Rassegna stampa 1 marzo

 

Giustizia: intervista al ministro Mastella; sull’indulto avevo ragione

 

Vita, 1 marzo 2007

 

Volente o nolente passerà alla storia come il ministro svuota carceri. A sei mesi dall’approvazione dell’indulto (l. 241 del 29 luglio 2006) i numeri stanno dalla sua parte. Soltanto l’11,11% dei 25.694 detenuti usciti sono rientrati in cella (a fronte di uno standard sulle scarcerazioni ordinarie che supera il 70%). Più italiani (il 12,28%) che extracomunitari (10,59%). Al conforto delle cifre non è però corrisposto il plauso dell’opinione pubblica.

Al contrario la popolarità di Clemente Mastella arranca ancora nelle ultime posizioni della classifica dei ministri. Una zavorra ancor più pesante per un ministro che è anche leader di partito. Il Guardasigilli non si lascia andare a nessun rimpianto. Anzi. La vivibilità degli istituti e il recupero dei detenuti rimane una priorità inderogabile. Come spiega a Vita, dal suo ufficio al secondo piano di via Arenula, in questo faccia a faccia in cui affronta a 360 gradi tutti i nodi della questione carcere.

 

Dopo l’approvazione dell’indulto sono stati in pochi a continuare a sostenerla. Si è sentito abbandonato?

L’indulto è stato votato da due terzi del parlamento. Questo è un fatto. Per il resto ho notato molta ipocrisia. Intorno a me hanno fatto terra bruciata. Penso alla cultura di sinistra, da sempre vicina a questo mondo. La loro sembrava una sensibilità autentica. E invece proprio gli organi di informazione che parlano a quella parte di società sono stati fra i più violenti.

 

A dire il vero anche la Chiesa è sembrata via via abbassare l’attenzione sul mondo del carcere. Come lo spiega?

Io faccio le cose per convinzione, senza pensare a chi mi appoggia e a chi no. Lo stesso principio vale per i Dico.

 

Quindi per lei è indifferente la posizione del Vaticano?

Se mi chiede se c’è stata un po’ di amarezza, le rispondo di sì. Mi conforta però che il Santo Padre il 18 marzo visiterà il carcere minorile romano di Casal del Marmo. Questo segna un cambiamento di rotta o, per lo meno, la conclusione di una pausa di riflessione.

 

Per la prima volta è stato approvato un indulto senza amnistia. Una scelta che rischia di far lavorare a vuoto i tribunali italiani. Ritiene ci sia lo spiraglio per riaprire la discussione sull’amnistia?

È vero anche che non è stato mai approvato nemmeno un indulto di tre anni, che di fatto è una sorta di surrogato dell’amnistia. Considero comunque positivo il risultato scaturito dalla volontà dei gruppi parlamentari nonostante le forti resistenze che abbiano incontrato.

 

Il suo predecessore Castelli si è sempre rifiutato di proporre la grazia per Adriano Sofri. Lei farà questo passo?

Per ragioni di correttezza preferisco mantenere il riserbo. È una decisione che il ministro della Giustizia contrae con il capo dello Stato.

 

Ha affidato al suo ex capo di gabinetto Ettore Ferrara, fino ieri digiuno di carcere, il timone dell’amministrazione penitenziaria. Come spiega questa scelta?

Anche io ero fino ad ora ero digiuno di giustizia. Battuta a parte, ritengo che un magistrato come lui abbia la cultura e la sensibilità necessaria.

 

Quali risultati si attende?

La priorità è la fedeltà al dettato costituzionale. Il carcere non è l’inferno, ma un luogo dove chi sconta la pena continua a essere considerato una persona, su cui va fatto un investimento pedagogico. Il regolamento penitenziario del 2000 non può restare sulla carta.

 

La commissione Pisapia sta lavorando alla riforma del codice penale. La soppressione dell’ergastolo sarà un nodo cruciale. Quale è la sua posizione?

Pisapia mi pare favorevole alla cancellazione del "fine pena mai". Da parte mia aspetto le conclusioni della commissione. Se avessi una posizione precostituita non avrei istituito questo organismo. Qualche segnale rispetto alla necessità di ridurre l’area penale comunque lo forniremo a prescindere dalla discussione sull’ergastolo. Per i reati fino a tre anni ci sarà la possibilità di scontare la condanna interamente in misura alternativa, partecipando a iniziative di natura solidaristica e umanitaria.

 

Favorevole o contrario all’istituzione del Garante nazionale dei detenuti?

Mi rimetto alla volontà del Parlamento e mi limito a notare che mentre a livello regionale questa è una figura molto positiva, a livello nazionale occorre che non vi siano sovrapposizioni di poteri.

 

Come valuta invece la possibilità di chiusura degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari?

È un problema vero. Credo che, avendo le possibilità economiche e sociali, l’unica strada percorribile sia la fuoriuscita dall’orbita del nostro ministero di queste strutture, che invece dovrebbero ricadere nella competenza delle Asl e delle strutture sanitarie.

 

I medici penitenziari stanno protestando contro il taglio di circa 14 milioni di euro al budget previsto in Finanziaria. Crede si possa recuperare qualcosa?

Ci proviamo. Il taglio è stato sostanzioso e inaspettato. Anche su questo punto però la mia opinione è che la medicina penitenziaria passi sotto la competenza della Asl.

 

Da qualche tempo le carceri hanno ripreso a riempirsi. Sul banco degli imputati ci sono tre leggi: la Bossi-Fini sull’immigrazione, l’ex Cirielli sulla recidiva e la Fini-Giovanardi sulle droghe. Crede che vadano modificate tutte e tre come vuole la sinistra della maggioranza?

Bruxelles ha deciso che, in base al principio del mutuo riconoscimento delle sentenze, entro tre anni i cittadini comunitari potranno scontare la pena nel Paese d’origine. In prospettiva è un’ottima notizia. Quanto alle leggi che citava occorre valutare con attenzione. Io, per esempio, ho controfirmato la proposta della Turco per alzare i limiti della cannabis e mi sono attirato una pioggia di critiche anche da sinistra. È urgente invece mettere mano alla Bossi-Fini.

 

Cosa ne sarà del piano Castelli per la costruzione di nuovi istituti?

Mai visto nulla. Non esisteva alcun piano. Era solo stata avviata una procedura di appalto, bloccata dalla Ue, per la costruzione di due carceri a Pordenone e Varese. Fondi che io ho ridestinato alla ristrutturazione e all’allargamento di altre carceri: entro un anno avremo a disposizione 1.500 nuovi posti.

Giustizia: lettera aperta di Sergio Segio al Ministro Mastella

 

Vita, 1 marzo 2007

 

Negli ultimi mesi ho più volte espresso apprezzamento al ministro Mastella per la tenacia con la quale ha portato avanti la sua battaglia per l’indulto. A questo si aggiunge anche la mia solidarietà nei suoi confronti, per come è stato abbandonato, già dal giorno dopo il provvedimento di clemenza, dalla classe politica che l’aveva sostenuto.

Alla fine, e gli ultimi dati sui recidivi lo dimostrano, la scommessa sull’indulto l’ha vinta, e mi sarebbe piaciuto che i giornali avessero dato rilievo a questo risultato con lo stesso spazio che in passato avevano concesso agli allarmismi. Detto questo, però, ammetto di provare un pizzico di delusione per come il ministro non abbia compiuto ulteriori passi avanti nella gestione delle politiche penitenziarie.

Sono passati sette mesi dal provvedimento, ma niente di concreto è stato fatto nei progetti di reinserimento delle persone indultate, soprattutto per quanto riguarda il loro avvicinamento al volontariato come forma di sostegno morale. Questo fatto è preoccupante, perché è segno della mancanza di una vera strategia. Non vedo in Mastella, come peraltro in molti dei suoi predecessori, quella passione necessaria a ridare al tema delle condizioni carcerarie un’attenzione vera, non solo burocratica.

I detenuti sono tornati ad aumentare, fra non molto qualcuno potrebbe tornare ad attaccare il ministro sull’inefficacia dell’indulto. Il mio apprezzamento per il suo operato rimane, ma senza una svolta da parte sua il sistema penitenziario italiano non uscirà mai da quell’abbandono che sta vivendo da decenni.

 

Sergio Segio

Giustizia: l’indulto funziona, ma molti giornali lo nascondono

 

Vita, 1 marzo 2007

 

La Repubblica, 29. Corriere della Sera, 21. La Stampa, 18. Il Sole 24Ore, 15. La classifica non è stata stilata in base ai punti, ma al numero di pagina in cui le quattro testate hanno pubblicato, sui giornali del 20 febbraio, gli incoraggianti dati sull’indulto (solo un carcerato su dieci è rientrato in cella) a sei mesi dal provvedimento.

La distanza rispetto alle prime pagine dedicate ai mostri del post indulto è siderale.

A livello di rigaggio la più generosa è stata la ferocissima Repubblica, che comunque appoggia la notizia al titolo sullo stop al carcere duro per cinque boss mafiosi responsabili delle stragi del 93. Il Sole addirittura mescola le due notizie nel medesimo articolo.

Striminzite le brevi di Stampa (13 righe e mezzo) e Corrierone (12 righe). Il quotidiano milanese pubblica i dati dell’indulto nella pagina dedicata a Previti. Più splatter la scelta in casa sabauda. L’indulto va a corredo di un articolo sul neonato in fin di vita accoltellato alla gola dalla madre. Insomma, se si parla di carcere deve scorrere il sangue, altrimenti che notizia è?

Giustizia: i minorili sono parcheggi per stranieri non accompagnati

 

Vita, 1 marzo 2007

 

La visita del Papa il 18 marzo al minorile romano di Casal del Marmo segna un cambiamento di rotta . Un limbo. È quello che il Papa si troverà davanti il 18 marzo quando visiterà Casal del Marmo a Roma, uno dei 18 istituti penitenziari per minori sparsi per l’Italia, non luoghi in cui un ragazzo che si macchia di qualche pena si ritrova parcheggiato per mesi o anni.

I dati ministeriali parlano chiaro: al 20 febbraio, dei 386 minori presenti negli istituti, solo 33 (il 9%) hanno una condanna definitiva. Il 75% è in attesa del primo giudizio, gli altri sono in appello. "Questo significa che con loro non si possono iniziare programmi personalizzati", nota Vincenzo Scalia dell’associazione Antigone.

"Per i minori non accompagnati, molti dei quali stranieri e non in regola, la situazione è disastrosa", aggiunge. La mancanza di familiari preclude l’accesso a ogni tentativo di reinserimento sociale. Per gli irregolari, poi, la legge in vigore non permette eccezioni: qualunque sia il percorso di recupero, tutto si annulla al compimento dei 18 anni. "Molti istituti sperimentano buone pratiche di accoglienza e integrazione, sotto forma di progetti, convenzioni con enti, sportelli", interviene Melita Cavallo, dal 23 gennaio alla guida del Dipartimento per la giustizia minorile, "ma il problema della mancanza dei documenti rimane". Il numero dei detenuti minori stranieri, che in media è del 50% rispetto al totale, aumenta man mano che si risale lo Stivale: dall’unica presenza su 15 all’Ipm di Palermo, si passa ai 43 (su 64) del Beccaria di Milano.

Dei 191 stranieri, ben 73 sono rumeni (quasi tutti rom), 46 marocchini, 26 della Bosnia Erzegovina. Per loro l’uscita dal carcere dovrebbe coincidere con l’ingresso in comunità. "La maggior parte però scappa", rivela don Gino Rigoldi, cappellano del Beccaria, "preferiscono tornare in strada che seguire le rigide regole dei centri d’accoglienza". Il problema, per don Rigoldi, è la mancanza di basi su cui costruire il futuro: "Da qualche anno i reinserimenti lavorativi non esistono più", spiega.

"Ci sono solo borse lavoro che spesso non si tramutano in un impiego stabile. Le rare volte che, invece, il ragazzo viene assunto, le condizioni di lavoro sono al limite dello sfruttamento". Senza un valido accompagnamento, il ritorno alla delinquenza è lì a un passo. Tornando ai numeri, il 65% è detenuto per reati contro il patrimonio (furti, rapine, estorsioni), il 17% per reati contro la persona, la stessa percentuale per spaccio o consumo di droga (il restante 1% è sotto la voce "altro"). L’età media si aggira sui 16 anni, e le ragazze sono l’8%. Fra le attività interne agli istituti quelle più gettonate sono "la scolarizzazione, la formazione professionale e l’animazione culturale ", conclude la Cavallo, "fra tutte, l’esperienza più importante rimane quella del "giornalino d’istituto", dove i giovani detenuti possono raccontarsi e conoscersi meglio".

In Italia nei 18 istituti per minori sono detenuti 386 ragazzi. Il 9% di loro ha una condanna definitiva, mentre il 75% è in attesa del primo giudizio. Gli altri stanno ricorrendo in appello. La metà dei detenuti sono minori stranieri senza accompagnamento.

Giustizia: gli Opg hanno porte che si aprono solo per l’entrata

 

Vita, 1 marzo 2007

 

Gli ospiti degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari, si chiamano internati e non detenuti. La differenza non è formale. Gli internati infatti, a differenza dei normali detenuti, sanno quando entrano, ma non quando escono.

Questo perché la valutazione della durata della loro permanenza non dipende dal tipo di reato commesso, ma, al contrario, dalla pericolosità della persona. Spiega Lorenzo Toresini, primario dei Servizi di salute mentale a Merano: "Quello della pericolosità è un elemento soggettivo, che dipende dalla situazione, dalla persona cui si riferisce e dalla persona chiamata ad esprimere la valutazione in merito".

E aggiunge: "In carcere il detenuto ha la possibilità di procedere in appello oppure di rivolgersi alla Cassazione, negli Opg questo non avviene perché l’articolo 222 del codice di procedura penale prevede misure di sicurezza legale alla pericolosità". Attualmente nei sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani (Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Napoli Sant’Eframo e Reggio Emilia) vivono 1.368 persone (dato riferito a fine 2006). Il 60% di loro è affetto da patologia psicotica, il restante ha gravi disturbi.

"Malgrado ciò gli Opg sono luoghi gestiti dall’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, non da quello della Sanità e presentano un’organizzazione che appare pesantemente condizionata dalle caratteristiche del luogo di pena e non di quello di cura", ha scritto in un intervento pubblicato sul numero di dicembre del mensile Communitas lo psichiatra Franco Scarpa, dal 1986 direttore dell’Opg di Montelupo Fiorentino. Spesso i casi degli internati salgono alla ribalta della cronaca. Ferdinando Carretta, per esempio, che nell’agosto dell’89 sterminò padre, madre e fratello. Molti altri rimangono nell’ombra. Il professor Antonino Calogero, psichiatra e direttore a Castiglione delle Stiviere, in un recente convegno tenuto ad Aversa ha tracciato la tipologia degli internati nel suo istituto.

Il 71% dei reati rappresentati sono contro la persona. Il 43% dei 221 pazienti aveva commesso reati in famiglia. "In questo campione", spiega il direttore, "i soggetti affetti da schizofrenia e sindromi deliranti sono il 74%, il 15% soffre di disturbi della personalità, l’8% di sindromi affettive gravi, l’1% da ritardo mentale e il 2% di psicosi indotte da alcol o sostanze stupefacenti".

A Castiglione delle Stiviere, in questo senso un osservatorio privilegiato anche perché ospita l’unica sezione femminile, la tipologia dei reati in famiglia vede al primo posto l’omicidio con il 47% dei casi. I reati sessuali sono invece solo il 3%. Per entrambi i sessi è la madre la vittima maggiormente designata. I figli e il coniuge sono invece vittime decisamente più ricorrenti nel caso di reati compiuti da donne: l’83% contro il 17 nel primo caso e 75% contro il 25 nel secondo.

1.368 sono gli internati nei sei Opg presenti sul nostro territorio. Il 60% di loro è affetto da una patologia psicotica, gli altri soffrono di grandi disturbi Al primo posto dei reati in famiglia compiuti dagli internati c’è l’omicidio (47% dei casi). Vittime soprattutto le madri

Nuoro: progetto per il reinserimento lavorativo degli indultati

 

Sardegna Oggi, 1 marzo 2007

 

Sarà attivato da Promuovi Italia, società a capitale pubblico controllata da Enit Agenzia Nazionale per il Turismo, a Macomer (Nuoro) un intervento per il reinserimento professionale di soggetti beneficiari dell’indulto, nell’ambito dell’Accordo quadro siglato lo scorso 8 luglio tra il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale e il Ministro della Giustizia volto a facilitarne il ricollocamento lavorativo.

Destinatario di questa iniziativa un giovane residente a Macomer, in provincia di Nuoro che intraprenderà all’interno della Cooperativa Sociale Progetto H di Nuoro, membro del Consorzio Gino Mattarelli, un tirocinio formativo in Azienda secondo le modalità proprie del Progetto. Un periodo di pratica professionale che vedrà impegnato il ragazzo fino al 31 luglio per un totale di quattrocento ore e che è finalizzato all’acquisizione di capacità operative e di maturità relazionali tali da rendere possibile l’ inserimento nel mondo del lavoro.

"L’avvio di questo percorso formativo è il primo di una serie di iniziative che prenderanno il via entro la fine di marzo nelle Regioni Obiettivo 1 ha sottolineato Mario Ceccarelli, Amministratore Delegato di Promuovi Italia . La nostra più grande soddisfazione deriva dall’essere riusciti ad adattare il modello operativo del Progetto Lavoro & Sviluppo Turismo, già in corso, anche a questo tipo di esperienza, come richiesto dai Ministeri, nostri committenti. Una ulteriore conferma del successo del Progetto - conclude l’Amministratore Delegato che dimostra come sia possibile gestire e realizzare con risultati utili interventi complessi come questo, predisponendo soluzioni e modelli d’intervento nel campo della qualificazione professionale e delle politiche attive per il lavoro che sono risultati pratici e razionali"

Lavoro & Sviluppo Turismo è una iniziativa che mira a creare nelle Regioni Obiettivo 1 (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) un punto d’incontro tra imprese, giovani e territorio formando figure professionali altamente qualificate e accrescendo la capacità di un settore strategico come il turismo di creare nuove opportunità di occupazione per giovani disoccupati e lavoratori svantaggiati. Nell’ambito di queste finalità il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ha rilevato una evidente integrabilità tra le necessità di collocazione e reinserimento lavorativo dei beneficiari dell’indulto e gli obiettivi del Progetto "Lavoro & Sviluppo Turismo", promotore per l’occasione di un protocollo d’intesa con il Consorzio Gino Mattarelli che opera a livello nazionale nel settore del turismo sociale e ha fra le proprie attività l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati fra i quali detenuti ed ex detenuti.

Milano: 15 detenuti-scalpellini sono rimasti senza lavoro

 

La Stampa, 1 marzo 2007

 

Maneggiavano droga, armi, soldi rubati e per questo sono finiti in carcere. Poi, nei laboratori della casa di reclusione di Opera, si sono ritrovati fra le mani il marmo di Candoglia, quello pregiato, bianco con le venature rosa, che dal 1386 è destinato unicamente alla costruzione e alla manutenzione del Duomo di Milano. Con quelle mani che hanno saggiato le manette, hanno scolpito creste e pinnacoli delle guglie più famose al mondo e si sono aggiudicati un posto nella storia del simbolo della capitale lombarda, in restauro dal marzo 2002.

Per i detenuti scalpellini del carcere di Opera è stata la scoperta di una passione, il sogno del riscatto. "Quando ho finito la mia prima cresta mi sono domandato: ma l’ho fatta proprio io? Ho costruito io un pezzo del Duomo? racconta Giuseppe C., 60 anni già, perché le mie mani erano più abituate a toccare droga che marmo. Invece, ho avuto anche l’onore di consegnare la guglia numero uno all’allora cardinale di Milano, Carlo Maria Martini. Mi tremavano quelle mani, ho pianto tanto".

All’inizio della formazione, Carmelo R., 60 anni, era sfiduciato. "Osservavo il nostro maestro d’arte (lo scultore Abele Vadacca) e mi veniva la pelle d’oca. Pensavo che non sarei mai riuscito a fare una minima parte di quello che sapeva fare lui. Poi mi ha incoraggiato. E un po’ per rabbia un po’ per invidia, mi sono messo sotto. Può immaginare che orgoglio quando sono stato chiamato a fare le guglie del Duomo. Sul marmo di Candoglia non potevamo fare il minimo errore. Ci davano le creste originali logorate e ci dovevamo immaginare come farle. Un lavoro faticoso, più mentale che fisico, unico. Oggi, devo ammettere che passo dal Duomo con amici e figlie e mi faccio il petto grosso".

Dal 1998 al 2005, i quindici galeotti marmisti della cooperativa sociale Soligraf (nata con lo scopo di rendere produttivi i laboratori di stampa, legno e pietra all’interno di Opera) hanno scolpito 150 guglie. Poi la Veneranda Fabbrica del Duomo ha ritirato la sua commessa per convogliare risorse tecniche e finanziarie sulla facciata, ancora in restauro. Una necessità, dettata dai tempi di consegna, già dilatati rispetto alla tabella di marcia.

Infatti l’impalcatura, che ha oscurato per quattro anni uno dei più imponenti monumenti del mondo, dev’essere smantellata entro il prossimo Natale. "In realtà i tempi sono più lenti dice l’ingegner Benigno Morlin Visconti Castiglione, direttore della Veneranda Fabbrica stiamo lavorando a porte, statue, lesene, le parti più difficili da trattare. Gli spazi di lavoro sono angusti e bisogna operare per piani di sicurezza. Però per il 25 dicembre contiamo di far vedere molto". Quanto? "Abbiamo già scoperto 60 metri, siamo a quota 22 metri coperti. Penso che nei prossimi mesi arriveremo a 1617 metri coperti. Per tutta la lunghezza".

La corsa all’inaugurazione del Duomo rinnovato contrasta con la voglia dei pregiudicati di continuare a fare il mestiere che hanno imparato in carcere, e di cui si sono appassionati. Carmelo, condannato per detenzione di droga e oggi in libertà vigilata, lavora in una discarica di Pioltello ("Si chiamano piattaforme ecologiche..."). Rimpiange i tempi di Opera: "Mi dispiace che non ci sia stato modo di continuare con quel lavoro, ci sentivamo importanti, venivano gli ingegneri e le autorità. Era educativo. Di tutti i detenuti che sono passati di lì, solo due sono tornati in carcere. Ti facevano delle morali che lasciavano il segno. Ma con i carabinieri che ti vengono a pigliare e l’età che ho, non ti accettano da nessuna parte...".

Domenico P., sessantenne, condannato per rapina e concorso in omicidio, oggi gode dell’indulto e lavora in un magazzino di Rho. Ma anche per lui è un ripiego: "Lavorando il marmo ho scoperto una cosa che mi piace far davvero, peccato dover lasciare questo mestiere, per motivi che non dipendono da me".

Dispiace anche al direttore della Veneranda Fabbrica di aver rinunciato "a questa collaborazione, dava un senso di prestigio al lavoro fatto in carcere". Impossibile assumere nei cantieri sempre attivi (il restauro del Duomo non finirà mai) gli ex carcerati o i prigionieri in semilibertà, o continuare a formare e far lavorare i galeotti scalpellini di Opera. "Non abbiamo considerato quest’ipotesi dice Morlin teoricamente immaginabile ma non fattibile per problemi burocratici e pratici: bisognerebbe fare un’assunzione, chiedere permessi. Tra l’altro quelli che hanno lavorato alle guglie del Duomo non ci sono più". E no, ci sono: Carmelo, Domenico, Giuseppe non desidererebbero altro.

"Effettivamente funzionavano molto bene ricorda il direttore ma per un tipo di lavoro dove non c’è premura, perché non è facile, c’è una certa burocrazia, problemi di orario. Impiegano del tempo. Se io aspetto un pinnacolo per andare avanti in una continuità di lavoro obbligata, la collaborazione con un carcere diventa farraginosa, anche se non la escludiamo".

Questione di rapidità, di consegna dei lavori, insomma. Sì, ma anche di pregiudizi. Lo lascia trapelare Mafalda Occioni, presidente della Cooperativa sociale Soligraf: "Il consiglio di amministrazione della Veneranda era d’accordo per inserire queste persone nei cantieri del Duomo, ma il consiglio di fabbrica si è opposto, i detenuti non sono ben visti".

Ma la Occioni non si perde d’animo e lancia l’appello: "I laboratori di Opera sono fermi, cerchiamo un maestro d’arte in pensione per venire a far lezione". Nemmeno Carmelo si perde d’animo e dalla piattaforma ecologica di Pioltello sogna Monteverde, il suo paese d’origine: "Ci sono un sacco di sassi, un giorno andrò lì a scolpire la pietra".

Minori: il bullismo è nella rete, stiamo attenti anche ai carnefici

 

Redattore Sociale, 1 marzo 2007

 

Bologna è solo un caso, l’ultimo. Prima il ragazzo down di Torino, poi Bari, Ancona, ecc…Franco Bomprezzi, giornalista e fondatore di Superabile, lancia una proposta: eliminiamo queste immagini dal web.

Colpa del web, della rete, di quel maledetto videofonino. Oppure è il "bullismo" che sta nelle corde dei nostri figli. Bologna è solo un caso, l’ultimo, il più recente. Prima il ragazzo down di Torino, poi Bari, Ancona, poi… Franco Bomprezzi, giornalista e fondatore di Superabile, lancia una proposta: eliminiamo queste immagini dal web.

 

Bomprezzi, tutta colpa del telefonino?

"È innegabile che oggi il videofonino è il grande protagonista di tutti questi episodi. È l’altoparlante, l’amplificatore, il megafono che fa sapere quello che altrimenti non si verrebbe a sapere. Di bulli a scuola ce ne sono sempre stati, come l’aggressività, la sfrontatezza verso i compagni. E questo rientra nella normalità".

 

Cosa c’è allora di "non normale"?

"Il problema è che questi casi vengono solitamente troppo enfatizzati, quando invece bisogna ricordarsi che la scuola è una palestra di vita, uno strumento di crescita… Senza dimenticarci però che servono degli "strumenti di autodifesa" della stessa istituzione scolastica. La mia impressione sul caso bolognese è che la cosa sia stata un po’ sovradimensionata".

 

Strumenti di auto difesa… tipo?

"Parliamoci chiaro: questi fatti non possono essere nascosti alla scuola. E la scuola deve imparare ad autoregolamentarsi. Non serve drammatizzare, non serve parlare di bullismo sempre e comunque. Non voglio dire che quello che è successo a Bologna sia un equivoco, ma è certo che è un fatto che è andato al di là delle intenzioni iniziali. Forse bastava una sospensione, una punizione, un ammonimento. Non sempre è utile sporgere denuncia".

 

Le vittime sono sempre i ragazzi più fragili

"Sì, fragili e più facilmente avvicinabili: è in fondo una "comune" forma di vigliaccheria, la bravata che fai su chi è più debole di te. Non c’è solo generosità in questo mondo, c’è anche tanta cattiveria… Eppure "i ragazzi della via Pal" non erano dei bulli. Erano dei ragazzi. E basta".

 

Il resto lo fanno i giornali, e oggi moltissimo il web

"Credo che da parte dei media serva una maggiore attenzione non solo per le vittime, ma anche per i carnefici. Tanto più che l’effetto emulazione rischia di condurre verso una ripetizione ossessiva di questi gesti. I media chiedono la punizione esemplare, senza rendersi conto che i protagonisti di queste vicende sono sempre più di uno: una domanda che mi faccio spesso è su che fine hanno fatto i ragazzi che avevano allagato il liceo Parini. Fra il caso di Erika e Omar, assassini reo confessi della mamma e del fratellino di lei, e le riprese fatte con il telefonino in classe c’è un mare di differenza… Non serve creare nella scuola uno stato di polizia".

 

È il primato della multimedialità: immagini, suoni, parole

"Una volta i giornali prendevano spunto dalla televisione, oggi a dettare l’agenda - soprattutto su questi fatti che conducono per forza di cose ad una forte multimedialità grazie alla possibilità che hanno di offrire supporto audio, video e testo è soprattutto il web, la rete. Filmati come quello del ragazzo down di Torino sono stati cliccati da centinaia di migliaia di persone, lo stesso meccanismo che è scattato per il video dell’impiccagione di Saddam. Oggi il web è portatore di questa grande novità, ed ha conseguentemente una grande responsabilità".

 

Che fare?

"Serve una riflessione su questo. Senza dimenticare che oggi c’è una novità anche legata alla crescita degli ascolti sul web a fini pubblicitari. L’informazione in rete oggi dà il tono su queste notizie, e impone di parlarne spesso. Una soluzione potrebbe essere quella di impedire che queste notizie vengano corredate da immagini filmate. E forse basterebbe per dare un segnale".

Palermo: il disagio dei minori e gli interventi di politica sociale

 

Comunicato stampa, 1 marzo 2007

 

Oggi ha avuto luogo, presso l’Aula Baviera sita all’interno del Complesso Malaspina - Palermo, il primo seminario nell’ambito del progetto "Il Male Minore", ricadente all’interno delle azioni cofinanziate dal F.S.E. - P.O.R. Sicilia 2000-2006, promosso dal Centro per la Giustizia Minorile per la Sicilia con l’Associazione Euro - Centro di Ricerca, Promozione ed Iniziativa Comunitaria - capofila e la Rai - Radio Televisione Italiana, soggetto terzo delegato.

Il progetto è stato concertato con il Dipartimento Giustizia Minorile - Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari.

Il primo seminario ha affrontato il tema "Responsabilità e giustizia: disagio dei minori ed interventi di politica sociale dei Servizi". Presenti il Capo Dipartimento, Dott. Carmela Cavallo, il Direttore Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari - Dott. Serenella Pesarin, il Prefetto di Palermo - Dott. Giosué Marino, la Dott. Maria Teresa Ambrosini - Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Palermo, il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Palermo - Dott. Adalberto Battaglia ed il Direttore del Centro per la Giustizia Minorile per la Sicilia - Dott. Michele Di Martino, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta - Dott. Caterina Chinnici con "Il ruolo della Magistratura nella tutela dei minori tra responsabilità e giustizia, alla luce della riforma dell’istituzione del Tribunale Unico dei Minori"; il Prof. Giovanni Fiandaca, Ordinario di Diritto Penale Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo con "Il tema della responsabilità del minore e le garanzie di legalità nel nostro ordinamento"; il Direttore dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Palermo, Dott. Rosalba Salierno con "Le politiche minorili in Sicilia: il ruolo propulsivo della Giustizia Minorile".

Il progetto si propone il conseguimento di tre obiettivi specifici, egualmente importanti quali comprendere il fenomeno della devianza minorile in Sicilia, attraverso l’analisi dei dati provenienti dai Servizi della Giustizia Minorile, con particolare riferimento agli Istituti Penali per Minorenni di Palermo, Caltanissetta, Acireale e Catania; orientare i Servizi della Giustizia minorile verso l’utilizzo di nuovi strumenti operativi di tutela dei giovani inseriti nei circuiti della devianza e della criminalità, attraverso momenti di confronto ed interscambio di esperienze tra gli operatori, attuati in forma seminariale e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’inclusione sociale dei minori ristretti in Ipm, mediante azioni mirate ed efficaci quali la produzione di materiale audiovisivo e la diffusione delle attività progettuali via internet ed in TV. Il percorso progettuale si articolerà nella realizzazione di un video della durata di un’ora, di un altro in formato ridotto e di un "promo" di pochi minuti da diffondere via Internet. Inoltre, verranno realizzati otto seminari di approfondimento rivolti ad operatori della Giustizia, a studenti ed a quanti operano nel sociale ed un Convegno nazionale, che si terrà a Palermo, sul tema della riforma della Giustizia minorile e l’istituzione del Tribunale unico dei minori.

Gli altri sette seminari saranno così articolati: giovedì 15 marzo 2007 con il tema "La Carta del Servizio nei Servizi della Giustizia Minorile"; martedì 27 marzo 2007 con il tema "Adolescenza e doppia diagnosi: quali connessioni ?". Via Principe di Palagonia, 135 - 90145 Palermo Tel 091.225916 - Fax 091.6826763 e-mail cgm.palermo.dgm@giustizia.it

Sappe: indulto; in due-tre anni gli istituti di nuovo al collasso

 

Comunicato Stampa, 1 marzo 2007

 

I reali beneficiari dell’indulto sono circa 43mila, di cui 25.694 dimessi dal carcere e 17.290 per cessazione di misura alternativa (dati al 31 gennaio 2007), sulla quale i dati non sempre sembrano essere chiari. La situazione degli istituti penitenziari ha subito un abbassamento considerevole di presenze dalle 61mila di giugno 2006 alle 39.827 di febbraio 2007 contro una capienza massima di 41mila detenuti.

Questi dati insieme ad altri indicatori evidenziano come, senza interventi strutturali al sistema, nel giro di due tre anni gli istituti di pena torneranno ad essere al collasso. A breve, senza le riforme strutturali promesse, si tornerà alla situazione di partenza. Negli ultimi quindici anni la popolazione detenuta è aumentata di 10 mila unita ogni cinque anni.

Nel giro di due tre anni si arriverà di nuovo al collasso degli istituti di pena, questo perché non si provvede ad interventi strutturali al sistema. L’indulto fine a se stesso produce solo effetti devastanti sul piano dei principi giuridici, non solo, l’approvazione di provvedimenti di clemenza determina una lesione del principio della certezza del diritto e della sanzione giuridica, generando una distinzione fra quella che è la sanzione minacciata attraverso la norma giuridica e quella che è la reale applicazione.

La pena perde la propria efficienza nella prevenzione generale, una delle funzioni della pena è quella di intimidire, attraverso la propria l’applicazione, la generalità dei consociati dal commettere reati. La mancata applicazione della pena, o della sua applicazione parziale, determina una diminuzione nell’efficacia preventiva della sanzione giuridica in quanto il messaggio che viene trasmesso ai cittadini sarebbe quello di una pena flessibile, a cui, almeno in parte, è possibile fuggire.

Non provvedere subito a riforme strutturali è un errore gravissimo se si osserva l’età dei soggetti rientrati in carcere nei primi sei mesi dall’indulto emerge una preoccupante recidiva da parti dei più giovani, si pensi che il 20% dei soggetti compresi fra i 18 ed i 20 anni che ne hanno usufruito sono rientrati nuovamente in carcere.

 

Aldo Di Giacomo

Segretario Regionale Sappe

Sappe: ancora tensione nel carcere genovese di Marassi

 

Comunicato stampa, 1 marzo 2007

 

Dopo l’inquietante episodio di venerdì sera, quando uno sconosciuto ha lasciato nei pressi della struttura penitenziaria due pacchi sospetti per i quali è stato necessario l’intervento degli artificieri, questa mattina un poliziotto penitenziario in servizio nella Casa Circondariale di Genova Marassi è stato aggredito da un detenuto comune italiano mentre questi rientrava dall’ora d’aria e si è reso necessario il ricorso alle cure da parte del Pronto Soccorso di un Ospedale civico cittadino.

E il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo della Categoria con 12mila poliziotti, "legge" con preoccupazione questo episodio, ennesimo sintomo di criticità del penitenziario genovese nonostante la recente approvazione dell’indulto, che ha fatto uscire da Marassi circa 400 detenuti.

"Vogliamo per prima cosa esprimere la nostra solidarietà al Collega aggredito" commentano Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto Sappe, e Antonio Martucci, segretario locale di Marassi, "che ha contenuto l’aggressività del detenuto ed ha impedito che la situazione degenerasse. E questo episodio non può che essere contestualizzato in una situazione critica più volte rappresentata dal Sappe da ultimo tre giorni fa a Direttore e Comandante di istituto, dove le carenze organiche di Polizia Penitenziaria (oltre 100 unità!) sono decisamente allarmanti e dove assistiamo ad aggressioni di detenuti ad agenti con una cadenza pressoché mensile.

Bisogna, tanto per cominciare, introdurre pesanti sanzioni penali e disciplinari a quei detenuti che aggrediscono agenti di polizia penitenziaria. Le tensioni in carcere permangono, nonostante l’indulto. Non bisogna nascondersi dietro un dito: le difficoltà di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, la loro stessa incolumità personale, sono una vera e propria emergenza e per tanto è auspicabile che questo tema sia posto tra le priorità di intervento del ministro della Giustizia Clemente Mastella, del Sottosegretario delegato alle carceri Luigi Manconi e del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Ferrara".

Questa mattina, intanto, il Consiglio Regionale della Liguria ha approvato all’unanimità un Ordine del Giorno (che si allega in copia) presentato dal consigliere Paladini - e sottoscritto da tutti i Gruppi consiliari - con cui si chiedono chiarimenti al Ministro della Giustizia Clemente Mastella circa una ipotesi di riorganizzazione centrale e periferica dell’Amministrazione penitenziaria, per effetto della quale si prevede la soppressione di sede di Dirigenza Generale per il Provveditorato della Liguria, che verrebbe "declassato" a sede di Dirigenza di incarico superiore, e la soppressione di 28 uffici e sedi dirigenziali di II fascia, che interesserebbe anche Istituti penitenziari liguri.

Droghe: l’allarme cocaina? è un esercizio di pura retorica

di Grazia Zuffa (Forum Droghe)

 

Fuoriluogo, 1 marzo 2007

 

E fu allarme cocaina. Lanciato stavolta da un pulpito autorevole, quale il ministro degli interni Giuliano Amato. "Un consumo gigantesco", commenta Amato a proposito della tonnellata di cocaina sequestrata nel 2006 nella sola Campania. Il generale Gualdi, capo dei servizi antidroga, si affretta a dare il quadro nazionale: circa 300 chili di cocaina al mese sequestrati. Per un totale di poco meno di quattro tonnellate all’anno, dunque. La punta dell’iceberg della droga in circolazione, si dice (Corriere, 2 febbraio).

Che la cocaina sia la seconda droga illegale più consumata in Europa, lo si sapeva da un pezzo. Peraltro, la tendenza all’aumento dei consumi sembra ormai alle spalle: come spiega l’Osservatorio europeo sulle droghe nella Relazione 2006, "il quadro generale è di stabilizzazione dopo un periodo in cui i consumatori sono aumentati considerevolmente di numero"; anche se - ammonisce l’Osservatorio - è possibile che le conseguenze di questo aumento, in termini di consumo problematico, si facciano sentire negli anni a seguire. In effetti l’Italia è tra i paesi europei che sta registrando un po’ in ritardo il trend ascendente della cocaina; da qui all’allarme però ce ne corre: nella fascia d’età dai 15 ai 34 anni, dove i consumi sono più diffusi, circa il 2% dei giovani ha usato cocaina nell’ultimo anno. Ed è abbastanza ridicolo strillare ai "consumi raddoppiati", quando si parte da cifre così contenute, almeno per il momento. Ma poi, i dati dei sequestri sono davvero affidabili per stabilire il livello dei consumi?

Vediamo. Lo World Drug Report 2006 delle Nazioni Unite offre per il 2004 le seguenti cifre a livello mondiale: 588 tonnellate sequestrate su un totale stimato di 937 prodotte. Diversi i dati della Relazione europea già citata: 587 tonnellate di cocaina intercettate contro una produzione globale di 687. Dunque, per l’Emcdda i sequestri sono ben l’85% dell’offerta di mercato, per l’Onu il 63%. È una divergenza non irrilevante, ma comunque il sistema di controllo della droga sembra funzionare alla grande, così alla grande che l’iceberg appare rovesciato (e l’allarme ridimensionato, per coerenza). Come si concilia però tanto ottimismo circa le capacità poliziesche di bloccare l’offerta di droga col fatto che il prezzo della cocaina è diminuito di oltre il 20% in cinque anni (dati sempre della relazione europea)? Che nessuno si ponga il quesito è una riprova di quanto la proibizione sia un "principio fondamentale" al di fuori, o meglio al di sopra, della verifica politica.

Torniamo alle nostre quasi quattro tonnellate: per quanto le dobbiamo moltiplicare per avere un’idea, magari grossolana ma non del tutto strampalata, dei consumi? Amato non lo sa, come non lo sappiamo noi; forse, a differenza di noi, non gli interessa affatto. Siamo alle solite. L’allarme droga è un esercizio di pura retorica, per rilanciare la moralità dell’astinenza. E quando morale e politica si confondono, non c’è da aspettarsi niente di buono.

Droghe: Susanna Ronconi lascia Consulta su tossicodipendenze

 

Redattore Sociale, 1 marzo 2007

 

Il ministro: "Nomina annullata, perché illegittima". L’ex brigastista è interdetta dai pubblici uffici. Aperta un’inchiesta dalla Procura di Roma.

Inopportuna. Così da più parti era stata definita la nomina da parte del ministro della Solidarietà sociale dell’ex brigatista Susanna Ronconi nella Consulta degli esperti e degli operatori sociali sulle tossicodipendenze. E ieri dopo circa due mesi di polemiche, Ferrero prende atto delle dimissioni della Ronconi e le strade si separano.

L’annuncio arriva in tarda serata dallo stesso dicastero. "Il ministro Ferrero, dopo aver comunicato all’interessata l’avvio di procedimento di annullamento della nomina nella Consulta degli esperti e degli operatori sociali sulle tossicodipendenze e preso atto delle dimissioni di Susanna Ronconi dalla Consulta stessa, ha decretato l’annullamento della nomina medesima perché illegittima. - si legge in una nota Tale nomina risulta illegittima in quanto Susanna Ronconi è interdetta dai pubblici uffici e la Consulta pur non dando luogo ad alcuna forma di remunerazione dei propri membri partecipa all’iter formativo della decisione della Pubblica Amministrazione. Sull’illegittimità della nomina di Ronconi è stata anche aperta un’inchiesta dalla Procura di Roma".

"C’è un clima troppo pesante: la mozione di sfiducia contro di lei presentata da An e addirittura la denuncia penale a suo carico portata avanti dalla Procura di Roma perché nominandomi avrebbe compiuto un atto illegittimo per la supposta incompatibilità tra il mio essere interdetta dai pubblici uffici e il ruolo in Consulta mi spingono a questo passo. - spiega la Ronconi al ministro in una lettera pubblicata da Repubblica.

Lo compio con grande personale fatica dopo mesi di accanita campagna mediatica e politica condotta da esponenti bipartisan, in ragione dei miei trascorsi di militante della lotta armata negli anni ‘70". Intanto Sergio Segio, già collaboratore del Gruppo Abele e direttore dell’Associazione SocietàINformazione, ha proposto che il digiuno a staffetta, avviato il 2 febbraio scorso per chiedere al Parlamento che il tema delle droghe non esca dall’agenda della politica, diventi formalmente di protesta contro "la campagna politica e mediatica che ha portato alle dimissioni di Susanna Ronconi".

Droghe: lettera dimissioni di Susanna Ronconi a ministro Ferrero

 

Notiziario Aduc, 1 marzo 2007

 

Al Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero

 

Caro Ministro,

questa mia per comunicarle la decisione di dimettermi dall’incarico, che mi ha conferito il 23 ottobre 2006, a membro della Consulta degli esperti e degli operatori delle dipendenze presso il Ministero della Solidarietà Sociale, nomina motivata, insieme, dalla mia professionalità e dal mio essere rappresentante di una associazione, Forum Droghe, che da oltre un decennio di dipendenze si occupa.

Le ragioni di questo passo - che compio con grande personale fatica risiedono in una lunga serie di episodi che per mesi hanno dato vita a una prolungata, accanita, pesante campagna mediatica e politica condotta da esponenti politici bipartisan di questo Paese, contro questa nomina, in ragione dei miei trascorsi di militante della lotta armata negli anni ‘70. Una campagna che, di riflesso, ha avuto come oggetto anche lei, e che l’ha esposta a una situazione che credo non facile, di cui non intendo più essere involontaria ragione.

Per alcuni mesi, nonostante questa battente campagna, ho ritenuto non fosse giusto e opportuno rinunciare a un incarico che mi consentiva di dare, insieme a molti altri, il mio contributo tecnico al suo Ministero, nel momento in cui si profilava una tanto attesa stagione riformatrice: le discontinuità con quel mio passato, la pena espiata e il mio presente di impegno professionale e sociale, confortati dallo spirito e della lettera della nostra legge costituzionale, mi suggerivano l’idea che nella Consulta io non fossi fuori posto. Non solo: ma a fronte dei primi attacchi politici alla mia nomina, mi avevano grandemente confortato e sostenuto sia la posizione della quasi totalità dei membri stessi della Consulta, che numerosi confermavano la piena disponibilità a lavorare con me, a prescindere da orientamenti culturali e professionali differenti; sia le espressioni di solidarietà pubblicamente espresse e provenienti da diverse aree culturali e politiche di questo Paese; sia e certo non ultima, la sua ferma posizione - di cui la ringrazio coerente con una cultura garantista e rispettosa del diritto e dei diritti.

Tuttavia, ritengo che gli ultimi avvenimenti abbiano creato un clima troppo pesante: in particolare, la mozione di sfiducia individuale contro di lei presentata da AN e addirittura la denuncia penale a suo carico portata avanti dalla Procura di Roma, in quanto nominandomi lei avrebbe compiuto un atto illegittimo, mi suggeriscono questo passo. Del resto e per questo, già nelle scorse settimane le avevo espresso la mia disponibilità a farmi da parte, rinunciando al mandato.

In riferimento specifico a quest’ultimo fatto, è evidente la strumentalità con cui si ricorre al codice penale, e come l’appiglio giuridico - la supposta incompatibilità tra il mio essere tuttora interdetta dai pubblici uffici e il ruolo in Consulta, per cui il suo atto di nomina sarebbe appunto illegittimo - sia mera funzione di una campagna politica. Personalmente, credo confortata dal parere di esperti che la norma in questione vada interpretata ben diversamente, e che un ruolo consultivo non ricada nella definizione di pubblico ufficio, e credo che, arrivando in una sede di dibattito sul punto, sarebbe per lei e per me possibile vincere questa battaglia.

E tuttavia, preferisco la strada delle dimissioni, non volendo in alcun modo vestire i panni del casus belli per ulteriori pesanti e strumentali attacchi politici. Sono consapevole, e immagino lo sia anche lei, di quanto questa sconfitta, che è politica e culturale, rischia di pesare nel futuro non solo nei miei confronti, ma anche di tante altre persone, segnata com’è da una così forte affermazione di una cultura che non esito a definire di vendetta senza fine.

La ringrazio per la fiducia accordatami in questi mesi e auguro ai miei colleghi di fare un buon lavoro, nell’interesse di quanti pagano con sofferenze non necessarie leggi, politiche e interventi inadeguati e ingiusti. Cordiali saluti.

 

Susanna Ronconi

Droghe: Onu dice no a "stanze del buco", sì a somministrazione

 

Notiziario Aduc, 1 marzo 2007

 

Sì alla somministrazione controllata di eroina, no alle cosiddette "stanze del buco", sperimentazione accurata dell’efficacia terapeutica della cannabis: è la posizione del Comitato Internazionale per il Controllo dei Narcotici, organo delle Nazioni Unite che sorveglia sull’applicazione delle convenzioni internazionali per il controllo della droga. Le shotting room, cioè ambienti "protetti" dove i tossicodipendenti possono iniettarsi le droghe utilizzando siringhe fornite in loco e quindi sterili, "violano le convenzioni": lo ha detto Gilberto Gerra, membro del’Incb, presentando a Roma il Rapporto annuale del Comitato.

"Diverso è invece - ha spiegato - il caso della somministrazione controllata di eroina da parte di un medico, che può essere una strada da utilizzare". Quanto agli usi terapeutici della cannabis, Gerra ritiene che "vi possono essere sviluppi interessanti" dagli esperimenti in corso, anche se sono ancora "in fase preliminare". "Ma bisogna pretendere che i trial siano precisi e puntuali" ha avvertito.

Droghe: cocaina a San Vittore, detenuto condannato a 8 anni

 

Ansa, 1 marzo 2007

 

Baciandosi, si scambiavano cocaina, hashish e marijuana attraverso baci nella sala colloqui del carcere di San Vittore. Per questa vicenda, oggi il gup Marina Zelante ha condannato a 8 anni di reclusione Davide Bettera, 31 anni, detenuto per varie rapine, Baci che servivano

a nascondere un passaggio di dosi di droga a un detenuto del carcere di San Vittore che aveva messo in piedi un vero sistema di spaccio all’interno del penitenziario, con tanto di possibilità di chiamare all’esterno con un cellulare. La sua fidanzata, Maria Carmela Dito, che gli procurava la droga all’esterno e gliela passava durante i colloqui è stata condannata invece a 6 anni e 6 mesi.

Un terzo imputato, uno straniero già in carcere, come gli altri è stato condannato per spaccio a 2 anni di reclusione. Il gip Varanelli, che aveva firmato diverse ordinanze di custodia cautelare in relazione alla vicenda, aveva scritto che Bettera aveva evidenziato "inquietanti baldanza e iattanza criminali", perché aveva vissuto "il carcere quale scenario di altre gesta scellerate, facendovi penetrare partite di droga anche per lo spaccio" recapitate in alcuni casi "in un modo rocambolesco e plateale".

Droghe: a Catania una tabaccheria vende il "kit per cocaina"

 

Notiziario Aduc, 1 marzo 2007

 

"È spaventoso, gigantesco il consumo di cocaina in Italia". È passato un mese dall’allarme lanciato a Napoli da Giuliano Amato. "Non si può chiedere alle forze dell’ordine di contrastare il traffico di droga aveva detto il ministro dell’Interno se c’è una domanda che viene dalle famiglie, da giovani e adulti, se la nostra collettività esprime una domanda di cocaina così spaventosa".

Il kit per farsi una pista di coca è in libera vendita nelle tabaccherie. Non possiamo al momento fornire dati esatti sulla diffusione del prezioso gadget sull’intero territorio nazionale, non sappiamo infatti quante botteghe di prodotti da fumo e affini ne siano fornite, ma possiamo dire con certezza che, fino al pomeriggio di ieri, tre o quattro confezioni del nécessaire per il perfetto sniffatore erano tranquillamente esposte in una raffinata rivendita di tabacchi in un centralissimo corso di Catania, a un passo dalla zona dello shopping cittadino di fascia alta, ma, soprattutto, a poche centinaia di metri in linea d’aria dal Tribunale.

A segnalarcela è stato un perplesso cliente che era andato a giocarsi la schedina e aveva buttato gli occhi su quelle strane confezioni esposte tra la più tradizionale oggettistica da fumatore. Si tratta di un nécessaire, anche molto di gusto, che si può abbinare con qualsiasi tipo d’arredamento e non sfigura affatto nella libreria del salotto, tra le cornici argentate e i posacenere di porcellana. Comprende un grazioso bilancino in metallo trattato a ottone e completo di pesini di varie misure. È contenuto in una pregevole scatola di legno trattato radica, con chiusura a clip e interno imbottito in morbido vellutino di un bel blu di Prussia, utile a individuare subito eventuali preziosi residui di polvere bianca caduta durante la pesatura. In più, la confezione comprende una piccola e anonima pochette pieghevole dello stesso colore blu.

Il kit si apre a portafoglio e contiene un razionale e ben disegnato completo per la stesura delle piste e la successiva aspirazione nasale. Un vassoietto di metallo lucidato a specchio con piccolo bordo per evitare lo straripamento, una boccetta con dosatore per il trasporto, una lametta inox per la compattazione delle righe, una spatolina per la raccolta e una cannula metallica ergonomica per un’assunzione comoda e igienica.

Non avremmo naturalmente potuto verificare la qualità del prodotto se il nostro fotografo, con la scusa di un pacchetto di sigarette, non ne avesse acquistato uno pagandolo la cifra, in fondo non esosa, di 50 euro. Naturalmente per quell’articolo non è stato rilasciato alcuno scontrino, lui si è limitato ad indicarlo e gli addetti, discretamente, glielo hanno tirato fuori dalla vetrinetta in cui era esposto.

Il titolare della tabaccheria, raggiunto in seguito da un nostro collega, ha negato di fronte ad ogni evidenza di averne appena venduto uno, facendogli pure capire a buon intenditor poche parole che non era il caso di insistere. Possiamo anche comprenderlo, in fondo. Non è certo quella una cosetta che si può tenere esposta a cuor leggero, anche se finora nessuno, pare, se ne era accorto. È pur vero che tutti sanno quanto ormai i fiumi italiani trasportino più cocaina che nel resto d’Europa, ma rimane fisso il mistero sull’identità di quel genio dell’imprenditoria che, di fronte a tanta offerta, abbia pensato di fornire un servizio extra ai cocainomani, un oggetto di raffinata distinzione per quelli a cui dovesse sembrare banale la classica sniffata con i venti euro arrotolati o, volgarità delle volgarità, con la triste cannuccia della biro.

 

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