Rassegna stampa 21 ottobre

 

Foggia: detenuto da un giorno, 30enne s’impicca in cella

 

Teleradioerre, 21 ottobre 2007

 

Pasquale Giannuario, 30enne foggiano, ha approfittato dell’ora d’aria, lasso di tempo in cui il suo compagno di cella aveva lasciato la stanza, e si è impiccato con un lenzuolo. L’uomo, che non ha lasciato nessun messaggio, era stato arrestato la notte scorsa dai carabinieri della compagnia di Foggia, dopo aver picchiato violentemente la compagna e la figlia di quest’ultima e sequestrato il figlio maschio della stessa donna.

Ecco la cronaca dell’arresto: un’auto che sfreccia nel cuore della notte tra le vie cittadine, al volante un uomo con le mani insanguinate e con lui un ragazzino di appena tredici anni dall’espressione del volto terrorizzata. La scorsa notte la scena, appena descritta, non è sfuggita ai carabinieri fermi nelle vicinanze della stazione ferroviaria per un consueto posto di blocco. Erano le 2.30 del mattino a Foggia quando è iniziato l’inseguimento tra i militari e l’Audi 80 guidata dall’uomo. Dopo pochi metri però i carabinieri riescono a bloccare il mezzo. L’uomo si rifiuta di parlare, accanto a lui il ragazzino urla in lacrime "ha picchiato mia madre e mia sorella, e poi mi ha sequestrato".

Alle parole del 13enne i militari costringono Pasquale Giannuario a farsi condurre presso l’abitazione della sua convivente. Lì un’altra scena raccapricciante, il 30enne aveva rinchiuso le donne in una stanza. Le due presentavano ancora evidenti tumefazioni su tutto il corpo, soprattutto la mamma aveva ancora i segni dei morsi lungo le braccia.

A quel punto i carabinieri altro non hanno potuto fare che accompagnare le vittime in ospedale, dove sono state prontamente medicate e giudicate guaribili in una settimana. Ma la follia dell’uomo non finisce così. Le donne vengono portate in caserma per il riconoscimento del 30enne, alla vista delle due Giannuario, tenta ancora una volta di scagliarsi contro di loro, provocando nella concitazione del momento, anche il ferimento di un maresciallo.

Giustizia: i legislatori garantiscano la "certezza delle pene"

 

L’Arena di Verona, 21 ottobre 2007

 

Si parla tanto, sempre più, della "sicurezza" dei cittadini. Essa è minacciata da due direzioni che insieme cospirano. Una direzione viene dal fatto che dei delitti, più o meno gravi (i più gravi sono quelli che tolgono la vita dando la morte), una parte troppo grande rimane impunita per la difficoltà o impossibilità d’individuare gli autori. L’altra direzione è probabilmente costituita dal fatto che con il groviglio, o pletora, delle leggi attuali i malfattori riescano sempre o quasi, se non proprio a farla franca, a cavarsela con pene irrisorie ed inefficaci.

Un motivo, dicono certi politici, sta nel fatto che le pene, quali che siano, non ottengono quasi mai l’effetto desiderato, non solo di punire adeguatamente i colpevoli ma anche di aiutarli a rimettersi, con adeguati provvedimenti e in ambienti detentivi adatti, in carreggiata. Si aggiunge un fatto probabilmente non solo italiano: le carceri sono piene all’inverosimile di imprigionati, e oltre ai locali che sarebbero indispensabili mancano le persone sufficienti sia alla custodia sia alla rieducazione.

L’affastellamento dei problemi e delle difficoltà è tale, che la classe politica, la quale comprende anche quei servitori dello Stato che sono i membri dei vari corpi di polizia, trova argomenti più o meno persuasivi per dichiarare l’impossibilità per intervenire, coi mezzi a disposizione, in misura efficiente e determinante.

Sappiamo che hanno problemi relativi alla detenzione penitenziaria anche altri grandi Stati democratici, Usa in capo, da Guantanamo ai luoghi di reclusione nei quali la "massima sicurezza" impone ai prigionieri un regime durissimo: per non parlare di Cina e Russia e molti Paesi centro e sudamericani o asiatici, dove non è possibile neanche accennare in pubblico, ad esempio sulla stampa ai problemi relativi alla giustizia ed alla libertà.

Ma questo non alleggerisce la responsabilità di chi dovrebbe, e naturalmente potrebbe, fare della sicurezza doppiamente intesa (sicurezza dei cittadini, sicurezza delle pene) un impegno primario ed indimenticabile.

Da decenni si criticano, nel nostro Paese, vari tipi di sprechi; e tutti si dicono d’accordo sulla necessità non già di fare una qualunquistica antipolitica, ma di ridurre le spese improduttive o semplicemente non necessarie, comprese quelle che non comportano, per sé, privilegi e vani dispendi. Ma appena qualcuno tende seriamente, da livelli governativi o d’altro genere, a metter mano a severe riforme, che inesorabilmente possono toccare individui potenti o gruppi benestanti, ecco che voci dissonanti o cori stonati ma interessati si alzano a rendere vano il tentativo.

Intanto i malviventi imperversano al punto tale che anche pacifiche contrade del Nord vengono funestate in pieno giorno dalla criminalità più o meno organizzata. E uscire di sera, magari per andare al bar o al cinema o a passeggiare in santa pace, è diventato rischioso. E il semplice attraversamento d’una strada, semplicemente per noi anziani e vecchi, può comportare rischi mortali, dato che sui veicoli a motore stanno sempre più spesso o interperanti bevitori o malati di delirio d’onnipotenza. Non passa settimana senza che qualche bambino, o qualche vecchietta, sia massacrato da impuniti che, qualora venissero identificati, si beccherebbero alla peggio gli arresti domiciliari.

In questa stagione che vede, speriamo felicemente, rinnovarsi il cast dei partiti, laboratori del potere, gli uomini e le donne della casa della strada - ma anche quelli delle fabbriche e degli uffici - vorrebbero far sentire sempre più energicamente la loro voce, a salvaguardia delle vite umane e della giustizia variamente offesa o calpestata.

Si dice: "Ma le leggi ci sono!". Va bene; però viene da domandarsi amaramente, col Poeta medioevale, "Ma chi pon mano ad elle?". Chi le rende efficaci, chi si prende veramente a cuore - fra coloro che esercitano qualche forma di potere - quei valori coi quali ci sciacquiamo così facilmente la bocca: la vita indifesa, la giustizia vilipesa?

Giustizia: Pisicchio; carceri strapiene e carceri inutilizzate

 

La Voce d’Italia, 21 ottobre 2007

 

Le carceri italiane, nonostante l’inutile provvedimento dell’indulto, buono solamente ad evitare problemi ai soliti colletti bianchi, tornano a sovraffollarsi. Fenomeno che emerge dai dati inquietanti forniti dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria. Ciò, oltre alle inchieste apparse negli ultimi tempi sui quotidiani, che hanno evidenziato gli sprechi dell’edilizia carceraria, ha acceso la miccia delle polemiche.

Il presidente della Commissione Giustizia della Camera, Pino Pisicchio, intende porre al ministro Mastella, nel corso del question time, domande sul numero dei detenuti ospiti dei penitenziari, e sui casi denunciati dalla stampa, circa le strutture carcerarie, costruite, arredate e mai utilizzate.

Pisicchio ricorda che l’unico motivo per cui il Parlamento, lo scorso anno, decise di approvare il provvedimento dell’indulto, fu l’insostenibile sovraffollamento degli istituti di pena, oltretutto incompatibile con l’art. 27 della Costituzione, che prevede l’umanità della pena e il fine rieducativo della stessa. Quindi, si trattava dell’unica strada percorribile, anche perché, da anni, risultava ferma l’edilizia carceraria.

Ma questo contrasta con quanto scoperto dagli organi di informazione : ventitre carceri, sull’intero territorio nazionale, edificate, arredate di tutto punto, ma abbandonate al degrado più totale. "Si tratta di informazioni allarmati - spiega Pisicchio - testimonianze di sprechi ingenti, che lasciano allarmato il cittadino ed anche il legislatore. Chiediamo al ministro di sapere quali urgenti interventi intende assumere, per chiarire alla pubblica opinione ed al Parlamento, l’effettivo stato dell’edilizia carceraria, con riferimento particolare ai casi denunciati dai mass-media ".

Giustizia: Mastella è indagato dalla Procura di Catanzaro

 

La Repubblica, 21 ottobre 2007

 

Il ministro della Giustizia Clemente Mastella risulterebbe iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Catanzaro fin dallo scorso 14 ottobre nell’ambito dell’inchiesta "Why Not". "Lo apprendo da notizie giornalistiche - dice il Guardasigilli - se così è, dichiaro di attendere serenamente gli sviluppi di questa situazione".

La notizia era stata diffusa dal quotidiano Libero. Fonti della Procura confermano "in maniera ufficiosa", visto che le iscrizioni nei registri degli indagati sono coperte da segreto. L’iscrizione, tra l’altro, non comporta alcuna comunicazione all’interessato. "Non intendo rilasciare alcuna dichiarazione" taglia corto il procuratore vicario della Repubblica di Catanzaro, Salvatore Murone.

Libero, riferendo della possibile indagine su Mastella, parla di "tam tam nel Palazzo" e di fonti che parlano "di un riferimento con la posizione di Saladino e alle intercettazioni telefoniche". L’inchiesta "Why Not" è la stessa in cui risulta indagato il presidente del Consiglio Romano Prodi e che ha portato alla richiesta di azione disciplinare per il pubblico ministero che la coordina, il sostituto procuratore Luigi De Magistris.

Le ipotesi di reato. Abuso di ufficio e violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete: queste le ipotesi di reato per cui Mastella risulterebbe indagato.

L’indagine. Il 18 giugno scorso l’indagine era sfociata nell’emissione di 24 avvisi di garanzia ad esponenti politici del centrosinistra e del centrodestra, al capo di Stato Maggiore della Guardia di Finanza e ad alcuni imprenditori. Al centro dell’inchiesta, gli intrecci fra un presunto comitato d’affari che gestiva fondi europei ed una loggia massonica con sede a San Marino.

Il coinvolgimento di Mastella. Il coinvolgimento del Guardasigilli nell’inchiesta sarebbe motivato dai suoi presunti rapporti con l’imprenditore Antonio Saladino, ex presidente della Compagnia delle opere della Calabria e personaggio centrale dell’inchiesta. L’indagine, infatti, ruoterebbe attorno alla vasta attività imprenditoriale di Saladino, titolare in passato di una società di lavoro interinale denominata "Why Not". Agli atti figurano, tra l’altro, intercettazioni di colloqui telefonici tra Mastella e Saladino.

"Io sono una persona perbene e pulita". È stato questo l’unico accenno all’inchiesta di Catanzaro che Mastella ha fatto nel corso del suo intervento al congresso regionale umbro dell’Udeur, a Terni. Ai colleghi di partito che gli esprimevano solidarietà, il ministro ha detto: "L’appello che uno deve fare, è solo alla propria coscienza e alla propria serenità. Dovete solo stare tranquilli e siate orgogliosi di me perché sono una persona perbene e pulita".

"Accuse ignobili e ridicole". "È soltanto infamante, ignobile e ridicolo, oltreché evidentemente menzognero, pensare che io sia o sia mai stato iscritto a logge massoniche o associazioni segrete, e adirò le vie legali con ampia facoltà di prova a chiunque associ la mia persona a fatti del genere". Il ministro Guardasigilli si dice poi "tranquillo", una "tranquillità" che "deriva dal fatto di essere completamente estraneo alle vicende per le quali mi si muoverebbe addebito".

Per questo, continua, "ribadisco, come ho avuto modo di ripetere a più riprese, di non essere mai stato iscritto a nessuna loggia massonica, né in Italia né all’estero, e di non aver mai partecipato a comitati d’affari o a singoli affari, come testimonia la mia trentennale vita pubblica e parlamentare nella prima, nella seconda e spero anche nella terza Repubblica".

Giustizia: ex pm D’Ambrosio; da Mastella errore irrimediabile

di Maristella Iervasi

 

L’Unità, 21 ottobre 2007

 

"Si stanno facendo errori su errori sul caso De Magistris". Gerardo D’Ambrosio, il noto magistrato di Tangentopoli e ora senatore dell’Ulivo, non entra nel merito del provvedimento della procura generale di Catanzaro che ha avocato l’inchiesta "Why Not" del pm calabrese Luigi De Magistris. "I casi di avocazione sono limitati - premette D’Ambrosio - Aspetto di vedere la motivazione, poi dirò se è legittimo. Al momento, quello che scrivono le agenzie di stampa: "incompatibilità del procedimento", non spiega nulla. A cosa allude?".

 

È stato opportuno o è un errore togliere l’inchiesta a De Magistris?

"Un errore irrimediabile, sbagliatissimo".

 

Perché?

"Un atto dirompente, che genera nell’opinione pubblica la convinzione che si possa cambiare l’esito di un processo attraverso il cambio dei giudici. Un errore che anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha capito: ha fatto bene a non pronunciarsi su un’inchiesta che al momento è segreta".

 

E cosa sarebbe stato meglio fare?

"Siamo al termine dell’indagine preliminare, secondo quanto ha spiegato lo stesso pm De Magistris più volte, anche in televisione. Ebbene, era meglio aspettare. Vedere le carte. O depositava gli atti, o chiedeva un’ulteriore proroga. Si dimentica che nell’indagine preliminare non si raccolgono prove, ma indizi. Le prove ci sono nel dibattimento, davanti ad un giudice terzo".

 

Ha quindi sbagliato De Magistris ad andare in tv?

"Sono fatti suoi. Io non ci sarei andato. Ho sempre cercato di raggiungere la verità. C’è un’indagine preliminare, che non può durare all’infinito. Quand’è conclusa, si devono depositare gli atti e solo un giudice terzo dirà se è legittima. Se alla fine si accerta che non c’è nulla, non vuol dire che quel magistrato ha fallito. Il nostro processo è fatto apposta in questo modo, di controlli interni al processo: Gip, Gup, Tribunale, Corte d’appello e Cassazione".

 

E il ministro Mastella? È stato imprudente su De Magistris?

"Ha seguito la normativa, io fossi lui non l’avrei fatto. Se è vero che l’indagine preliminare è in piedi da 2 anni, sta per scadere: mi sarei mosso a carte viste. La nostra Costituzione ha assicurato l’indipendenza della magistratura e anche del pubblico ministero. L’azione penale è differita" .

 

Eppure sembra un gioco al massacro. De Magistris ha dichiarato: "Crolla lo stato di diritto". È di nuovo scontro politica-magistratura?

"Io non lo vedo questo scontro. Atteniamoci ai principi della nostra Costituzione: i nostri padri hanno assicurato la presunzione di non colpevolezza e l’indipendenza della magistratura".

 

Csm: sull’allontanamento immediato di De Magistris chiesto da Mastella si pronuncerà il 17 dicembre prossimo. Non poteva decidere prima?

"Il Csm ha fatto bene a rinviare".

Ragusa: un detenuto nigeriano ucciso, fu "legittima difesa"

 

La Sicilia, 21 ottobre 2007

 

Ragusa. Colpo di scena nelle indagini per la tragica fine, il 19 agosto scorso, alla casa circondariale di contrada "Pendente", del detenuto di colore Iwala Hycinth, 37 anni, dopo essere venuto alle mani con il compagno di cella Dampha Amadou, 23 anni. Questi, come si sa, era stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip presso il tribunale di Ragusa per il delitto di omicidio con l’aggravante di averlo commesso per futili motivi.

I giudici del tribunale del riesame di Catania (presidente Roberto Passalacqua, a latere Antonio Giuttari e Anna Maggiore), accogliendo l’istanza avanzata dall’avv. Daniele Scrofani, hanno ora annullato tale ordinanza di custodia cautelare in carcere "per mancanza assoluta di motivazione sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza", e "ordinano la rimessione in libertà del Dampha se non detenuto per altra causa".

Amadou Dampha dovrebbe finire di scontare il 25 novembre una condanna per spaccio di sostanze stupefacenti. Il giovane accusato di omicidio si è sempre difeso asserendo che la sua è stata una reazione ad una aggressione da parte della vittima che lo avrebbe colpito con schiaffi per motivi inerenti la scelta dei canali televisivi.

Iwuala Hycinth veniva trasportato in ospedale e sottoposto alle cure del caso. Rifiutava però il ricovero e ritornava in carcere attorno alla mezzanotte. La mattina successiva, alle 6.30, spirava. Nell’ordinanza del Tribunale della Libertà si legge ancora che "era assolutamente necessaria, ai fini dell’individuazione dei gravi indizi di reità, la motivazione sulla ricostruzione del fatto e sulle circostanze in cui esso era avvenuto, dato che queste ultime rendevano ipotizzabile la sussistenza della legittima difesa o dell’eccesso colposo".

Aversa: all’Opg internato di 54 anni ha tentato di uccidersi

 

Il Mattino, 21 ottobre 2007

 

Un uomo di cinquantaquattro anni ricoverato nell’ospedale psichiatrico giudiziario "Filippo Saporito" di Aversa, avrebbe tentato di togliersi la vita gettandosi da un’altezza di quattro metri. Si tratta di Francesco M., originario di Cancello Arnone. L’uomo ora è ricoverato in prognosi riservata nella sala di rianimazione dell’ospedale Moscati. Il tentativo di togliersi la vita si sarebbe verificato mentre i detenuti si trovavano all’esterno della struttura per fare ginnastica, intorno alle 11.30 di ieri.

Approfittando di una pausa e della distrazione, forse, della polizia penitenziaria e del personale infermieristico, l’uomo - secondo una prima ricostruzione dell’accaduto - si sarebbe lanciato dal balcone cadendo nel cortile. Immediato l’arrivo del 118 e il trasporto in ospedale. Intanto, l’Opg ripiomba nella cronica emergenza dei suicidi e tentati suicidi dei detenuti che si registrano in numero sempre più elevato. Sulla vicenda stanno indagando gli agenti della polizia penitenziaria.

Caltanissetta: nel carcere mai aperto pascolano le pecore

di Roberto Mistretta

 

La Sicilia, 21 ottobre 2007

 

Pecore che pascolano bucoliche nell’area esterna di pertinenza del carcere da troppi anni chiuso, ed in questi giorni al centro di interrogazioni parlamentari, dopo che "Striscia la notizia" ha rilanciato lo scandalo di molte carceri italiani, tra cui quello di Villalba, già pronti per ospitare detenuti e che invece restano inspiegabilmente chiusi.

Un testimone oculare ha immortalato gli ovini in questione mentre giovedì pomeriggio, una troupe di Sky si è recata a Villalba per girare un servizio sempre sul carcere chiuso. Diceva ieri il vicesindaco Totò Zaffuto: "Il carcere che appartiene al nostro Comune è stato ceduto in comodato d’uso circa un anno fa a Padre Sorce di Casa Rosetta, tant’è che noi non abbiamo più neppure le chiavi interne".

 

D’accordo, ma è normale che nel carcere pascolino le pecore?

"Le pecore al limite potevano essere all’esterno e non dentro il carcere, tra il muro di cinta del carcere e la recinzione esterna distante alcuni metri. Tale zona però fa parte del carcere".

 

E quindi non si poteva accedervi, giusto?

"Giusto, ma come già detto noi non abbiamo più le chiavi".

 

Ma la proprietà è sempre vostra, esistono dei cartelli che vietano l’accesso e richiamano la proprietà privata?

"Dopo questa vostra segnalazione che mi giunge nuova, parlerò coi vigili urbani ed andremo a verificare cosa è successo. Forse qualcuno ha divelto o tagliato la recensione. Se così sarà presenteremo una denuncia contro ignoti anche perché pur avendo ceduto il carcere in comodato d’uso, la vigilanza spetta sempre al Comune".

 

L’assessore Giuseppe Favata aggiunge: "La troupe di Sky è arrivata giovedì pomeriggio quando qua pioveva a dirotto. Hanno girato il servizio ma io pecore non ne ho viste. Ho comunque dichiarato che per contenere l’antieconomicità del carcere, chiuso a suo tempo proprio per tali motivi, basterebbe realizzare un altro piano sopra così da aumentare il numero dei detenuti e ridurre quindi i costi del personale di vigilanza".

I problemi del carcere iniziarono quando il ministero di Grazia e Giustizia chiuse la casa mandamentale e l’immobile diventò di pertinenza del Comune. Il decreto di chiusura fu trasmesso il 28 novembre 1995 e il personale di sorveglianza fu trasferito ad altre mansioni. Il carcere di Villalba si compone di 32 celle a due posti, servizi igienici e docce annesse, la cucina, la lavanderia, la mensa e spazi verdi per i detenuti, nonché‚ padiglioni per gli uffici, la matricola e gli alloggi del personale. Tutto disponibile, ma tutto chiuso… tranne per le pecore.

Agrigento: il direttore del Dap; costruiremo nuovo carcere

di Giuseppe Recca

 

La Sicilia, 21 ottobre 2007

 

Nella Finanziaria ci sono i fondi riservati ai progetti di edilizia penitenziaria. Tra questi uno spazio potrebbe averlo la nuova Casa circondariale di Sciacca. Ventata ottimistica ieri per un’opera pubblica che in città è tanto attesa, non solo per un ulteriore intervento di garanzia per gli uffici giudiziari ed i presìdi delle forze dell’ordine, ma anche per rendere fruibile l’antico convento dei frati carmelitani che ospita l’attuale carcere.

L’interesse dell’attuale governo a realizzare il nuovo carcere è stato confermato dal responsabile del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Ettore Ferrara, in visita ieri a Sciacca. Uomo fidato di Clemente Mastella, Ferrara è stato invitato da Nuccio Cusumano, che con una battuta ha preceduto l’incontro con le istituzioni locali sostenendo che "in tema di giustizia, Sciacca cede il passo soltanto a... Ceppaloni".

Ferrara ha parlato della disponibilità dell’amministrazione nel privilegiare la realizzazione di un carcere a Sciacca, sottolineando la necessità di un’opera moderna ed efficiente per dare alla città la possibilità di fruire della bellezza dell’ex convento di piazza Carmine. Il capo del Dap ha aggiunto che sono state cancellate tutte le precedenti iniziative adottate dal governo Berlusconi in materia di edilizia carceraria. Si riparte quindi da zero e Sciacca potrebbe avere posizioni privilegiate nell’elenco delle priorità.

Il sindaco Mario Turturici ha confermato l’area di contrada Santa Maria come sede privilegiata per la realizzazione dell’opera, ed ha pure confermato la disponibilità dell’amministrazione ad intervenire finanziariamente per l’acquisto delle aree. Posizione prudente da parte dell’Ordine degli avvocati e del senatore Accursio Montalbano, secondo il quale occorre un ulteriore passo in avanti poiché il rifinanziamento di 200, 230 milioni di euro per l’edilizia penitenziaria allo stato attuale è destinato a lavori inerenti carceri che sono più avanti rispetto a Sciacca.

Avellino: detenuti-vignaioli imbottigliano il Taurasi Docg

 

Il Mattino, 21 ottobre 2007

 

Sant’Angelo dei Lombardi. È tempo di vendemmia anche tra le mura della Casa Circondariale di Sant’Angelo dei Lombardi, dove per le viti coltivate dai detenuti c’è stata la prima vendemmia. Taurasi e aglianico i vitigni utilizzati che daranno, per il momento, solo poche decine di bottiglie.

"Ma questo non ha limitato la soddisfazione dei detenuti che si sono impegnati nella coltivazione dei filari - osserva il direttore della casa di reclusione altirpina, Massimiliano Forgione - anzi li ha ulteriormente spronati nel progetto che, come tutti gli altri attivati tra le mura del carcere, punta a dare un senso alla vocazione rieducativa che come struttura ci siamo dati". L’istituto di pena santangiolese, infatti, ha in corso altre esperienze sociali, formative e lavorative di prim’ordine.

Molte delle quali indirizzate nel mondo dell’agricoltura. Il carcere come una fattoria. Su tutte queste strategie educative va segnalata l’attività sperimentale della produzione di miele assolutamente certificato: "È stata di diversi quintali la produzione di miele millefiori ottenuta quest’anno dalle oltre cinquanta arnie posizionate nell’apposita area individuata dagli esperti - spiega il direttore - Una produzione di assoluta qualità che ha già superato tutti i test prima di essere messo commercializzato in tutti gli istituti di pena della regione".

Una singolare iniziativa è in corso di definizione: il nome e l’etichetta del vino prodotto saranno scelte con un bando al quale saranno invitate tutte le scuole del territorio. All’interno dell’istituto di pena è attivo anche il corso di formazione per addetti alle aree verdi e ai giardini mentre si è appena concluso quello per esperti in agricoltura biologica. Il ricavato economico dei diversi prodotti, detratte le spese, va a totale beneficio dei carcerati che godono di tutti i diritti riconosciuti ai lavoratori.

Livorno: nel carcere delle Sughere degrado e fatiscenza

 

Asca, 21 ottobre 2007

 

"Una situazione al limite della decenza, di degrado e fatiscenza che non si può tollerare". Così il senatore livornese dell’Ulivo, Marco Filippi, dopo la visita di ieri nella casa circondariale Le Sughere di Livorno. Un problema che Filippi definisce di "piccola economia", ma che condiziona in modo rilevante la permanenza in carcere dei detenuti dal punto di vista del decoro e della vivibilità: "Mancano le lampadine da cambiare, esiste una sola doccia per quaranta persone, dai muri cade l’intonaco", racconta il senatore che ha visitato la casa circondariale insieme al presidente dell’ Arci di Livorno, Marco Solimano.

Ma esistono, continua Filippi, anche criticità sull’organizzazione strutturale interna come l’infermeria al terzo piano. Filippi sottolinea che le risorse a disposizione della direzione del carcere sono davvero limitate (circa 30 mila euro all’anno) e che la stessa direzione penitenziaria ha spesso richiesto attenzione al Dipartimento competente.

Parma: il carcere è al "verde", a rischio anche le bollette

 

Libertà, 21 ottobre 2007

 

Un sopralluogo di un’ora e mezza per verificare le condizioni della casa circondariale delle Novate. Lo hanno fatto ieri pomeriggio l’onorevole Tommaso Foti (An) e i consiglieri regionali Luigi Francesconi (Forza Italia) e Maurizio Parma (Lega Nord). Due le problematiche emerse, secondo i politici: la carenza di risorse lasciate alla direzione per affrontare la manutenzione ordinaria e straordinaria ed il personale ridotto all’osso. Si pensi, ad esempio, che il carcere delle Novate ha solo 12mila euro l’anno per il pagamento delle bollette di gas, luce, acqua. "È chiaro che una cifra del genere non è sufficiente" ammette Foti. Poi la carenza di agenti di polizia penitenziaria.

"Ci paiono questi i due punti dolenti di una struttura che nel suo insieme tiene ancora ma abbisognerebbe di alcuni miglioramenti e dell’assegnazione di più personale - evidenzia il parlamentare -. Con Parma, Francesconi e Polledri vedremo di intervenire anche presso il provveditorato alle carceri per vedere se, limitatamente alle risorse a disposizione, sia possibile fare qualche cosa".

La delegazione, accompagnata dalla direttrice Caterina Zurlo, ha visitato i reparti di massima sicurezza e quello femminile. "Compatibilmente con le risorse - osserva Francesconi - la struttura mi è sembrata ben mantenuta: due detenuti per cella, rientra nei parametri della tollerabilità. Pochi sono quelli che sono tornati dentro dopo l’indulto, qui una media del 20 per cento". Attualmente alle Novate ci sono 266 detenuti tra i quali 17 donne; 163 sono gli agenti di polizia penitenziaria in organico ma, tra distaccamenti e accompagnamenti, se ne devono contare 35 in meno.

"C’è una grossa disponibilità da parte degli agenti costretti a lavorare in condizioni disagiate - fa notare Parma, che va oltre -. La popolazione carceraria è rappresentata al 45 per cento da extracomunitari, albanesi, marocchini e romeni soprattutto. È un dato comune a tutte le carceri e si potrebbe pensare, come era stato fatto dal governo Berlusconi, di stipulare accordi con gli altri stati per far scontare le pene dei loro concittadini a casa loro". Infine una stoccata al governo Prodi: "Con tutti questi tagli a giustizia e sicurezza ne vedremo delle belle".

Televisione: "Pazzi criminali"… l’Opg stasera a Tg2 Dossier

 

Rai Due, 21 ottobre 2007

 

Prosciolti perché incapaci di intendere e di volere, ma socialmente pericolosi secondo il codice penale e quindi rinchiusi nei sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani. Sono poco meno di milletrecento. Li chiamano internati. Ma per la gente sono pazzi. Pazzi criminali. Tecnicamente, sono gli italiani che hanno commesso un reato, ma che la legge ha giudicato non punibili perché in quel momento incapaci di intendere e di volere. Omicidi e tentati omicidi per il quaranta per cento. Ma soprattutto atti osceni, danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale. Cose per cui in genere si viene denunciati, al massimo fermati. Mentre per loro si spalancano le porte di un ospedale psichiatrico giudiziario del nostro paese. Uno dei sei manicomi criminali ancora aperti a quasi trent’anni dalla legge che ha chiuso tutti gli altri. Tg2 Dossier ha intrapreso un viaggio all’interno di queste strutture sopravvissute alla legge 180 che chiudeva i manicomi civili. Un mondo a parte pieno di paradossi raccontato attraverso le storie degli internati che spesso non riescono ad uscire perché nessuno vuole farsene carico. Pazzi criminali, di Valerio Cataldi, fotografia Vincenzo Bonanni, montaggio Andrea Castagnone, in Tg2 Dossier sabato 20 ore 24.25 e domenica 21 ottobre ore 18.05, su Raidue.

Droghe: Turco e Ferrero; sì a sperimentazione narco-sale

 

Notiziario Aduc, 21 ottobre 2007

 

Due sì dai ministri della Solidarietà sociale e della Salute, Paolo Ferrero e Livia Turco, alla somministrazione controllata della droga, in strutture ad hoc, ai tossicodipendenti. "Sono d’accordo - ha affermato Ferrero nel corso della registrazione di Tetris su La7 - il fenomeno va combattuto e questo è un esperimento per vedere se siamo in grado di fare qualche passo in avanti nel controllo delle tossicodipendenze e per cercare di risolvere i problemi che si verificano nelle nostre città". Analogo il giudizio di Livia Turco. "Sono certamente d’accordo, se mai -ha concluso il ministro della Salute- eviterei la definizione di ‘stanza del bucò che è del tutto fuorviante".

"Che indecenza! È bastato veramente poco alla Turco per cambiare idea. Il Ministro, che in passato aveva detto di essere contraria alle narco-sale, ora, folgorata sulla via di Damasco, si è detta favorevole, purché non si chiamino stanze del buco, termine fuorviante". Questo il commento del Senatore di Alleanza nazionale Achille Totaro, membro della Commissione Sanità. "Ma fuorvianti saranno le loro trovate bizzarre. Basta cambiare un nome e voilà! Tutto è risolto! Sic et simplicer. Se si chiamassero Stanze del Paradiso artificiale andrebbe ancora meglio?". "Ma credono veramente di continuare a prendere in giro le molteplici vittime della droga, i giovani e le loro famiglie? Chi vive questo dramma sa bene che il problema della droga non va combattuto in questo modo. Anche dando loro un nome diverso, le narco-sale restano sempre stanze di morte e disperazione. E ciò con il beneplacito dell’accoppiata Turco- Ferrero"

Gran Bretagna: i reati diminuiscono, tranne quelli per droga

 

Notiziario Aduc, 21 ottobre 2007

 

 

Secondo i dati dell’Home Office, sono diminuiti del 7%, nel periodo giugno 2006 - giugno 2007, i crimini in Inghilterra e Galles. Sono diminuiti i reati, inclusi quelli violenti, ma c’e stato un lieve aumento di quelli con armi da fuoco. Gli omicidi sono saliti da 53 a 56, ed è diminuita la fiducia dei cittadini verso il sistema giudiziario.

Le statistiche della polizia rivelano una tendenza generale verso la commissione di meno reati, con l’eccezione di quelli connessi alle droghe, che sono saliti del 14%, ossia da 48 mila del 2006 a 55 mila del 2007.

Per il portavoce dell’Home Office, l’aumento non è dovuto al maggiore consumo di cannabis, che è diminuito tra gli adolescenti, ma è causato dalla possibilità della polizia di sanzionare immediatamente i consumatori (dunque immediatamente inclusi nelle statistiche), invece di portare i sospetti alle stazioni di polizia e procedere all’arresto, procedimento molto più lungo. La "British Crime Survey", accreditata dai criminologi come attendibile per leggere l’andamento della violenza nel Paese, rivela che il tasso di criminalità è pressoché stabile, con l’1% di aumento di atti violenti, percentuale definita "statisticamente insignificante". Tony McNulty, dell’Home Office, ha dichiarato che è incoraggiato da questi dati. "La diminuzione dei reati contro le persone e dei furti nelle abitazioni sono un significativo progresso. Le probabilità di essere vittima di un crimine è il più basso dal 1982, quando le ricerche sono iniziate".

Birmania: campi di rieducazione, il paese è un'enorme prigione

 

Agi, 21 ottobre 2007

 

La Birmania è ormai "una prigione a cielo aperto", dove migliaia di monaci buddisti, processati sommariamente dopo le proteste pacifiste, languono in campi di "rieducazione" che rievocano tristi memorie. La rivelazione arriva da una fonte diplomatica britannica. Secondo quanto riferito all’Independent, gran parte dei monaci che guidarono la protesta democratica di fine settembre sono spariti, alcuni picchiati fino alla morte, altri di cui si ignora il destino. Le strade che portano ai monasteri sono state interrotte e ormai in pubblico si vedono pochissimi religiosi.

I campi per "la vita nuova" voluti dalla giunta birmana - qualcosa di simile ai "centri di rieducazione" creati da Pol Pot in Cambogia ai tempi dei Khmer Rossi - sono lontani dalla capitale e circondati da foschi racconti. Coloro che, secondo il regime, guidarono la rivolta, sarebbero stati puniti con la reclusione fino 20 anni di carcere. E circolano voci agghiaccianti sulle condizioni di detenzione: monaci detenuti in minuscole celle, prive di bagni, con le pareti ricoperte di escrementi, sistematicamente picchiati e messi a mollo nell’acqua gelata.

Secondo la fonte diplomatica, il regime sta tentando di ricreare un’atmosfera di normalità, ma dietro le quinte si consumano abusi di ogni genere. "Notte tempo avvengono enormi retate. Sono state portate via centinaia di persone e rigide misure di sicurezza vigono nelle zone della città da dove provenivano i dissidenti. Nell’ultima settimana centinaia di attivisti sono stati processati a porte chiuse a Mandalay, mentre un altro migliaio sono stati giudicati da tribunali speciali a Rangoon".

Secondo i dati ufficiali, delle 3.000 persone arrestate durante le proteste, solo 500 rimangono in stato di detenzione, ma i dati effettivi - prosegue le fonte - superano i 2.500. E la cifra ufficiale delle vittime, appena una decina, è ben lontana dalla realtà: sono "molti, molti di più". Anche se la fonte ritiene improbabile, almeno a breve, la prospettiva di una riedizione della protesta del mese scorso, le tensioni continuano ad affiorare: nei giorni scorsi sono circolate voci di pietre e mattoni lanciati contro la polizia, e la manifestazione filo-governativa organizzata a Rangoon nelle scorse settimane, lungi dall’essere volontaria, era in realtà circondata da poliziotti armati. "La popolazione è traumatizzata e per il momento si lecca le ferite, ma è determinata a riprendere la resistenza".

Libia: "Non ho piegato la testa"... un diario dalle carceri

di Alberto Toscano

 

Panorama, 21 ottobre 2007

 

Dietro le storiche colonne di Palazzo Borbone i deputati francesi hanno creato la commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni in cui è avvenuta, lo scorso 24 luglio, la liberazione delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese, incarcerati in Libia con la delirante accusa d’aver inoculato il virus dell’Aids nel sangue di centinaia di bambini. Il parlamento vuol sapere che cosa Parigi abbia promesso a Tripoli per sbloccare la drammatica situazione. Ma la vicenda tiene banco anche nelle librerie.

È uscito in Francia (Oh! Editions, Parigi) un libro scritto dall’infermiera Kristiyana Valcheva, 48 anni (nella foto), s’intitola J’ai gardé la tête haute (Non ho piegato la testa) e ha per sottotitolo "Otto anni d’orrore nelle prigioni libiche". Ecco qualche passo tratto dal libro denuncia.

 

La scoperta dell’infezione

 

La scoperta dell’infezione all’ospedale infantile di Bengasi sconvolge gli specialisti e l’intera società libica (…) Il colonnello Gheddafi riceve i genitori dei bambini malati di aids. Promette che le cause dell’epidemia saranno chiarite e i colpevoli severamente puniti. (…) La cellula investigativa incaricata di questo dossier viene posta sotto la responsabilità di un generale, che mi interroga e che vuole assolutamente sentirmi dire una cosa: che dietro questo presunto complotto c’è il Mossad israeliano.

 

Nella cella immonda

 

Non abbiamo mai capito come e perché abbiano scelto proprio noi quale capro espiatorio. Perché mai hanno designato proprio me come l’infame organizzatrice di un piano complicato e surreale? (…) Nella mia cella immonda, sul mio ripugnante materasso, isolata nel buio, cercavo risposte che non trovavo. Bisognava tener duro. Bisognava aspettare la fine dell’incubo. Sopportare la puzza e la sporcizia, attendere il rumore d’una porta, un filo di luce al momento in cui mi davano un po’ di cibo. E subire quasi ogni notte la stessa litania: Mossad, Mossad, Mossad.

 

Un mese senza lavarmi

 

Il mio corpo è tanto sporco da puzzare come la carogna d’un animale. Non mi lavo da un mese. La cella è umida. Impregnata d’un odore d’ammoniaca, di solitudine e d’urina, che deborda dalla scatola che mi hanno dato per i miei bisogni. Mi chiedo se un giorno la sete mi spingerà a berla. Preferisco non pensarci.

 

Frustate e bastonate

 

Mi hanno massacrata con frustate e bastonate. Mi hanno anche attaccata alla finestra, legandomi ai polsi; toccavo a malapena il suolo con la punta dei piedi. Mohammed mi ha sputato in faccia. Ha preso della cenere e me l’ha messa in bocca. Poi ha continuato con una sigaretta sui piedi, avvicinandola proprio là dove cominciano le unghie e tenendola immobile senza mai toccare la pelle.

 

Fili elettrici alle dita dei piedi

 

Un giorno mi hanno fatto sdraiare su un materasso e mi hanno attaccato dei fili elettrici alle dita dei piedi. Di fronte a me stava seduto il capo della scuola per cani poliziotto. Ho guardato la macchina, che sembrava un telefono a manovella, ma generava scariche elettriche. Il dolore era paralizzante. Se una sensazione fisica può corrispondere alla follia, è proprio quella. Non si riesce a riprendere il controllo di se stessi per ridurre la sofferenza. Non c’è una sola cellula del proprio corpo che sfugge al dolore.

 

Dov’era Dio?

 

Un giorno, alzandomi dal lettino su cui mi stavano torturando, mi sono accorta d’aver perso i capelli dopo che mi avevano applicato un elettrodo sul capo (…). Devo averli persi mentre mi contorcevo. Quando mi infliggevano le scariche elettriche, quasi incosciente, gridavo "Oh, Maika", che in bulgaro vuol dire mamma. Loro, credendo dicessi "Oh my God", obiettavano: "Dov’è il tuo Dio? Non è qui!". Anch’io pensavo che non mi fosse accanto.

 

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