Rassegna stampa 26 marzo

 

Giustizia: Napolitano; proposte per modelli comuni nell'Ue

 

Apcom, 26 marzo 2007

 

"La conferenza costituisce una importante occasione per far emergere spunti e proposte volti a rafforzare modelli di Consigli di Giustizia che, nel rispetto dei principi fondanti di ogni ordinamento, esercitino funzioni e si propongano obiettivi ispirati alla comune esigenza di corrispondere alle aspettative dei cittadini di ogni Paese per una giustizia indipendente e tempestiva".

Lo scrive il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio inviato al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Nicola Mancino, in occasione della Terza Conferenza dei Giudici Europei, sul tema "Quale Consiglio per la Giustizia?", ospitata a Roma da Palazzo dei Marescialli.

"Il tema del ruolo dei Consigli di Giustizia - afferma il Capo dello Stato che è anche presidente dello stesso Csm - è di grande rilevanza in quanto investe istituzioni che rappresentano, sia pur con competenze diverse a seconda dei Paesi dell’Unione Europea, un indispensabile momento di interlocuzione tra poteri dello Stato nel delicato settore della tutela giurisdizionale dei diritti".

Giustizia: Mastella alla terza conferenza dei giudici europei

 

www.giustizia.it, 26 marzo 2007

 

Signor Vice Presidente del Consiglio Superiore, signore Consigliere e signori Consiglieri, signore e signori magistrati, è con particolare interesse che ho accolto oggi l’invito a partecipare a questa terza conferenza dei giudici europei. E ciò, non solo per testimoniare nei fatti la mia grande attenzione alla vostra attività, ma anche perché fortemente convinto che il tema oggetto dei vostri lavori sia centrale nel dibattito nazionale ed europeo sulla giustizia.

È assai significativo che questa manifestazione veda impegnati non solo il Consiglio d’Europa, su iniziativa del Consiglio consultivo dei giudici europei, ma anche la Rete europea dei Consigli di giustizia, il Consiglio superiore della magistratura ed il Ministero della giustizia italiani. Come assai significativo, permettetemi di dirlo, è che sia la Rete Europea dei Consigli che il Consiglio Consultivo vedano ai vertici due italiani. Ciò sta a significare innanzitutto il grande impegno profuso dal nostro Paese verso i temi dell’autogoverno e verso l’armonizzazione europea della disciplina rilevante ai fini dell’indipendenza della magistratura.

A favore di tali iniziative vanno assicurati contributi operativi e professionali e, mi permetto di aggiungere, va assicurato anche lo sviluppo di effettivi raccordi fra quanti operano nell’ambito delle reti medesime o degli organismi europei, affinché non si sviluppi una mera "rete di modelli" diversi fra loro, ma un vero e proprio confronto "unitario" tra tutte le istituzioni coinvolte, a vantaggio delle Istituzioni Europee che avranno la responsabilità di traghettare l’Europa verso più ampi orizzonti di integrazione.

Certo, l’elaborazione di un "modello europeo" di Consiglio di Giustizia è un compito assai arduo ed impegnativo, anche per le evoluzioni, spesso dialettiche, che l’amministrazione della Giustizia manifesta nei singoli Stati. Ma le difficoltà dell’impresa non devono scoraggiare. Scriveva Voltaire che "il sentimento di giustizia è così universalmente connaturato all’umanità da sembrare indipendente da ogni legge, partito o religione".

La giustizia è la giustizia dei cittadini, quella di tutti i cittadini e del loro comune sentire, e quindi anche i pilastri fondamentali su cui essa si regge non possono prescindere gli uni dagli altri, ma hanno bisogno di uniformarsi. L’impegno in questo senso deve, tuttavia, avere l’ambizione di mirare non alla mera ricerca di un comune denominatore, ma al raggiungimento della più alta garanzia dell’autonomia ed indipendenza della magistratura.

In questo solco è mia intenzione agevolare un’opera di stimolo alla magistratura, affinché cresca sempre di più la consapevolezza da parte dei singoli che l’ordinamento cui il magistrato è soggetto non è più solo quello nazionale, ma quello europeo.

Lo sviluppo di una cultura giuridica e giudiziaria europea, anche al livello di autogoverno, è obiettivo che non può essere neppure tendenzialmente raggiunto se le Istituzioni interessate non provvedono ad adeguare strutture e programmi alla prospettiva europea.

Da questo punto di vista considero preziosa l’opera svolta dal Consiglio Superiore della Magistratura Italiano, dalla Rete Europea dei consigli di Giustizia e del Comitato Consultivo dei Giudici Europei. Ed è proprio in questo senso che la recente riforma dell’ordinamento giudiziario, di iniziativa del mio Dicastero, reca in sé un modello di Consiglio Superiore della Magistratura rafforzato ed efficiente, garante dell’indipendenza di un magistrato "non burocrate" ma attivo protagonista della tutela dei diritti dei cittadini.

Consentitemi ancora di aggiungere che allo stesso modo va valorizzato l’impegno europeo volto a far fronte con rapidità al mutamento continuo e tumultuoso della domanda di giustizia, spesso determinata da repentine innovazioni tecnologiche o sociali.

Basti pensare al difficile rapporto tra tutela della privacy e procedimento penale, di grande attualità in quasi tutti i paesi membri e che ha creato un grande travaglio nell’opinione pubblica ed in chi ha la responsabilità di individuare il difficile discrimine fra le necessità delle investigazioni e la garanzia della riservatezza e della dignità individuale di tutti i soggetti coinvolti.

È questo un tema che presenta aspetti di problematicità, ai quali nessuna legislazione e nessuna organizzazione giudiziaria europea può sottrarsi, sicché il più idoneo contemperamento degli interessi in gioco può essere ricercato utilmente in orizzonti più larghi di quelli nazionali, a partire dal confronto delle diverse esperienze.

Su questo terreno di utile confronto, il mio Dicastero si è già fatto carico di coinvolgere, in un’opera di ricognizione delle attività internazionali svolte, i magistrati italiani destinati presso organismi internazionali ovvero presso articolazioni statali all’estero. Nel contempo la medesima opera mi risulta sia stata svolta dal Consiglio Superiore della Magistratura, così che è prevedibile l’opportunità di un tavolo comune di scambio di idee e collaborazione diretto ad armonizzare gli interventi previsti nell’ambito delle rispettive attribuzioni.

Senza tali forme di collaborazione, infatti, sono convinto che il moltiplicarsi degli sforzi e degli investimenti di risorse economiche ed umane nel settore della cooperazione giudiziaria, dell’integrazione e della formazione europea potrebbe risultare inefficace, o sortire comunque risultati inadeguati. E nel particolare e difficile contesto economico in cui tutti ci troviamo ad operare, l’obbiettivo del miglioramento del rapporto costi-benefici non può non occupare una posizione di rilievo.

Tutto ciò sempre coerentemente con l’idea che costantemente ispira l’azione del mio dicastero: ridare efficienza alla macchina giudiziaria ed alla sua organizzazione, mirando con decisione alla riduzione dei tempi di risposta ed alla ragionevole durata dei processi, nella consapevolezza, da me già altre volte manifestata, che l’attuale livello di inefficienza mette a rischio l’attuazione degli stessi principi di autonomia e indipendenza della magistratura, pietra angolare dell’assetto costituzionale della Giustizia nel nostro Paese.

So bene come in passato chi abbia parlato di priorità dell’efficienza sia stato da parte dei magistrati, a volte anche inconsciamente, identificato come un potenziale nemico di quei principi. Simili posizioni culturali, però, mostrano di ignorare come proprio il mancato recupero di un livello soddisfacente della resa di giustizia costituisca il pericoloso substrato di quelli che una recente risoluzione della Rete europea dei consigli della Giustizia ha definito "ben pubblicizzati attacchi" alla magistratura ed alla separazione dei poteri dello Stato.

E questa condizione di vantaggio per gli oppositori di una giurisdizione realmente autonoma ed indipendente non possiamo e non dobbiamo più tollerare. Forte e convinto è in tal senso l’impegno mio personale e del Governo che in questa sede rappresento.

Giustizia: Mastella; abbiamo troppi avvocati, dovremmo ridurli

 

Apcom, 26 marzo 2007

 

"In Italia abbiamo 180mila avvocati che nessun Paese al mondo ha: sono talmente tanti che sta diventando un aspetto preoccupante, dovremmo ridurli ma non si può fare". Così il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, intervenendo presso l’Università La Sapienza di Roma, a un convegno sulla riforma del sistema giudiziario. "In Francia - ha spiegato - ci sono 500 patrocinanti in Cassazione, da noi 12mila: c’è qualcosa che non va, è inutile una rivoluzione copernicana - ha concluso Mastella - si tratta di smaltire quello che c’è".

Giustizia: intercettazioni; con ddl "Mastella" ci sarà chi paga

 

Apcom, 26 marzo 2007

 

Nel disegno di legge che il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, presenterà sulle intercettazioni telefoniche legali "si stabilisce che c’è un responsabile che paga". È questa la novità che il leader dell’Udeur ha voluto sottolineare intervenendo a un convegno presso l’Università La Sapienza di Roma, sulla riforma sistema giudiziario.

Secondo il ministro "bisogna restringere lo spazio dell’attività investigativa anche se non si tratta di mettere la museruola, perché l’attività investigativa in tante situazioni ha avuto un ruolo fondamentale. Ma altre volte - ha detto - è andata al di là. Il mio ddl stabilisce quindi che ci siano 26 centrali di ascolto, non 130-140 come oggi, poi si dovrà vedere dove bisogna investigare e dove si eccede".

"In Italia - ha spiegato ancora Mastella - in quattro anni abbiamo speso un miliardo e 300 milioni di euro per le intercettazioni, un esercizio finanziario notevole che l’Italia fa fatica a tenere in piedi. Se la legge passa avremo dei restringimenti, poi non voglio né un Paese di timorati di Dio, né un Paese di grandi preoccupazioni dove non sai a chi stringi la mano o chi ti ascolta al telefono".

Per Mastella, quindi, "non bisogna limitare l’attività investigativa, ma chiedere ed esigere che le cose si facciano in altro modo". Quindi un appunto sulle fughe di notizie, per le quali "alla fine non sai chi l’ha fatte ma intanto qualcuno è stato messo alla berlina: alcune cose saranno anche intriganti sul piano del gossip, ma fanno violenza alla libertà della persona e ciò sarebbe la fine della democrazia".

"Per chi entra in maniera innocente nell’ingranaggio giudiziario è veramente un dramma - ha continuato - sul piano personale, familiare, di relazioni. Un dramma per quelli che sono in una dimensione più elevata nella società". Infine, dal ministro della Giustizia una stoccata al "giornalismo di risulta", quello per cui "qualcuno ti porta un fascicolo da pubblicare: non mi piace perché fa violenza sulle persone, su questo - ha concluso - non indietreggio".

Giustizia: presentata la prima aula per le "udienze virtuali"

 

Market Press, 26 marzo 2007

 

Le tecnologie informatiche per la giustizia italiana sono oggetto del convegno "Tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la giustizia", promosso dall’Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari (Irsig) del Consiglio nazionale delle ricerche. Il convegno, che si è svolto lo scorso 23 marzo a Roma, presso la sede del Cnr in Piazzale Aldo Moro 7 (inizio ore 10.30), ha illustrato alcuni applicativi sviluppati nel progetto "Astrea": il Court Technology Laboratory e un’analisi giurimetrica on-line su 32. 000 sentenze.

"Il nostro scopo", ha spiegato il prof. Giuseppe Di Federico, direttore dell’Irsig-cnr, "è stato quello di sviluppare per la giustizia italiana strumenti tecnico-informatici all’avanguardia che garantissero ai cittadini una maggiore sicurezza e tutela dei propri diritti, come previsto dal Programma nazionale di ricerca".

Tra i risultati di eccellenza di Astrea c’è il "Court Technology Laboratory" (Ctlab), il primo esempio di laboratorio per le tecnologie applicate alla giustizia in Europa, una vera e propria aula di udienza virtuale, realizzata presso l’Ufficio del giudice di pace di Bologna. "Il Ctlab", ha spiegato Davide Carnevali, ricercatore dell’Irsig, "è un ambiente di 10 metri per 5, provvisto di una struttura tecnologica multimediale con configurazione modulare: impianti per la trasmissione dati e per la gestione di collegamenti video-audio, sistema microfonico conference, telecamere multiple con punti di ripresa verso ogni postazione, predisposizione per videoconferenze e streaming video.

Il Ctlab funziona già per la verbalizzazione, per acquisire o presentare prove e materiali multimediali legati al procedimento, per la simulazione di dibattimenti (postazioni accusa/difesa/giudice) per l’escussione di testimoni e/o imputati da remoto". La realizzazione del Ctlab, ispirato al Courtroom 21, la principale esperienza in questo settore sviluppata negli Stati Uniti, ha richiesto un lungo lavoro di integrazione di tecnologie eterogenee, strutture e arredi che si è concluso nel febbraio 2007.

Ma il progetto Astrea, che ha visto la partnership del Ministero della giustizia, del Cineca, del Centro studi e ricerche sull’ordinamento giudiziario dell’Università di Bologna e della società Cm, si è occupato anche di realizzare nuove metodologie per rendere più veloce e trasparente il processo decisionale in ambito giuridico. "Tra gli applicativi sviluppati per gli uffici giudiziari ci sarà il Giurimole" aggiunge Marco Fabri dell’Irsig-cnr.

"Realizzato dal Cineca, permette di condurre analisi di giurimetrica on-line su gruppi di sentenze per conoscere, ad esempio, se vi sono variazioni dell’ammontare del risarcimento a parità di percentuale di danno biologico, o le variazioni dei tempi dei procedimenti al variare del giudice o della materia". Giurimole ha analizzato 32. 000 sentenze di merito evidenziando che le iscrizioni a ruolo dal 1982 al 2000 indicano un forte aumento delle cause in materia di famiglia.

Le analisi, inoltre, rappresentano una evidente variabilità tra i tempi necessari per la sola redazione della sentenza in base alla materia: dai 4 giorni per i procedimenti di previdenza ai 76 giorni per quelli relativi a tributi erariali indiretti; per la fase successiva i tempi tra emissione e deposito della sentenza variano da 31 giorni in materia di assistenza e beneficenza pubblica ai 150 giorni in materia di risarcimento del danno. Le analisi mostrano anche come i tempi di giudizio sono più rapidi nelle materie di specializzazione e come si allungano quando il giudice si trova a decidere in sede monocratica, rispetto a quando è invece membro di un Collegio.

Sicurezza: il 28 marzo a Brescia vertice dei sindaci del nord

 

Asca, 26 marzo 2007

 

"La mancanza di sicurezza delle nostre città è uno dei temi più sentiti dai cittadini, a causa del pesante impatto sulla loro vita quotidiana - vandalismi, reati di strada, abusivismo, aggressioni - e del progressivo aggravarsi di tutte le situazioni legate all’emarginazione sociale e al degrado. Pertanto è più che legittima la richiesta di una maggiore qualità ed efficienza dei servizi delle forze di polizia e dell’organizzazione giudiziaria".

Con queste parole, Oriano Giovanelli, presidente di Legautonomie, ha spiegato la decisione di convocare a Brescia, il 28 marzo alle 16, un incontro tra i sindaci delle medie e delle grandi città del Nord sui temi della sicurezza nelle città, tema che va oltre l’appartenenza politica, nel convincimento che occorra superare ogni incomprensione e attrito. "Sarà questa l’occasione, ha detto Giovanelli, di valutare in concreto lo stato della sicurezza urbana e di definire iniziative comuni verso il Governo, le regioni e l’amministrazione della giustizia dopo la sigla del Patto per la sicurezza.

L’iniziativa dei protocolli d’intesa va estesa oltre le città metropolitane, ai grandi comuni di cintura, e a tutti i medi comuni che vivono evidenti problemi di sicurezza. Occorrerà poi prevedere forme di raccordo con le Regioni, che in base alla Costituzione vigente possono promuovere forme di coordinamento con lo Stato in materia di sicurezza, e soprattutto agevolazioni per i Comuni con esclusione dai vincoli del patto di stabilità delle risorse destinate, in attuazione del patto, alla sicurezza nelle città.

Per soddisfare le richieste dei cittadini Legautonomie ritiene che debba maturare rapidamente una strategia concordata tra poteri locali e centrali che superi l’emergenza e si basi sulla sicurezza partecipata. Purtroppo, negli ultimi anni le politiche di tutela dell’ordine pubblico hanno riservato minore attenzione ai problemi delle comunità locali, privilegiando modelli operativi gestiti dal centro, con scarsa efficacia nella costruzione di livelli strutturali di sicurezza del territorio".

Diversamente da quanto avvenuto finora, "oggi occorre puntare sulla collaborazione tra il sistema delle autonomie locali, le rappresentanze delle parti sociali, gli apparati dello stato e dell’amministrazione della giustizia. Vanno attivate forme stabili e chiare di coordinamento che superino i pur meritori protocolli di intesa tra prefetture e comuni e rafforzino il ruolo dei sindaci all’interno dei comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica. Inoltre, si deve procedere sulla strada della riorganizzazione degli apparati, della riqualificazione del personale e dell’utilizzo delle nuove tecnologie di security".

Hanno dato la loro disponibilità all’incontro - oltre al presidente di Legautonomie, Oriano Giovanelli, e al sindaco di Brescia, Paolo Corsini - Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, Flavio Zanonato, sindaco di Padova, Paolo Zanotto, sindaco di Verona, Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano, Libero Mancuso, assessore Comune di Bologna e Roberto Biagini, assessore Comune di Rimini. Parteciperà anche Maurizio Fiasco, esperto di sicurezza urbana.

Sicurezza: Milano; la Moratti sfila in corteo con Berlusconi

 

Corriere della Sera, 26 marzo 2007

 

Una fiaccolata e una catena umana. Due manifestazioni, oggi nel centro di Milano, per portare in piazza il tema della sicurezza. Il corteo con le fiaccole, lungo la via dei negozi, corso Buenos Aires, vedrà in prima fila il sindaco Letizia Moratti (senza fascia, "per essere concittadina tra i miei concittadini"), insieme ai rappresentanti di commercianti e associazioni che hanno organizzato l’evento.

Qualche passo indietro, sfilerà invece Silvio Berlusconi alla guida di tutti i rappresentanti locali e nazionali della Cdl che hanno aderito all’iniziativa del sindaco milanese. Nessuna bandiera: al massimo qualche striscione perché, malgrado lo schieramento sia a senso unico, la Moratti ha chiesto che "non sia una manifestazione contro il governo".

Non è finita qui. Due ore prima di questo corteo, i cittadini chiamati da 150 comitati di quartiere stringeranno le mani in una catena, cui hanno dato la propria adesione i partiti dell’Unione e la Cgil, che andrà dalla sede del Comune a quella della Prefettura per unire idealmente "le istituzioni che insieme devono collaborare per rendere la città più sicura e vivibile". Qui non ci saranno fiaccole ma palloncini tricolore. E all’inizio, in piazza Scala, l’Osservatorio mostrerà le immagine del degrado urbano: "Quello che non dipende dal governo, ma dai poteri male utilizzati dal sindaco".

La Moratti ha spiegato ieri sera, durante la trasmissione Che tempo che fa, di avere lanciato l’appello alla città per essersi sentita "impotente" dopo le "continue e inutili richieste di intervento rivolte a tutti i livelli istituzionali". Nel pomeriggio, il leader ds Piero Fassino, a margine del convegno "Fermare il pericolo con la forza della parola", aveva già contestato lo spirito della manifestazione: "Più che unire, divide. Perché è una iniziativa pensata e presentata in polemica con il governo, quando proprio ancora in questi giorni Amato ha convenuto con i sindaci una serie di iniziative volte a garantire la sicurezza dei cittadini, con provvedimenti straordinari, proprio nelle aree metropolitane".

E, effettivamente, anche la Moratti ha ammesso ieri sera che "un primo risultato positivo questo corteo lo ha già ottenuto", riferendosi alla riunione dei sindaci delle grandi città con il ministro Amato e la conseguente firma di un documento "che impegna il governo a dare risposte con patti di sicurezza, uomini e risorse, a ciascuna città e a rivedere le normative nazionali per consentire ai sindaci di far meglio fronte alle situazioni di disagio e degrado".

Fassino ha poi attaccato la Cdl: "Questa destra governa a Milano da 15 anni. Siamo proprio sicuri che non abbiano nessuna responsabilità, visto che ci sono tutti questi problemi di sicurezza aperti?". La risposta del vicesindaco Riccardo De Corato si articola in contro-domande: "Chiedo a Fassino: se Milano non fosse stata unita nella richiesta di sicurezza interpretata dal sindaco, il governo di centrosinistra avrebbe mai mandato 110 uomini, riempito le due caserme vuote, convocato i sindaci a Roma per la firma di un patto per la sicurezza? Chiedo a Fassino: se Milano è così divisa, il governo avrebbe mai fatto passi così importanti lasciando però tutti i motivi per la manifestazione di domani?".

Sullo sfondo di queste iniziative, con la città divisa fra chi ha aderito al corteo della Moratti (intellettuali e artisti) e chi invece ha sposato le ragioni dei comitati di quartiere (altri intellettuali e altri artisti), ha fatto riflettere la presa di posizione del cardinale Dionigi Tettamanzi, che nei giorni scorsi ha lanciato un monito letto dai più come rivolto al sindaco: "Non è certo alimentando la paura che si risolvono i problemi della sicurezza".

Sicurezza: Illy; c'è più paura nelle città, cresce il "fai da te"

 

Corriere della Sera, 26 marzo 2007

 

"Troppe leggi non fatte rispettare, scarsa probabilità di scontare le pene, tempi lunghi della giustizia, un susseguirsi di indulti e condoni. L’elemento chiave per la sicurezza non sono tanto ì controlli, quanto un reale meccanismo di deterrenza. Che oggi, in pratica, è inesistente. In questo contesto, una manifestazione come quella di Milano per chiedere più uomini è un’iniziativa demagogica". Riccardo Illy, ex sindaco di Trieste, attuale presidente del Friuli Venezia Giulia, è un politico che rifiuta la logica dell’emergenza. E sul tema sicurezza, piuttosto che fermarsi al numero di carabinieri e poliziotti, sposta la prospettiva: "È la cultura della legalità che manca".

 

Sembra ovvio il binomio più agenti/più sicurezza.

"Ma non si può sperare di avere un poliziotto in qualsiasi luogo di una città in cui avvenga uno scippo".

 

E allora?

"Bisogna chiedersi qual è il livello di deterrenza del sistema".

 

Troppo basso?

"Per ridurre i reati non basta prendere in flagrante i colpevoli. Bisogna considerare altri fattori: la gravità della pena, la probabilità di una condanna e la certezza che la pena venga scontata".

 

Il meccanismo non funziona?

"Se guardiamo ai tempi della giustizia in Italia e al susseguirsi di condoni e indulti, si capisce che la probabilità di scontare una pena è modesta. La deterrenza è quasi inesistente".

 

Il numero di agenti non può avere un ruolo?

"La richiesta di più poliziotti in questa situazione è solo demagogia. In particolare se a farlo è Letizia Moratti, che oggi come sindaco e nel passato come ministro ha e ha avuto responsabilità di governo".

 

Quanto conta la percezione di sicurezza?

"I piccoli reati in molti casi non vengono neanche denunciati, tanto è alto il livello di sfiducia, e questo non accade solo al Sud. Il problema allora diventa culturale, generalizzato".

 

Sfiducia nella giustizia?

"Anche la reattività di chi subisce reati è diminuita, fino al rischio di credere che sia meglio fare da sé. Non solo con reazioni estreme, ma attraverso il ricorso a porte sempre più blindate, video-sorveglianza, vigilanza privata".

 

Fanno bene i cittadini a chiedere più sicurezza?

"Spostiamo la domanda: quante volte qualcuno ci aiuta se siamo vittima di uno scippo? Spesso c’è indifferenza, molti pensano che sia meglio girarsi dall’altra parte".

 

Come si agisce per diminuire i rischi nelle città?

"Il problema va risolto in altri termini, investendo sulla cultura della legalità nelle scuole, sui luoghi di lavoro, attraverso i sindacati. La cultura della legalità oggi non va per la maggiore:

dalla corruzione, all’evasione fiscale, fino ai reati minori, che però creano allarme sociale".

 

Da una parte educazione, dall’altra pene certe.

"Il problema è che più si tollera, più la cultura della legalità sparisce. Prendiamo ad esempio i blocchi stradali per protesta: sono un reato, ma non vengono mai perseguiti. E così il meccanismo dell’illegalità si alimenta".

 

I cittadini dicono di avere paura. Hanno ragione?

"Il problema della sicurezza esiste, ma da parte della politica va affrontato in termini razionali".

 

Servono più investimenti?

"Bisogna partire dalle statistiche. Fare confronti col passato e con altri Paesi. Solo in base a dati certi si può capire se c’è bisogno di più risorse e sorveglianza. Col fine di aumentare la sicurezza effettiva".

 

Secondo lei ce n’è bisogno?

"Guardiamo alle proporzioni: sulle strade ogni anno perdono la vita 5 mila persone, un morto in una rapina però riempie i telegiornali. Un amministratore deve considerare questi fatti con razionalità: rischiamo di spendere chissà quanto per ridurre i delitti, mentre investiamo pochissimo per la sicurezza stradale".

Sicurezza: Mancino; a Napoli la polizia da sola non basta

 

Il Mattino, 26 marzo 2007

 

Ha trascorso la domenica a Roma, lavorando alla relazione per la "Terza Conferenza Europea dei giudici" che parte oggi a Palazzo dei Marescialli. L’irpino Nicola Mancino, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, conosce bene la realtà di Napoli, anche per i suoi trascorsi da ministro dell’Interno e Presidente del Senato. Apprende dell’ultimo delitto di ieri, al quartiere Barra. Mancino chiede informazioni. Non nasconde, e non si nasconde, la drammaticità del momento che vive la città.

 

Presidente Mancino, ancora un omicidio. A Napoli è emergenza piena sotto il profilo criminale.

"La situazione si sta aggravando sempre di più con il passare dei giorni. È sotto gli occhi di tutti. Ed è impensabile che non si debba porre mano radicalmente alla questione per una rapida inversione di rotta".

 

Quale ricetta, per Napoli?

"Occorre, quanto prima, una mobilitazione generale: dalla famiglia alla scuola, dalle istituzioni sul territorio alle forze dell’ordine".

 

Ma non è, innanzitutto, la questione dell’incremento delle forze dell’ordine il problema principale di Napoli?

"Le forze dell’ordine ci sono, come facciamo a dire che non ci sono? Il Governo di sforzi in proposito ne ha fatti, anche se - evidentemente - per Napoli non sono abbastanza".

 

Occorre "di più", dunque. Occorre l’esercito, secondo lei?

"Non lo chiedo. Ma le forze dell’ordine in questo momento non bastano. Così "come sono", evidentemente, non bastano. Ma il problema non è solo quantitativo e qualitativo della presenza di forze dell’ordine, perché quello di Napoli non è soltanto un problema di polizia. È "anche" un problema di polizia. Per questo, partendo dalla diagnosi di una situazione complessa, che a Napoli si sostanzia in un intreccio di speranze negate e crescita disordinata, disoccupazione diffusa e malavita organizzata, non si può arrivare alla terapia del rafforzamento sic et sim-pliciter delle forze di polizia sul territorio. Ci vuole una mobilitazione".

 

Lei come la immagina?

"Non servono forum, per sancirla. Mi augurerei una mobilitazione che fosse generale, però particolare. Ognuno nel suo campo, ogni giorno. Vede che straordinario esempio sta offrendo il cardinale Sepe? I primi frutti si raccolgono, il mondo della Chiesa napoletana è scosso dal solco che sta tracciando il suo Pastore. Ciò che Sepe fa nella sua posizione dovrebbe farlo chiunque a Napoli ha una carica, una responsabilità, un ruolo, una funzione. E così per i semplici cittadini, malgrado comprenda la paura. Non basta, comunque, lamentarsi contando il numero dei morti ammazzati, occorre una scelta da "prima linea". E la mobilitazione delle coscienze è, innanzitutto, culturale".

 

Lei è vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Ritiene che la situazione giudiziaria a Napoli sia adeguata?

"C’erano dei vuoti in organico e il Csm ha deliberato di coprirli con diversi trasferimenti di giudici. Certo, tra le deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura e la presa di possesso della funzione da parte dei magistrati può passare del tempo. Ma non credo che oggi si possa parlare di organico insufficiente dei magistrati a Napoli. Una commissione del Csm ha già operato nel capoluogo campano, se c’è bisogno di un contatto ancor più stringente con la magistratura napoletana io sono a disposizione per studiare le forme e i tempi di questa collaborazione da parte del Consiglio, in un momento così delicato e a rischio per la città".

 

Conosce il sindaco di Napoli, Iervolino, da molti anni. È alla guida di una Napoli dilaniata e insanguinata, impaurita e a tratti rassegnata. Vuol dirle qualcosa, in questo momento?

"A Rosetta sono vicino. Ritengo che si stia battendo senza risparmio perché ama Napoli, e questa è una condizione che le consente di profondere energia e determinazione. Non vorrei, però, che in momenti come questi fosse lasciata sola. L’isolamento sarebbe terribile per chi, ogni giorno, fronteggia le mille, vecchie e sempre nuove emergenze di Napoli".

Sicurezza; Dario Fo; il vero problema di Milano è la Moratti

 

L’Unità, 26 marzo 2007

 

Dario Fo, premio Nobel per la letteratura e cittadino milanese, lei andrà alla manifestazione della Moratti?

"Mi dispiace proprio, ma sono piuttosto impegnato".

 

Il tono della sua risposta sembra piuttosto ironico.

"Perché lo è. Questo corteo sulla sicurezza di Milano mi pare una grande bufala, una trovata strumentale".

 

Per quale motivo?

"Perché è completamente falso il pretesto in base al quale è stata organizzata la fiaccolata. Il sindaco disse che voleva garanzie su un maggior impegno del governo nell’assicurare alla città più agenti e più risorse per la sicurezza. Voleva poliziotti in più e il ministro degli Interni Amato glieli ha promessi".

 

E in città stanno arrivando 110 agenti e sono quasi pronti due commissariati. Come disse Prodi, "stanno arrivando pure i mobili" per arredarli.

"Appunto. Si tratta solo di un’iniziativa di propaganda".

 

Ma c’è l’emergenza sicurezza?

"È l’Italia intera che sta vivendo una situazione difficile sul fronte della sicurezza, soprattutto per quanto riguarda la percezione dei cittadini. Io mi sento sicuro a Milano, tanto quanto mi sento sicuro a Roma, Torino, Bergamo o Casalpusterlengo. Eppure in nessun altro comune si sta organizzando una manifestazione, richiesta e capitanata dal sindaco, per cercare di risolvere il problema".

 

Ma il problema esiste.

"Come tanti altri problemi, gravi tanto quanto la mancanza di sicurezza se non di più. Perché la Moratti non ha indetto un corteo contro lo smog che strozza Milano? Perché non sfila contro la carenza di servizi sociali e le code infinite che bisogna affrontare per essere visitati e curati negli ospedali?".

 

Dunque, la sicurezza non è una priorità…

"Non più dell’emergenza abitativa, che vede scappare gli abitanti fuori dalla città perché a Milano non ci sono case, almeno per chi non può permettersi affitti che equivalgono ad un intero stipendio. Non più dei vecchi lasciati senza assistenza che non hanno la possibilità di campare dignitosamente, o della continua strage di morti bianche sul lavoro".

 

Detta così, Milano non sembra un gran posto in cui vivere.

"Infatti è questa la vera priorità da affrontare, il male contro cui scendere in manifestazione: Milano non è più una città vivibile. Stretta da un traffico ossessivo e da un inquinamento disastroso, l’aria è irrespirabile. Ma di questo alla giunta non gliene frega niente, speculano sulla mancanza di sicurezza e si disinteressano di tutto il resto".

 

Non le sembra strano che la Moratti sarà l’unica a parlare al termine del corteo, e senza la fascia tricolore?

"Non mi stupirebbe nemmeno se sfilasse in bikini, oppure indossando un vestito a stelle e strisce. Non mi meraviglio di nulla, quando c’è un sindaco che non ha predisposto un piano contro l’inquinamento, che non ha fatto nulla per rendere Milano più vivibile".

 

Le cose da fare sono molte, da qualche parte bisogna partire.

"La sicurezza è importante, ma non essenziale in questo momento. Avrei accettato la fiaccolata se fosse stata fatta contro tutte le cose che non vanno, se la Moratti avesse fatto l’elenco di tutti i problemi della città, lei compresa".

 

In che senso?

"Un sindaco come Letizia Moratti è un problema per la città".

 

Che fare allora?

"Bisogna salvare questa nostra città affogata nello smog e nel vuoto d’idee. Non basta un aggiustamento, una pitturatina ai lampioni. Bisogna dire no allo sfondamento del suolo per fare parcheggi, no a un milione di macchine in più, no a una periferia ridotta a ghetto-dormitorio. Vorrei che i bambini giocassero fra le piante e che gli anziani potessero vivere sereni, giocando a bocce in piazza Duomo".

Verbania: Mellano (Ri); progetti mirati per i "sex offenders"

 

Agenzia Radicale, 26 marzo 2007

 

Venerdì 23 marzo, una delegazione guidata dal deputato radicale della Rosa nel Pugno, Bruno Mellano, accompagnato dai radicali del Verbano-Cusio-Ossola Giampiero Bonfantini, Roberto Casonato, Antonio Montani e da Alessandro Rosasco del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, ha effettuato una visita al carcere di Verbania-Pallanza.

Prima della visita alle sezioni la delegazione è stata accolta dal Direttore del carcere di Vercelli, dott. Antonino Raineri, in sostituzione temporanea del dott. Massimo Forgione, da alcuni anni direttore a Verbania. Numerose sono state le visite radicali negli ultimi anni ma questa è stata la prima dopo l’approvazione del provvedimento di indulto da parte del Parlamento. L’incontro è servito ad affrontare i principali temi della casa circondariale: il numero dei detenuti, le scarcerazioni effettuate, i progetti in corso, la carenza di personale di polizia penitenziaria e sanitario e la situazione strutturale dell’edificio.

La delegazione ha potuto interloquire a lungo con l’ispettore superiore degli agenti di polizia penitenziaria, Giacomo Gravina, e con la dottoressa Angela Pellegrini, educatrice responsabile dell’area trattamentale dell’istituto; infine i radicali sono stati accompagnati in entrambi i piani di cui è composta la piccola casa circondariale.

I detenuti presenti nella casa circondariale sono 80, rispetto ai 120 di inizio agosto, prima dell’effetto indulto che aveva portato l’istituto al minimo storico di 60 presenze; 51 detenuti sono reclusi per reati comuni, 21 per reati "a riprovazione sociale", in particolare crimini a sfondo sessuale, 8 sono semiliberi o ammessi al lavoro esterno. Gli agenti sono 54, su un organico previsto di 55: situazione ottimale rispetto al panorama di "normale" carenza di personale degli istituti italiani. Una sola agente donna, con notevoli problemi organizzativi necessari a garantire le funzioni specifiche ed i diritti lavorativi della persona. Il 50% dei reclusi sono extracomunitari. I tossicodipendenti sono una decina, seguiti dal Ser.T., anche con il metadone. Pesante la situazione descritta dall’equipe medica, incontrata al termine della visita, a causa della riduzione dei finanziamenti operati per la medicina penitenziaria. Anche in questa struttura si conferma il dato nazionale di una percentuale bassissima di rientri in carcere di beneficiari dell’indulto di agosto, mentre si conferma il trend di nuovi ingressi, derivanti dai periodici sfollamenti del carcere delle Vallette di Torino.

Al termine della visita Bruno Mellano ha dichiarato: "Mi preme segnalare alcuni aspetti che si confermano anche dopo questa visita a Pallanza. La Casa circondariale è ricca di progetti lavorativi e formativi, anche innovativi e a valenza sociale: dai lavori in campo ambientale alla manutenzione della vicina scuola, dall’attività di raccolta differenziata interna all’istituto alle pulizie e servizio lavanderia per la caserma degli agenti, oltre ai tradizionali lavori interni alla struttura.

La buona rete di relazioni del carcere nel contesto sociale del territorio ha sopperito, sinora, alle carenze di fondi. Un elemento di crisi è però la situazione, anche a Verbania, della medicina penitenziaria, in particolare per quanto riguarda la speciale sezione dei "sex offenders": urge, come ci è stato confermato dagli stessi operatori che ne sono ben consapevoli, trovare le forme e le modalità migliori per intervenire su questi soggetti, soprattutto in previsione del fine pena. Personalmente ho suggerito di utilizzare il canale della Cassa delle Ammende per chiedere, con forza, un finanziamento specifico per un progetto mirato per questi detenuti, con i necessari supporti psicologici e specialistici."

Lecco: un "agente di rete" che aiuterà chi esce dal carcere

 

La Provincia di Lecco, 26 marzo 2007

 

Dalla collaborazione tra Comune, carcere e Regione nasce una figura per favorire il reinserimento. Novità per quanto riguarda il mondo dei detenuti lecchesi e il loro reinserimento nella società. L’assessore delle politiche sociali del Comune di Lecco Angela Fortino, ha annunciato che fra qualche mese, anche nella nostra provincia, entrerà in vigore una figura molto importante, "l’agente di rete", che già in altre zone d’Italia aiuta chi ha trascorso un periodo della sua vita in carcere ad avere una seconda chance, ma soprattutto aiuterà a fare fronte ai tanti problemi che un ex detenuto deve fronteggiare e che spesso fanno ricadere nell’errore commesso precedentemente.

"La settimana scorsa abbiamo avuto un colloquio con l’attuale direttrice del carcere lecchese - spiega l’assessore Fortino - e abbiamo trovato un accordo per introdurre finalmente anche a Lecco l’agente di rete. Il Comune e il carcere vogliono lavorare insieme per preparare all’uscita i detenuti e dargli una mano nella risoluzione di vari problemi che l’uscita dal carcere può presentare".

Una novità importante per queste persone, che spesso si trovano davanti a un muro appena scontata la loro pena, ma fra poco potranno contare sull’agente di rete: "Nel carcere di Lecco - continua Fortino - sono rinchiuse persone che hanno commesso reati minori, non di certo gravi, e quindi penso che sia giusto poter offrirgli un supporto, soprattutto per non farli ricadere nell’errore". Ora si cerca l’ente tramite un bando, che si prenda in carico questa figura totalmente inedita per la nostra città. L’agente di rete verrà gestito praticamente dal Comune di Lecco, ma pagato dalla Regione Lombardia, ideatrice del progetto.

Rovigo: libro "In carcere scomodi", ne parla il volontariato

 

Comunicato stampa, 26 marzo 2007

 

La Sala Oliva dell’Accademia dei Concordi ospiterà giovedì 29 marzo alle ore 17,30 la presentazione del volume "In carcere, scomodi" alla presenza dell’autore Livio Ferrari, direttore del Centro Francescano di Ascolto, e di molti altri invitati tra i quali Ovidio Bompressi, Celso Coppola che ne ha curato la prefazione, Alessandro Margara magistrato ed ex Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, fra Beppe Prioli volontario nelle carceri da oltre quarant’anni, il tutto coordinato dalla giornalista di Redattore Sociale Giorgia Gay.

La presentazione del libro di Livio Ferrari sarà l’occasione per parlare di carcere e sino a che punto la privazione della libertà continui, ai giorni nostri, ad essere lecita soprattutto per certi reati. "Come il bisogno di galera - afferma Ferrari - non sia altro che l’esplicitarsi della vendetta umana nei confronti di chi ha sbagliato e non necessariamente ha fatto anche del male, ma ha trasgredito alle regole e non ha le risorse, economiche e culturali, per difendersi o, per meglio dire, per aggirare la legge".

"In effetti la popolazione carcerata, che è sensibilmente diminuita in seguito all’indulto, è la conseguenza di leggi e scelte sociali che sono state delegate alla pena. Perché a fronte di un 15% di persone pericolose (omicidi, criminalità organizzata, serial killer), il resto dei reclusi è composto da tossicodipendenti (30%), immigrati extracomunitari (35%) e border line (20%). Le persone con problemi di dipendenza pagano una legge (la Fini-Giovanardi) che li reputa delinquenti mentre sono soggetti in difficoltà e anche chi commette un reato lo fa per procurarsi la roba, pertanto il problema andrebbe affrontato e risolto togliendolo nella maggior parte dei casi al penale.

Gli extracomunitari pagano a loro volta una legge (la Bossi-Fini) che li incarcera anche solo perché non in possesso del permesso di soggiorno e non perché abbiano commesso un reato; anche in questo caso la soluzione ad un problema di immigrazione e accoglienza necessariamente va risolto diversamente e non con il carcere o con i Cpt che sono carceri mascherate. Infine ci sono negli istituti penitenziari italiani tutta una serie di soggetti che non trovano risposte e aiuti nel territorio: ex psichiatrizzati, disoccupati, senza dimora, etc. Persone che fanno fatica a vivere e che spesso si ritrovano a scontare anni di galera per oltraggi alle forze dell’ordine, piccoli furtarelli, contravvenzioni, etc. tutte questioni che potrebbero essere risolte attraverso politiche sociali locali attente e sensibili verso i meno attrezzati". Il libro in questione è edito dalla Franco Angeli di Milano ed è possibile acquistarlo nelle librerie al prezzo di € 16,00

Verona: scritti dei detenuti di Montorio arrivano a Trento

 

L’Arena di Verona, 26 marzo 2007

 

Detenuti trasformatisi in scrittori per raccontare della loro voglia di libertà, del tempo che non trascorre mai in carcere e di momenti significativi della vita come la nascita e il matrimonio. Ecco su quali argomenti si sono sviluppati le riflessioni dei detenuti di Montorio, poi riportate sui tre volumetti, realizzati durante il corso di comunicazione e grafica dei volontari della Fraternità.

L’appuntamento per la loro presentazione è fissato per giovedì 29 marzo quando verranno presentati a Trento i tre libricini scritti da chi sta scontando la pena nel carcere veronese. L’occasione è offerta dal festival trentino "Il gioco degli specchi" che, dopo la recente anteprima veronese a Corte Molon, proporrà alla città di Trento un denso calendario di appuntamenti sui temi della migrazione e della pluralità culturale, da oggi al 1. aprile.

L’appuntamento di giovedì 29, previsto per le 14 nella sala Falconetto di Palazzo Geremia a Trento, trova spazio nella giornata riservata dal festival alla presentazione del concorso "La città invisibile", proposto dal Forum Trentino per la Pace sul tema del rapporto tra il carcere e la città.

"Si tratta solo di frammenti. Frammenti preziosi però" scrive nell’introduzione di uno dei tascabili il direttore del centro studi immigrazione Carlo Melegari, che vede nel carcere non soltanto un luogo "di sofferenza e di pena in tutti i sensi per tutti quanti vi sono ristretti" ma anche un "luogo provvidenziale di sperimentazione positiva delle relazioni interculturali e interreligiose di pace". I libretti del costo di 1 € e il cui ricavato viene in parte devoluto ai detenuti che lo hanno realizzato, saranno acquistabili alla mostra mercato del libro in Palazzo Geremia per tutta la durata del festival (www.ilgiocodeglispecchi.it).

Ma c’è anche un video che racconta la vita di chi si trova in cella. Problemi del carcere e del reinserimento post-carcere, effetti dell’indulto e rispetto della legalità e, non da ultimo, ruolo del Garante dei diritti dei detenuti: questi i temi affrontati da "L’anno che verrà", la trasmissione andata in onda recentemente su Telepace. L’associazione La Fraternità ha realizzato alcune copie del programma su supporto dvd, invitando il presidente della quinta commissione consiliare del Comune di Verona, Mauro Peroni, a distribuire il materiale ai componenti dell’organismo di Palazzo Barbieri.

Telepace ha trasmesso alcune interviste ad ex detenuti, scarcerati grazie all’indulto e oltre ad alcuni commenti in studio del presidente della "Fraternità", Roberto Sandrini e della garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Bologna, avvocato Desi Bruno, già conosciuta e apprezzata come relatrice al convegno sul Garante, tenutosi a Verona l’11 novembre scorso. Un contributo importante per la 5. commissione di Palazzo Barbieri in procinto di discutere in questi giorni, l’istituzione della figura del Garante dei diritti dei detenuti. Per ulteriori informazioni ufficiostampa@lafraternita.it oppure l’associazione "La Fraternità", Via Provolo 28 Verona, Tel./Fax 045.8004960, www.lafraternita.it

Brescia: consiglio comunale in carcere, ma la Lega è contro

 

Giornale di Brescia, 26 marzo 2007

 

Il Consiglio comunale in carcere non piace alla Lega Nord. La decisione dell’amministrazione di convocare un Consiglio comunale il 7 maggio a Canton Mombello per approfondire l’attività del garante dei detenuti non ha l’approvazione della Lega Nord. "È un’iniziativa propagandistica - si legge in una nota della Lega - e inutile di una giunta che ha ormai perso il contatto con i problemi quotidiani dei bresciani. Anziché sprecare i soldi dei bresciani si potenzi la lotta alla criminalità e il controllo del territorio".

L’iniziativa dell’amministrazione comunale ha scatenato pure reazioni ironiche. "A quando un consiglio comunale in un campo nomadi?" si interroga il segretario cittadino Fabio Rolfi. Per il segretario cittadino "la giunta Corsini non ha mai avuto la stessa sensibilità per i problemi delle periferie, dei quartieri assaliti dalla criminalità e dall’immigrazione clandestina o per le zone della città martoriate dai cantieri.

Da un’amministrazione comunale - prosegue Rolfi - la gente vorrebbe vedere iniziative concrete per la tutela della sicurezza collettiva che è sempre più minacciata in questa città, dove ogni giorno si verificano furti, rapine, scippi e dove il degrado urbano avanza sempre di più nelle periferie. Questo buonismo da sacrestia che il centrosinistra sta portando avanti in relazione al problema del sovraffollamento delle carceri ha già fatto enormi danni alla società. L’indulto ha minato la certezza della pena, la sua funzione rieducativa e interromperla significa rimettere in circolazione soggetti non ancora in grado di reinserirsi pienamente".

Milano: il "Gruppo della Trasgressione" e Fabrizio De André

 

Comunicato stampa, 26 marzo 2007

 

Concerto della Trsg.band e del Gruppo Trsg

Università Statale di Milano, Via Festa del Perdono

28 marzo 2007, ore 16.00 - 18.30

 

L’iniziativa rientra nel percorso di concerti e spettacoli che hanno visto la partecipazione di artisti come Giovanni Allevi e Moni Ovadia. La collaborazione fra studenti e cattedre rende l’Università una comunità partecipata, dove professori e studenti contribuiscono alla vivacità culturale dell’Ateneo.

La cattedra di Diritto Penitenziario, grazie alla collaborazione con la Direzione di San Vittore e con il gruppo della trasgressione, già da qualche anno offre agli studenti la possibilità di integrare lo studio della materia con una esperienza sul campo. Il concerto, che mescola le voci e le considerazioni di detenuti e studenti con una ventina di canzoni di De André eseguite dalla Trsg.band, costituisce l’ultima tappa di una serie di incontri e di convegni avvenuti in sede universitaria e dentro il carcere di San Vittore.

L’uso critico dell’imperfezione e dell’errore è un obiettivo cui il Gruppo della Trasgressione si dedica, coltivando collaborazioni con studenti, insegnanti, artisti, comuni cittadini, strutture e istituzioni esterne al carcere (il concerto ha il patrocinio anche della Fondazione De André). Il gioco si svolge su campi diversi: il recupero dell’esperienza personale, lo studio di opere d’arte, l’approfondimento di temi come la sfida, la trasgressione, l’imperfezione, il rapporto con la Legge.

La collaborazione con la facoltà di Giurisprudenza e, in particolare, con la Cattedra di Diritto penitenziario della Prof.ssa Tirelli e con Sinistra Universitaria dà al Gruppo della Trasgressione (www.trasgressione.net) e alla Trsg.band il piacere di presentare all’esterno i risultati di questo gioco e di cercare nuovi partner e nuove responsabilità: un modo per toccare con mano e interiorizzare le regole del vivere insieme.

Droghe: una campagna a favore della cocaina, da Fini in poi

 

Il Manifesto, 26 marzo 2007

 

Alcol, Italia: 30.000 morti all’anno, 3.000 in incidenti stradali (molti, lavoratori). Tabacco, sigarette: 90.000 morti. Decessi totali alcol e tabacco: 120.000 morti. Due stadi olimpici di morti. Marijuana, Italia: zero morti l’anno. Totale morti alcol e tabacco Italia in 40 anni: 4 milioni e 800 mila. Totale morti marijuana: zero. Morti in Italia di eroina, negli ultimi 30 anni: 20.000. Erano 15.000 dieci anni fa, quando l’allora vice-presidente del Consiglio Walter Veltroni disse, di fronte a questa cifra: è il nostro Vietnam. Ma se l’eroina era/è il nostro Vietnam (15.000 morti), alcol e tabacco - quattro milioni di morti - cosa sono? La terza guerra mondiale?

È criminale la tesi di chi dice che la cannabis è una droga come le altre: tra la marijuana e l’eroina c’è un abisso. Tra le droghe leggere e le droghe pesanti come alcol e tabacco c’è una voragine. All’inizio degli anni ‘70, una colossale campagna di stampa promosse la confusione fra droghe leggere e pesanti, aprendo la porta all’eroina, che stava arrivando, ma il cui consumo era limitato a poche centinaia di persone. Con un enorme lavoro di comunicazione siamo riusciti a contenere l’abuso di eroina: se non si fosse fatto quel lavoro, gli eroinomani oggi sarebbero un milione, invece da vent’anni sono fermi a 300 mila.

Da 5 anni è scattata una campagna per ricriminalizzare la marijuana in Italia, presentandola come una droga diventata pesante, come eroina e cocaina. Va detto che questa operazione è stata condotta in prima persona da uno dei massimi leader del centrodestra Gianfranco Fini. E anche Casini gli ha dato un assoluto appoggio. E va detto che invece non sono scesi in campo, con forza comparabile, i principali leader del centrosinistra. Per 5 anni, Fini e i suoi, hanno bombardato in centinaia di ore di trasmissioni radio e tv, con il concetto "la marijuana è diventata una droga pesante".

Questo mentre, strutturalmente, per esigenze di consumo e mercato andava allargandosi l’uso di cocaina. La campagna anti-cannabis spalanca la porta (come verso l’eroina negli anni ‘70) all’imporsi della coca: 4 milioni di persone usano marijuana, altri milioni l’assaggiano e l’assaggeranno. Può piacergli o non piacergli, ma certo verificano di persona che non succede niente di grave. Mezza Italia dà credibilità alle idee di Fini. Dunque, per questi consumatori o potenziali assaggiatori influenzati da questa campagna, anche la cocaina apparirà come qualcosa di poco pericoloso. "No coca, no party". Ed ecco il boom.

Il cavallo di troia della campagna anti-marijuana è stato la teoria della nuova cannabis "pesante", a cui ho dedicato un intero capitolo del mio ultimo libro "Marihuana. Uno scandalo internazionale" (Einaudi). Per l’Osservatorio Europeo nei 25 paesi membri solo il 5% della canapa circolante ha una potenza un superiore a quella normale.

L’Independent on Sunday di domenica scorsa era disinformato. Dunque, ancora una volta, a distanza di 60 anni dalla geniale campagna del Direttore del Narcotic Bureau Usa sulla "marijuana assassina" (sesso e delitti), c’è ancora nei media chi cade nella diabolica trappola. È il proibizionismo, bellezza. Una macchina che continua a funzionare. Per un oscuro farmacologo del Sussex la fama è assicurata se sforna uno studiolino, per quanto abborracciato, da cui emerge che la canapa rende ciechi.

Tv a go go all’esperto improvvisato che sposa tesi finiane. Un posticino all’Onu, una ricerchina da 200.000 (euro) al prof. sulla base anche degli ultimi dati siamo pronti, da subito, per una grande campagna di comunicazione e prevenzione che faccia piazza pulita di tutte le sciocchezze e dia a giovani e adulti informazioni pulite (non drogate) su tutto: skunk e coca, smart drugs e canne. Jack Daniel’s e Marlboro.

Immigrazione: quel velo non deve cadere per legge

di Paolo Ferrero (Ministro della solidarietà sociale)

 

La Stampa, 26 marzo 2007

 

Caro direttore, approfitto della lettera dell’onorevole Daniela Santanché (giovedì scorso su La Stampa, "Il velo che muove l’Europa") per riprendere il tema dell’integrazione culturale delle donne musulmane immigrate. Non credo infatti che il ragionare in termini di "velo sì, velo no", "velo a scuola, velo al lavoro" possa portare a riflessioni o a soluzioni soddisfacenti. Soluzioni per quel che riguarda la vita reale delle persone, intendo.

E cioè in questo caso delle donne, che quel velo scelgono o no di portare. Non ho detto a caso "scelgono o no". Non penso che sia giusto chiedere a una donna musulmana di toglierlo. E tanto meno credo si possa farlo per legge. Santanché fa partire le sue considerazioni da quello che sta avvenendo in Gran Bretagna. Parla anche di Francia e Olanda. In quei Paesi, sostiene, si sta facendo il possibile perché il velo a partire dalla scuola dell’obbligo sia vietato per legge.

Non voglio qui entrare nel merito dei modi assai variegati con cui i diversi Paesi europei trattano la questione. Io vorrei ricordarle quello che è avvenuto in Italia. Fino a cinquant’anni fa non era difficile nel nostro Paese, al Sud come nelle vallate alpine, trovare donne che non uscivano di casa senza il velo in testa. Oggi, nelle stesse cittadine, si vedono ragazze in minigonna e le donne col velo in testa non sono sparite del tutto. Voglio dire che diversi modi di vestire, che riflettono modi di pensare e di stare al mondo, possano convivere e modificarsi. Certo ci vuol tempo. Ma nelle cittadine di cui parlavo non è stata certo una legge a far diminuire i veli sulla testa e a far aumentare le minigonne.

Forse serve ricordare le lotte femministe degli Anni 70 (e il grande movimento di massa del ‘68 a cui queste sono legate), la cui influenza culturale in Italia è stata fortissima, le battaglie perché ogni donna potesse autodetermi-narsi, per spiegare quello che è successo. Il punto che mi preme sottolineare è che non è con l’imposizione giuridica a mettere o togliere un determinato capo di abbigliamento che si favorisce o no l’integrazione a scuola, o nella società, d’una ragazza o d’una donna musulmana.

E per questo di imposizioni così non troverà traccia nella nostra legge. Personalmente penso che siano i cambiamenti culturali a cambiare gli stili di vita, e che un’imposizione "per legge" può solo determinare un sentimento di ribellione per quello che si presenta come un puro arbitrio. Obbligare per legge una ragazza musulmana a scegliere tra lo Stato italiano e il velo significa porre le basi per una contrapposizione insolubile che impedisce qualsiasi processo d’integrazione.

Invece che concentrarsi sul velo dobbiamo preoccuparci del fatto che una ragazza musulmana, per esempio, conoscendo bene l’italiano, possa leggere libri e giornali, vedere film. Bisogna fare ogni sforzo per favorire la diffusione della nostra lingua fra le persone immigrate, affinché l’italiano sia la lingua di tutti coloro che risiedono in Italia e si possa così trasformare continuamente il territorio in una comunità di persone dialoganti. Perché in quel modo sì, si favorirà concretamente l’integrazione.

Sono d’accordo d’altronde con le parole della ministra del Marocco, a cui la Santanché fa riferimento: "Il velo è oggi per le donne musulmane un simbolo politico". Proprio perché è un simbolo, il velo, per le tante donne musulmane che lo portano, che l’hanno portato, o che lo porteranno, può voler dire tante cose. Allora non riduciamolo solo a simbolo di oppressione. Permettiamo a chi l’ha portato, o ancora lo porterà, di decidere che fare di quel pezzo di stoffa, rispettando le sue scelte.

Voglio dire (mi si permetta di dirlo anche se sono un uomo) che ci sono tanti modi d’essere donna, e d’essere donna e musulmana. Permettiamo allora anche a quella più legata alla sua cultura e alla sua religione di non trovarsi davanti a un ambiente ostile, che le nega l’identità. Come sarebbe se imponessimo a tutte, per legge, arrivando in Italia, di togliere il velo. Perché in quel caso la stessa donna sarà portata a difendersi, a richiudersi, a fare ghetto.

Io credo che sia un dovere imprescindibile dello Stato italiano quello di riconoscere i diritti civili e sociali delle persone che vengono in questo Paese. E tanto più questi diritti vanno garantiti, se si vuole ottenere in cambio il riconoscimento delle regole della nostra civile convivenza. Regole della convivenza che non sono, quelle sì, solo culturali, ma i principi costitutivi del nostro vivere collettivo, quelli contenuti cioè nella nostra Carta costituzionale.

 

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