Rassegna stampa 6 maggio

 

Giustizia: 55% degli stranieri è in carcere per reati di droga

 

Adnkronos, 6 maggio 2007

 

Più della metà dei detenuti stranieri, il 55 per cento, risulta avere a suo carico reati previsti dalla legge sugli stupefacenti. È un dato emerso da un’indagine Istat del 2006 dal titolo "Stranieri in carcere", che rileva come il mercato della droga, in Italia, veda come protagonisti un numero assai elevato di stranieri, che contribuiscono a rafforzare la centrale dello spaccio di sostanze stupefacenti.

Ma dall’indagine emerge soprattutto un elemento che permette ai pusher stranieri di sfuggire con più facilità ai controlli delle forze dell’ordine. Infatti non disponendo di documenti e non avendo molti di loro una fissa dimora, vengono identificati più volte con generalità diverse. Una circostanza che rende poi, materialmente impossibile, a volte inopportuna per il rischio di fuga la concessione dei domiciliari, cosa che invece avverrebbe se l’accusato fosse italiano. Ed ecco che il problema del sovraffollamento per questi "inconvenienti" continua a essere alimentato.

Ecco perché, si sottolinea nei dati statistici, mentre per gli italiani si registra una presenza dominante in carcere di condannati definitivi (il 62 per cento) sugli imputati (35 per cento), la situazione degli stranieri è all’opposto, essendo per la maggioranza imputati (59 per cento) e per il 41per cento condannati definitivi. Per quanto riguarda le pene, in quelle di durata inferiore a 6 mesi la percentuale degli stranieri è analoga a quella degli italiani, mentre per le pene più elevate (al di sopra dei 10 anni), gli stranieri sono assai meno numerosi. La media per gli stranieri è una detenzione di 3-5 anni, mentre per gli italiani si va dai 5 ai 10 anni.

 

Autolesionismi: tra gli stranieri il doppio degli italiani

 

Un altro primato negativo evidenziato nell’ambito della ricerca condotta dall’Istituto nazionale di statistica sulla popolazione carceraria di immigrati, riguarda gli atti di autolesionismo. Questi ultimi, si evidenzia, risultano essere il doppio rispetto agli atti commessi da detenuti italiani, il che testimonia un maggior disagio del detenuto straniero, molto spesso affetto da patologie legate alla tossicodipendenza e all’alcolismo.

Tanti i motivi di questi gesti; in primis, l’assenza nella maggior parte dei casi di una famiglia o di amici che possano assistere il detenuto, sia dal punto di vista affettivo che da quello materiale. Altrettanto ovvia e rilevante è la maggiore difficoltà rispetto agli italiani, per motivi linguistici, di comprendere e adeguarsi ai meccanismi rigidi del carcere.

Si entra quindi in un circolo vizioso, che rende la detenzione per gli stranieri non solo l’unica soluzione possibile, anche in caso di reati che se compiuti da un italiano andrebbero risolti diversamente, ma addirittura ne danno un esito controproducente. Si è ben lontani, secondo le rilevazioni dell’Istat, da un effetto "recupero" della pena, che dovrebbe tendere a "rieducare" il colpevole alla vita sociale.

Il detenuto, ancor più se straniero, risulta emarginato e allontanato dalla società in maniera irreversibile. Esistono però le eccezioni: enti e associazioni che si occupano dell’inserimento lavorativo degli ex detenuti, che danno loro la possibilità di fare formazione in carcere, o addirittura di dialogare con il mondo esterno, come fa per esempio l’associazione Granello di Senape attraverso la rivista Ristretti Orizzonti del carcere di Padova.

 

Per gli immigrati più disagi, legati anche alla lingua

 

L’Istat analizza in maniera dettagliata i cosiddetti "eventi critici", ossia "gli atti auto-aggressivi (suicidi, tentativi di suicidio e atti di autolesionismo), quelli etero-aggressivi (ferimenti, omicidi), i procurati incendi, le manifestazioni di protesta e le evasioni (dagli istituti o per mancato rientro), nonché i decessi per cause naturali" che avvengono giornalmente dentro le mura delle carceri italiane.

Ne emerge un quadro ben delineato che sottolinea che gli atti di autolesionismo sono, tra gli atti aggressivi, quelli che si presentano con maggiore frequenza nella popolazione carceraria adulta. Nel 2001 l’incidenza di tali eventi è stata del 114 per mille. Gli atti di autolesionismo in carcere hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita.

Le motivazioni messe in evidenza sono varie: esasperazione, disagio (che si acuisce in condizioni di sovraffollamento), impatto con la natura dura e spesso violenta del carcere, insofferenza per le lentezze burocratiche, convinzione che i propri diritti non siano rispettati, voglia di uscire anche per pochi giorni, anche solo per ricevere delle cure mediche. La situazione di disagio si accentua, rileva la ricerca, per gli immigrati, che per diversi problemi legati alla lingua e all’adattamento pongono in essere gesti dimostrativi.

 

Dopo l’indulto stranieri meno recidivi degli italiani

 

Ma se gli stranieri vantano un primato nei reati in materia di stupefacenti e sono più inclini degli italiani a gesti, a volte estremi di autolesionismo, vantano un record positivo in fatto di recidiva. Gli ultimi dati diffusi dal ministero della Giustizia per delineare un quadro della situazione carceraria dopo l’indulto, hanno rilevato che gli stranieri sono stati meno recidivi degli italiani. Il dato ha continuato a restare invariato nei primi quattro mesi del 2007, confermando che sono i nostri connazionali a ricadere nella delinquenza.

Dei soggetti rientrati in carcere dopo il provvedimento il 65,27% era italiano, mentre gli stranieri appena il 34,73%. In particolare, su 15.815 italiani dimessi, ne sono rientrati 1942 (il 12,28%), mentre su 9.750 stranieri ne sono rientrati circa il 10,59%. Ma a sorprendere maggiormente è il fatto che gli stranieri sono rientrati non per la commissione di reati, ma di illeciti amministrativi (violazione della legge sull’immigrazione).

Inoltre, dagli ultimi dati diffusi dal ministero viene riconfermato il fatto che le meno recidive sono le donne straniere (appena il 2,58%), subito seguite dalle donne italiane (7,35%) e dagli uomini stranieri (11,14%). I primi della lista sono gli uomini italiani con una percentuale di recidiva del 12,49%. Infine riguardo le modalità di rientro in carcere, è risultato che l’82,99% è rientrato dopo l’arresto in flagranza da parte delle forze dell’ordine e il 16,40% su provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Giustizia: gli psichiatri; senza gli Opg il sistema è a rischio

 

Il Gazzettino, 6 maggio 2007

 

Dismissione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. La Società Italiana di Psichiatria (7.500 iscritti) suggerisce la trasformazione delle strutture attuali in Centri Regionali di Assistenza.

Aveva ucciso i due nipotini buttandoli nell’Adige. Per la legge era incapace di intendere e di volere e quindi non punibile con il carcere. Qualche anno di ospedale psichiatrico giudiziario e poi il rientro nella società. In una società impreparata ad affrontare le sue bizzarrie, il suo profondo e inguaribile male di vivere. A pochi mesi dal rilascio si è lasciato andare nelle acque dell’Adige, quelle che avevano inghiottito i suoi nipotini, quelle dove andava a giocare da bambino. Qualcuno ha parlato di rimorsi mai sopiti, altri di incapacità di reinserimento.

Così è stato anche per l’ospite di un altro manicomio criminale, anch’egli veneto. In un giorno di pazzia ha ucciso moglie e figlio, ha scontato la pena riabilitativa ed è uscito. Per poco tempo, quasi un lampo, prima di commettere inconsapevole altri reati e ritornare così nel girone dantesco di un manicomio criminale.

Spiega Ludovico Cappellari, psichiatra e Vicepresidente Nazionale della Società Italiana di Psichiatria (7.500 iscritti), che da quando sono state create, queste strutture hanno di fatto mantenuto la loro connotazione. Anacronistiche finché si vuole, sicuramente bisognose di un restyling, magari anche di un superamento. "Ma andiamoci con i piedi di piombo: non possiamo, per cercare spiega di superare un problema, crearne altri ben più gravi. Nessuna contestazione nella sostanza, ma nel merito sì, non si può fare alcun passo, se prima non si sono create condizioni alternative".

Ed è proprio sulle possibili alternative che si sta muovendo il dibattito. "Non è pensabile ipotizzare la presenza di un paziente in libertà vigilata in una comunità terapeutica, assieme a persone che hanno equilibri molto fragili e che con fatica, loro e degli operatori, hanno riformulato un’idea quanto meno verosimile di famiglia spiega - Rischiamo di vanificare il lavoro che abbiamo fatto, in anni e anni di sacrifici comuni, per recuperare queste persone. E oltretutto finiremo per non essere d’aiuto ai nuovi arrivati".

La rete della psichiatria, anche nel Veneto, è solida, ma poggia i piedi su equilibri molto fragili. Operatori risicati, comunità-alloggio commisurate ai bisogni attuali e non certo a far fronte a nuove emergenze. "È una rete che funziona spiega Cappellari, ma che non può essere sottoposta ad ulteriori sollecitazioni. I pazienti che usciranno dagli ospedali psichiatrici giudiziari vengono dichiarati non pericolosi, ma questo non significa assolutamente che possano andare a casa, o ancor più che abbiano una casa pronta ad accoglierli. Siamo sinceri: basta una persona problematica per mettere in crisi un intero servizio e nessuno vuole che ciò accada".

Una preoccupazione condivisa da Silvio Frazzingaro, componente del gruppo tecnico che a Roma sta valutando il provvedimento in rappresentanza del Veneto. "Sul progetto c’è un ampio consenso da parte di molte Regioni e questo va valutato con prudenza. Alcune hanno addirittura proposto dei provvedimenti punitivi nei confronti delle Regioni che non applicheranno il nuovo piano sottolinea

Altre hanno addirittura vantato risultati eccellenti su alcune forme di sperimentazioni che a loro dire hanno dato risultati confortanti: ad esempio affiancare il paziente a un operatore 24 ore su 24. E i costi? Chi li sostiene? Siamo chiari: ideologicamente non si può che essere d’accordo con la proposta, queste strutture andavano superate, ma servono progetti. E soprattutto occorre una robusta copertura economica".

Il dottor Marco D’Alema, consigliere del ministro Turco per la psichiatria e padre del provvedimento, ha annunciato che con il 2008 chiederà una copertura finanziaria per sostenere tutte le iniziative che le Regioni vorranno intraprendere. "Per questo chiediamo di non affrettare l’iter, studiare i percorsi al meglio, ipotizzare altre strutture che possano affiancare gli operatori spiega Frazzingaro. Non possiamo neppure pensare di toglierci le castagne dal fuoco potenziando la psichiatria nelle carceri ordinarie e inserendo lì i pazienti-reclusi: si rischierebbe di creare un ulteriore caos".

Per gli psichiatri si finirà con l’assistere a un film già visto. "Ricordo l’applicazione della legge 180 che di fatto poneva fine a una vergogna. Ma poi a manicomi chiusi abbiamo anche visto pazienti allo sbando perché il territorio era impreparato aggiunge Cappellari.

Vogliamo riproporre lo stesso percorso? Se non si aiuta il territorio a crescere, magari pensando a Centri regionali che possano ospitare queste persone, mantenendo una stretta collaborazione con le Regioni limitrofe, di strada se ne farà davvero poca. Ma dobbiamo anche rinforzare la presenza di psichiatri nelle carceri ordinarie, non solo consulenti, ma professionisti legati ai Dipartimenti di salute mentale".

Percorsi come quello suggerito dal coordinatore Frazzingaro: trasformare Castiglione delle Stiviere, rendendolo un progetto-modello, aperto al territorio, finalmente riabilitativo. E poi parlare del resto. "Altro è Aversa, che dicono essere un vero lager spiega Frazzingaro. Ma lo si sapeva da tempo e non si è mai fatto nulla".L’ingresso di nuove persone con fragilità mentale rischia, a detta degli esperti, di mettere in seria difficoltà l’equilibrio del sistema psichiatrico veneto.

Giustizia: Amato; proibire la prostituzione e punire i clienti

 

Ansa, 6 maggio 2007

 

Finora ci hanno provato inutilmente i sindaci lavorando di fantasia, con le multe per "intralcio alla circolazione" e le telecamere piazzate nelle strade del sesso a pagamento. Quattro anni fa ci aveva pensato anche il governo Berlusconi con un disegno di legge (fino a 4 mila euro di multa) approvato in consiglio dei ministri e poi dimenticato in Parlamento. Questa volta a rilanciare la proposta è il ministro dell’Interno Giuliano Amato: per eliminare la prostituzione bisogna renderla illegale, non basta punire gli sfruttatori, come avviene adesso, ma bisogna colpire i clienti. Il ministro ha dichiarato "Non ho alcuna obiezione a prendersela con i clienti. Quando si cita la privacy a difesa di uno squallido maschio che gira per la Salaria alla ricerca di ragazze dalle quali ottenere a pagamento ciò che non sa ottenere altrimenti, beh, della sua privacy mi interessa ben poco".

Giustizia: caso Battisti; se estradato non starà in carcere a vita

 

Reuters, 6 maggio 2007

 

Il governo italiano ha chiesto formalmente al Brasile nei giorni scorsi l’estradizione dell’ex militante della lotta armata Cesare Battisti, condannato in Italia all’ergastolo, spiegando però che l’uomo di fatto non sconterà il carcere a vita, pena che nel Paese sudamericano non esiste. Lo hanno riferito oggi a Reuters una portavoce del ministero della Giustizia e una fonte vicina al ministro.

"Il ministero ha presentato la domanda di estradizione al Brasile", ha detto la portavoce del Guardasigilli Clemente Mastella, confermando la richiesta di trasferire in Italia Battisti, 52 anni, arrestato nel marzo scorso a Copacabana dopo la fuga dalla Francia nel 2004.

Una fonte vicina al ministro ha detto a Reuters che nella richiesta di estradizione è contenuta anche una precisazione relativa alla condanna all’ergastolo subita da Battisti, come ha scritto oggi il "Corriere della Sera". L’ordinamento brasiliano non prevede infatti la pena a vita, e i magistrati potrebbero opporsi alla la consegna di un condannato a un altro Paese in cui invece vige l’ergastolo. "Quella richiesta è stata scritta in modo da ottenere che le autorità brasiliane non respingano la richiesta di estradizione - ha detto la fonte - spiegando che di fatto in Italia è impossibile che si sconti davvero l’ergastolo, con tutta la serie di norme che esistono".

"Si assicura che il regime dell’ergastolo, secondo l’ordinamento italiano, non implica che coloro i quali sono condannati a tale pena devono restare detenuti in carcere per tutta la durata della loro vita", è scritto nella lettera alle autorità brasiliane firmata dal ministro della Giustizia. "Come analiticamente spiegato nella nota che si allega, il sistema penitenziario italiano... prevede una serie di benefici applicabili alle persone condannate all’ergastolo: il sistema comprende permessi, semilibertà, liberazione condizionata, liberazione anticipata, possibilità di svolgere attività lavorative fuori dall’istituto di pena".

 

Condannato per quattro omicidi

 

Battisti, evaso 26 anni fa da un carcere italiano, è stato condannato per quattro omicidi commessi negli anni 70 dall’organizzazione di cui faceva parte, i proletari armati per il Comunismo. Dopo una prima, breve latitanza in Francia e poi un decennio passato in Messico, Battisti si era rifugiato a Parigi nel 1990. La domanda di estradizione presentata dall’Italia alle autorità francesi nel 1991 era stata rigettata per motivi "tecnici". Dopo di che l’uomo era vissuto in relativa tranquillità, apparentemente protetto dalla cosiddetta "dottrina Mitterrand", che ha consentito a molti ex della lotta armata di trovare asilo a condizione di tagliare i legami col passato. E in Francia Battisti, che lavorava come portiere in uno stabile, è divenuto famoso come scrittore di libri noir, in parte tradotti anche in Italia.

Nel 2004, Roma ha però presentato una seconda domanda di estradizione, questa volta accolta dalle autorità. Ad agosto dello stesso anno, dopo aver presentato ricorso in Cassazione, Battisti si era dato dunque alla fuga. L’uomo, che in Francia ha due figlie avute dalla moglie e una compagna, si è detto vittima di un complotto politico-giudiziario e ha ripetuto di non aver mai ucciso, né sparato a nessuno.

Nel suo ultimo libro, "Ma cavale" (La mia fuga), uscito nel 2006, racconta la sua militanza nei Pac e, in forma romanzata, la sua fuga dalla Francia. In Brasile, Battisti è stato catturato grazie a un’azione congiunta della polizia francese e italiana, in collaborazione con le autorità locali, seguendo le tracce di una sostenitrice francese dell’uomo arrivata per consegnargli del denaro. I suoi difensori hanno già annunciato che si batteranno contro l’estradizione in Italia, perché il loro cliente è stato condannato in contumacia.

Giustizia: don Gallo; legalità senza solidarietà è repressione

 

Noi Press, 6 maggio 2007

 

"Non sono più sette i vizi capitali, ormai sono otto. L’ottavo vizio è l’indifferenza". Inizia così il lungo sfogo di Don Andrea Gallo, fondatore della Comunità San Benedetto al Porto di Genova, al quale abbiamo chiesto di raccontare cosa pensa degli strascichi legata all’omicidio di Vanessa Russo lo scorso 26 aprile.

Il giorno dopo i funerali di Vanessa, nella borgata Fidene a nord di Roma, sulla Salaria e sulla Tiburtina tutto è come sempre. Le baby prostitute lavorano come ogni giorno. Con l’unica differenza che oggi sono molto più preoccupate, così come risulta dall’inchiesta pubblicata stamani dal Corriere della Sera. Le ragazze hanno raccontato ai colleghi del Corriere di come i clienti, dopo l’omicidio Russo, si siano notevolmente incattiviti con loro.

Alle minacce ed agli insulti diretti, si somma l’ondata di terrore xenofobo che serpeggia nella borgata Fidene. "Ora basta, l’Italia agli italiani", è il messaggio che campeggia sui volantini che oggi tappezzano Fidene. Volantini voluti da Forza Nuova, movimento capeggiato da Roberto Fiore, che oggi chiede l’immediata espulsione degli immigrati segnalati per illeciti, nonché la chiusura dei numerosi campi Rom che circondano la capitale.

Di tutt’altro avviso è Don Andrea Gallo. Prete di strada lo chiamano, ed è il giusto modo per fargli un complimento. Don Andrea sulla strada ci va davvero, dal 1970. "E spesso qui alla Comunità non abbiamo nemmeno i soldi per la benzina per uscire di notte ai aiutare chi ha bisogno".

La Comunità di San Benedetto al Porto di Genova inizia l’attività a tempo pieno nel giugno 1975, nei locali della Canonica messi a disposizione dal parroco, don Federico Rebora. Accoglie tutti coloro che si trovano in situazione di disagio, con particolare attenzione al mondo della tossicodipendenza da sostanze illegali, da alcool e del disagio psichico. Scopo fondamentale della Comunità è offrire una proposta di emancipazione da ogni forma di dipendenza, all’interno di una partecipazione e confronto critici con il sociale e con il politico. In quest’ottica, la Comunità è impegnata nel recupero delle vittime dello sfruttamento della prostituzione. Alla Comunità si affianca il lavoro dell’unità mobile, che ogni notte gira per le strada di Genova per portare conforto a queste ragazze.

Commentando il malumore montato dopo l’omicidio Russo, Don Andrea fa un lungo resoconto dell’opera della Comunità. "La legalità senza solidarietà è repressione. Oggi cresce il veleno, cresce l’indifferenza, la paura. Invece bisognerebbe ripartire dall’accoglienza. Recuperare il senso di solidarietà umana e dare appoggio a queste ragazze".

"Molte di loro hanno tutte le migliori intenzioni di ricominciare a fare una vita normale, con un lavoro normale ed una famiglia. Ma bisogna mettere da parte l’indifferenza e riscoprire la solidarietà, senza paura. Dietro la prostituzione c’è un mercato enorme, un racket molto forte, un vero mercato delle schiave. Un mercato che è sotto gli occhi di tutti e che si compone di diversi filoni, provenienti dal Sud America, dall’Africa, dall’Est europeo. E che continua indisturbato, nonostante i tanti blitz delle forze dell’ordine", spiega Don Andrea.

"La verità è quel che oggi è accaduto è un segno dei tempi, un segnale del malessere della nostra società. La prostituzione è lo specchio di una educazione sessuale non buona", prosegue Don Andrea, come un fiume in piena. "Chi si occupa oggi di educare alla sessualità? Risolvere un problema enorme come quello del racket della prostituzione richiede l’impegno del Ministero dell’Interno, delle forze di polizia, della scuola e dei tanti centri di accoglienza. Non è facile, ma è possibile".

"È facile dire puniamo i clienti. Ma non basta. Il punto chiave - spiega Don Gallo - sta nel ritrovare un vero senso di giustizia, non nel reprimere. Reprimere non serve a nulla, se non allo scontro impari fra le forze dell’ordine ed un racket fin troppo forte. Ciò che serve realmente è la cooperazione, anche a livello internazionale. Queste ragazze non verrebbero fin qui in Italia se avessero condizioni di vita dignitose nei loro paesi".

"I risultati ci sono se ci si mette la buona volontà. La nostra Comunità ha visto ragazze tornare alla vita, sposarsi, avere figli, studiare, imparare un mestiere. Diamo loro la possibilità di vivere in mini appartamenti messi a disposizione del Comune di Genova. È importante il lavoro di squadra con le istituzioni. Senza il loro contributo non è possibile andare avanti. E, soprattutto, senza i necessari fondi, non si va avanti".

"L’ultima finanziaria ha aumentato le spese militare, ma ha diminuito il budget per le spese sociali. Mi hanno raccontato di una nuova portaerei costruita nel porto di Taranto, se ne è occupato un mio amico. Bene, a cosa ci serve? Da cosa dobbiamo difenderci? Perché quel denaro non è stato speso per costruire ospedali?": Don Andrea dice pane al pane, vino al vino, senza fermarsi. "Sa quanto costa oggi allo Stato un detenuto? 300 euro al giorno e le carceri sono sovraffollate. Alla nostra Comunità bastano 40 euro al giorno per ogni ragazza che ospitiamo. Per aiutare chi ha bisogno dovremmo tutti ritrovare la sobrietà, evitando di sprecare: mia madre mi diceva sempre queste parole ed aveva davvero ragione. Basta poco: basta superare l’indifferenza e riscoprire il valore dell’accoglienza", conclude Don Andrea.

Sanità: 30° Congresso Nazionale della Medicina Penitenziaria

 

Comunicato stampa, 6 maggio 2007

 

Il XXX Congresso Nazionale di Medicina Penitenziaria che avrà luogo a Sirmione dal 10 al 12 maggio 2007 si carica di importanti aspettative per i Medici e gli Infermieri Penitenziari.

Si qualifica come Congresso Internazionale per la prestigiosa partecipazione di una delegazione di Medici Penitenziari Spagnoli. Il Congresso cade in un momento estremamente delicato ed è chiamato a sciogliere nodi fondamentali in merito alle prospettive della Medicina Penitenziaria.

Veniamo da una stagione sindacale aspra e combattuta con le unghia e con i denti. Del resto non c’erano alternative. I gravissimi tagli imposti dalla Finanziaria 2007 alla Medicina Penitenziaria mettevano in dubbio non solo il ridimensionamento, ma la stessa sopravvivenza della Medicina Penitenziaria.

Ci siamo messi di traverso. Ci siamo incatenati. Ci siamo imbavagliati. Abbiamo abbandonato per protesta il nostro stesso posto di lavoro. Alla fine ha prevalso il buon senso e il Ministro Mastella, sensibile alle nostre forti sollecitazioni, è riuscito a recuperare integralmente i fondi tagliati. Mai come in questa occasione è stata un’impresa ardua affrontare Ma c’è anche il problema dei contratti dei Medici Incaricati, dei Medici di Guardia, degli Infermieri e dei Tecnici. Parleremo della legge sull’indulto, che è stato un atto di coraggio politico. È stata una risposta di civiltà. Ha restituito spazi per una migliore vivibilità del carcere.

Con il contributo di riflessione di tutti, il Congresso Internazionale di Sirmione saprà delineare le direttive di prospettiva della Medicina Penitenziaria per un percorso di qualificazione, affinché i Servizi Sanitari Penitenziari siano sempre più rispondenti alle esigenze di salute della popolazione detenuta.

Il Congresso di Sirmione verrà chiamato ad esprimersi sul passaggio della Medicina Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, nella prospettiva di una Riforma seria e credibile da allestire con i Medici Penitenziari, valorizzando la loro esperienza e competenza ed investendo importanti risorse nelle strutture,nei servizi e nella formazione del personale.

 

Il Presidente dell'Amapi, Francesco Ceraudo

Roma: un vino che nasce sui terreni confiscati alla mafia

 

Vita, 6 maggio 2007

 

Si chiama "Campo Libero" vino bianco, un trebbiano. È prodotto dalla Cooperativa sociale "Il Gabbiano" che si occupa dell’inserimento lavorativo di persone in stato di disagio, rivolgendosi in particolare modo a persone con difficoltà provenienti dal proprio vissuto nella tossicodipendenza, nelle carceri o nel disagio psicofisico. Un vino dal sapore nuovo, particolare. Quello della legalità. La vigna è sul terreno confiscato al clan Schiavone, il clan dei casalesi, la più potente cosca del casertano, una delle più organizzate e violente dell’intero panorama camorrista, così forte e ricca da aver da tempo allargato i propri affari ben oltre i confini campani, prima nel basso Lazio e poi alle porte di Roma.

Il vino bianco, Campo Libero è il primo prodotto del Lazio ad essere commercializzato nel circuiti dei prodotti della legalità di "Libera Terra" sarà presentato da Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera, lunedì 7 maggio ore 11,30 presso la bottega "I sapori della legalità" in Via del Foro di Traiano - Roma.

Per il vino, in cui è già pronto anche lo slogan "Sui terreni confiscati alla criminalità cresce un’uva simbolo di libertà". Con Luigi Ciotti saranno presenti Antonio Turri, referente Libera Latina e Dario Campagna della Cooperativa sociale "Il Gabbiano". A Cisterna di Latina, la cooperativa coltiva dieci ettari di terreni, di cui 6 di vigna, confiscati a Francesco Schiavone detto "Sandokan", assegnati dal comune, coltivati con impegno dai giovani della cooperativa nata a Latina nel 1994 per iniziativa di un gruppo di giovani provenienti da una lunga esperienza nel volontariato locale e nel recupero delle tossicodipendenze.

Un parto difficile quello del Vino Campo Libero. Come spiega Libera, infatti, nel settembre del 2006, a pochi giorni dalla vendemmia, nella notte un atto intimidatorio distrusse letteralmente 3 ettari di vigneto, decine e decine di viti "abbattute", migliaia di grappoli maturi schiacciati a terra. Un attacco violento, un danno economico rilevante, circa 10mila euro solo per l’uva persa (500 quintali su 1.400), che salì a 70mila perché gran parte delle piante dovettero essere sostituite e si dovrà aspettare almeno tre anni prima che entrino in produzione. Un vero e proprio attacco alle iniziative antimafia, quelle che colpiscono il cuore economico, utilizzando i beni confiscati ai clan. Ma i giovani della Cooperativa non hanno mai mollato e dopo meno di un anno ecco che il vino della Libertà, che nasce dal frutto dell’illegalità è pronto per essere degustato, un sorso di libertà.

Brescia: Fp-Cgil; bisogna costruire un nuovo penitenziario

 

Giornale di Brescia, 6 maggio 2007

 

La Cgil promuove a pieni voti l’idea di svolgere un Consiglio comunale straordinario a Canton Mombello e soprattutto plaude all’invito esteso anche ai rappresentanti della funzione pubblica che da tempo sottolineano il ruolo in capo alla polizia penitenziaria. La relazione del Garante, che verrà appunto discussa nel prossimo, consiglio cita anche i disagi di questi lavoratori alle prese con la quotidianità al di la delle mura. Un lavoro tanto più difficile quanto le precarie condizioni della struttura e l’endemica carenza d’organico proseguono, caratterizzando l’emergenza bresciana.

Donatella Cagno, componente della segreteria di Fp-Cgil e Calogero Lo Presti del coordinamento regionale del sindacato per la polizia penitenziaria esprimono grande soddisfazione per l’iniziativa organizzata e si augurano che proprio in quella sede venga ripreso in considerazione il progetto della costruzione di un carcere nuovo. "Negli anni passati - ricorda il sindacato - in occasione di visite condotte da vari ministri della giustizia è stata sempre ventilata la chiusura definitiva di Canton Mombello con la costruzione di un altro edificio adiacente alla struttura di Verziano". La Fp-Cgil sostiene ancora con forza tale ipotesi a fronte dell’intollerabile sovraffollamento dell’istituto cittadino."La struttura fatiscente - ribadiscono Cagno e Lo Presti - comporta difficoltà gestionali talvolta creano inquietudine, stress psicologico tra i lavoratori che comunque sono sempre riusciti e garantire l’ordine, la disciplina, la sicurezza e lo svolgimento dei compiti istituzionali con professionalità e umanità".

Consapevole del valore democratico del sistema penitenziario, il sindacato intravede un processo di evoluzione delle condizioni dei detenuti strettamente connesso alla realizzazione di progetti di integrazione nel sistema del welfare. In tale prospettiva diventa, quindi fondamentale, promuovere e investire in servizi e opportunità che tengano conto delle professionalità operanti all’interno delle strutture carcerarie.

Il consiglio straordinario diventa un’altra importante tappa di un percorso intrapreso da un Amministrazione particolarmente sensibile alle problematiche del mondo carcerario. Ne sono convinti Donatella Cagno e Calogero Lo Presti che ammettono di avere sempre riservato massima collaborazione alle Istituzioni locali impegna su tale terreno. "Anche se dal punto di vista sindacale - precisano i portavoce della Cgil - esistono diverse forme di lotta e di rivendicazione, la Fp-Cgil ha sempre preferito la via della trattativa e del confronto, metodo che si è rivelato proficuo". Con l’auspicio che proseguano e si rafforzino questi buoni rapporti, il comparto sindacale funzione pubblica della Cgil attende l’appuntamento del consiglio straordinario per ascoltare la relazione annuale del Garante e portare il proprio contributo nella futura realizzazione di nuovi progetti rivolti composito universo del carcere.

Cremona: il carcere apre all’arte, fra musica e video

 

La Provincia, 6 maggio 2007

 

 

Il carcere come spazio aperto sulla città e sulle arti: è questa la provocazione del progetto La città nelle mura. Frammenti di vita dentro e fuori il carcere, realizzato dall’Arci con l’apporto dell’Amministrazione provinciale e della dirigenza di Cà del Ferro. Ieri l’iniziativa ha celebrato il suo momento conclusivo, offrendo ai detenuti presenti e alle rappresentanze della vita civile un mix di musica, letture teatrali e proiezioni video.

A fare da colonna sonora alla mattinata Lorenzo Colace (chitarra), Alexis Paulinich (voce e chitarra), Enzo Frassi (contrabbasso) e Simone Gagliardi (percussioni), mentre Max Ciocca ha proposto una serie di letture legate ai testi dei detenuti del carcere cittadino, raccolti dal 1996 al 2003. Musica e letture sono state intervallate dal reportage di Mara Parmigiani che ha raccolto pareri, impressioni fra i cremonesi sulla realtà carceraria e dalle fotografie di Luca Bergamaschi, Max Ciocca, Irina Mìletic, Renato Modesti e Federico Zovadelli.

"La festa di arrivederci ha chiuso il progetto iniziato a dicembre - spiega Mara Parmigiani -. Abbiamo promosso una serie di appuntamenti settimanali dedicati al cinema, alla musica e al teatro, realizzato dai laboratori dell’Arci, un modo per sollecitare l’attenzione della città sulla realtà carceraria". "Il rinnovato auditorium, grazie alla Provincia, permette di ospitare iniziative che vengono dalla città, almeno questo è il nostro augurio - ha spiegato la direttrice del carcere Ornella Bellezza -. La strumentazione video e audio è stata realizzata grazie al risorse interne. Insomma con questa iniziativa abbiamo voluto far sapere alla città che esiste uno spazio pronto ad ospitare quanti vorranno esibirsi a Cà del Ferro, penso magari a band emergenti o a spettacoli teatrali".

A testimoniare la volontà di far si che il progetto La città nelle mura continui, magari rinnovato e accresciuto è stato l’assessore alle politiche sociali della Provincia, Anna Rozza, intervenuta alla fine dello spettacolo insieme a Vincenzo Paccione, responsabile dell’area sicurezza, Ciro Colucci, responsabile dell’Area Trattamentale e un rappresentante dei detenuti. A chiudere la mattinata di festa è stata la distribuzione di magliette e cartoline, un cadeau a tutti i presenti per non dimenticare come il carcere da luogo di detenzione possa - complice l’arte - trasformarsi in spazio d’incontro, col commento di Gigi Rossetti, responsabile dell’Arci. E in un ideale dialogo a distanza fra detenuti e comunità civile questa sera alle 21.30 La città nelle mura sarà replicato nella sede dell’Arci.

Droghe: stato salutista non avrai il mio scalpo

di Michele Ainis (Docente di Giurisprudenza Università di Torino)

 

La Stampa, 6 maggio 2007

 

Lo Stato terapeutico ha inaugurato l’ultima crociata: quella contro Bacco e i suoi seguaci. Anche se le truppe governative, in realtà, sono schierate già da tempo. Nel giugno 2002 un decreto legge aveva abbassato il tasso alcolico consentito per chi si mette al volante, portandolo da 0,8 a 0,5 grammi per litro: in pratica significa un bicchiere di vino, o due di birra. Ma le sanzioni contemplano l’arresto fino a un mese, una multa stratosferica, la sospensione della patente per 3 mesi. Da qui la tragedia di Treviso, dove il 12 agosto 2002 un operaio si è ucciso quando i vigili gli hanno ritirato la patente, costringendolo alla disoccupazione: era infatti risultato positivo all’etilometro, e da appiedato non avrebbe più potuto raggiungere la sua fabbrica Benetton a 30 chilometri da casa.

Tuttavia non basta, non basta mai. Nel 2003 il governo ha stabilito la chiusura dei locali dopo le tre di mattina, e niente alcolici dopo le due. Nell’autunno del 2006 la bozza della legge finanziaria aveva previsto il divieto di vendere bevande alcoliche ai minori, compresa la birra in pizzeria; divieto poi stralciato per manifesta estraneità alla manovra di bilancio.

Nelle stesse settimane il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che castiga in ogni ora del giorno e della notte la mescita e la vendita di alcolici negli autogrill (fin qui il divieto valeva nelle sole ore notturne). Il mese scorso è stato annunziato un altro gire di vite al codice stradale, punendo ancora più severamente la guida in stato d’ebbrezza: 6 mesi di arresto e una multa fino a 24 mila euro, il costo di un’automobile di lusso.

Infine il 12 aprile il ministro Ferrero ha promesso limiti alla pubblicità delle bevande alcoliche: proibito dire che il vino fa bene alla salute, vietata - come in Francia - la réclame degli alcolici in tv, ma viceversa obbligatoria l’etichetta che ci rimprovera e ammonisce contro i danni alla salute. È il sistema già sperimentato con le sigarette, ormai vendute in pacchetti listati a lutto, da cui s’affacciano scritte con ogni malaugurio per chi s’ostina ad acquistarle.

Che possiamo farci, sono i dettami del nuovo pensiero igienico globale. E infatti Ferrero è in buona compagnia: per dirne una, in marzo le autorità della Florida hanno deciso d’impedire ai giovani l’accesso notturno alle spiagge, dove è consuetudine bere un bicchiere in compagnia per festeggiare le vacanze di primavera dei college americani. E anche in Italia il salutismo è caro alla sinistra non meno che alla destra, oggi contro l’alcol, ieri contro il fumo o i cibi troppo grassi.

Così, Fini e Giovanardi ci hanno regalato una legge iper-proibizionista sulle droghe; l’ex ministro Sirchia ha messo alla berlina i fumatori, e per sovrapprezzo avrebbe voluto imporci il "panciometro" di Stato (limite massimo: 102 centimetri per lui, 88 per lei); il ministro Amato ha proposto l’antidoping all’uscita delle scuole. Deve essere un riflesso biblico, l’idea che le porte del Paradiso s’aprano attraverso privazione ed espiazione. Sicché, per non andare fuori tema, non resta che contrapporre ai dieci comandamenti sui peccati di gola un decalogo di obiezioni recitate in punta di matita.

Primo: fino a prova contraria la Costituzione tutela il diritto alla salute, non già il dovere di sfoderare un alito che profuma di rose. Perché s’affida al senso di responsabilità degli individui, piuttosto che alla gomma del censore. E perché ne rispetta le inclinazioni, i gusti personali, gli stili di vita.

Secondo: se viceversa i nostri governanti vogliono propinarci uno Stato etico, se diventano alfieri dell’estremismo salutista, daranno giocoforza fiato all’estremismo opposto, quello di chi vuole sbarazzarsi dello Stato. Sarà un caso, ma il motto di David Friedman ("non chiedere che cosa può fare lo Stato per te, chiedi cosa ti sta facendo"), nonché le teorie dei libertarians (che prendono a modello le comunità medievali, società senza Stato), non hanno mai guadagnato tanti estimatori.

Terzo: nella misura annunciata da Ferrero c’è un tradimento del patto elettorale. Perché il programma di Romano Prodi aveva un profilo antiproibizionista, promettendo per esempio di modificare la legge sugli stupefacenti. Ma dopo un anno non ne è caduta neppure una virgola, e ai divieti s’aggiungono i divieti.

Quarto: se la legge Fini-Giovanardi non distingue fra l’eroina e gli spinelli, Ferrero alza la mira contro ogni bevanda con un contenuto alcolico superiore a 1,2 gradi, senza distinguere fra la barbera e il whisky. È una logica da bombe termonucleari, che non si cura di quanti innocenti ci rimettono le penne.

Quinto: si dà il caso tuttavia che il "bere mediterraneo" sia un tratto della nostra identità culturale: da qui le immediate proteste della Coldiretti, dell’Aduc, di Città del Vino. E si dà il caso inoltre che l’uso moderato di bevande alcoliche riduca la patologia cardiovascolare: lo ha ricordato l’associazione europea che riunisce gli esperti del settore.

Sesto: se il divieto di pubblicità è già vigente in Francia - come ha osservato il nostro esterofilo ministro - esso è viceversa estraneo agli altri paesi dell’Unione. Dopo di che le morti del sabato sera restano, ovviamente, una tragedia da arginare, così come i 25 mila uccisi ogni anno dall’alcolismo; ma le statistiche vanno lette per esteso, e in Italia il quadro è meno fosco che nel resto d’Europa, mentre gli incidenti mortali sulle strade sono in calo dal 2001.

Settimo: si vieta la pubblicità ma non la vendita. Come per i tabacchi. È un atteggiamento ipocrita, che nel migliore dei casi trasmette messaggi ambigui. Non sarà che la torta del gettito fiscale è troppo ricca per lasciarla in frigorifero?

Ottavo: di sanzioni ce n’è già abbastanza. Ma come spesso accade, nessuno si cura d’applicarle. Una ricerca attesta che fra il 2002 e il 2004 solo il 3% degli automobilisti italiani ha subito il test dell’alcol (la media europea è del 16%).

Nono: siamo certi che l’oscuramento della pubblicità funzioni? Negli Usa la Federal Trade Commission, il ministero della Salute, l’Università del Texas e varie altre istituzioni hanno detto che non c’è nessuna prova che questa misura abbia effetti sul consumo, figurarsi sull’abuso. In più sui giovani suona come un invito a trasgredire.

Decimo: siamo altrettanto certi che il proibizionismo paghi? In Svezia un vinello da tavola costa 20 euro, ma l’alcolismo cresce a vista d’occhio. In Inghilterra c’è una campagna forsennata contro il fumo, ma senza risultati. Negli Stati Uniti, a dispetto dei 200 milioni annui per inserire la verginità nei curricula scolastici, chi frequenta i corsi di castità fa sesso per la prima volta a 14 anni. Ma gli Usa, durante gli anni Venti, hanno già fatto fiasco con il proibizionismo sui liquori. Adesso tocca a noi: ritornerà Al Capone?

Perù: leader di "Sendero Luminoso" si sposano in carcere

 

Associated Press, 6 maggio 2007

 

Scontano l’ergastolo, ma si amano: due leader storici della guerriglia peruviana convoleranno a nozze dietro le sbarre. A dare l’annuncio è stata Elena Iparraguirre, numero due del gruppo maoista Sendero Luminoso. Il promesso sposo è il capo storico dell’organizzazione, Abimael Guzman.

In un’intervista alla rivista Caretas, la 59enne Iparraguirre ha raccontato di essere stata chiesta in sposa l’autunno scorso. Il matrimonio con il 72enne Guzman sarà celebrato in carcere. Secondo Caretas, il matrimonio non è impedito dalla legge. Ai due futuri coniugi, che scontano la pena in due carceri differenti, dovranno anzi essere garantiti sei incontri l’anno. Guzman è stato a lungo il leader carismatico di Sendero Luminoso. Dopo il suo arresto nel 1992, il gruppo ha perso terreno nella sua lotta rivoluzionaria contro il governo. Negli anni Ottanta e Novanta il conflitto tra i guerriglieri e le autorità ha provocato migliaia di morti.

 

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