Rassegna stampa 24 novembre

 

Giustizia: i dati sulla sicurezza e la criminalità, ma quelli veri...

di Gennaro Santoro (Settore Carcere Prc-Se, Associazione Antigone)

 

Aprile on-line, 24 novembre 2007

 

Assistiamo, inerti, ad un’eterna creazione del nemico pubblico, attraverso la criminalizzazione della categoria di turno. Intanto per un recente "Rapporto sul crimine e la sicurezza in Europa", commissionato dalla Commissione Europea, l’Italia sarebbe il Paese più sicuro dell’Unione, quanto a rapine ed aggressioni.

Dopo le ordinanze xenofobe di Firenze, ecco quella del Sindaco di Cittadella che, in palese contrasto con le pre-regole dello Stato di Diritto, preclude la possibilità di chiedere la residenza a cittadini stranieri che non dimostrino di avere "risorse economiche sufficienti al soggiorno, per sé e per i propri familiari" e anche una "dimora abituale sufficientemente decorosa". Solo per gli stranieri, ben inteso.

Per fortuna ci ha pensato la magistratura a frenare il sindaco leghista, comunicandogli che nei suoi confronti si indaga per il reato di "usurpazione di funzione pubblica". Si ipotizza, n altre parole, che il sindaco si sia sostituito alle forze dell’ordine in materia di ordine pubblico.

Assistiamo, inerti, ad un’eterna creazione del nemico pubblico, attraverso la criminalizzazione della categoria di turno. Se fino a poco tempo fa l’emergenza sicurezza era rappresentata dai cosiddetti indultati, dopo la breve comparsa dei lavavetri, i capri espiatori dell’ultima ora sono i rom e i romeni.

Per fortuna ci pensa Ilvo Damianti a fare un po’ di chiarezza, almeno sulla "questione romena": i romeni in Italia "sono circa 600mila. Il primo gruppo nazionale, per entità. Hanno un alto livello di scolarità. Sono in larga misura occupati. Perlopiù nelle costruzioni e nei servizi. In Italia operano circa 15 mila aziende romene (soprattutto edili).

Quanto basta per contrastare le immagini che rappresentano i romeni come una "folla criminale". Sotto il profilo delle statistiche giudiziarie, i reati commessi dai romeni rappresentano circa un sesto sul totale delle denunce ai danni di stranieri. Il che coincide con il loro peso sul totale degli immigrati."

Intanto un recente Rapporto sul crimine e la sicurezza in Europa, commissionato dalla Commissione Europea, l’Italia sarebbe il Paese più sicuro dell’Unione, quanto a rapine ed aggressioni. Anche "il Rapporto sulla criminalità in Italia", pubblicato lo scorso giugno dal Ministero dell’Interno, rivela che, al contrario degli allarmismi mediatici, gli omicidi e i furti sono in diminuzione.

Ma, come ci insegna Luigi Ferrajoli "Si è sviluppata una grave forma di espansione patologica del diritto penale - l’enorme aumento delle pene carcerarie -, frutto di una politica indifferente alle cause strutturali dei fenomeni criminali, promotrice di un diritto penale massimo, incurante delle garanzie, interessata soltanto a assecondare, o peggio a alimentare, le paure e gli umori repressivi nella società. Il terreno privilegiato di questa politica è quello della sicurezza... Il messaggio espresso da questa politica è duplice.

Il primo è quello classista, oltre che in sintonia con gli interessi della criminalità del potere, secondo cui la criminalità - la vera criminalità che attenta alla "sicurezza" e che occorre prevenire e perseguire - è solamente quella di strada; non dunque le infrazioni dei potenti - le corruzioni, i falsi in bilancio, i fondi neri e occulti, le frodi fiscali, i riciclaggi, né tanto meno le guerre, i crimini di guerra, le devastazioni dell’ambiente e gli attentati alla salute -, ma solo le rapine, i furti d’auto e in appartamenti e il piccolo spaccio di droga, commessi da immigrati, disoccupati, soggetti emarginati, identificati ancora oggi come le sole "classi pericolose".

Il Rapporto del Viminale sopra citato, d’altronde, va proprio in questa direzione. Questa scelta, sebbene finalizzata ad analizzare il reale andamento dei fenomeni criminali a cui viene, attribuita solitamente, l’emergenza sicurezza, contiene già di per quell’ elemento di "oscuramento" di altre fattispecie di reato altrettanto pericolose, che attentano, come dice Ferrajoli, al fondamento stesso dello Stato.

Non è un caso allora se i detenuti nelle carceri italiane per reati di mafia sono solo il 2,5% del totale e quelli per reati contro la pubblica amministrazione il 3,5%. Il resto è un arcipelago di micro-criminalità con uno "standard sociale" da far tremare i polsi: il 64% si colloca, quanto a grado di istruzione, tra l’analfabetismo e la licenza media inferiore; una grandissima parte è senza reddito e non ha possibilità di affrontare le spese necessarie per una difesa tecnica efficace; oltre il 35% dei detenuti è di origine extracomunitaria (contro l’8% del 1990).

Eppure gli ultimi due rapporti della Caritas rivelano che gli stranieri con regolare permesso di soggiorno delinquono meno dei cittadini italiani. Molti degli stranieri attualmente presenti in carcere sono quindi vittime della legge Bossi-Fini e della politica xenofoba della destra che in materia di investimenti sull’immigrazione, secondo i dati della Corte dei conti, ha portato a destinare l’80% delle risorse alla repressione e solo il 20% alle politiche attive, all’integrazione. Il risultato? Le carcerizzazioni dei migranti hanno riguardato (e riguardano) in gran parte reati connessi alla irregolarità dell’ingresso o del soggiorno (10mila nel solo 2005!).

 

Ma torniamo ora all’analisi dei dati statistici sulla sicurezza che, come anticipato, smentiscono gli allarmismi mediatici.

 

Omicidi: in diminuzione, nonostante la crescita esponenziale degli omicidi in famiglia. Nel decennio 1995-2005 gli omicidi sono diminuiti notevolmente. Gli omicidi consumati nel 2006 rappresentano poco più di un omicidio ogni 100.000 abitanti, in linea con i dati europei per lo stesso tipo di reato. 621 gli omicidi nel corso del 2006. Nel 1993 erano 1.065.

Dopo una crescita ininterrotta a partire dalla fine degli anni ‘60 e che ha toccato il suo culmine intorno al 1991, gli omicidi si sono decisamente ridotti fino ai livelli dei giorni nostri. Come rilevato da Piero Sansonetti "gli omicidi, che dal 1993 al 2005 erano calati costantemente, di anno in anno, in modo regolare, scendendo da 1065 a 601, nel corso del 2006 sono leggermente aumentati arrivando a 621. Una oscillazione di 21 unità forse è statisticamente irrilevante. È interessante però vedere da cosa è determinata: non dagli omicidi per furto - rapina - aggressione, che restano, in tutto l’anno, 53 (come nel 2005). Non dagli omicidi per rissa, che scendono da 77 a 69. Neppure dalla criminalità organizzata che nel 2005 aveva ucciso 139 volte e nel 2006 solo 121 volte. E da cosa allora? Dagli omicidi in famiglia (soprattutto quelli dei mariti a danno delle mogli o amanti o fidanzate) che salgono da 157 a 192, cioè aumentano di 35 unità, pari a circa il 20 per cento.

È ancora più interessante misurare il calo degli omicidi dal 1993 al 2006 dividendoli categoria per categoria. Gli omicidi di mafia e camorra diminuiscono, ma non molto: da 158 a 121. Gli omicidi per furto o rapina si dimezzano: da 102 a 53. E così si dimezzano quelli per rissa: da 140 a 69. Ridotti moltissimo anche gli omicidi imprecisati (il ministero li definisce per "altri motivi") che erano 559 e sono scesi a 186. Quelli che invece nel 1993 erano in fondo alla classifica, e cioè gli omicidi in famiglia (erano appena 102), sono raddoppiati, e oggi, con la cifra di 192, sono di gran lunga al primo posto tra i vari tipi di omicidio."

 

Furti: costanti, in diminuzione gli scippi e i furti in abitazione. Nel decennio 1995-2005 i furti restano costanti. I furti sono cresciuti in maniera considerevole nel periodo tra il 1970 e il 1990. Come evidenziato dal rapporto del Ministero dell’Interno, nel 1991 il totale dei furti era di 5 o 6 volte superiore a quello registrato nel 1968. Il 1991, come per gli omicidi, ha rappresentato un punto di svolta anche per questo tipo di reato: la tendenza alla crescita si è invertita. Rispetto agli omicidi, però, i furti hanno avuto, negli anni successivi, tendenze altalenanti. In particolare, i furti hanno conosciuto una nuova fase espansiva nella seconda metà degli anni ‘90 e dopo un andamento "sinusoidale" essi, nel 2006, hanno di nuovo raggiunto i livelli del 1991. Un’analisi più approfondita rivela che i furti in appartamento nel corso del 2006 hanno raggiunto il dato più basso degli ultimi venti anni: 445 (ogni 100.000 abitanti). Nel 1993 erano 634, dunque sono diminuiti, più o meno, del 40-45 per cento.

Discorso analogo vale per gli scippi: nel 1993 erano 200 (ogni 100.000 abitanti); nel 2006 sono crollati a 80, molto più che dimezzati. Risultano, al contrario, più frequenti i furti d’auto (comunque in diminuzione rispetto al dato del 1991) e quelli che avvengono a bordo di mezzi di trasporto o nei luoghi di transito.

 

Rapine in banca: in crescita, ma si registra una tendenza al miglioramento. Nel decennio 1995-2005 le rapine sono aumentate. Anche le rapine, come i furti, sono cresciuti in maniera considerevole nel periodo tra il 1970 e il 1990. Il 1991, come per gli omicidi e i furti, ha rappresentato un punto di svolta anche per questo tipo di reato. A partire dal 1992 le rapine, come i furti, hanno conosciuto alcuni anni di decrescita. Poi, a partire dalla seconda metà egli anni ‘90, hanno ripreso a crescere a ritmi piuttosto elevati, tanto che nel 2006 il numero complessivo delle rapine ha superato il picco del 1991. Per quanto concerne le rapine i dati pubblicati nel rapporto del Viminale mettono in evidenza una crescita piuttosto robusta delle rapine in banca e la persistenza delle rapine sulla pubblica via che costituiscono la metà di tutte le rapine denunciate.

A proposito delle rapine in banche risulta interessante evidenziare come il tasso di crescita del 2006 (anno di approvazione dell’indulto) sia nettamente inferiore al tasso di crescita riscontrato nei precedenti anni. Secondo il rapporto "Banche e Sicurezza 2007" dell’Osservatorio sulla sicurezza fisica dell’Associazione bancaria italiana le "Rapine in banca sono in leggera crescita, ma a ritmo più lento rispetto agli anni passati. Nel corso del 2006, infatti, ne sono state compiute 2.774, con un lieve incremento dell’1,4% rispetto all’anno precedente. Un dato, questo, che conferma una tendenza al miglioramento, considerati gli aumenti ben più consistenti degli anni addietro: +1,9% nel 2005 e +10,5% nel 2004".

Giustizia: sicurezza e carceri, lunedì un convegno a Roma

di Arturo Salerni (Responsabile carceri Prc)

 

Aprile on-line, 24 novembre 2007

 

Il pomeriggio di lunedì 26 si tiene a Roma - a Palazzo Marini in Via Poli 19 dalle ore 15 - un convegno sul tema "La sicurezza, il sistema penale, le carceri, le politiche sociali", promosso dal Partito della Rifondazione Comunista, con le conclusioni del Ministro Ferrero, con la partecipazione di parlamentari dell’Unione (i capigruppo PRC Migliore e Russo Spena, la capogruppo al Senato del PD Anna Finocchiaro, il presidente della Commissione Giustizia del Senato Salvi, Balducci dei Verdi, Crapolicchio del Pdci, D’Elia della Rosa nel Pugno), di diverse associazioni impegnate sui temi dei diritti civili e della giustizia, di Magistratura Democratica e dell’Unione delle Camere Penali, di rappresentanti del Prc, delle Regioni e degli Enti Locali.

Il convegno sarà aperto dalle relazioni di Giuliano Pisapia, che presiede la commissione ministeriale per la riforma del Codice Penale, di Claudio Giardullo del Silp, della sociologa Tamar Pitch, e di chi scrive (responsabile carceri del Prc). Il tema occupa le prime pagine dei giornali, le trasmissioni televisive, le aule parlamentari. Non si parla più della concretezza, ma della percezione della realtà. Si ingigantiscono i fatti, si sente il bisogno di creare allarme e di inventare risposte, spesso soltanto l’annuncio delle risposte. La sicurezza dei cittadini, il bisogno di sicurezza, l’allarme sicurezza, le città insicure, sempre più insicure, la microcriminalità, la sicurezza che non è di destra né di sinistra.

Ed accanto al tema "sicurezza" compaiono coloro che questa sicurezza mettono in pericolo: i terroristi, i drogati, gli albanesi, i clandestini, gli indultati, i rom, i rumeni, i rom rumeni, i rom rumeni indultati, i lavavetri, gli accattoni molesti e spesso violenti, il racket dei lavavetri, il racket dell’accattonaggio, i condannati ammessi alle misure alternative. E quindi le risposte: nuove tipologie di reato, nuove aggravanti, pene edittali più pesanti, sospensione delle pene sospese, sospensione delle misure alternative alla detenzione, custodia cautelare obbligatoria, certezza della pena. Una storia sempre uguale da almeno un ventennio.

In momenti molto rari si discute con pacatezza di riduzione dell’area dell’illecito penale, della necessità di svuotare i ruoli di giudici e pubblici ministeri, dell’insostenibilità del sovraffollamento carcerario, della necessità di limitare l’utilizzo della custodia cautelare in carcere, e quindi dell’esigenza di un nuovo codice penale, di alternative alla detenzione, della necessità di investire sul reinserimento sociale di chi è stato condannato, del superamento di leggi idiote e classiste che criminalizzano gli stranieri, i tossicodipendenti e persino la povertà. Invece vi è una gara a chi grida di più, a chi la spara più grossa.

Eppure se si riempiono le carceri queste diventano ingestibili e disumane, i percorsi di reinserimento e la lotta alla recidiva diventano di fatto impossibili. Il superamento del numero dei sessantamila detenuti verificatosi nell’estate del 2006 ha reso necessaria l’adozione di un provvedimento straordinario, l’indulto, perché erano intollerabili ed illegittime le condizioni di detenzione.

Tanti hanno detto, dopo l’approvazione dell’indulto, che bisognava uscire dalla stagione dei provvedimenti straordinari ed avviare una stagione di riforme per rendere la pena detentiva l’extrema ratio, che bisognava battere la strada della riforma organica del sistema, che ridefinisse e riducesse le figure di reato e che delineasse un sistema delle pene articolato, che bisognava subito intervenire per sterilizzare gli effetti devastanti prodotti dalle leggi sulla droga e sull’immigrazione, che bisognava approfittare dello svuotamento delle carceri per investire nei percorsi di formazione ed inserimento dei detenuti e per far funzionare al meglio gli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario.

Ma è passato più di un anno e ci siamo tutti incartati nelle nuove emergenze. Eppure bisognerebbe ricordare che degli attuali 46.000 detenuti quelli condannati in via definitiva sono più di diciassettemila (ovvero poco più di un terzo tra coloro che si trovano nelle carceri), mentre coloro che non hanno subito neanche una prima sentenza di condanna sono quasi sedicimila.

In questa situazione si propone di ulteriormente aggravare le norme sulla carcerazione prima del processo e della condanna definitiva, ben sapendo che coloro che popolano, da presunti non colpevoli, i penitenziari italiani sono persone accusate in gran parte di reati non gravi e che appartengono alle fasce sociali più disagiate e più povere. Ciò mentre si arena la riforma della parte generale del Codice Penale proposta dalla Commissione Pisapia.

Si evidenzia da un lato l’esigenza di una giustizia più veloce, e si procede nella strada opposta di prevedere nuove ipotesi di reato, ovvero di creare nuovi e spesso inutili processi. Si lanciano allarmi sulle statistiche criminali, ma si ignora il fatto che negli ultimi decenni nel nostro paese il numero degli omicidi volontari si è ridotto drasticamente, e che circa il settanta per cento di essi viene commesso in ambiti familiari.

Si ignora che i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione presentano indici di recidività bassissimi e che quindi la legge Gozzini dà buoni risultati. Si chiede di costruire sempre nuove carceri. È evidente che la strada proposta dalle ordinanze dei sindaci, dagli opinionisti disinformati, da editori interessati può portare nel migliore dei casi a non far nulla e nella peggiore delle ipotesi ad un ingolfamento/impazzimento del sistema giudiziario ed ad una ingovernabilità delle carceri.

La strada più saggia è tornare al programma che ha portato l’Unione alla vittoria elettorale del 2006. La Sinistra deve spingere l’Unione a fare le riforme previste, difendere e rilanciare la riforma carceraria, dialogare con la pubblica opinione, evitare di imboccare la strada che avvelena il nostro tessuto sociale, che crea emarginazione, violenza, intolleranza. Rimboccarsi le maniche sulla questione giustizia e sulla vicenda sicurezza non può essere compito da relegarsi a nicchie specialistiche: il tema investe l’insieme delle relazioni sociali, il grado di civiltà del nostro vivere civile.

Le scelte sul tema non sono neutrali: ci sono - soprattutto su questo tema - scelte di sinistra e scelte di destra. È di destra la rincorsa di pene sempre più gravi, il non investire sul reinserimento sociale; è di destra la pena capitale; è di destra il carcere a vita; è di destra privilegiare la spesa per nuove carceri piuttosto che investire sulle politiche sociale e sui percorsi di inserimento lavorativo per coloro che hanno commesso un reato, è di destra sparare a zero sui magistrati di sorveglianza che danno attuazione all’ordinamento penitenziario, prendendo a pretesto episodi gravissimi ma sicuramente isolati.

È di sinistra ed è democratica la strada diversa che prevede il rispetto delle garanzie per tutti e non solo per pochi privilegiati; è di sinistra ed è democratica la strada - prevista dalla nostra Costituzione - che punta a restringere l’intervento del sistema penale ed in particolare della pena detentiva; è di sinistra ed è democratico favorire la tolleranza nei confronti dei diversi, degli stranieri, di chi vive in condizione di emarginazione; è di sinistra ed è democratica la via dell’attuazione del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena, che passa attraverso il trattamento in carcere e per le misure alternative alla detenzione.

La popolazione detenuta riprende a crescere, si è di nuovo superata la soglia dei quarantaseimila detenuti, ovvero siamo sopra il numero di detenuti che le nostre carceri permettono di contenere in termini di rispetto dei diritti umani e del regolamento penitenziario; i tribunali scoppiano e non rendono giustizia ma producono nella loro cronica inefficienza frustrazioni e rancori.

Nuovo codice penale, con riduzione e nuova definizione delle ipotesi di reato, sistema delle pene più mite, abolizione dell’ergastolo, pene diverse dalla detenzione, depenalizzazione profonda, previsione di un sistema efficace di sanzioni amministrative, alleggerimento del carico delle procure e dei tribunali, risorse per affrontare efficacemente la piaga degli incidenti sul lavoro ed i reati contro l’ambiente, rispetto dei diritti delle persone recluse, ricorso limitato alla custodia in carcere in attesa di giudizio, interventi di sostegno sociale nelle aree di maggior degrado urbano ed in favore delle vittime dei reati, percorsi di socializzazione e di inclusione per i condannati, giustizia penale più snella e perciò più veloce e più giusta, risorse alla giustizia civile per smaltire i carichi processuali e creare una via efficace per la soluzione delle controversie tra i cittadini. Risposte di sinistra in gran parte contenute nel programma del centro-sinistra, da attuare alla svelta.

Giustizia: Dap; nuovo decreto su Polizia Penitenziaria - Uepe

 

Comunicato stampa, 24 novembre 2007

 

Il nuovo schema di decreto interministeriale che ha tenuto conto dei contributi offerti dalle Organizzazioni Sindacali in occasione dell’ultimo incontro tenutosi sul tema, presenta alcune modifiche rispetto al testo precedente, in particolare: il riferimento all’ordinamento penitenziario posto in apertura è stato ampliato a tutto il capo VI (oltre che all’art.72), poiché nel decreto si provvede per tutte le misure alternative ivi previste; è stato soppresso il riferimento all’art. 48 comma 6, del regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario, perché riguardava al detenuto ammesso al lavoro all’esterno, che come risaputo non è misura alternativa, sussiste invece il riferimento all’art. 118 reg. esec. che attiene agli ex Cssa; è stato inserito l’art. 1, relativo alla definizione dei termini usati nel decreto, conseguentemente tutti gli articoli sono stati rinumerati; è stato esplicitato il concetto di contributo alla sicurezza (anche territoriale), che la sperimentazione vuole offrire;

è stata semplificata la procedura di selezione del personale; con riferimento alle tabelle stati inseriti, ai fini della sperimentazione, gli uffici di Bologna, Lecce e Brescia, in considerazione della tipologia e del numero degli incarichi esistenti; per la medesima ragione, a seguito di riduzioni intervenute, è stata esclusa la previsione dell’Ufficio di Verona.

Tanto premesso, in assenza di osservazioni, da far pervenire comunque entro sette giorni dalla ricezione della presente, si darà avvio al perfezionamento del decreto. (Vedi la bozza del decreto - in pdf)

Giustizia: nuovo decreto; comunicato degli Assistenti sociali

 

Comunicato stampa, 24 novembre 2007

 

Gli Assistenti Sociali chiedono: la verifica di Costituzionalità del contenuto della "Bozza del Decreto sulla sperimentazione di nuclei di verifica della Polizia Penitenziaria negli uffici locali" del Ministro della Giustizia in concerto con il Ministro dell’Interno del 22.11.2007, con riferimento ai Principi Costituzionali e alle Leggi vigenti, in specifico alla Legge 354/75 (Ordinamento Penitenziario); l’impegno ai Consigli dell’Ordine Regionale e Nazionale a denunciare eventuali violazioni del Codice Deontologico o azioni che si dimostrassero lesive della Professione di Assistente Sociale, così come già dichiarato dal Consiglio dell’Ordine Regionale del Trentino-Alto Adige; la Tutela dei lavoratori Assistenti Sociali e la Rappresentanza di quanto esposto ai Sindacati Confederali e Autonomi.

 

Assistenti Sociali Cataldo Rosanna, Landi Carmela, Merola Giuseppina

Giustizia: storia di Giovanna e degli altri "sbattuti in libertà"

 

www.radiocarcere.com, 24 novembre 2007

 

Giovanna, 39 anni, è uscita dal carcere di Latina con l’indulto e oggi dorme in una macchina con sua figlia perché non sa dove andare. Non ha una casa e non ha un lavoro, ma non vuole tornare a spacciare. "A volte penso" - scrive Giovanna - "che era meglio quando stavo in galera, lì almeno avevo un letto".

Quello di Giovanna non è un caso isolato. Sono migliaia le persone che, uscite dal carcere con l’indulto, si trovano senza casa, senza soldi e senza un lavoro. Certo alcuni di loro tornano a delinquere, ma molti resistono alla povertà. Resistono al reato. Si tratta di un pezzo d’Italia di cui nessuno parla.

Oggi a Napoli un centinaio di "indultati" sono scesi in piazza per protestare contro il Comune perché non li aiuta a trovare un lavoro. "Non vogliamo tornare a rubare" - dicono - "Vogliamo che il Comune ci aiuti a trovare un lavoro". Il Comune di Napoli risponde che sta per destinare 120 posti per un corso di formazione, che prevede anche uno stipendio di 500 euro mensili. 120 posti, mentre le domande sono state più di 2.000. E gli altri che faranno?

Nelle altre città la situazione non è molto diversa. Il fatto è che l’indulto è arrivato senza che i Comuni si fossero organizzati per accogliere questa variegata umanità scarcerata. Quella che chiede un lavoro. Quella che non vuole tornare in carcere. E pensare che dare lavoro a un ex carcerato significa anche dare "sicurezza" a noi cittadini.

Cagliari: un milione e mezzo di € per l'inclusione dei detenuti

 

Sardegna Oggi, 24 novembre 2007

 

La Giunta ha approvato il Programma di interventi finalizzati all’inclusione sociale delle persone soggette a misure giudiziarie. La delibera rientra in un quadro di provvedimenti che mirano a sostenere la presa in carico globale del detenuto, nel rispetto del dettato Costituzionale (art. 27 "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato"), del Piano Sanitario regionale e in linea con quanto fatto finora dall’amministrazione regionale.

"L’attenzione per le persone detenute - ha ricordato l’assessore Dirindin - costituisce una priorità nella programmazione dell’esecutivo. Da anni lavoriamo per dare sostegno ai bisogni di adulti e minori detenuti, promuovendo il rispetto della dignità della persona, l’umanizzazione dei rapporti, la presa in carico sotto l’aspetto educativo, sociale e sanitario". Nell’ottica di un concreto reinserimento dei detenuti nella società e nel mondo del lavoro, la Regione ha da tempo avviato strette collaborazioni con il Ministero della Giustizia, gli Enti Locali, le organizzazioni del Terzo Settore. In particolare, l’assessore ha richiamato il Protocollo d’intesa tra la Regione e il Ministero - firmato nel febbraio del 2006 - volto a promuovere e assicurare la tutela della salute fisica e psichica e i percorsi educativi e riabilitativi alternativi alla detenzione, anche con il coinvolgimento della comunità esterna.

"Sono stati attivati percorsi riabilitativi fuori e dentro gli istituiti carcerari - ha aggiunto l’assessore - sono stati favoriti i contatti con la famiglia e la comunità di provenienza, si sono ridotti gli invii negli Ospedali psichiatrici giudiziari, si è favorito l’inserimento in strutture alternative al carcere, coinvolgendo le associazioni che operano con i detenuti e con gli ex detenuti". Il programma approvato ieri promuove un intervento organico nel settore dell’inclusione sociale in ambito penale. Tre le linee di intervento individuate: la predisposizione di programmi di reinserimento sociale e lavorativo a favore di persone con provvedimenti penali e/o detentivi in esecuzione penale esterna (ad es. in permesso premio); la realizzazione di attività sociali a favore dei detenuti dell’Istituto penale per i minori di Quartucciu, in collaborazione con gli Enti locali ed il coinvolgimento degli organismi pubblici, privati, del Terzo settore; il recupero e l’adeguamento di strutture per l’accoglienza di soggetti con disabilità mentale, detenuti soggetti a misure alternative o ex detenuti.

Per il 2007 c’è uno stanziamento di 400 mila euro, cinque i progetti ammessi a finanziamento, 84 i detenuti coinvolti. Sono quelli delle cooperative Il Samaritano, Progetto Verde, Primavera 83, San Lorenzo, Giovani in cammino. Nel dettaglio: il programma del Samaritano di Oristano è rivolto a 28 detenuti e prevede la formazione e l’inserimento lavorativo nell’azienda agricola gestita dalla cooperativa (finanziato con 131.224 euro); il programma della cooperativa Progetto Verde di Ghilarza è rivolto a 10 detenuti e prevede inserimenti lavorativi nella manutenzione del verde pubblico, nell’orto-floricultura e commercializzazione dei prodotti (finanziato con 55.192 euro); il programma della cooperativa Primavera 83 di Elmas è rivolto a 6 detenuti e prevede l’inserimento lavorativo nella manutenzione del verde pubblico (finanziato con 35.232 euro); il programma della cooperativa San Lorenzo di Iglesias è rivolto a 28 detenuti e prevede l’inserimento lavorativo nei Comuni di residenza (finanziato con 129.568 euro); il programma della cooperativa Giovani in cammino di Sorso è rivolto a 10 detenuti e prevede l’inserimento lavorativo nel campo dell’orticoltura e della falegnameria (finanziato con 48.784 euro).

Per la realizzazione di attività sociali nell’Istituto penale per Minori, il finanziamento previsto è di 80 mila euro ed è finalizzato ad attività di rieducazione e riabilitazione sociale gestite, all’interno del carcere di Quartucciu, da organizzazioni onlus. I progetti approvati sono quelli della cooperativa Cossagi di Arborea (11.856 euro per l’attivazione di un laboratorio di musica e canto); della cooperativa La Carovana di Selargius (10 mila euro per attività teatrale e musicale); l’associazione di volontariato Oltre le sbarre di Serdiana (32.640 euro per l’attivazione di un laboratorio di pelletteria); la fondazione Corsanus (25.504 per attività sportive). Per il recupero e adeguamento di strutture per l’accoglienza di soggetti con disabilità mentale, detenuti soggetti e misure alternative o ex detenuti, la Regione ha stanziato 1 milione di euro. 600 mila sono stati destinati alla cooperativa sociale San Lorenzo di Iglesias, che metterà a disposizione un immobile all’interno di un’azienda agricola di Villamassargia.

L’edificio darà ospitalità a disabili mentali che abbiano provvedimenti giudiziari in atto, in coerenza con il Progetto strategico di salute mentale - Linee di indirizzo per la riqualificazione delle strutture. Gli altri 400 mila euro sono stati assegnati alla cooperativa sociale Il Seme di Santa Giusta e alla cooperativa sociale Il Samaritano di Arborea. Nel dettaglio: Il Seme ha ottenuto un finanziamento di 186.040 euro per il recupero e l’adeguamento di una struttura in località Corte Baccas; Il Samaritano ha ottenuto un finanziamento di 213.960 euro per la ristrutturazione e l’ampliamento di una struttura in località Sassu, per l’ospitalità a persone con disabilità mentale e detenuti soggetti a misure alternativa, anche provenienti da Ospedali Psichiatrici giudiziari.

 

La sfida di Oristano: detenuti archeologi

 

Entro fine mese un gruppo di detenuti del carcere di Oristano parteciperà a una campagna di scavi archeologici nell’area delle terme romane di Fordongianus. Il progetto, che coinvolgerà anche lavoratori socialmente utili, rientra nel programma del Sil di Oristano per la promozione della legalità, avviato in collaborazione con i comuni di Santa Giusta, Masullas, Norbello e Fordongianus, con l’amministrazione penitenziaria di Oristano. L’obiettivo è realizzare un processo di recupero e reinserimento sociale dei detenuti e favorire lo sviluppo di abilità professionali da spendere nel mercato del lavoro.

Vicenza: detenuti ed ex al lavoro, i vantaggi per le imprese

 

Il Gazzettino, 24 novembre 2007

 

Si è tenuta nei giorni scorsi nella sede della Fondazione Giacomo Rumor-Centro Produttività Veneto (CPV), l’incontro di presentazione sui vantaggi in termini economici e fiscali per chi intraprende azioni "socialmente responsabili" in particolare per chi decide di assumere detenuti. Promosso dallo sportello CSR della Camera di Commercio di Vicenza, è stata l’occasione per approfondire le tematiche relative alla funzione rieducativa della pena, e per porre l’accento sul valore sociale di quelle imprese che agiscono a favore di una fascia svantaggiata di persone, quali i detenuti. Tra gli interventi quello di Irene Iannucci, direttrice della Casa Circondariale di Vicenza e di Gerardo Meridio, presidente Ipab di Vicenza.

Ha moderato i lavori della tavola rotonda Elisabetta Boscolo, dirigente della Camera di Commercio di Vicenza, che ha inoltre presentato l’opuscolo informativo dal titolo "Detenuti al lavoro. Un’opportunità per le imprese". A portare la sua esperienza il presidente della Cooperativa "Saldo & Mecc" Guerrino Tagliaro e di Anna Olivo del "Consorzio Prisma".

Le imprese e le cooperative sociali possono richiedere all’Amministrazione penitenziaria l’affidamento di commesse lavorative, garantendo un pieno regime di produzione e l’impiego di un significativo numero di detenuti, con la conseguente riduzione dei costi per la gestione di tali lavorazioni. Sono inoltre ammessi sgravi contributivi e fiscali nel caso in cui decidano di assumere persone detenute ammesse al lavoro all’esterno o alle misure alternative alla detenzione.

Roma: Priebke; la Cassazione annulla il permesso di lavoro

 

Quotidiano Nazionale, 24 novembre 2007

 

Da un punto di vista pratico la situazione non cambia: l’ex nazista, condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, resta agli arresti domiciliari a Roma.

La prima sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio il decreto con cui, il 25 maggio scorso, il giudice militare di sorveglianza di Roma aveva autorizzato l’ex ufficiale delle SS Erich Priebke, condannato all’ergastolo (che sta scontando agli arresti domiciliari) per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, a svolgere all’esterno attività lavorativa.

Il collegio della Suprema Corte, presieduto da Giorgio Santacroce, ha infatti accolto il ricorso presentato dal procuratore militare della Capitale Antonino Intelisano contro il provvedimento di permesso accordato a Priebke, che venne sospeso proprio il primo giorno di lavoro esterno dell’ex ufficiale: quest’ultimo, infatti, non avrebbe comunicato ai carabinieri il percorso per raggiungere lo studio legale di via Panisperna dell’avvocato Paolo Giachini dove era previsto che lavorasse. Per Intelisano il permesso di lavoro prevedeva un orario troppo libero per un detenuto agli arresti domiciliari.

Da un punto di vista pratico la situazione non cambia: l’ex nazista, condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, resta agli arresti domiciliari nella Capitale, al quartiere Aurelio, senza avere la possibilità di recarsi giornalmente a Via Panisperna nello studio di uno dei suoi legali, Paolo Giachini.

"Era una cosa già annunciata - ha commentato l’avvocato Paolo Giachini, difensore del 94enne ex SS - la Cassazione non si è sognata di mettere in discussione il diritto di Priebke a lavorare, ma ha dato ragione al procuratore Intelisano dicendo che il provvedimento non era conforme ai termini della norma". In ogni caso, la decisione della Suprema Corte, secondo Giachini, "si inserisce in un filone in cui i poteri forti politico-sociali del Paese sono intervenuti per far sì che i diritti di Priebke fossero limitati, non concessi a lui come invece a tutti quanti". Il caso, dunque, dovrà essere riesaminato dal giudice militare di sorveglianza di Roma: "il permesso di lavoro non è stato messo in discussione - rileva l’avvocato Giachini - sarebbe una beffa se non glielo ridessero, ma credo che glielo daranno molto ristretto rispetto a prima".

Immigrazione: la fortezza "anti-poveri" piace a molti sindaci

di Davide Vari

 

Liberazione, 24 novembre 2007

 

"Usurpazione di funzione pubblica", questa l’ipotesi di accusa recapitata al sindaco di Cittadella: l’ameno paesino padano balzato agli onori delle cronache per l’ordinanza con cui lo stesso primo cittadino stabiliva un reddito minimo per gli stranieri che volessero ottenere la residenza. E dire che l’avviso di garanzia era stato recapitato poco tempo dopo l’adesione entusiastica di tanti "borgomastri" padani - nome celtico dei sindaci, secondo il quotidiano leghista La Padania.

"Ordinanza di legittima difesa", andavano ripetendo quest’ultimi. Legittima difesa contro l’invasore extracomunitario, s’intende. Ma quell’ordinanza, secondo la Procura di Padova, è illegittima. Fatto singolare, a siglare l’avviso di garanzia è stato un nome noto della magistratura italiana: quel Pietro Calogero che il 7 aprile del 79, e in qualità di pm della procura di Treviso, autorizzò l’arresto dei leader di Autonomia operaia Negri, Vesce e Scalzone.

"La trovo una forzatura nei confronti di un sindaco atta a bloccare l’espansione di un provvedimento che è stato chièsto da centinaia di comuni" ha commentato secco e deluso il sindaco di Cittadella Massimo Bitonci. In ogni caso, la proposta di ammettere come residenti solo i cittadini che dimostrassero un regolare contratto di lavoro o, in alternativa,

un reddito minimo di circa 5 mila euro, era piaciuta a molti. In una miriade di paesini del Nord-Est c’era infatti stato un vero proprio boom di ordinanze simili. Tra questi anche tanti sindaci del centro-sinistra. Dopo Cittadella si erano mosse infatti le amministrazioni di Riese Pio X, Fontaniva, Chiarano, Opitergino Mottense e tanti, tantissimi altri piccoli centri terrorizzati da questa presunta invasione.

"Stiamo rasentando l’assurdo - ha sbottato Gianpaolo Vallardi, sindaco di Chiarano, in prima fila da mesi sul fronte delle ronde di Veneto Sicuro - perché in questo caso il procuratore, che di certo sta facendo il suo lavoro, si sta concentrando sui sindaci della Lega e del centrodestra che si impegnano quotidianamente nel difendere i cittadini. Non capisco perché si accaniscano sui sindaci che stanno facendo il loro dovere". Solidarietà al sindaco Bitonci arriva dunque un po’ da tutti i sindaci leghisti del Nord-Est. E solidarietà arriva anche da Roberto Maroni.

Il capogruppo della Lega alla Camera non ha dubbi: "L’azione della procura di Padova è un’intimidazione, un utilizzo della magistratura per fini politici per tappare la bocca a un sindaco che vuole applicare la legge". Secondo Maroni la procura di Padova "ha fatto una cosa senza precedenti: ha messo nel registro degli indagati un sindaco entrando nel merito di un’azione amministrativa e accusandolo di aver commesso un crimine. Che sarebbe poi quello di aver usurpato i poteri di un Prefetto. È un’azione che non ha fondamento".

Gianfranco Fini ha addirittura scritto un lettera indirizzata a Bitonci, un gesto di solidarietà nei confronti di un amministratore che ha solo svolto "le proprie funzioni". Stessi toni arrivano dal governatore del Veneto Galan: "Perché non andiamo a votare subito tanto per vedere se il Veneto e Cittadella sono o non sono un esempio da imitare per il resto d’Italia?".

"Da una parte ci sono sindaci - afferma Galan - che in assenza di quanto dovrebbe essere fatto proprio da un vero Ministro dell’Interno, tentano, nel pieno rispetto delle leggi, di porre un argine democratico al rischio di violenze e crimini d’ogni genere; dall’altra c’è Amato che spreca il suo tempo in facili ironie su Cittadella.

Caro Ministro, - prosegue Galan - affinché la Repubblica sia ima madre giusta e previdente per tutti i suoi figli, dovresti sostenere, col dare loro legittimità ulteriore, le iniziative che sull’esempio di Cittadella mi auguro si diffondano ovunque in Italia. Altrimenti - conclude - la Repubblica diventa matrigna, una matrigna apprezzata solo da coloro che tengono in ostaggio il Governo Prodi, obbligandolo ad un cinico solidarismo capace soltanto di generare pericolosi fenomeni di razzismo".

"Non si può fare di Cittadella una repubblica diversa dalle altre". era stata la colpa e la posizione del ministro dell’Interno Giuliano Amato. "Quella di Cittadella è una storia curiosa - ha osservato ancora Amato, rilevando che l’iniziativa del sindaco è un riassunto "di discipline esistenti". Ma non può fare appunto di Cittadella, ha concluso, "una repubblica diversa dalle altre".

Droghe: Torino; mozione narco-sale, voto per parti separate

 

Notiziario Aduc, 24 novembre 2007

 

Votare la mozione sulle narco-sale per parti separate. È quanto chiedono i promotori dell’apertura, a Torino, di una sala per il consumo assistito, ai consiglieri comunali che saranno chiamati lunedì a esprimersi sul documento che arriverà in Sala Rossa e che richiede, tra l’altro, l’istituzione delle narco-sale, "attuabile ora con la legislazione vigente, e la somministrazione controllata dell’eroina, che necessita di una modifica della legge antidroga, impossibile nel breve e medio termine, visti i rapporti di forza fra i partiti".

"La mozione - sottolineano i promotori delle narco-sale, fra cui il deputato radicale della Rosa nel Pugno, Bruno Mellano - deve essere votata per parti separate perché si tratta di cose diverse, complementari e non contrastanti l’una con l’altra. Dopo le autorevoli prese di posizione del sindaco Sergio Chiamparino, del ministro della Salute Livia Turco e, addirittura, dello zar dell’antidroga Antonio Costa, è prevedibile che la parte riguardante la somministrazione del farmaco eroina passi con una grande maggioranza. Rispetto alle narco-sale, un’unica domanda finale al sindaco e ai consiglieri: se non ora quando?".

Droghe: Torino; su narco-sale un processo non-decisionale

di Pietro Yates Moretti (Presidente Associazione per i Diritti degli Utenti e dei Consumatori)

 

Notiziario Aduc, 24 novembre 2007

 

Siamo scoraggiati, affranti. Non solo perché non vi sarà alcuna narco-sala a Torino, ma per il modo in cui si è giunti a questa ennesima non decisione. Nel suo piccolo, il non-dibattito sulle narco-sale esemplifica quel processo decisionale - o meglio, non-decisionale - che contraddistingue l’immobilismo delle nostre istituzioni. Queste le fondamenta del processo non-decisionale, in ordine di importanza: la carenza di informazione ed il disprezzo della scienza.

La carenza di informazione è alla base di tutto ciò che non va nel nostro Paese. L’informazione è essenziale in ogni democrazia liberale: è l’anello che unisce l’elettore e l’eletto. Senza di essa, l’elettore non è in grado di giudicare l’operato dell’eletto, e le elezioni cessano di essere strumento di indirizzo e controllo del governo della cosa pubblica, e divengono mero strumento di auto legittimazione per i monopolisti delle istituzioni. Sul non-dibattito apertosi sulla sperimentazione delle narco-sale a Torino, non vi è stato un singolo giornale che abbia avuto la curiosità di andarsi a leggere anche uno solo dei sempre più numerosi studi scientifici sull’argomento.

Vi è ormai, nella comunità scientifica internazionale che si occupa di tossicodipendenze, un consenso quasi unanime sulla loro efficacia nella riduzione del danno. Bastava leggere alcuni di questi studi, per permettere all’elettore-lettore di giudicare con cognizione di causa le migliaia di dichiarazioni con cui è stata accolta la proposta di sperimentazione a Torino.

Forse per pigrizia, forse perché quasi tutti gli studi sono in lingua straniera (inglese), forse perché non gliene frega niente, gli iscritti all’Ordine dei "giornalisti" hanno preferito adoperarsi in virtuosi esercizi di sintesi sulla superficiale e inutile diatriba destra-sinistra.

"Per Tizio le narco-sale uccidono, ma per Caio esse salvano vite umane. È prudente invece Sempronio, secondo cui è necessario il dialogo". Come fa l’elettore-lettore a giudicare, a formarsi un’opinione sulla base di questo giornalismo? Il lettore-elettore non ha scelta: o segue ciecamente il proprio partito come già fa nel caso della propria squadra sportiva, oppure abbandona la lettura schifato e disinformato.

Fino a quando non vi saranno giornalisti preparati, che fanno i propri compitini prima di mettersi a scrivere, giornalisti che amano il giornalismo e non la tessera da giornalista, non vi sarà alcuna responsabilizzazione degli eletti. Essi potranno dire e fare tutto ed il contrario di tutto, senza conseguenza alcuna.

Se il giornalista ignora la scienza, il politico tende a disprezzarla. Infatti la scienza è l’unica disciplina in grado di contraddire definitivamente le sue dichiarazioni disinformate. "Le narco-sale non funzionano", dice il politico - sia esso consigliere comunale, parlamentare o direttore di un ufficio dell’Onu. Ebbene, non c’è un singolo studio che confermi tale tesi.

Non uno! Ma se questo lo si sapesse, il politico sarebbe costretto, se non a cambiare opinione sulle narco-sale, quantomeno a trovare nuove giustificazioni. È quindi fondamentale per il politico che la scienza rimanga nascosta, sconosciuta, o che venga declassata a mera opinione fra opinioni.

Chi invece cerca di informare sul dato scientifico, viene tacciato da "scientista", "laicista", "amorale". E nel caso in cui la verità scientifica riesca miracolosamente ad emergere, prevale sempre e comunque l’etica, o meglio la bioetica, nuova arena in cui si sviluppa il seme della teocrazia. "Le narco-sale non funzionano e sono eticamente inaccettabili". Fine del non-dibattito.

India: solo dopo 9 mesi i parenti in visita ai detenuti italiani

 

Libertà, 24 novembre 2007

 

Missione in India per i familiari dei bobbiesi detenuti a Mandi da nove mesi. Giovanni Falcone, padre di Angelo, Cristina Nobili e Marco Roccasilvana, rispettivamente sorella e cugino di Simone, domenica mattina saliranno sull’aereo che li porterà a New Delhi. Dopo l’incontro con i funzionari dell’ambasciata italiana partiranno per Mandi con un’auto a noleggio: per arrivare nella capitale dell’Himachal Pradesh occorrono circa dieci ore di viaggio. "Se tutto andrà bene - dicono - potremo vedere i ragazzi martedì sera o al massimo mercoledì".

Oggi, intanto, Giovanni Falcone cercherà di portare il caso anche all’attenzione del ministro degli esteri irlandese Dermot Ahern, atteso a Bobbio per ricevere la cittadinanza onoraria. Se il rigoroso protocollo della mattinata non permetterà un incontro tra i due, il sindaco Roberto Pasquali ha comunque promesso di parlarne durante il pranzo ufficiale.

"Sarebbe importante - precisa il padre del 27enne in carcere dal marzo scorso - che la vicenda approdasse all’europarlamento, visto che non esistono accordi bilaterali tra Italia e India". Falcone in queste ore è in diretto contatto con il parlamentare Marco Zacchera, responsabile Esteri di An e vicepresidente del Comitato per gli Italiani all’estero della Camera.

Dopo l’incontro del ministro Clemente Mastella con le autorità americane sul caso di Carlo Parlanti, detenuto in gravissime condizioni di salute nel penitenziario di Avenal (California), Zacchera ha presentato un’interrogazione a Mastella. "Spero - ha detto l’esponente di An - che grazie all’importante accordo trovato durante l’incontro ai detenuti che non potranno rientrare in Italia sia garantito il gratuito patrocinio per difendersi adeguatamente".

Finora le famiglie di Angelo e Simone non hanno avuto alcun aiuto economico: "Non solo dobbiamo pagare gli avvocati e, ora, il viaggio in India - conclude Falcone - ma nemmeno l’interprete ci è stato messo a disposizione dall’ambasciata".

 

 

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