Rassegna stampa 4 marzo

 

Giustizia: pm Ingroia; la mafia economica è il vero problema

 

La Sicilia, 4 marzo 2007

 

La mafia militare è sempre più debole. La mafia economica è sempre più potente. Può sembrare un paradosso, è la realtà vista dall’ufficio di Antonio Ingroia, Pm palermitano in prima linea nella lotta a Cosa nostra. Allievo di Borsellino, Ingroia ha condotto indagini e processi delicati e controversi: da quelli contro Marcello Dell’Utri e Bruno Contrada a quello, in corso, per il sequestro di Mauro De Mauro.

 

Dottor Ingroia, cosa è cambiato dopo la cattura di Bernardo Provenzano?

"Cosa nostra sta cambiando pelle. L’epoca dei corleonesi, feroci e spietati, è finita. E lo Stato, su questo versante, si è speso con ottimi risultati. Uno a uno i grandi boss sono stati catturati e oggi, oggettivamente, Cosa nostra non ha più il controllo del territorio come in precedenza".

 

Palermo si sta liberando dalla grande criminalità?

"Sarei molto cauto. Diciamo che il quadro è cambiato. Un sequestro come quello del povero Pietro Licari, rapito da due balordi a Partinico e ucciso in fondo a un pozzo, sarebbe stato inimmaginabile solo dieci anni fa. E probabilmente dieci anni fa la mafia sarebbe arrivata a punire i due banditi prima dello Stato".

 

Perché allora parla di scenario contraddittorio?

"Perché invece la mafia degli affari è sempre più forte. Produce fatturati sempre più alti e utili sempre più elevati".

 

Il pizzo?

"Cosa nostra si è fatta più accomodante, apparentemente più ragionevole. A Palermo tutti i commercianti pagano, ma pagano meno. E in questo modo si disincentiva la ribellione. Ugualmente negli appalti locali la presenza di Cosa nostra è sempre più ingombrante".

 

Vuol dire che la società e la politica siciliane convivono in qualche modo con Cosa nostra?

"Esatto. Questa coabitazione si declina in vari modi, tutti compresenti: si va dalla connivenza alla dimenticanza, dal disinteresse all’assuefazione".

 

A livello nazionale?

"È un po’ lo stesso discorso. Roma è lontana da Palermo e in assenza, per fortuna, di delitti eccellenti, ci si scorda di Cosa nostra".

 

Sono stati ammanettati boss di prima grandezza.

"Ma purtroppo Cosa nostra non è sconfitta. Tutt’altro. Ci vorrebbe un impegno sul piano legislativo che non si vede. Nella scorsa legislatura non si è fatto nulla per contrastare la mafia sul piano normativo, anzi gli interventi sono tutti andati in direzione opposta creando un clima di sfiducia nei confronti dei magistrati".

 

Oggi?

"Nulla di diverso all’orizzonte. Aspettiamo un segnale di discontinuità che per ora non c’è. Anzi, Prodi si è dimenticato della giustizia e di Cosa nostra nei 12 punti con cui ha rilanciato il suo Governo. Di fatto l’unico provvedimento approvato finora, a parte alcuni lodevoli impegni sul piano verbale del premier, è l’indulto che certo non ci dà una mano".

 

Il capo della Procura Francesco Messineo e il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso litigano su tutto. Lei con chi si schiera?

"Non entro nella polemica. Mi pare che il nuovo modello organizzativo voluto da Messineo sia un passo in avanti".

 

Chi comanda ora nella mafia?

"Io penso ci sia una diarchia composta da Matteo Messina Denaro e Salvatore Lo Piccolo. Forse non esiste nemmeno più la commissione, ovvero una riunione periodica dei principali boss. Però scopriamo tesori enormi in Svizzera, in Lussemburgo, a Montecarlo. Oggi il primo obiettivo è neutralizzare i colletti bianchi che riciclano i capitali. Per questo dal 1º marzo a Palermo è stato creato un dipartimento per la lotta alla criminalità economica mafiosa che ha bisogno di aiuti e risorse. Per ora, però, l’importanza di questa mossa sembra essere sfuggita alla classe dirigente".

 

I magistrati lamentano anche un allentamento del 41 bis.

"Il carcere duro ha funzionato solo all’inizio. Il problema non è umiliare i detenuti con un trattamento disumano, ma tagliare i fili che legano i boss a chi è fuori".

Giustizia: riguardo all'eterno rapporto tra criminalità e politica

 

Il Mascalzone, 4 marzo 2007

 

Secondo statistiche ufficiali, ogni anno in Italia verrebbero commesse molte centinaia di migliaia di violazioni della legge (ovviamente si tratta dei reati formalmente denunciati e accertati), che vanno dalle piccole infrazioni del codice penale ai reati più gravi quali usura, estorsioni, rapine, sequestri di persona, sfruttamento e riduzione in schiavitù, omicidi, e via discorrendo.

Nel contempo le carceri italiane, già sovraffollate, hanno spazi assai carenti e limitati, per cui non riescono ad ospitare i violatori della legge che in pratica restano impuniti. In tale situazione sono i grandi criminali che riescono a beneficiare delle enormi lacune del sistema carcerario italiano. Non è un problema di sedi penitenziarie, di luoghi fisici di detenzione, altrimenti basterebbe costruire nuove strutture carcerarie per risolvere la questione.

A riguardo penso che sarebbe meglio investire la spesa sociale nella costruzione di moderni e attrezzati alloggi, scuole e ospedali, per rispondere alle drammatiche istanze sociali derivanti dalla crisi abitativa, dalla questione scolastico-educativa e dall’emergenza sanitaria.

L’azione dei governi in materia di criminalità si riduce a periodiche e provvisorie strategie di repressione poliziesca (si pensi, ad esempio, al blitz compiuto alcuni anni fa a Scampia, il "famigerato" quartiere di Napoli) che sono sempre pilotate e condizionate da interessi e meccanismi di ricerca del consenso popolare, strategie che presuppongono e richiedono un ruolo decisivo legato all’esercizio dell’informazione quotidiana di massa.

In tal senso, i più importanti mass-media nazionali, network televisivi in testa, tendono a promuovere periodicamente vaste campagne di informazione propagandistica che rendono di "moda" alcuni tipi di reati.

Non è un discorso aberrante o delirante perché, di fatto, si tratta proprio di "mode", ossia di un sistema di amplificazione e di esaltazione del crimine mediante forme subdole e striscianti di comunicazione, cioè attraverso meccanismi pubblicitari capillari che agiscono sul piano inconscio e subliminale, alla stessa stregua dei messaggi della pubblicità commerciale che ormai ci bombarda continuamente, e ossessivamente, in TV, alla radio, sulla stampa, su Internet, sui telefoni cellulari, insomma dappertutto, in ogni momento della nostra giornata.

Alcuni decenni fa, ad esempio, ci fu la "moda" del brigatismo. Infatti, i mass-media fecero da potente cassa di risonanza rispetto ad un fenomeno solo apparentemente eversivo e destabilizzante, ma che in effetti servì a stabilizzare e a rafforzare il sistema vigente, nel senso che gli attentati brigatisti, come altri crimini terroristici (si pensi alle stragi neofasciste, da Piazza Fontana nel 1969, alla stazione di Bologna nel 1980), furono tante occasioni utilizzate per legittimare e suscitare l’invocazione di leggi punitive speciali, che furono poi effettivamente varate dallo Stato.

Una legislazione d’emergenza che è rimasta in vigore troppo a lungo, non tanto per vincere le organizzazioni terroristiche e contrastare i delitti da cui sembrava scaturire la sua ragion d’essere, quanto invece per criminalizzare e bloccare l’ascesa di massicci movimenti di lotta sorti alla fine degli anni Sessanta. Anni in cui si costituì un blocco sociale retto sull’alleanza tra studenti e operai, un connubio che inquietava non poco il potere politico-sociale ed economico della borghesia italiana più reazionaria, che non a caso si servì della "strategia della tensione" per insanguinare le piazze italiane durante gli anni Settanta, così come la borghesia agraria e capitalista degli anni Venti si servì dello squadrismo fascista per impedire gli scioperi dei contadini e degli operai e per frenare l’ascesa rivoluzionaria del proletariato. L’avvento del regime di Mussolini completò l’opera oltranzista e repressiva contro le masse popolari italiane, fino alla tragedia della seconda guerra mondiale. La resistenza antifascista fu la naturale, inevitabile conseguenza di tali avvenimenti.

Successivamente, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ‘80, con l’esplosione del fenomeno "hooligans", importato dalla Gran Bretagna, la società italiana ha dovuto sopportare nuove campagne tese a promuovere i delitti connessi al teppismo negli stadi di calcio, un problema ancora caldo, sempre attuale e presente nel proscenio nazionale, un tema a cui sarebbe opportuno dedicare una trattazione più adeguata e approfondita.

In altre fasi si è assistito a campagne di informazione, ma sarebbe meglio chiamarle di disinformazione, che enfatizzavano e privilegiavano il fenomeno dei sequestri di persona, ad esempio in Aspromonte. Non a caso, ci fu subito qualche "eminente" personalità politica (basti ricordare l’allora capo del governo, il democristiano Forlani, nonché alcuni noti esponenti della destra neofascista) che ne approfittò per rilanciare una proposta di legge a favore della pena capitale, fortunatamente senza successo.

Negli ultimi anni, in Italia si è alimentato un clima di crescente attenzione e tensione intorno ad alcuni reati di opinione e di associazione, attraverso campagne volte a criminalizzare il cosiddetto "movimento dei movimenti", i movimenti antagonisti e i gruppi no-global, per evocare reazioni autoritarie e repressive, fino all’estrema richiesta e al ricorso di un intervento armato, come accadde a Genova durante il G8 del luglio 2001.

Inoltre il sistema dell’informazione di massa concorre ad allestire ricorrenti campagne di allarmismo sul rischio terroristico, non più di tipo "brigatista" ma di matrice "islamico-fondamentalista", oppure rispetto ad altre forme delinquenziali come i frequenti episodi di violenza negli stadi di calcio.

Il meccanismo in questione è profondamente ipocrita, cinico e perverso, nella misura in cui l’intento reale non è affatto quello di combattere il crimine, bensì quello di provocare reazioni collettive di sdegno e di rabbia nella pubblica opinione, per legittimare in tal guisa risposte di tipo autoritario e poliziesco e, in ultima analisi, per riscuotere un maggiore consenso politico-elettorale.

Come è accaduto tante volte in passato, anche oggi da parte delle forze governative si tenta di strumentalizzare il "crimine" per biechi scopi elettorali, inseguendo l’approvazione da parte dell’opinione pubblica, montata ad arte dall’assordante propaganda di alcuni potenti mass-media che rincretiniscono sempre più la gente, rendendola inetta a pensare e ragionare con la propria testa.

Il fine ultimo sarebbe, in sostanza, quello di raccogliere un bel mucchio di voti alle elezioni di turno, ma di certo non quello di stroncare la "delinquenza" (si pensi alla mafia, alla camorra e altre associazioni criminali, che sono sempre molto attive e potenti), dato che è impossibile farlo sul versante della repressione e della soluzione carceraria, per le gravi insufficienze e contraddizioni inizialmente rilevate.

Pertanto, la risposta più giusta e razionale rispetto ai fenomeni criminali non è la repressione poliziesca e carceraria, in quanto il carcere è diventato un arnese obsoleto, un anacronismo storico-culturale, come lo sono la tortura, la pena di morte, la schiavitù e altre pratiche assolutamente incivili e disumane.

Semmai occorrerebbe mettersi d’accordo sul significato della parola "crimine". Occorrerebbe appurare e stabilire, ad esempio, se l’evasione fiscale è o non è un crimine di natura antisociale, come pure altri reati di ordine economico che il governo Berlusconi ha depenalizzato: si pensi al falso in bilancio. Al contrario sono state inasprite le pene rispetto a comportamenti ritenuti "devianti" quali, ad esempio, il consumo di droghe leggere.

Insomma, la giustizia è sempre relativa; la legge, il diritto e la morale sono storicamente determinati dagli assetti e dagli equilibri del potere, per cui ciò che un tempo costituiva un "peccato" o un "delitto", oggi può non esserlo più, e viceversa. Talvolta si può verificare un imbarbarimento dei costumi, un regresso culturale e politico della società, per cui vecchie norme, morali e giuridiche, che sembravano superate, vengono restaurate.

Queste sono le principali incoerenze e ingiustizie di un sistema economico-giudiziario, per cui chi evade le tasse per milioni di euro o falsifica i bilanci di grosse società finanziarie truffando e derubando centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori, la fa franca, mentre chi si fa semplicemente una canna rischia di finire in galera o, in alternativa, è costretto a "scegliere" un periodo di detenzione in un centro di "cura" e "disintossicazione".

La politica dei governi non fa altro che legalizzare e risolvere formalmente tali storture e contraddizioni. D’altronde, come diceva il grande scrittore francese Balzac: "dietro ogni grande fortuna economica si cela un crimine".

Opera: una lettera sul caso dei detenuti-scalpellini licenziati

 

Ristretti Orizzonti, 4 marzo 2007

 

Ho vissuto vicino a loro, come volontaria dell’Associazione "Il Bivacco", una parte della mia vita, la più vera, quella che ancora oggi ricordo essere stata quella del coraggio: provare ad esserci quando sembrava che non servissi a nessuno e nessuno mi cercava, mi voleva.

Ricordo con infinita tenerezza le mie "scorribande" all’area dei laboratori del carcere di Opera dove trovavo gli scalpellini e gli operatori che seguivano questo bellissimo progetto, agenti di polizia compresi.

La mia è solo una voce, piccola piccola, ma la testimonianza che vorrei dare è questa: non è stato facile, a volte impercorribile, (ma la sfida è l’altra faccia della medaglia che sia chiama fiducia!) e, per la Cooperativa Soligraf nella persona di Mafalda Occioni e delle persone che con lei hanno collaborato a questo progetto, è stata vera fede.

Fede nella speranza di comprendere e superare le difficoltà oggettive, quindi investimenti di denaro e tempo, per preparare, sviluppare, attuare e svolgere un percorso formativo così specifico e ambizioso: formare detenuti all’arte; arte dove in campo vi sono competenze delineate ma che non possono prescindere dalla creatività individuale e soggettiva dei componenti preposti.

Fede nel resistere, quando le cose diventano cupe e spesse, alla sirena del "lascia stare, lascia andare, lascia fare". La cooperativa, non mi risulta, abbia mai abbandonato il progetto, il sostegno e la ricerca dell’inserimento lavorativo di queste persone detenute che hanno aiutato a formarsi proprio in virtù e in vista di questa finalità: lavorare su ciò che ho imparato a fare. Semplice vero? Difficile senz’altro!

A volte accade che ciò che desideravano accadesse, pienamente con successo e gratificazione, molto banalmente non accada. I fattori che hanno determinato, quello che chiameremmo oggi (altra banalità) l’insuccesso non dipenda affatto dalla nostra volontà di ben operare, di essere utili a chi domanda speranza e nell’essere cooperativi con altre realtà finalizzate allo stesso scopo ma da cecità del cuore, del profondo, di chi coinvolto non è, dove la regola detta: investo se conviene altrimenti "lascia stare, lascia andare, lascia fare"…

Porto solo la mia testimonianza: ho visto persone lottare, fino a sera tarda, per avere sbocchi lavorativi e di sostegno, dimenticandosi di se stessi e di se stesse per gli altri, quelli dentro, per aiutarli ad uscire dal carcere con dignità, con un lavoro, con una casa, con legami affettivi ricostruiti con tanta pazienza nel tempo…

A queste persone, che lottano per gli altri, tutto il mio grazie per ciò che ho imparato, tutta la mia stima per la caparbietà di esserci nonostante tutto e il mio affetto in quanto, per me, sono amici e amiche, dentro e fuori.

 

Viviana Brinkmann

Catanzaro: i giovani detenuti dell’Ipm diventeranno pizzaioli

 

Quotidiano di Calabria, 4 marzo 2007

 

Una perfetta sinergia di intenti e di energie tra enti. Così, nella conferenza stampa di presentazione, è stata descritto il risultato ottenuto dal Comune di Catanzaro, in collaborazione con la Camera Minorile "Polacco - Perrotta" del capoluogo, a favore dei minori detenuti presso l’istituto penale per i minorenni "Paternostro".

I ragazzi ristretti potranno infatti, non appena, come ha ricordato il direttore dell’Istituto Francesco Pellegrino, alcuni lavori di rifacimento della struttura lo renderanno possibile, usufruire di un laboratorio di pizzeria che li possa aiutare all’apprendimento di un mestiere da spendere una volta terminato il periodo di detenzione.

A rendere possibile tale traguardo, ha ricordato il sindaco di Catanzaro Rosario Olivo, è stata per l’appunto la collaborazione tra varie personalità che, ognuno nel suo campo, si è spesa affinché la sensibilità solidaristica, troppo spesso dimostrata solo a parole, si tramutasse in realtà. Così i ringraziamenti del sindaco sono andati al consigliere comunale Eugenio Occhini, all’assessore alle politiche sociali Nicola Ventura e, soprattutto, al proprietario della sede catanzarese della Zanussi - Elecrolux, Mario Squillace che ha permesso l’acquisto a prezzi particolarmente vantaggiosi di un macchinario che, ha concluso Olivo: "deve servire affinché i giovani detenuti inizino già tra le mura del carcere quel percorso di reinserimento sociale cui la pena deve tendere". Il presidente della camera minorile Angelo Polacco ha quindi rimarcato che, con questo gesto, gli avvocati che si occupano della tutela giudiziaria si vogliono rendere partecipi delle esigenze di ragazzi.

Un ulteriore aiuto al percorso di questi ragazzi verrà inoltre dalla camera di commercio catanzarese il cui presidente Paolo Abramo ha reso noto di avere immediatamente avviato i contatti con l’associazione italiana pizzaioli affinché vengano predisposti dei corsi specifici per i giovani detenuti.

A chiudere il ciclo degli interventi, moderati dal delegato stampa del Dipartimento Massimo Martelli, è quindi intervenuto il giudice del Tribunale dei Minori Giuseppe Spadaro: "Bisogna - ha detto - che chi difende i minori sia edotto della psicologia dello stesso non essendo concepibile che, come accade troppo spesso, si pensi alla difesa del minore come ad una difesa del tutto simile a quello dell’adulto".

Caserta: estorsione a un detenuto, condannati tre compagni

 

Il Mattino, 4 marzo 2007

 

In carcere ci erano finiti per alcuni reati commessi "in libertà" ma oggi sono tornati nel penitenziario perché durante la detenzione avrebbero preteso da un compagno di cella - mentre gli tenevano un punteruolo sotto la gola - l’acquisto di una stecca di sigaretta ogni settimana. Si tratta di Ivan Boragine, di Teano; Tammaro Falcone di Villa Literno e Matteo Macchiarelli, di Alife, già detenuto per omicidio.

L’episodio si verificò in una cella del carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), il 28 luglio dello scorso anno. Avevano minacciato di morte un altro detenuto puntandogli un punteruolo in ferro alla gola allo scopo, non ottenuto, di farsi acquistare ogni settimana una stecca di sigarette per ciascuno di essi nonché di dimostrare la loro superiorità nella "gerarchia delinquenziale" all’interno del carcere.

Roma: il Senatore Francesco Storace (An) rinviato a giudizio

 

Il Giorno, 4 marzo 2007

 

L’ex presidente della Regione Lazio e senatore di Alleanza nazionale, Francesco Storace, è stato rinviato a giudizio dal Gup del tribunale di Roma, Enrico Imprudente, per l’accusa di accesso abusivo in archivio informatico. Insieme con Storace saranno processati, a partire dal 15 maggio prossimo, altre sei persone tra cui anche l’ex portavoce Nicolò Accame.

Il processo riguarderà anche l’ex direttore tecnico di Laziomatica Mirko Maceri, il detective privato Pierpaolo Pasqua, gli ex collaboratori di Storace Tiziana Perreca e Nicola Santoro e l’esponente di An Vincenzo Piso. Prosciolto invece il consigliere comunale capitolino di Alleanza Nazionale Fabio Sabbatani Schiuma. La vicenda è relativa allo spionaggio abusivo compiuto nel corso della campagna elettorale per le regionali del 2005. Il giudice ha stabilito il non luogo a procedere nei confronti del vicepresidente del consiglio comunale di Roma, Fabio Sabbatani Schiuma, di An.

Lapidario il commento del principale interessato: "Resto comunque sereno confidando nel valore della statistica, perché in Italia questi processi si concludono nella maggior parte con una assoluzione, anche se c’è un aggravio di spesa per il contribuente". Lo ha detto il senatore di An ed ex governatore del Lazio, Francesco Storace, a conclusione dell’udienza preliminare al termine della quale è stato rinviato a giudizio per la vicenda Laziogate.

Immigrazione: la vergogna dei Cpt, i nuovi "lager italiani"

 

Carmilla on-line, 4 marzo 2007

 

Sabato 3 marzo un sacrosanto corteo di varie migliaia di persone si è mosso in direzione del Cpt (centro di permanenza temporanea) di Bologna, per chiederne la chiusura. È stato violentemente caricato, di sicuro si preparano denunce a carico di alcuni dei manifestanti. Prevedibile il plauso di chi vuole che l’ordine, nella città ex rossa sia mantenuto a tutti i costi. Ma quale "ordine"? Quello di carceri vergognose riservate a innocenti, colpevoli di fuggire dalla sorte di miseria e guerra cui il potere mondiale "liberale" ha condannato i loro paesi, e continenti interi? Se tacere di fronte a un simile scandalo significa "legalità", vuole dire che "legalità" è una parolaccia.

Capiamoci bene. Stiamo parlando di uomini e donne senza colpa ingabbiati perché la povertà li ha spinti là dove speravano di poter condurre un’esistenza decente. Quanti di loro non sono morti nel tentativo, si sono trovati esposti, in quanto poveri, alle peggiori umiliazioni, tra cui il carcere.

Si stanno moltiplicando i reportage sui Centri che hanno il sapore e il valore di un’opera letteraria. Non c’è nulla di nuovo, in questo, e stupisce lo scandalo di alcuni, timorosi di improbabili contaminazioni. Sono due secoli e passa che scrittori di primo piano si mescolano a eventi del loro tempo e, accanto alla pura narrativa, forniscono resoconti di esperienze, di viaggi, di imprese politico-militari, di esplorazioni dei lati meno vistosi del loro presente.

Semmai, la novità è che alcune opere recenti manifestano un forte impegno sociale. Forse è questo che stupisce, in un’epoca che vorrebbe messa al bando la scelta politica netta e gli interrogativi troppo profondi. Ciò che era lecito a Friedrich Engels, a Jack London, a George Orwell (immergersi negli inferni di Inghilterra, Francia e Stati Uniti, cogliere dal vivo la vita dolorosa di operai, minatori, emarginati), non lo sarebbe per giovani scrittori italiani odierni, che attenterebbero alla purezza dell’ "oggetto letterario".

Tutte sciocchezze, è chiaro. Il rimprovero che sottostà alla condanna è semplicemente quello di coltivare la visione di una società stratificata, con dominanti e dominati, in un momento in cui l’asettico termine di "imprenditori" ha sostituito il desueto "padroni", e in cui i "proletari" di un tempo sono divenuti "impiegati", "collaboratori" o quant’altro. Una "sinistra moderna", in equilibrio con una destra sempre uguale a se stessa ma che per misteriose ragioni appare nuova, ha fatto da battistrada a innovazioni lessicali capaci di spegnere ab origine ogni possibile conflitto troppo acuto. Dato il quadro, un autore che scoperchi la pentola e mostri la sussistenza di un "sistema" tanto potente quanto criminale non può che riuscire sgradito.

È il caso di Marco Rovelli, autore di "Lager italiani". La provocazione è presente fin dal titolo. In un paese in cui, ufficialmente, si seguita a negare una memoria appesantita da lager per etiopi e slavi, da stragi di massa, da eccidi anche recenti (in Iraq, per esempio), e nel quale gli unici lager ammissibili storicamente sono quelli nazisti, parlare di campi di concentramento italiani contemporanei non può che destare scandalo.

Eppure Rovelli ce lo dimostra. Al centro del suo lavoro sono i Cpt: i Centri di permanenza temporanea che l’Italia, non unica in Europa, ha allestito per detenervi chi giunga clandestinamente ai suoi confini. Un’invenzione del penultimo centrosinistra, che il centrodestra ha appena un po’ aggravato facendo dell’ingresso nel nostro paese una sorta di reato, da debellare con la massima durezza.

Rovelli è andato a interrogare i reclusi o ex reclusi dei Cpt, raccogliendone le storie individuali. Siamo abituati a considerarli una massa unica, guidata da magnifiche sorti e progressive - la società multietnica a venire - oppure spinti da un torbido progetto di invasione. Nessuna delle due visioni è quella vera. Se interpellati uno a uno, coloro che abbiamo recluso in carceri assurde, inumane, narrano storie individuali diversissime, travagliate, in cui la costante è il dolore. Sfuggiti agli inferni voluti dalla macroeconomia - o, non è raro, dal desiderio assai comprensibile di "conoscere il mondo" - si trovano incarcerati senza avere commesso alcun crimine riconosciuto come tale.

Vengono ingabbiati, umiliati, costretti a promiscuità non volute (non solo tra sessi, ma anche tra etnie), sottoposti a oltraggi sessuali. Per quanto non sia un giudizio generalizzabile, oggi polizia, carabinieri e agenti di custodia, in larga percentuale, non sono diversi da quelli di Bolzaneto. Ci sono le eccezioni, certo, e nel libro risaltano. Ma risalta anche la tendenza, diffusa nell’assieme della società, a considerare il perdente colpevole delle sue miserie, con licenza di infierire su di lui ai massimi gradi di crudeltà.

Le vittime sono magrebini, slavi, sudamericani, asiatici. Provengono da parti del mondo costrette, in condizioni di miseria estrema, ad adottare l’ultraliberismo proposto dal Fondo Monetario Internazionale e a ridurre al minimo i servizi sociali. Così l’economia si risolleverà, così si ridurrà il peso (inestinguibile) del debito. Poco importano i destini individuali di chi è travolto dal meccanismo. Cercherà di sfuggire alla sua sorte. Si ritroverà in una gabbia italiana in cui i secondini le sbavano addosso, se è donna, o lo picchiano al minimo pretesto, se è uomo.

Il libro di Marco Rovelli - sia reportage o romanzo, chissenefrega - denuncia un’ingiustizia ai limiti del tollerabile. Regole economiche pazzesche, coltivate sbirciando continuamente l’andamento dei titoli di borsa, producono ondate migratorie. Quelle stesse ondate, quando si credevano in salvo su coste "democratiche", si ritrovano fra le sbarre, a sperimentare le poche sofferenze non patite fino a quel momento. Per sopravvivere, a parte lo sfruttamento, una sola soluzione: l’illegalità. Ciò garantisce nuove sbarre, prima o poi.

Va notata l’evoluzione, in questo senso, di una componente del centrodestra: la Lega Nord. Prima ce l’aveva con i meridionali italiani. Poi passa ai magrebini. Successivamente ai neri in generale. Ed ecco che arrivano gli slavi: biondi, altissimi. Non rientrano nello schema. Allora diciamo che una parte minoritaria di loro sono musulmani. La guerra è contro l’Islam...

A parte la schizofrenia costante della Lega Nord, tutto il centrodestra, incluse le ali che si autodefiniscono "liberali", sul tema dell’immigrazione e dei Cpt è compattamente fascista. Peccato che i Cpt siano creazione del centrosinistra, come Rovelli spiega bene, in appendice, nelle sue "Note deperibili"…

Ho idea che la radice del male risieda nella parola "centro". Nucleo di moralisti capaci di sbattere poveri diavoli in un lager, nel nome di una presunta sicurezza sociale, e lasciare che fascisti dichiarati gestiscano il seguito. Pare inevitabile portarsi addosso questi figuri. Fortuna che un Marco Revelli ci fa avere, per un attimo, qualche brivido circa gli esiti della manovra.

Immigrazione: Bologna; scontri manifestanti "No-Cpt" e polizia

 

Apcom, 4 marzo 2007

 

Alla fine, è stato scontro tra i manifestanti del corteo "No-Cpt" organizzato a Bologna e le forze dell’ordine. I manifestanti, infatti, non hanno rispettato la distanza di sicurezza dal Cpt del capoluogo emiliano ma hanno cercato di sfondare il cordone di polizia e di arrivare al centro di permanenza temporanea. La polizia ha dato vita ad alcune cariche per disperdere i manifestanti, che invece hanno replicato con lancio di oggetti e fumogeni.

È di quattro fermati, due dei quali feriti, il primo bilancio degli scontri tra i manifestanti del corteo che si è tenuto oggi a Bologna contro i centri di permanenza temporanea e le Forze dell’ordine, secondo quanto riferito dal leader dei Disobbedienti, Luca Casarini. I manifestanti hanno tentato di avvicinarsi al Cpt, mentre la richiesta della Questura era stata di rimanere a 100 metri dal centro di permanenza temporanea.

Immigrazione: Casarini; il sindaco Cofferati è un uomo di destra

 

Apcom, 4 marzo 2007

 

Attacca la politica del sindaco di Bologna Sergio Cofferati il leader dei disobbedienti Luca Casarini, presente oggi a Bologna alla manifestazione nazionale per la chiusura dei Cpt. Ai cronisti che gli chiedono come mai dagli altoparlanti in piazza Maggiore siano tante le accuse all’ex leader sindacale, nonostante i Centri di permanenza temporanea siano di gestione dello Stato, Casarini risponde: "Cofferati è la coscienza di destra del Governo di centrosinistra. È un uomo di destra nel Governo di centrosinistra, e suggerisce ai suoi riferimenti nazionali come agire: aumentare le gabbie, i divieti, e usare il pugno di ferro".

Droghe: Enna; 16enne si droga e poi si uccide, arrestati i pusher

 

La Sicilia, 4 marzo 2007

 

Due ventenni di Enna sono stati arrestati con l’accusa di avere ceduto stupefacenti a una ragazzina di 16 anni che, in stato di totale alterazione, si era poi suicidata lanciandosi dalla "Rocca di Cerere" che nel capoluogo più alto d’Italia è noto anche come "Rocca dei suicidi".

Gli arresti sono scattati per Fabrizio Passero e Giuseppe Vinciguerra, entrambi ennesi di 20 anni. Ad emettere le ordinanze di custodia cautelare è stata il Gip del tribunale di Enna Francesca Cercone su richiesta della stessa Procura, al termine delle indagini condotte dai carabinieri del nucleo operativo della Compagnia di Enna.

Miriam Giannotta, studentessa di 16 anni, lo scorso 20 maggio si era lanciata dalla rupe intorno alle 18. Un gesto che aveva lasciato sgomenti familiari e amici della ragazza che, se pure aveva sofferto per la morte del padre, avvenuta un anno prima, era descritta come "solare e piena di vita".

Un gesto che non si spiegava e che aveva spinto la procura ad avviare le indagini per chiarire l’episodio. Si è accertato che la sedicenne aveva trascorso il sabato notte con gli amici e che la mattina di domenica 20 maggio aveva proseguito la "maratona per discoteche" in un locale di Catania, la discoteca "Villa Romeo" che rimane aperta dalle 7 alle 14,30.

Sarebbe stato proprio in questa discoteca che Passero e Vinciguerra avrebbero acquistato e ceduto a Miriam varie sostanze stupefacenti, tra le quali anche un potente anestetico utilizzato in veterinaria. Un micidiale cocktail di droghe chimiche che avrebbero gravemente alterato lo stato psichico della sedicenne, inducendo una profonda situazione di depressione. La ragazza poco dopo essere rientrata a Enna con gli amici, si era suicidata e per gli inquirenti il gesto venne commesso a causa dell’alterazione psichica provocata dalle droghe sintetiche le i due arrestati le fecero assumere a più riprese. Vinciguerra e Passero sono accusati di omicidio colposo aggravato e cessione di stupefacenti a minore. A Vinciguerra sono stati concessi gli arresti domiciliari.

Droghe: pm Torino; pene più severe per tossicodipendenti redicivi

 

Notiziario Aduc, 4 marzo 2007

 

Presentare sempre un ricorso in appello contro le sentenze di condanna a pene troppo basse: questo l’orientamento che hanno preso i pubblici ministeri della procura di Torino impegnati nei processi per reati legati allo spaccio di droga, agli scippi e alle rapine.

Questa iniziativa è solo un tassello della strategia intrapresa dall’ufficio diretto dal procuratore capo Marcello Maddalena per combattere la criminalità urbana sotto il profilo giudiziario. I magistrati onorari di udienza (Vpo), che sovente sostengono la pubblica accusa nei processi, hanno già avuto l’indicazione di chiedere ai giudici condanne più elevate per i tossicodipendenti recidivi. Maddalena li ha anche invitati ad essere "più equilibrati e più severi". Alcuni mesi fa due sostituti procuratori, Andrea Padalino e Paolo Borgna, si sono fatti promotori di una proposta di legge che, tra l’altro, prevede il carcere per gli immigrati che, non volendo farsi identificare, si cancellano con l’acido i polpastrelli. L’iniziativa dei magistrati è stata raccolta da alcuni parlamentari torinesi sia di centrodestra che di centrosinistra.

Droghe: Torino; vigilantes di nuovo in azione al "Tossik Park"

 

Notiziario Aduc, 4 marzo 2007

 

Torna la tensione al cosiddetto Tossic Park di Torino, l’area verde in riva al fiume Stura diventata una sorta di zona franca per il commercio e il consumo di droga. Quando la polizia e i carabinieri sono assenti gruppi di giovani si fanno giustizia da soli per allontanare i tossicodipendenti che tutti i giorni infestano il parco.

È accaduto anche mercoledì sera come hanno riportato oggi alcuni giornali torinesi: due drogati di 37 e 49 anni sono stati aggrediti e uno è stato picchiato in corso Giulio Cesare (un analogo episodio era accaduto lo scorso 7 febbraio). È stato portato in ospedale dove gli hanno riscontrato lesioni e contusioni alla mano sinistra guaribili in 7 giorni.

"Purtroppo ci sono dei cani sciolti che si fanno giustizia da sé - ha commentato Walter Cangelli, portavoce del Comitato spontaneo che da tempo protesta per la situazione - ma il problema resta. Non ci sono i controlli che le forze dell’ordine ci avevano promesso. A parte un presidio pomeridiano dei vigili urbani dalle 16.30 alle 19.30, poi non si vede più nessuno. D’altronde anche polizia e carabinieri hanno le mani legate perché non hanno le pattuglie da mandare".

Il presidente della Circoscrizione 6, Luigi Malaroda, condanna l’episodio "è allarmante quello che è successo, non ci si può fare giustizia per proprio conto. Le forze dell’ordine fanno quello che possono, ma devono essere loro ad applicare i provvedimenti, non i singoli cittadini. I comitati fanno un lavoro importante ma non basta".

Nei giorni scorsi l’amministrazione comunale ha infine ribadito che nella zona del cosiddetto Tossic Park, circa 60 ettari, si farà un campo di golf. La Federazione Italiana ha dichiarato la propria disponibilità e ora si lavorerà per definire un protocollo d’intesa.

"Un altro tossicodipendente massacrato dalle ronde anti-drogati: la situazione a Torino richiede un impegno serio da parte della politica". Così Francesco Piobbichi, responsabile nazionale politiche sociali del Prc, commenta le aggressioni al cosiddetto Tossic Park di Torino e invita a "governare pragmaticamente questi fenomeni come avviene in altri Paesi europei".

"Pur comprendendo la difficoltà degli abitanti del quartiere - afferma Piobbichi - è necessario rispondere a queste aggressioni, alzando la guardia sulla tenuta dei principi democratici e di convivenza". Secondo l’esponente del Prc "è inaccettabile che siano i soggetti più deboli e marginali a pagare le conseguenze di una assenza d’intervento coraggioso sul fenomeno droghe, e la traduzione concreta del clima di odio contro i diversi e di stigmatizzazione che la destra ha sparso nel paese, trova purtroppo conferma in questi atti che devono essere condannati.

Non bastasse questo - continua - in Italia è stata fatta una legge sulle droghe che rende impossibile interventi che, invece, potrebbero cercare di governare in termini pragmatici il fenomeno, com’è successo ad esempio a Zurigo, dove si è migliorata sensibilmente la vivibilità del territorio e la qualità della vita delle persone che si trovano in una situazione di dipendenza. In questi anni, invece che affrontare la situazione complessivamente - conclude - si è spostato da una parte all’altra della città il problema, ed è la città che su questo deve riflettere, guardando come altre esperienze europee hanno gestito fenomeni così complessi".

La giustizia privata "non è accettabile né ammissibile. La giustizia privata è intollerabile". Questo il commento del Procuratore capo di Torino, Marcello Maddalena. In Procura è arrivata la notizia di reato per lesioni (15 giorni per un tossico dipendente picchiato con dei bastoni), al momento a carico di ignoti, ma "ci sarà un’inchiesta per identificare gli aggressori" ha detto il Procuratore Maddalena spiegando che "pur comprendendo le ragioni per cui un episodio del genere si verifica, per noi non è accettabile né tollerato. Stiamo facendo tutti gli sforzi possibili per dare delle risposte ai cittadini".

Intanto i controlli nella zona del Tossic park (che ormai diventerà ufficialmente un campo da golf pubblico a 18 buche), proseguono e non solo contro lo spaccio di stupefacenti. Ieri mattina, ad esempio, i carabinieri della compagnia Oltre Dora hanno sgomberato e denunciato per invasione e deturpamento di terreno pubblico, sei romeni che avevano costruito delle baracche abusive nell’area lungo lo Stura.

Usa: Silvia Baraldini presenta documentario sulla sua prigionia

 

Il Mattino, 4 marzo 2007

 

Arriva in anticipo e chiede espressamente di non essere fotografata né intervistata. I ragazzi di Officina 99 provvedono a crearle attorno un morbido ma efficace cordone di sicurezza. Silvia Baraldini è a Napoli, ospite del centro sociale di Gianturco, dove viene proiettato il video che racconta la vicenda giudiziaria iniziata nell’ormai lontano 9 novembre 1982, quando per lei si aprirono di un carcere di massima sicurezza americano.

"Sono felice di essere qui, felice di essere tra voi a Napoli", sono le uniche parole che la Baraldini concede al taccuino del cronista. Poi più niente. "È la linea che ha scelto dal momento in cui è rientrata in Italia", fa sapere uno degli organizzatori della kermesse di Officina. Silvia Baraldini non rilascia interviste.

Alle 19, in ritardo di mezz’ora sulla tabella di marcia ufficiale, inizia la proiezione. Un video di 50 minuti che ripercorre le tappe di una detenzione drammatica. Attivista del gruppo delle "Pantere nere", la Baraldini venne condannata ai sensi della legge Rico - nata in origine per colpire affiliati a Cosa Nostra - a 43 anni di carcere. Dopo 17 anni di carcere duro, la donna viene estradata in Italia. Sconterà agli arresti domiciliari il resto della pena prima di poter beneficiare dell’indulto, l’estate scorsa, e tornare dunque in libertà. Il video si avvale di vari contributi (tra i quali gli interventi di Edoardo Sanguineti, Gianni Minà, Andrea Camilleri, Dacia Maraini e Marco Bertotto).

"Innocenza e colpevolezza - ricorda la Baraldini - erano in quegli anni solo un dettaglio storico - Con il giudice si instaurò subito un rapporto antagonista. E alla fine del processo, considerando tutto questo, non mi stupii nemmeno più di tanto per la condanna inflittami".

Poi via al dibattito. Tra giovani in kefiah e qualche signore di mezza età con il berretto maoista centrato da una stella rossa. Dibattito incentrato sui tanti, troppi anonimi che ancora scontano condanne ingiuste; e sui tanti, troppi casi che richiamano alla mente carceri nelle quali i diritti umani vengono dimenticati. Da Abu Ghraib a Juantanamo, alle prigioni cubane e cinesi, dove l’essere umano viene annientato nei suoi più elementari diritti.

Iraq: prigioniero in un carcere Usa ucciso da altri detenuti

 

Associated Press, 4 marzo 2007

 

Un prigioniero detenuto in un carcere americano in Iraq è morto in seguito alle ferite riportate in un’aggressione da parte di altri detenuti. Lo ha annunciato l’esercito Usa in un comunicato precisando che le guardie, durante un controllo di routine, hanno trovato il detenuto in fin di vita nella sua cella. Poche ore dopo ne è stata pronunciata la morte. Sul caso è stata aperta un’indagine. L’incidente è accaduto a Camp Cropper, una prigione militare Usa nei pressi dell’aeroporto di Baghdad.

 

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