte aperte".

Roma: una mostra fotografica per scoprire la vita in carcere

 

Ansa, 20 settembre 2007

 

Fino al 25 settembre presso la Galleria L’Agostiniana, Piazza del Popolo, rimarranno esposte le 200 opere provenienti dalle carceri di tutto il mondo. La mostra è promossa dalla ICCPPC - International Commission for Catholic Prisoners Pastoral Cure, col patrocinio del Comune di Roma. Si tratta di una iniziativa nata durante l’anno del Giubileo delle carceri e del Giubileo del 2000 che ha portato alla selezione di 200 tra le 1500 opere inviate dalle carceri di tutto il mondo. Per i detenuti è stata l’occasione di esprimere i propri sentimenti attraverso le arti grafiche. Una iniziativa che si inserisce nel difficile contesto del reinserimento nella società. Orari d’apertura: dal lunedì al sabato ore 10.00-12.00 e 16.00-19.00; la domenica ore 10.00-13.00.

Immigrazione: storia di Imed, ex detenuto diventato scrittore

 

Culture Migranti, 20 settembre 2007

 

Imed Mehadheb, tunisino, è stato studente, immigrato, carcerato, fuggitivo, e infine scrittore. Ora vive il suo esilio lontano dall’Italia, traducendo le memorie del più famoso scrittore tunisino Shabbi, e mettendo mano al suo blog, ricco di spunti sul presente e sulla condizione di disagio degli immigrati.

 

Quando hai iniziato a pensare di lasciare la Tunisia?

Nel 1982, prima di compiere 21 anni, ero studente di architettura e ignoravo che la vita non è mai il sentiero già tracciato che disegniamo. Detestavo continuare a piegarmi alla beatitudine del cattivo presente, come faceva mio padre.

Avevo messo dei soldi da parte anche lavorando al restauro di un cinema. Ho acquistato un biglietto aereo per Roma e partii salutando solo mia madre che credeva stessi andando a Gerba, una isola nel Sud della Tunisia. Rividi mia madre solo dopo 18 anni, ed è stato in una sala colloqui del carcere torinese "Le Vallette". Non so se si tratta di una verità oppure è un semplice modo per non assumere certe responsabilità; tuttavia, mi piace ripetere che l’umanità non è libera, non lo è mai stata, poiché non lei ma il caso ha sempre avuto diritto alla prima mossa, quella che condiziona tutte le altre.

 

Quali erano i tuoi progetti?

Quando lasciai la Tunisia nel 1982, pensavo di rimanere all’estero giusto il tempo di laurearmi in architettura. Scelsi la Scandinavia come destinazione perché all’epoca arrivavano notizie positive sulla Svezia, dove c’erano aiuti per gli stranieri, la società non era repressiva e le belle donne bionde erano disinibite.

Certo, anni dopo, sicuramente perché ero diventato un po’ meno ingenuo e molto meno sciocco, scoppiai a ridere vedendo il film con Alberto Sordi che, come me, pensava di trovare una svedese ad aspettarlo appena sceso dal treno. Mi riferisco a "Il diavolo" regia di Gian Luigi Polidoro.

 

Cosa successe invece?

Giunsi a Roma il 27 luglio 1982. L’indomani presi il treno e andai in Svizzera. A Basilea, la polizia di frontiera francese mi rifiutò l’autorizzazione ad attraversare la Francia, anche se avevo un biglietto per Amsterdam e non occorreva alcun visto d’ingresso per i cittadini tunisini a quei tempi. Grazie all’aiuto di uno scambista delle ferrovie svizzere al quale avevo detto in lacrime che dovevo salire assolutamente sul treno dei miei sogni, attraversai la Francia e scesi nella stazione di Amsterdam. Per evitare problemi con la Germania che esigeva il visto d’ingresso già allora, presi un aereo per la Danimarca, pensavo che da lì avrei raggiunto la Svezia con un mezzo più economico.

Appena sbarcato a Copenaghen, la polizia di frontiera, mi fece pagare un biglietto con i miei pochi soldi e mi rimandò con lo stesso aereo in Olanda. Per quale motivo? Secondo loro non avevo abbastanza denaro. Credo che sia stato in questo bivio che la mia vita oscillò e cominciò a precipitare nel vuoto. Senza aver commesso alcun reato, la polizia di frontiera olandese mi rinchiuse in una cella di sicurezza per ben cinque giorni. Poi, sono stato rispedito a Roma pagando mio malgrado il biglietto con i pochi soldi che mi rimanevano.

 

Come reagisti a questa situazione?

Ho incrociato alla Stazione Termini un egiziano che mi propose di andare a lavorare in un circo vicino Napoli. Andai con lui. La mattina, appena ho iniziato a lavorare, un lama mi sputò in faccia. Lì per lì non capii il messaggio! Per circa una settimana, feci di tutto, accudivo gli animali, pulivo, durante gli spettacoli entravo in pista per spostare gli attrezzi vestito da clown e partecipavo allo smontaggio e montaggio del tendone. Dormivo in una roulotte sudicia e il cibo era scarso, mentre io volevo di meglio. Decisi di andare via dopo sei giorni, ma il padrone non mi volle pagare: "Ti ho pagato il treno, ti ho dato da mangiare e da dormire, non ti devo niente". Tornai a Roma senza soldi, nascosto sotto il sedile di una vagone ferroviario. Mi misi a rubare e a delinquere. Il 31 agosto 1982 iniziò il battesimo del carcere. Due anni e due mesi per una rapina impropria.

 

Come hai vissuto quel primo periodo di carcere?

A Rebibbia, iniziai da solo ad apprendere la lingua italiana su un manuale francese in 90 lezioni. Poi imparai lo spagnolo, con lo stesso metodo, pensando di dare un esame all’ambasciata spagnola a Tunisi che mi avrebbe consentito l’ingresso all’università, dove avrei ripreso gli studi di architettura.

 

Cosa facesti uscito di carcere?

Appena uscito, in ritardo rispetto alla data dell’esame, rinunciai a rientrare a Tunisi anche se per due anni i miei familiari mi avevano rinnovato l’iscrizione universitaria.

Riprovai a lavorare in un cantiere a Roma; ma dopo una settimana, passata a dormire in una stalla insieme ai cavalli e fare il manovale edile di giorno, il padrone mi diede solo 50 mila lire. Pensai subito di vendicarmi dando fuoco alla stalla e buttando bombolette di gas da campeggio nei silos del mangime per provocare esplosioni. Poi mi calmai e decisi di chiedere denaro ai miei. Così, in giornata, mi spedirono mezzo milione delle vecchie lire, tramite un conoscente a Milano, direttore tunisino dell’ente nazionale per il turismo.

Acquistai "L’ape e il comunista. Collettivo prigionieri politici delle Brigate Rosse" e una pistola. Pensavo seriamente o scioccamente di rientrare in Tunisia per fondare una organizzazione politico-militare sullo stampo delle Brigate Rosse.

Presto i carabinieri sequestrarono l’arma nella mia camera d’albergo a Napoli insieme a manoscritti in arabo di contenuto politico e il libro. Me la cavai con diciotto mesi di detenzione, perché tutto il materiale cartaceo sequestrato riguardava solo la Tunisia.

Scarcerato nel 1986, avevo ormai abbracciato la causa della delinquenza, non potendo fare niente in Italia, dove ormai potevo vivere solo come "clandestino". Lo stesso anno, a Rimini, per un litigio, ferii un "connazionale" a una gamba con un colpo d’arma da fuoco. Trasportato in ospedale da alcuni compagni, il ferito diede un falso nome perché era ricercato e una altra versione dei fatti per vendetta. Subii una condanna a quattro anni e mezzo per una rapina mai commessa ed altri due anni e due mesi per detenzione illegale d’arma da fuoco.

 

Com’è stata la vita in carcere?

Gli anni successivi furono una giostra di evasioni e di catture, di cambi continui di identità, di delinquenza attiva, anche se per poche settimane, nel giro della droga.

Dal 18 settembre 1989, data del mio ultimo arresto a Rimini, non ero più riuscito a evadere, malgrado i vari tentativi, a volte disperati, da suicida.

Non ho mai accettato in carcere quello che si definisce "trattamento rieducativo". Mi è capitato di leggere Asylum del sociologo Erving Goffman e credevo di aver individuato i meccanismi di spersonalizzazione che si innescano nelle istituzioni totali. Imparai a resistere, oppure credetti di resistere. Per esempio, quando sono stato tenuto in completo isolamento per sei mesi e mi è stata ridotta la mia permanenza all’aria aperta per solo un’ora al giorno, rifiutai anche quell’ora, dicendo alla direttrice del carcere che ero io a determinare le mie necessità e non un decreto del direttore generale dell’amministrazione penitenziaria. Mi tolsero tutti gli oggetti personali e dovevo farmi la barba davanti a loro. Mi rifiutai di tagliarmi i capelli e di farmi la barba per tutto il periodo del mio isolamento.

La contraddizione più palese la vedevo nella mia condanna all’espulsione a fine pena, mentre si pretendeva da me di collaborare al cosiddetto "trattamento rieducativo al fine di reinserirmi nella società". Ho vissuto il carcere soprattutto come luogo di somministrazione legale di sofferenza. Ho visto tanti uomini umiliati, picchiati. Ho visto morire.

 

Ricordi in particolare qualche tuo compagno di carcere?

Si, ricorderò per sempre di un giovanissimo "pataccaro" che doveva scontare quattro mesi di galera e che si impiccò nella cella d’isolamento che era a fianco della mia... E non dimenticherò mai Gennaro, l’amico Gennaro, che dopo venti anni di galera si è tolto la vita impiccandosi.

 

Hai sentito il "peso della colpa", come hai scritto più tardi, che ti gravava addosso?

Ho passato lunghi anni della mia detenzione in solitudine, trascinando il mio dolore taciturno su e giù lungo lo stretto spazio coatto assegnato a me. A volte, nel buio e nel silenzio della notte, come un bambino avrei voluto che per magia gli errori fossero cancellati e le separazioni mai patite. Invece, tutto il passato rimaneva pietra angolare della mia esistenza e tutte le separazioni accumulate erano travi portanti del mio cervello. Continuavo a scorrazzare su e giù e la mente vagava senza posa, in lutto perpetuo, senza fine.

 

Come hai scoperto la scrittura?

Nel 1998, mentre leggevo il quotidiano "Il manifesto", al quale ero abbonato, scoprii che c’era un concorso per scrittori migranti, bandito dall’associazione Eks&Tra di Rimini. Acquistai e lessi un raccolta dei racconti premiati nella precedente edizione del concorso.

 

L’esperienza del carcere ha influito sulla tua esperienza letteraria?

No so se è stato necessario per me avere consumato una ampia parte della mia vita in carcere, attraversando fino in fondo i segmenti dell’esperienza, per essere in grado di dare forma narrativa a quel momento incidentale dell’esistenza di milioni di persone, chiamato migrazione, nel quale la realtà lascia cadere l’illusione che l’avvolge mostrando un volto inaspettato e vero. Fatto sta che scrissi un racconto, intitolato "Meteco", che non era una mera restituzione di una realtà soggettiva, ma il risultato di una riflessione sul senso dell’esistenza umana, dove l’esperienza del dolore era onnipresente ed accanto ad esso c’era sempre la morte, opposizione dialettica al tempo assoluto e conclusione razionale della vita. Per me ciò significa che siamo tutti di passaggio, che nasciamo "stranieri" a questo mondo e nulla può offrire sollievo a questa condizione.

 

Questo racconto e gli altri che scrissi in seguito ebbero anche importanti riconoscimenti, vero?

Meteco, dedicato a due anarchici (Edo Massari e Maria Soledad) morti suicida nella gran galera del mondo, vinse una Medaglia d’oro, che il Presidente Ciampi doveva consegnare a me al Quirinale. Non mi ci portarono. L’anno successivo è stato premiato il mio racconto "I Sommersi", finito anche esso col suicidio dell’unica sopravvissuta al naufragio di un gommone che la trasportava dall’Albania in Italia. Di nuovo, non potei ritirare la medaglia del Presidente Ciampi al Quirinale. Scrissi altri racconti e sono stato sempre premiato.

 

La scrittura è venuta come un bisogno, o è stato più un modo per ingannare il tempo?

Non saprei dire se la scrittura è stata un bisogno o un hobby, forse è stata una mera attività di rimozione. Oppure una reazione alla frattura con la collettività, per estraniarmi, per appagare un bisogno di radicamento nell’assenza di luogo, alla ricerca di una terra d’esilio da ogni patria. Una certa ricerca di libertà priva di subordinazione a una appartenenza.

 

Quando sei tornato in Tunisia?

Il 12 aprile 2003, data della mia espulsione dall’Italia dopo ben 14 anni trascorsi in galera, appena il mio aereo è atterrato a Tunisi, sono stato consegnato alla polizia che mi aspettava. Era un sabato, ero magrissimo, dopo mesi di lotta per ottenere l’espulsione con la legge Bossi-Fini. Infatti, appena la legge 30 luglio 2002, n. 189 entrò in vigore, ho chiesto la sua applicazione nei miei confronti (e credo di essere stato il primo in Italia a farlo), tanto ero condannato lo stesso all’espulsione a fine pena e volevo risparmiarmi altri due anni di somministrazione legale di sofferenza. Mi è stata negata, perché la mia cittadinanza non era certa, cosi come mi erano state negate tutte le richieste di permesso! Eppure facevo colloqui d’estate con i miei familiari che venivano dalla Tunisia ed ero iscritto, in carcere, all’università di Torino dove frequentavo Scienze Politiche. In breve, dopo mesi di lotta, sono riuscito a farmi espellere, pagando il mio biglietto aereo per accelerare le cose.

Domenica 13 aprile 2003, trascinato come un deficiente da mia sorella e due nipotine, ho acquistato vestiti nuovi poi ho dato fuoco a tutto quello che avevo addosso, portato dall’Italia, orologio incluso: puzzava di galera!

 

Come hai vissuto la tua nuova vita da uomo libero?

Dopo il 14 aprile 2003, la mia vita ha preso una accelerazione insolita confrontata al vecchio ritmo monotono di una esistenza rinchiusa. In appena un mese ho ottenuto la patente di guida, ho preso in affitto un appartamento che ho arredato con vecchi mobili trovati a casa dei miei, rimasta chiusa per 10 anni, dopo la morte di mio padre. Dopo appena quattro mesi dal mio rientro, firmai un contratto di matrimonio perché la donna con la quale volevo soltanto "stare" e la sua famiglia non accettavano una cosa chiamata convivenza. Dopo un anno e mezzo, arrivammo al divorzio consensuale.

 

Hai continuato anche in patria il tuo lavoro letterario?

Sì, nel frattempo avevo tradotto 45 poesie del maggior poeta tunisino, Abul Qasim Al Shabbi, coinvolgendo nel progetto il poeta albanese d’espressione italiana Gezim Hajdari e lo scrittore trapanese Salvatore Mugno. A distanza di quattro anni, siamo in attesa di trovare un editore disposto a pubblicare il nostro lavoro.

 

Come è stato ritornare a "casa", nel tuo paese?

Dopo il divorzio, ebbe inizio un nuovo ciclo della mia vita forse con una semplice domanda: "Quale delle due solitudini che conosco richiede più forza per essere sopportata? Quella silenziosa di chi sceglie di isolarsi dal mondo o quella ambigua di chi è estraneo al mondo in cui vive?". Probabilmente sono ancora in cerca di una risposta, ma sono quasi convinto che ormai non c’è luogo che mi fosse più estraneo della Tunisia e la cosa a volte mi fa sentire invadere dalla voglia di fuggire da questo paese e dalla vita che esso sta tessendo per me.

 

Hai passato quindi un periodo di "crisi letteraria"?

Per quattro anni, piombai nel silenzio smettendo di scrivere. Ho tentato varie volte di leggere, ma chiudevo i libri trovando il tutto privo d’interesse. È stata Anika Persiani, un’amica, che mi ha aiutato involontariamente a riavvicinarmi al mondo della letteratura, ho creato un mio blog e ho inserito tutti i miei racconti. È stato l’8 agosto 2007 e la Home Page è http://www.metoikos.splinder.com.

 

È stato un po’ come un nuovo inizio? Ti sei affezionato al tuo blog?

Ho preso gusto e ho cominciato a tradurre le memorie di Shabbi. Quando mi capita di inserire nel mio blog una giornata del suo diario, do prima la "notizia del giorno"; che commento, per protesta contro la mancata libertà d’espressione in molti paesi del mondo e in quello in cui risiedo in particolare, con il testo di una canzone. Per esempio alla notizia della condanna dell’ex ministro della polizia sudafricana ai tempi dell’apartheid per tentato omicidio di un’attivista dei diritti, commento con il testo della canzone "Biko" di Peter Gabriel; alla notizia dell’ordinanza di Domenici contro i lavavetri, inserisco "Il fannullone" di Fabrizio De André e alla dichiarazione di Bush che vede segnali di progresso in Iraq sia sul piano militare che politico commento con il testo di una canzone che ha partecipato a Sanremo nel 1951, "Al Mercato di Pizzighettone", dove arriva un truffatore, Dulcamara, con un liquore magico:

È arrivato sul mercato

Dulcamara, state a sentir:

un liquore egli ha portato

che i dolori fa scomparir…

"Non per mille, non per cento,

ma per poco io ve lo do;

è per tutti

per sani e malati,

borghesi e soldati,

vi posso giurar.

La mia nonna

Lo volle assaggiare,

si mise a gridare:

"Mi voglio sposar"

Sentirete

che magico effetto,

che dolce diletto

provar vi farà.

Cittadini

di Pizzighettone,

comprate un flacone v e tirate a campà…

 

Hai scoperto quindi anche il lato divertente della scrittura?

Sì, soprattutto mi diverto, anche se sto per iniziare un lavoro di traduzione molto impegnativo di oltre 1400 pagine. Lo faccio senza alcuna garanzia che un giorno verrà pubblicato, l’autore è un uomo morto 600 anni fa, per giunta era arabo!

 

Cosa pensi della letteratura? Pensi che possa essere utile per un immigrato?

Sono convinto che la letteratura può essere uno strumento utile per trasmettere idee ed aprire canali di comunicazione. Dal 1999 sogno la fondazione di una casa editrice, specializzata nella pubblicazione della letteratura di migrazione. La mia idea è semplice: organizzare concorsi letterari in tutti i paesi a forte migrazione. Gli autori devono scrivere nella lingua del paese dove vivono. Questa selezione consente di avere scrittori capaci di resistere all’etnicizzazione e che si rifiutano di costruire una forte identità etnica che porta all’isolamento. Le opere vincitrici saranno tradotte in tutte le altre lingue e pubblicate in tutti i paesi del mondo.

 

Cosa ti aspetti dal futuro?

Non mi aspetto niente dal futuro. Ormai l’abitudine a soffrire è diventata per me una abitudine come un’altra.

Droghe: Ferrero; raggiunta l'intesa sul ddl tossicodipendenze

 

Notiziario Aduc, 20 settembre 2007

 

I ministri competenti hanno raggiunto un accordo su un testo di disegno di legge sulle tossicodipendenze: lo ha reso noto il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, il quale, durante il question-time alla Camera, ha espresso l’auspicio che il ddl arrivi presto in discussione al Consiglio dei ministri.

"Per ragioni di discussioni interne al governo, a volte più semplici a volte meno, i tempi sono stati molto dilatati", ha spiegato l’esponente di Rifondazione comunista in risposta all’interrogazione della deputata Donatella Poretti (Rnp) che denunciava il ritardo del governo nel presentare un testo annunciato da tempo. "Ieri abbiamo ottenuto l’assenso col ministro della Salute su un testo che il mio ministero ha chiesto al Governo di mettere in diramazione ai diversi ministeri affinché arrivi in discussione al Consiglio dei ministri".

"I ministri interessati più direttamente sono dunque addivenuti ad un testo", ha aggiunto Ferrero, che ha poi espresso l’auspicio che "il testo venga ad essere discusso in Consiglio dei ministri e varato in tempi brevi per poter partecipare alla discussione parlamentare in modo chiaro".

"Ferrero annuncia revisione Fini-Giovanardi. Turco, Amato e Bindi vanno a convegno con Muccioli". Questo il commento di Daniele Farina, deputato del Prc, che spiega: "Mentre il ministro Ferrero annuncia la formulazione di un testo condiviso di riforma della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, stupisce che i suoi colleghi Turco, Bindi e Amato trovino naturale partecipare domani a Milano all’iniziativa proibizionista Strategy, Management and Communication agaist Drug addiction voluta dal sindaco Moratti".

Un convegno, prosegue il deputato, "senza interventi dissonanti dove le esperienze sociali e comunitarie vengono strumentalmente racchiuse solo nell’intervento di Andrea Muccioli". Stupisce maggiormente, aggiunge Farina, "poiché proprio Milano è la sede deputata per lo svolgimento di un’altra iniziativa di rilievo internazionale: la Conferenza Latina di riduzione dei danni correlati al consumo di droghe che si svolgerà dal 29 novembre al 1° dicembre che il comune di Milano sembra ignorare. Coltivo la speranza- conclude l’esponente del Prc - che almeno i ministri se ne ricordino".

Donatella Poretti (RnP), che nella sua interrogazione aveva elencato le ripetute occasioni in cui il ministro aveva annunciato imminenti presentazioni di proposte del Governo, si è augurata che sia davvero la volta buona. Secondo l’esponente della Rosa nel Pugno, infatti, l’attesa di un testo governativo ha bloccato l’iniziativa parlamentare, che invece sarebbe potuta andare avanti da oltre un anno.

 

Donatella Poretti (RnP): al Ministro della Solidarietà Sociale

 

Premesso che fin dal suo insediamento il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero ha dichiarato di voler intervenire sulla questione delle tossicodipendenze con una riforma della attuale legge, la cosiddetta Fini-Giovanardi; il 31 ottobre 2006, in occasione della conferenza sulla tossicodipendenza svoltasi presso l’Istituto Superiore di Sanità, il ministro dichiarò: "si sta lavorando, di concerto con più ministeri, per varare in tempi brevi un ddl che superi l’attuale legislazione sulle tossicodipendenze". Tra gli esperti del settore iniziò anche a circolare una bozza di testo elaborato dal ministero; il 25 gennaio 2007 rispondendo ad un mio question time in Commissione Affari Sociali tra l’altro confermò: "l’intenzione del Governo di procedere a una revisione della normativa vigente in materia di tossicodipendenze" e "che il disegno di legge in materia non è stato ancora presentato perché all’interno della maggioranza sono presenti sensibilità diverse e non è opportuno che il disegno di legge sia presentato prima che intorno ad esso si sia raccolto il necessario consenso"; pochi giorni dopo, a febbraio 2007, il ministro Ferrero illustrando le linee guida a proposito della modifica della legge sulle tossicodipendenze in commissione Giustizia al Senato, disse che per arrivare da quei principi a un testo compiuto di riforma della legge Fini-Giovanardi sulle droghe "non ci vorrà un anno ma alcune settimane"; tesi ribadita in occasione di una audizione in commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati; il 26 giugno 2007 in occasione della Giornata mondiale per la droga il ministro annunciò con interviste a quotidiani che il suo ddl sulla droga era pronto, che era stato inviato ai colleghi competenti e che sarebbe stato posto all’attenzione nel successivo pre-consiglio dei ministri.

Rilevato che dall’inizio di questa legislatura, è stata sempre rinviata la calendarizzazione delle proposte di legge di riforma della Fini-Giovanardi in attesa del preannunciato disegno di legge del Governo, e che tali annunci hanno di fatto bloccato l’iniziativa parlamentare; il 26 giugno 2007 è stato finalmente deciso di calendarizzare le pdl sulla droga che sarebbero dovute essere i primi provvedimenti in discussione a settembre delle commissioni riunite Affari Sociali e Giustizia.

Per sapere se e come il Governo intenda intervenire nel dibattito parlamentare in materia.

Droghe: ministro Ferrero presenta piano annuale al Governo

 

Ansa, 20 settembre 2007

 

Un Piano valido un anno, per recuperare il tempo perduto e intanto preparare quello a più lungo respiro, che avrà durata triennale: il ministro Paolo Ferrero ha messo l’acceleratore sulla stesura del Piano d’azione nazionale di lotta alla droga, che l’Unione europea ci ha chiesto da tempo visto che l’Italia, insieme e a Malta ed Estonia, è l’unico Paese Ue a non esserne dotato.

Il Piano 2008, che il Ministero della solidarietà sociale ha scritto insieme agli altri dicasteri competenti, e di cui l’Ansa è in grado di anticipare i contenuti, dovrà passare al vaglio del Consiglio dei ministri che lo farà proprio e, poi, della Conferenza Stato-Regioni ed enti locali. Intanto, informalmente, Ferrero lo ha illustrato ieri sera agli assessori regionali competenti, i quali - fa sapere il Ministero - ne hanno apprezzato sia i contenuti sia il metodo partecipato adottato per costruirlo.

Il piano, nella sua bozza attuale, prevede per la prima volta una valutazione del raggiungimento degli obiettivi e un forte coordinamento tra tutti i soggetti impegnati nell’intervento sulle droghe. Sempre per la prima volta, sarà fatta una mappatura delle risorse disponibili presso le Regioni e del sistema dei servizi per le dipendenze; prevista anche la definizione dei criteri per trasformare questo sistema a fronte delle nuove forme di consumo, dalla cocaina alle droghe sintetiche, dalle sostanze dopanti al gioco d’azzardo.

Il documento è un mix di azioni a carattere innovativo e di azioni a regime e copre tutto il 2008; una cinquantina le azioni specifiche. Cinque gli assi sui quali è incardinato: il coordinamento nazionale e interregionale; la riduzione della domanda; la riduzione dell’offerta; la cooperazione internazionale; l’informazione, la ricerca, la valutazione.

Coordinamento - Prevista la creazione di un coordinamento permanente tra le amministrazioni centrali, regionali e locali competenti e la ricostituzione del Coordinamento tecnico tra le Regioni in materia di droga. Una delle grosse novità è la valutazione del raggiungimento degli obiettivi indicati nel Piano, che sarà attuata mediante la stesura di un report indicante le criticità e i suggerimenti per il Piano triennale.

Riduzione domanda - Si prevede la creazione di Piani d’azione regionali di durata pluriennale e una mappatura delle risorse disponibili presso le regioni per le azioni sulle droghe, che non c’è mai stata. Nei locali di divertimento, i servizi per le dipendenze faranno interventi di prevenzione selettiva rivolti ai consumatori. Sarà istituito l’Osservatorio sul disagio giovanile legato alle dipendenze. Si farà una mappatura del sistema dei servizi, che servirà a definire i criteri per riformarli, anche a fronte di nuove forme di consumo come la cocaina, le droghe sintetiche, le sostanze dopanti e il gioco d’azzardo. Definizione dei Livelli essenziali di assistenza per le dipendenze patologiche. Produzione di linee guida sulla riduzione del danno e individuazione delle le tipologie di intervento che possono, da sperimentali, diventare stabili.

Bollini contro gioco patologico e doping - Previsti accordi con le associazioni dei gestori di slot machine, per sensibilizzarli alle problematiche del gioco patologico e farli aderire a un codice di auto-regolamentazione: i locali che si adegueranno avranno una sorta di bollino di qualità, una certificazione di locale libero da gioco patologico. Stesso percorso per le palestre: accordi con le associazioni di categoria per sensibilizzare i gestori alle problematiche del doping e rilascio finale della certificazione di palestra sicura.

Riduzione offerta - Obiettivo principale è migliorare gli interventi repressivi di contrasto alla produzione e al traffico, concentrandosi sulla criminalità organizzata.

Previsti accordi di cooperazione transnazionali. Tra le curiosità, la modifica della legge attuale sulla droga (309/90) per consentire la coltivazione della canapa sativa (la pianta da cui si ricava la fibra, non quella da cui si ottiene l’hashish) a fini leciti. Da segnalare anche la lotta al traffico di droghe via Internet, anche attraverso una mirata revisione normativa (come già avvenuto per la pedo-pornografia).

Cooperazione internazionale - Prevista fra l’altro l’assistenza finalizzata alla creazione di attività economiche alternative alle coltivazioni illegali (ad esempio l’aiuto ai contadini afghani per trasformare le colture di oppio).

Informazione - Si vuole tra l’altro migliorare la comprensione del fenomeno degli usi e degli abusi di droghe. Previsto l’avvio del nuovo Sistema Informativo Nazionale Dipendenze (Sind), cioè un nuovo modello di raccolta dati sui consumi. Il piano vuole anche attivare in via sperimentale il Sistema di Allerta Rapido (Early Warning System) nazionale, in linea con quanto previsto in ambito europeo: si tratta, in sostanza, di raccogliere, validare e diffondere le informazioni, fornite dagli operatori delle dipendenze, sulle nuove sostanze che compaiono sul mercato o su sostanze tagliate in modo da essere pericolose, sulle nuove tendenze e i nuovi fenomeni.

Droghe: Senato; carcere per automobilista che rifiuta il "test"

 

Notiziario Aduc, 20 settembre 2007

 

Pene più severe per chi guida ubriaco o sotto l’effetto di stupefacenti e carcere anche per chi si sottrae ai controlli. A inasprire le sanzioni è un articolo del ddl sulla sicurezza stradale approvato dal Senato che corregge, tra le altre cose, le misure che depenalizzavano le sanzioni per chi, anche evidentemente in stato di ebbrezza, non dava l’assenso all’etilometro. Se prima scattava soltanto l’ammenda pecuniaria, il fermo dell’auto e la sospensione della patente, l’articolo 16 del ddl licenziato oggi da Palazzo Madama prevede anche l’arresto fino a sei mesi. Insomma, chi dice no ai controlli, rischia di vedersi macchiata la fedina penale.

Cambiano inoltre le soglie fissate dalla Camera per il controllo del tasso alcoolemico nel sangue che erano: da 0.5 gr/litro per lo stato di ebbrezza e oltre 1.5 gr/litro per lo stato di ubriachezza. A queste due se ne aggiunge una intermedia (dai 0.8 gr/litro a 1.5gr/litro).

Ecco le sanzioni rimodulate sui tre scalini: da 0.5 a 0.8, ammenda da 370 a 1.485 euro, arresto fino ad 1 mese e sospensione della patente da 3 a 6 mesi; da 0.8 a 1.5, ammenda da 800 a 3.200 euro, arresto fino a 3 mesi, sospensione della patente da 6 mesi a 1 anno. Per chi viene trovato con tasso alcoolemico superiore a 1.5 grammi/litro nel sangue l’ammenda va da 1.500 a 6.000 euro con arresto fino a 6 mesi, e sospensione della patente da 1 a 2 anni. Per chi guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto droga o psicofarmaci l’ammenda va da 1.000 a 4.000 euro, l’arresto fino a tre mesi, la sospensione della patente da sei mesi a un anno. La patente di guida è sempre revocata quando il reato è commesso dal conducente di un autobus o di un mezzo che trasporta materiali pesanti, o in caso di recidiva nel biennio. Se poi il conducente ubriaco o sotto l’effetto di stupefacenti provoca un incidente stradale le pene saranno raddoppiate e sarà disposto il fermo del veicolo per 3 mesi (salvo che l’auto appartenga a persona diversa da chi ha commesso il reato).

Droghe: tre ministri alla "corte proibizionista" di Letizia Moratti

 

Notiziario Aduc, 20 settembre 2007

 

"Nemmeno ai tempi del governo di centro-destra, tre ministri si sarebbero precipitati alla corte proibizionista di donna Letizia. Il copione di domani è già scritto: Amato, Turco e la Bindi tenteranno di contendere alla Moratti e a Muccioli i termini sicurezza, legge, ordine, esaltando i controlli antidroga nelle scuole e i kit antidroga nelle farmacie".

È quanto affermano Bruno Mellano, deputato radicale della Rosa nel Pugno e Nathalie Pisano della segreteria dell’Associazione radicale Enzo Tortora, in merito all’incontro di domani di tre ministri del governo italiano (Giuliano Amato, ministro degli Interni, Livia Turco, ministro della Salute, Rosy Bindi, ministro della Famiglia) al convegno dell’Ecad, European Cities Against Drugs, cartello delle città europee proibizioniste, organizzato a Milano dal sindaco Letizia Moratti, alla presenza di Andrea Muccioli, presidente della comunità di San Patrignano e Antonio Maria Costa, direttore dell’agenzia antidroga Onu.

"Noi riteniamo che tali termini possano essere declinati in maniera diversa: per esempio, istituendo narcosale a Milano e nelle principali città italiane, per ridurre il danno ai consumatori di sostanze illegali e per aumentare la sicurezza di tutti i cittadini".

Una maniera diversa di affrontare il problema, aggiungono i radicali, è quella di abolire "quella legge Fini-Giovanardi che ha fatto di ogni erba un fascio e che il governo Prodi si era impegnato ad abolire nel suo programma elettorale, mentre la sta attuando da ben 568 giorni". Altro approccio sarebbe, infine, quello di "utilizzare i copiosi raccolti di oppio afghano per fabbricare morfina per i malati, impedendo così che Milano e le altre città siano invase da un nuovo mare di eroina pura e a buon mercato, che può provocare un’impennata delle overdose mortali".

Libia: 600 gli eritrei in carcere, la protesta dei connazionali

 

Liberazione, 20 settembre 2007

 

In Libia da oltre un anno sono detenuti in condizioni spaventose oltre 600 cittadini eritrei, colpevoli di essere fuggiti dal proprio paese per cercare asilo politico in Italia. Per loro ieri un centinaio di uomini e donne eritrei, in rappresentanza delle varie associazioni, si sono radunate sotto la sede dell’ambasciata eritrea, delegazioni giunte da varie città d’Italia, con l’obiettivo di incontrare la propria rappresentanza diplomatica e di consegnare un appello. Sono rimasti sotto la pioggia a chiedere democrazia, giustizia, libertà di stampa, a chiedere che le porte dell’ambasciata venissero aperte.

Nulla da fare, l’unico rappresentante che, scortato da funzionari di polizia, si è potuto avvicinare alla soglia, si è visto aprire la porta solo per il tempo necessario a consegnare una lettera. Sono rimasti per ore sotto le finestre: alcuni ragazzi indossavano magliette macchiate di inchiostro rosso, per ricordare le torture subite, altri portavano catene, simboleggiare lo stato di prigionia a cui è tuttora sottoposta una intera popolazione. Nel pomeriggio, una delegazione dei manifestanti è stata ricevuta dal segretario personale della Presidenza della Camera, Giuseppe D’Agata. Un incontro lungo e cordiale a cui erano presenti anche le parlamentari Frias e Siniscalchi, da cui sono maturati impegni formali per avere audizioni nelle apposite commissioni della camera e di informare il governo di quanto denunciato.

Venezuela: un viaggio nell’inferno delle carceri di Chavez

 

Affari Esteri, 20 settembre 2007

 

"Benvenuti nel cimitero dei morti viventi...Qui la vita non vale niente! I cani sono trattati meglio!" I detenuti italiani reclusi presso l’Internado Judicial de Los Teques, cittadina a quaranta chilometri da Caracas, ci accolgono con queste frasi lapidarie. Per giungere a questo carcere lugubre e fatiscente, dobbiamo risalire una collina lungo una stradina ripida che corre tra le baracche di un barrio, come si chiamano le favelas venezuelane. Entriamo nel cortile dove i detenuti hanno l’ora d’aria, accompagnati dal personale di una Ong del posto. I prigionieri sono al sesto giorno di sciopero della fame, per protesta contro i maltrattamenti delle guardie e le condizioni cui sono costretti a vivere. Incontriamo gli italiani: hanno perso chili e speranze, in questo inferno dantesco.

Tutta l’Italia è rappresentata a Los Teques, da Bergamo alla Sicilia, da Roma a Napoli passando per Reggio Emilia e Bologna. "Gli abusi di ogni genere" ci racconta un detenuto "sono all’ordine del giorno. È una tensione continua. Siamo psicologicamente a pezzi. Di notte non ci fanno dormire, oppure veniamo coinvolti in un pestaggio in corso". ...Se siamo qui certamente non è perché trasportavamo cioccolatini, ma i diritti minimi dovrebbero essere garantiti". Un altro ci ricorda che in carcere si deve pagare ogni cosa: "Qui tutto si paga a prezzi triplicati perché ogni cosa è gestito dai capi banda interni". "Il cibo è immangiabile" - grida un altro detenuto - "...Tutti i giorni si mangia arepa - un impasto di farina di mais fritto con sardine e acqua".

Chi è diabetico non ha la giusta dose di insulina, e le medicine si pagano care. Alcuni hanno la dissenteria e chiedono disperatamente degli antibiotici. Altri non riescono più a comunicare col proprio avvocato. C’è chi cerca soltanto una parola di conforto. C’è polemica tra gli italiani detenuti. Si sentono abbandonati e traditi: i sussidi economici erogati dal governo di Roma arrivano con grande ritardo. Accusano Teodoro Mascitti, vice console onorario di Los Teques, responsabile dell’erogazione dei contributi: "Il denaro arriva ogni quattro o cinque mesi, e quasi sempre senza arretrati.

Questo non succede agli spagnoli o ai polacchi!". Passi il ritardo, ma è la mancanza degli arretrati a scatenare la rabbia dei detenuti. Per fortuna c’è anche l’altra faccia della medaglia, quella dell’efficienza e della solidarietà priva di burocrazia, che nasce dalla forza e dalla perseveranza di un sacerdote italiano. Si tratta di padre Leonardo Grasso, da dieci anni in Venezuela, che insieme alla Ong "Icaro" assiste i detenuti italiani con un sostegno spirituale e anche con viveri e medicine di prima necessità.

Alcuni finanziamenti arrivano grazie a una convenzione con il Consolato Generale di Caracas, che finanzia direttamente il progetto di assistenza. Un esempio di efficienza da parte delle nostre istituzioni, e di pragmatismo di una piccola Ong. "Tutto ciò - dice Padre Leonardo - nasce dalla volontà di rispondere alle necessità dei detenuti italiani che, anche se colpevoli, sono sempre delle persone con una loro dignità. Un dramma che incontriamo in tutti i penitenziari venezuelani". Italiani che non fanno notizia, e quindi sono dimenticati da tutti e lasciati in balia della violenza e di una burocrazia oppressiva.

L’Italia ha in Venezuela il gruppo di carcerati più consistente di tutto il continente sudamericano. Secondo i dati del Ministero degli Esteri italiano si tratta di quaranta persone, tra uomini e donne. Secondo le Ong sono più di una sessantina, in maggioranza detenuti per traffico di droga, con una condanna media di otto anni. Qui non c’è garantismo, né arriva l’urlo di dolore dei Bertinotti e dei Prodi: siamo nel regno di Chavez. Fossero detenuti negli Stati Uniti diventerebbero dei Silvio Pellico, o almeno delle Silvia Baraldini. Nel regno marx-islamico bolivariano vengono dimenticati.

Il Venezuela detiene un triste primato: è la nazione con la più alta percentuale di morti negli istituti penitenziari. Con una popolazione carceraria di circa 19.000 unità, muoiono 350 prigionieri ogni anno, quasi uno al giorno, secondo quanto denuncia Humberto Prado -direttore dell’Observatorio Venezolano de Prisiones.

I detenuti deceduti in carcere salgono di numero ogni anno, e a questi si deve aggiungere la mattanza "normale: 407 feriti nel solo primo semestre del 2006. Per non parlare degli arsenali di fucili, pistole, bombe lacrimogene e coltelli che emergono dopo ogni perquisizione, a causa della corruzione delle guardie carcerarie. A Los Teques le celle sono state completamente sventrate, per protesta, con i flessibili. I detenuti dormono per terra, in stanzoni da ottanta persone con un solo bagno funzionante. Il carcere ha più di 800 prigionieri, invece dei 350 previsti. Quasi tutti sono in attesa di sentenza definitiva. Le norme igieniche sono quasi inesistenti e le infezioni ovviamente impazzano. In caso di malattia i detenuti devono pagare per avere cure in tempo utile. Ma spesso le cure vengono negate, per "motivi di sicurezza".

La vita, nel carcere di Los Teques, rispecchia quella di tutto il Venezuela, moltiplicata per cento in termini di violenza, mancanza di regole sensate, prevaricazioni e burocrazia. "Qui l’odore della morte ti accompagna sempre", dice salutandoci un detenuto italiano. Non si vede l’alba e nemmeno il tramonto a Los Teques. Nel regno di Simòn Bolivar non c’è speranza per i poveri carcerati. Qui non vengono i medici cubani pagati da Chavez, il militare golpista abbracciato nel parlamento di Roma. In Venezuela i paladini degli oppressi toccano Caino, anzi lo prendono a calci…

 

 

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