Rassegna stampa 26 ottobre

 

Giustizia: solo le misure alternative contengono la recidiva

 

Ansa, 26 ottobre 2007

 

Sono le misure alternative al carcere la modalità di esecuzione della pena "più capaci di contenere il fenomeno della recidiva". Lo ha detto il sottosegretario della giustizia, Daniela Melchiorre, intervenendo stamani alla festa regionale della polizia penitenziaria che si è tenuta a Milano. Lo ha detto parlando dell’ipotesi di "proiezione all’esterno dell’azione degli agenti". "La proposta ha suscitato entusiasmo e perplessità tra gli addetti ai lavori - ha detto il sottosegretario nel suo intervento -.

Soprattutto per contrastare l’inserimento degli agenti di polizia penitenziaria negli Uepe (Uffici di esecuzione penale esterna), in una sperimentazione inizialmente circoscritta ad alcune regioni, sono state attivate delle iniziative di mobilitazione e c’è un’interrogazione parlamentare in corso, interrogazione a risposta in commissione, presentata a luglio".

"Sono sicura che - ha aggiunto -, se si cercherà un confronto sereno e obiettivo tra le parti coinvolte nei temi in questione, si potrà riuscire a individuare la soluzione più giusta che, confortata dalla normativa vigente, contemperi l’apertura al cambiamento e la valorizzazione delle consolidate competenze professionali dei diversi operatori. Soprattutto, renda sempre più efficaci le misure alternative che - ormai è provato dalla statistica - sono la modalità di esecuzione della pena più capace di contenere il fenomeno della recidiva".

Giustizia: lettera del SAI - Sindacato Infermieri Penitenziari

 

Ristretti Orizzonti, 26 ottobre 2007

 

Ogni giorno che passa la rabbia e lo sconforto diventano sempre più prepotentemente forti. Da anni ci battiamo per una medicina penitenziaria migliore, più umana, più civile ma soprattutto che desse risposte concrete alle richieste di bisogno di salute dei detenuti. Sempre abbiamo cercato di anteporre questa filosofia agli interessi più sindacali e soggettivi degli infermieri. Questo nostro modo di agire e di pensare è sempre stato per noi irrinunciabile nella nostra funzione. È vero, siamo un sindacato piccolo, a volte fastidioso, ma siamo pur sempre la voce di molti infermieri penitenziari a parcella che in noi si riconoscono.

Sono anni che la nostra categoria non è tutelata, forse già dal 1970,quando fu istituita la guardia infermieristica, siamo stati visti come estranei, come figure professionali da tollerare ma non da valorizzarne la professionalità. Ancora oggi in molti istituti vediamo infermieri alle dipendenze di vari direttori o responsabili di area sanitaria con mansioni amministrative, vediamo decine e decine di infermieri costretti a svolgere mansioni che con la professione infermieristica (oggi autonoma e laureata) nulla hanno a che vedere.

Noi oggi abbiamo un Dap che francamente sarebbe giusto abolire, superare e recuperare quel danaro che sempre manca. Che ce ne facciamo di un Dipartimento che nella sanità almeno. Non esiste? Un Dap che manda decine di circolari negli istituti nei provveditorati ma che restano sempre disattese ed inascoltate in nome solo di una autonomia periferica che autonomia non è ma è autarchia.

Circolari che si badi bene vengono ancora meno considerate se riguardano gli infermieri. Da mesi ormai stiamo chiedendo di restituire due ore giornaliere al carcere di Sciacca (la popolazione detenuta è triplicata in poco tempo) l’ufficio sanitario del Dap si dice d’accordo ma il medico responsabile dell’area non ne vuol sapere nemmeno ora che sono arrivato nuovi fondi e non si sa il perché.

Questo è solo uno dei piccoli esempi che riguardano la nostra categoria ma ce n’è per tutti. Da anni abbiamo chiesto che ci venisse detto se le cooperative al nord fanno operare infermieri abilitati mai avuto risposte. Da anni chiediamo che venga istituito un tavolo di lavoro tecnico che dia programmi e progetti obiettivi al servizio infermieristico. Ci è sempre stato detto di sì, ma mai fatto.

Non parliamo poi degli aumenti questua che ci vengono dati e gli arretrati che vengono sottratti in effetti noi abbiamo visto toglierci gli arretrati del 2004 e ora ci toglieranno quelli del 2006 anche se l’aumento ufficialmente ancora non è arrivato dopo 22 mesi dalla sua scadenza.

Noi abbiamo deciso di dire basta dichiareremo lo sciopero a Sciacca e soprattutto l’otto novembre saremo a Roma a discutere del passaggio e io e il Vice Segretario Nazionale andremo alla questura in via S. Vitale a depositare un esposto in quanto sugli arretrati e sugli aumenti crediamo ci siano delle responsabilità oggettive visto che l’articolo 53 della legge 740 del 1970 è ancora legge a tutti gli effetti.

Noi infermieri siamo convintissimi di non meritare un trattamento simile e siamo ancora più convinti che questa amministrazione davvero non ci merita. E questo danneggia tutta la collettività penitenziaria e non. L’Italia ha una categoria di infermieri penitenziari che credo sia fra le migliori al mondo ma si vede che il nostro paese preferisce i primati negativi a quelli positivi se no qualcosa farebbe in fin dei conti anche noi siamo, purtroppo, figli di questo paese.

Cordiali saluti.

 

Per il SAI, il Segretario Nazionale Marco Poggi

Lombardia: aumento di patologie psichiatriche tra i detenuti

 

Ansa, 26 ottobre 2007

 

Sono "in continuo aumento", nelle carceri lombarde, le persone che presentano all’ingresso del carcere o che sviluppano durante la detenzione "patologie di natura psichiatrica" alle quali la situazione del carcere riesce difficilmente a far fronte. È uno dei problemi che affliggono il sistema carcerario lombardo illustrati stamani dal comandante del reparto degli agenti della Polizia penitenziaria del carcere di san Vittore, Mario Piramide, in occasione della festa regionale del Corpo a cui hanno partecipato, tra gli altri, il sottosegretario alla Giustizia, Daniele Melchiorre, e il provveditore lombardo alle carceri, Luigi Pagano.

"Non possiamo neppure trascurare che, oggi più che mai, il carcere è diventato un contenitore dove si raccolgono le miserie e il disagio della nostra società - ha detto Piramide nella sua analisi -, basti pensare che in media più del 55% dei detenuti presenti negli istituti lombardi sono stranieri, con picchi che raggiungono quasi il 700% nell’ambito del circuito milanese, appartenenti a etnie diverse con notevoli problematiche sia nella loro convivenza sia nella loro gestione sotto il profilo della sicurezza interna. "Elevato" il numero di detenuti tossicodipendenti, ma anche quello di quelli affetti da patologie di natura infettiva, la cui gestione, anche da parte della Polizia penitenziaria, necessita di "un elevato grado di professionalità e consapevolezza, anche per evitare inutili situazioni di rischio e allarmismo tra il personale". "In continuo aumento", infine, i detenuti che presentano all’atto dell’ingresso o che sviluppano durante la detenzione patologie di natura psichiatrica e le carceri, sopratutto quelle più vecchie "non offrono spazi adeguati per lo svolgimento di trattamenti particolari".

Emilia: i detenuti "recuperano" computer e telefonini usati

 

Redattore Sociale, 26 ottobre 2007

 

Mille tonnellate di telefonini e computer guasti si riverseranno nelle carceri dell’Emilia-Romagna, che però non diventeranno discariche, ma un luogo di recupero dei rifiuti. Come? Con il Raee, un progetto per il recupero delle apparecchiature elettriche ed elettroniche in carcere, che riguarda i detenuti di alcuni istituti della regione. L’iniziativa è stata presentata a Bologna, nella sede del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria dell’Emilia-Romagna. Dal 6 novembre, inizialmente nelle carceri di Bologna e Ferrara, e poi anche nell’istituto di Forlì, prenderà il via una vera e propria "catena di smontaggio" di questi rifiuti. Si prevede di far lavorare i detenuti su mille tonnellate di materiali non pericolosi, da cui si può "salvare" oltre l’80% delle componenti; il materiale recuperato sarà inviato agli impianti di trattamento del gruppo Hera.

Saranno selezionati da equipe di 10 detenuti, impegnati per 36 ore settimanali, che saranno anche retribuiti. Si tratta di un’iniziativa nata dall’impegno di Equal Pegaso, società di cui fanno parte enti pubblici, imprese e agenzie no profit, dell’amministrazione penitenziaria regionale e del gruppo Hera. L’accordo è stato firmato da Nello Cesari (provveditore dell’amministrazione penitenziaria regionale), Roberto Barilli (direttore generale del gruppo Hera), Paolo Celli (presidente di Techne, capofila di Equal Pegaso) e dagli assessori all’Ambiente delle tre Province coinvolte: Emanuele Burgin (Bologna), Sergio Golinelli (Ferrara) e Roberto Riguzzi (Forlì-Cesena).

Il progetto di recupero di rifiuti elettrici ed elettronici in carcere (Raee), come ha sottolineato il direttore generale del gruppo Hera, "aggiunge alla valenza sociale, cioè all’impegno dei carcerati in attività lavorative, anche quella ambientale". Questo tipo di rifiuti, infatti, "è prodotto in grandissime quantità dalla nostra società".

Questa è la fase sperimentale di un’attività che, come ha ricordato il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, "è la prima in Italia a coinvolgere più realtà penitenziarie" e che si spera "verrà allargata al resto dell’Emilia-Romagna". Il Raee nasce con l’intento di favorire l’inserimento dei detenuti in un processo industriale, creare professionalità e opportunità di lavoro, per migliorare il reinserimento nella vita sociale, una volta scontata la pena.

Perugia: morte Bianzino, capogruppo Pdci scrive al sindaco

 

Asca, 26 ottobre 2007

 

La vicenda del detenuto Aldo Bianzino, morto in carcere giorni fa, di cui si sono occupate le cronache ed ora anche la magistratura con l’apertura di una inchiesta (pm Giuseppe Petrazzini) sta coinvolgendo anche il mondo politico; una richiesta d’interessamento sulla vicenda di Bianzino è stata rivolta al Sindaco di Perugia del capoluogo Renato Locchi, dal capogruppo del Pdci Fabio Faina.

Per il capogruppo del Pdci, che ripercorre alcune tappe della storia di Perugia, è opportuno che si faccia chiarezza sui fatti accaduti, per difendere la storia e l’immagine della città. Nella lettera, dopo aver ripercorso le tappe cronologiche dei fatti, si afferma che per la magistratura, "ad oggi sembra che l’ipotesi sulla quale si sta lavorando è quella che le lesioni che potrebbero aver provocato la morte siano legate ad azioni da parte di ignoti".

Io spero che per questo caso si possa trovare la verità senza giungere all’accertamento di alcun reato. Comunque questa notizia, chissà perché, forse anche condizionato dai clamori e dall’operazione spettacolo degli ultimi arresti di Spoleto, mi ha fatto tornare in mente - ha scritto Faina - un caso avvenuto in altri tempi nella nostra città. Nel 1999 quando iniziava la tua prima campagna elettorale per essere candidato a Sindaco di Perugia, il tuo comitato prese in affitto dei locali in via Floramonti.

Alcuni anni dopo, grazie alla memoria storica ed alla cultura di qualche ricercatore straniero, riscoprimmo che quelle sale, da noi tutti utilizzate per farti eleggere Sindaco della nostra amata città, furono le oscure stanze dove il regime fascista torturava, istigava al suicidio ed uccideva gli oppositori. Ti ripeto, forse è solo perché in questi giorni sono scosso ed amareggiato, forse mi manca la giusta serenità per riflettere in maniera pacata, ma la morte di un uomo nel carcere di Capanne mi ha riportato con la mente indietro a quelle sale di via Floramonti dove Gastone Sozzi fu torturato ed ucciso, dove Santucci a causa delle indescrivibili torture fu costretto a lanciarsi dalle finestre per finire rovinosamente sulle scalette di S. Ercolano.

Non voglio nemmeno immaginare che Perugia, la città di Capitini, possa minimamente essere macchiata da metodi e sistemi contro i quali i nostri avi hanno combattuto e sacrificato la vita. Comunque voglio chiederti un interessamento forte in prima persona - conclude la lettera del consigliere comunista - per difendere la storia, l’immagine, l’onore e la grande fede democratica della nostra Perugia".

Milano: 8.000 "nuovi giunti" solo nei primi 6 mesi del 2007

 

Ansa, 26 ottobre 2007

 

I problemi delle carceri lombarde, che vedono la presenza di molti detenuti stranieri, di persone affette da patologie infettive e psichiatriche, risultano aggravati "dal più generale e persistente problema del sovraffollamento", che rimane anche dopo l’indulto. A fornire alcune cifre del sovraffollamento negli istituti di pena lombardi è stato stamani il comandante degli agenti di Polizia penitenziaria del carcere milanese di san Vittore, Mario Piramide, intervenuto alla festa regionale del Corpo.

Piramide ha spiegato che nel primo semestre del 2007, sono stati registrati "più di 8.000 ingressi dalla libertà, con punte massime di oltre 3.000 detenuti presso la Casa circondariale di Milano - S. Vittore e di quasi 1500 unità presso la Casa Circondariale di Brescia". L’aumento e l’evoluzione della popolazione carceraria, con l’ingresso negli anni di molti stranieri, per Piramide "ha comportato e comporta la necessità, anche per la Polizia penitenziaria, di adeguare i propri schemi di lavoro alla mutata realtà carceraria, affinando sempre più le competenze e acquisendo un livello di professionalità elevato e altamente qualificato".

Padova: la casa circondariale ha 80 posti e... 220 detenuti

 

Il Gazzettino, 26 ottobre 2007

 

Tre detenuti nelle celle singole e nove in quelle da tre. La casa circondariale di via Due Palazzi sta per esplodere. Per la prima volta dall’apertura della nuova ala i detenuti hanno toccato quota 220, quasi il triplo rispetto alla capienza (80 posti). A denunciare la situazione insostenibile è il coordinatore regionale degli agenti penitenziari Cisl-Fp Bernardo Diana: "L’effetto indulto è ormai scemato e ogni giorno arrivano un numero impressionante di nuovi detenuti. L’affollamento sta mettendo a nudo i limiti strutturali e funzionali della nuova ala, troppo piccola per le esigenze di Padova".

Se nei primi sei mesi di apertura non si è mai superata una capienza di 160-170 reclusi, da settembre si è verificato un costante aumento. "Purtroppo la direzione del carcere - spiega Diana - non ottiene più i trasferimenti di gruppi di reclusi in attesa di giudizio perché le carceri vicine non hanno più la stessa disponibilità di posti". Ad aggravare una situazione ingovernabile vi sono poi le carenze di personale: la casa di reclusione opera con 110 agenti in meno rispetto a una pianta organica di 431 unità, nella circondariale mancano una cinquantina di agenti (135 a pieno organico): "Capita che un solo agente, massimo due, debbano tenere a bada un centinaio di detenuti".

Sanremo: sezione sex-offender invece di custodia attenuta

 

www.riviera24.it, 26 ottobre 2007

 

La notizia è emersa a margine della Festa del Corpo di Polizia Penitenziaria. Aumenta la popolazione carceraria: sono 273 i detenuti di valle Armea, mentre sui 40 usciti con l’indulto solo 6 hanno fato rientro. Da segnalare anche la carenza di organico

È andata in pensione la sezione custodia attenuata del penitenziario di Sanremo, per lasciare spazio a una nuova sezione, la "sex offender", che appunto come dice il nome è dedicata ai reati della sfera sessuale. Lo ha annunciato stamani il direttore della casa circondariale, Francesco Frontirrè, nel corso della celebrazione annuale del corpo di polizia penitenziaria. "Manca ancora l’imprimatur ministeriale - ha affermato Frontirrè - ma la nuova sezione ospita già una quarantina di detenuti, alcuni dei quali, comunque, stanno scontando pene per reati di genere diverso, ma che meritano ugualmente una certa protezione".

Frontirrè ha, poi, spiegato che la vecchia sezione - rimasta attiva per circa otto anni durante e che ha permesso a 36 persone di trovare un lavoro - è stata rimpiazzata, in quanto è cambiata la figura del tossicodipendente. "La struttura, dunque - ha aggiunto il direttore del carcere - non risponde più all’attuale tipologia di tossicodipendente. Una volta c’era l’eroinomane, che aveva bisogno di un determinato tipo di assistenza psicofisica. Oggi, ci sono il cocainomane e coloro che fanno uso di altre droghe sintetiche come l’ecstasy e via dicendo".

L’attuale popolazione carceraria di Sanremo è pari a 273 unità, molte delle quali, però, sono provenienti da fuori provincia, per via di lavori di restauro dei penitenziari di appartenenza. Risulta, poi, che su una quarantina di detenuti domiciliati in provincia di Imperia, usciti con l’indulto, soltanto sei hanno fato rientro in carcere.

In merito al personale, c’è da sottolineare una carenza di organico. Sui 250 posti circa assegnati in pianta organica, infatti, sulla carta ne sono ricoperti soltanto 208 che di fatto scendono a 160-165. Un altro dato importante, emerso a margine dei festeggiamenti, riguarda la grande opera di integrazione nei confronti dei detenuti stranieri, che consiste nell’intervento di operatori madrelingua.

Napoli: scrittori in carcere, la lettura serve per ricominciare

 

Il Mattino, 26 ottobre 2007

 

Pasquale Esposito Soltanto evasione? Oppure un sogno? Cos’è per lettori detenuti nel carcere di Secondigliano l’incontro con i libri proposto dal Premio Napoli? A sentire gli autori che hanno discusso con il comitato di lettura composto da alcuni ristretti nell’istituto di pena insieme a un buon numero di educatori, leggere fa bene a chi sta saldando un debito con la società, se ne dicono convinti - con accenti che sembrano sinceri - anche i detenuti lettori che, lasciate per qualche attimo alle spalle le loro storie di vita (omicidi con ergastoli, droga, altri reati), tempestano scrittori e poeti di domande sui testi da loro studiati nel corso dell’estate, quasi sempre costringendo i finalisti per la poesia Nico Naldini, Antonella Anedda e Sara Ventroni (che in serata hanno incontrato poi i lettori nella sede della Fondazione a Palazzo Reale) e quelli per la narrativa italiana Andrea Di Consoli, Rosa Matteucci e Francesco Pecoraro, a fornire risposte concrete, certo al di fuori degli schemi e dei riti di una presentazione tradizionale di un romanzo, di una raccolta di versi.

"Un incontro molto particolare", conferma Naldini, autore de I confini del paradiso (L’ancora del mediterraneo) al termine del fuoco di fila di oltre un’ora e mezza nella sala-teatro del carcere: "Sono state poste domande concrete, interessanti, formulate con linguaggio vero, diretto. Esperienza davvero significativa".

Condividono il parere del cugino di Pasolini - che trova il modo di ricordare i tempi del "Decameron" girato a Napoli con il regista-scrittore, e di affermare il suo amore per Napoli e il suo popolo "vivo, autentico" - gli altri finalisti chiamati a parlare delle loro opere, ma anche di sofferenze, di violenza, di sopraffazione, temi che escono dalle pagine dei loro testi per mettersi a confronto con una realtà dura quale quella di un carcere.

Si va dalle storie di Antonella Anedda (Dal balcone del corpo, Mondadori) e di Sara Ventroni (Nel gasometro, Le Lettere) a quelle di Di Consoli (Il padre degli animali, Rizzoli), Rosa Matteucci (Cuore di mamma, Adelphi) e Francesco Pecoraro (Dove credi di andare, Mondadori) per ragionare attorno alle trame ma più ancora sui contenuti della realtà: la sofferenza dell’uomo, l’esistenza di Dio, la ricerca della fede, il valore della religione, il bene e il male, la vecchiaia, l’emigrazione, la speranza, in un contesto assolutamente particolare, inusuale, dove a porre domande erano persone con prospettive di detenzione lunga.

I finalisti del Premio Napoli sono stati accompagnati dal presidente della Fondazione, Silvio Perrella, e accolti dal direttore dell’istituto, Liberato Guerriero: "Da cinque anni - ha affermato - questi incontri sono un momento di evasione per i detenuti che hanno l’opportunità di arricchire le loro conoscenze. Questo evento è ancora più importante perché stiamo cercando proprio in questi mesi di allestire una biblioteca grande aperta a tutti". Con lui il suo vice, Marco Casale, che ha coordinato il gruppo di lettura composto da persone (napoletani, spagnoli, tedeschi) che fanno parte delle classi della sede distaccata dell’Itc "Enrico Caruso" che, con il sostegno degli educatori, hanno lavorato e studiato sui libri dei finalisti del premio. Tra questi, protagonisti della faida di Secondigliano (Giovanni Cortese, ricorso in appello contro l’ergastolo comminatogli) e un giovane di 28 anni, Vincenzo (in carcere per estorsione) che, contento per aver vissuto una mattinata diversa, tiene a far sapere: "Per noi che stiamo qui leggere questi libri è un momento di evasione: gli errori si fanno, ma sappiate che c’è molta gente che cerca di rimediare migliorando le proprie conoscenze e riflettendo su se stessi anche attraverso una poesia".

Bollate: il cinema, per "bucare lo schermo" dei pregiudizi

di Luca Cusani

 

Il Mediario, 26 ottobre 2007

 

"Riccardo" è un film tratto dalla tragedia shakespeariana "Riccardo", e fin qui nulla di speciale: tanti ottimi film sono stati una trasposizione fedele o un adattamento della celebre opera. Eppure questo "Riccardo" ha qualcosa di speciale: si svolge tutto all’interno del carcere di Bollate, alla periferia nord di Milano.

Ma il carcere non è soltanto una suggestiva location. Infatti gli attori stessi del film sono tutti protagonisti del carcere: detenuti e agenti di polizia penitenziaria. Un solo professionista esterno fa parte del cast nel ruolo proprio di Riccardo: Bebo Storti, l’attore diventato famoso con "Mai dire goal", ma protagonista anche in spettacoli teatrali impegnati come ad esempio l’ottimo "Mai morti". Ma cominciamo dal principio.

Abbiamo incontrato Bruno Bigoni, docente dell’università Iulm di Milano e regista di lungo corso, nonché anima di questo progetto così particolare che ha avuto un’entusiastica accoglienza al Festival Internazionale del Cinema di Locarno di questa estate.

L’idea viene a Bigoni due anni fa, durante un seminario da lui tenuto nel carcere di San Vittore. Si trattava di un seminario sul cinema che includeva la visione di alcuni film tra cui il "Riccardo III" con Al Pacino.

Alcuni detenuti rimasero allora molto coinvolti dalla proiezione sostenendo che quell’infido personaggio (Riccardo, appunto) era molto somigliante ad alcuni compagni di prigionia incontrati durante gli anni.

Da quel momento è scattata la scintilla. Bigoni si rivolge prima a San Vittore e in seguito al carcere di Bollate, dove trova una grande disponibilità a sviluppare il progetto. Lo scopo era sì quello di fare un film tratto dal Riccardo III ma, soprattutto, di coinvolgere detenuti e studenti universitari nella realizzazione in prima persona dell’opera: un processo formativo in piena regola. Cominciamo allora con il dare la dimensione dello sforzo organizzativo e produttivo.

Ventidue studenti laureati nel corso di Specializzazione in cinema, tv e produzione multimediale dello Iulm: nessuno diloro aveva mai partecipato prima ad un vero e proprio set cinematografico. Dieci detenuti, come attori principali. Cinquanta, tra detenuti e agenti di polizia penitenziaria, come attori secondari e comparse. Sei mesi, tra preparazione e riprese, all’interno del carcere. Un backstage di 40 minuti.

Al di là dell’indubbio valore artistico dell’opera, è fondamentale sottolineare il valore formativo del progetto. La sceneggiatura del film è stata interamente scritta dai detenuti e dagli studenti con la scelta coraggiosa di mantenere la lingua shakespeariana aggiungendo soltanto alcune espressioni tipiche del mondo carcerario. I detenuti/attori hanno lavorato sui personaggi cercando il più possibile di mettere la propria esperienza e le proprie emozioni al servizio della sceneggiatura. Gli studenti hanno lavorato come una vera troupe e, soprattutto, sono entrati in contatto con un mondo che non conoscevano o pensavano di conoscere attraverso la lente dei film americani sui penitenziari: sono nate così grandi amicizie e nuove consapevolezze. Da tutto questo è uscito, grazie anche al fondamentale apporto del talento di Bebo Storti, un magnifico film, capace di bucare lo schermo perché per primi i protagonisti hanno bucato ogni possibile pregiudizio e collaborato nella realizzazione di un progetto che meriterebbe di essere replicato anche in altre carceri italiane.

Cile: incendio in un carcere minorile, muoiono 8 ragazzi

 

Ansa, 26 ottobre 2007

 

Otto giovani tra i 14 ed i 18 anni sono morti oggi in un incendio in un centro di detenzione per minori a Puerto Montt, a sud di Santiago. L’incendio è divampato all’alba durante la protesta di un gruppo di ragazzi all’interno del Centro "Tiempo de crecer", dipendente dal Servizio nazionale per i minori. La stampa di Santiago sostiene che le fiamme sono divampate quando i giovani hanno acceso un falò per protestare contro le condizioni di vita nel centro di reclusione.

 

 

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