Rassegna stampa 9 luglio

 

Giustizia: nove italiani su dieci hanno paura della criminalità

 

La Repubblica, 9 luglio 2007

 

È salita, nell’ultimo anno e mezzo, la tensione sociale attorno al tema della criminalità. La generica preoccupazione tende quindi a trasformarsi in senso di insicurezza riferito al proprio contesto di vita, dove si diffonde il timore di essere vittime di reati. Investiti dal fenomeno sono soprattutto i centri di dimensioni più grandi, mentre la geografia della paura individua in alcune regioni del Nord e nel Mezzogiorno le aree di maggiore criticità. È quanto emerge dalla rilevazione periodica dell’Osservatorio sul Capitale Sociale, realizzata da Demos-Coop.

Nove persone su dieci si dicono molto (47%) o abbastanza (45%) preoccupate per la criminalità in Italia; più di otto su dieci pensano che la situazione, sotto questo profilo, sia peggiorata negli ultimi cinque anni. Ciò testimonia quanto la questione sia sentita dagli italiani. Più contenuta è, invece, l’inquietudine rispetto all’area di residenza dei rispondenti, che tuttavia ha conosciuto un rapido deterioramento proprio nell’ultimo periodo.

La quota di persone che si dicono preoccupate per la criminalità nella zona dove abitano ha superato la soglia della maggioranza assoluta, lievitando dal 48 al 57% (il 22% si dice molto preoccupato). Ritengono la situazione peggiorata nel loro ambiente quotidiano il 44% degli intervistati: erano il 34% nel 2005. Il timore investe un po’ tutta la società, ma tocca i picchi più elevati, e la crescita più consistente, fra le donne, i giovani, chi risiede nei centri metropolitani, nel Nord Ovest e nel Mezzogiorno.

Quando si parla di criminalità, la prima preoccupazione, per i cittadini, è quella di subire un furto in casa: essa coinvolge il 55% del campione, contro il 51% di un anno e mezzo fa. Al secondo posto troviamo scippi e borseggi (49%), seguiti dalle truffe legate all’uso del bancomat o della carta di credito (47%). Per tutti i tipi di reato considerati, il rischio (percepito) di diventare vittima tende a crescere. A creare tale clima di insicurezza concorrono, indubbiamente, fattori diversi, non sempre legati alla precisa evoluzione del numero dei reati.

Molto spesso, eventi di forte impatto emotivo (nazionali o locali), accompagnati da un’ampia attenzione mediatica, contribuiscono a diffondere un sentimento di ansia. Peraltro, il provvedimento dell’indulto di un anno fa si configura come un’ulteriore fonte di insicurezza: il 52%, fra gli intervistati, pensa che tale misura abbia (molto) contribuito ad alimentare i tassi di criminalità. Sebbene, in parlamento, sia stato votato da una maggioranza "trasversale", il sondaggio Demos-Coop evidenzia come siano soprattutto gli elettori di centro-destra ad esprimere tale giudizio (67% contro il 30% di quelli di centro-sinistra).

Del resto, la (in)sicurezza ha assunto un colore politico piuttosto preciso sulla scena pubblica: gli elettori della CdL appaiono più sensibili a questa tematica. E le forze di centro-destra godono di una migliore reputazione quanto a capacità di affrontare la questione. Gli stessi elettori di centro-sinistra, sotto questo profilo, sembrano in parte dubitare della propria parte politica. Insidiati nel proprio recinto domestico, i cittadini tendono, sempre più, a dotarsi di dispositivi (o strategie) di auto-difesa. Quasi uno su due ha installato porte o finestre blindate (47%), uno su tre ha acquistato un sistema antifurto. Circa uno su quattro lascia le luci accese, quando esce la sera (28%).

La domanda di sicurezza passa anche attraverso la disponibilità a ridurre la privacy. La video-sorveglianza di strade e luoghi pubblici viene approvata dall’86% degli intervistati. La crescita di tale componente - circa cinque punti rispetto al 2005 - si lega, probabilmente, all’utilità di questo strumento nella risoluzione di importanti fatti di cronaca nera; come si è visto di recente nel caso dell’omicidio nella metropolitana di Roma.

Giustizia: la fenomenologia dell’insicurezza, di Ilvo Diamanti

 

La Repubblica, 9 luglio 2007

 

L’insicurezza è un sentimento diffuso, che riflette preoccupazioni concrete, reali; ma anche un’inquietudine più indefinita. Dove le paure e la Paura coesistono, senza coincidere. Le paure: riferite a minacce concrete, le puoi affrontare. La Paura no. Perché è spaesamento interiore. Perdita di orizzonte. A scorrere i dati dell’Osservatorio Demos-Coop, in Italia entrambi i sentimenti stanno montando, senza freni. L’83% degli italiani, infatti, ritiene che negli ultimi 5 anni la criminalità, nel nostro Paese, sia cresciuta. Nella precedente rilevazione, che risale a 2 anni fa, questa percentuale era già alta: 80%. È cresciuta ancora.

Ma soprattutto, è aumentata l’insicurezza locale. Nel 2005, il 34% delle persone percepiva in crescita l’illegalità nella zona di residenza. Oggi, quella componente è salita di oltre 10 punti percentuali. Ha superato il 44%. Resta la distanza tra i due livelli. Noi temiamo ciò che non conosciamo e che è distante da noi, assai più di quel che incontriamo direttamente. Però, l’incertezza si sta insinuando nel nostro mondo di vita. Intorno a noi. Dentro noi stessi. Stentiamo, cioè, a trovare un rifugio, nel quale sentirci protetti. Infatti, il 57% delle persone si dicono preoccupate della criminalità nella zona in cui vivono. Quasi 10 punti più di due anni fa.

E le paure più diffuse sono quelle "private". Prima fra tutte, "subire un furto in casa" (56%). Perché la "casa" delimita il perimetro della nostra estrema difesa. Cinge le mura intorno a noi e ai nostri cari. Per questo, per "difendersi" si ricorre, sempre più, a metodi di protezione che "blindano" l’abitazione. Il 57% degli italiani afferma di aver provveduto a installare porte e finestre di sicurezza e il 33% di aver installato sistemi di allarme. Il 10% sostiene di essersi dotato di "un’arma da tenere in casa". In tutti questi casi, si tratta di un aumento, per quanto limitato, rispetto al 2005. È come se fosse in atto un processo di auto-reclusione.

Ciascuno di noi, insieme alla propria famiglia, assediato e al tempo stesso prigioniero del mondo esterno. Delle nostre paure e della Paura. Ciascuno chiuso in casa. Le porte e le finestre blindate. Chi risiede in abitazioni autonome oppure in ville: recinzioni degne di Alcatraz. Cani feroci (ne dispone il 20% della popolazione), lasciati liberi a "presidiare" il giardino (?). Facendo attenzione ai figli (ma anche agli adulti e agli anziani). Perché gli animali, programmati dall’uomo per aggredire, a volte, non fanno distinzioni fra estranei, amici e familiari.

Fuori dalle mura domestiche, dalla cerchia familiare e amicale l’ambiente è considerato estraneo. Affollato di "stranieri". Gli immigrati, per il 42% degli italiani sono un pericolo. Ma non solo loro. Perché, ai nostri occhi, è "straniera" la gente comune. Le persone che frequentiamo. Visto che il 60% degli italiani ritiene che "gli altri, quando fosse loro possibile, approfitterebbero di me e della mia buona fede". Così, non sorprende la richiesta, generalizzata, di estendere sul territorio la videosorveglianza, con telecamere, un po’ dovunque. Come vorrebbe l’87% degli italiani. Che esprimono una domanda di "libertà vigilata" da occhi che ci seguano dovunque. A ogni passo.

L’insicurezza, quindi, è figlia dell’effettiva diffusione di reati cosiddetti "minori", rilevata dal periodico rapporto del Ministero degli Interni. Reati "minori" solo per le statistiche o nei discorsi pubblici. Ma che risultano "maggiori" - anzi: "massimi" - per le persone "comuni". Che non temono i "grandi delitti", ma le minacce alla vita quotidiana, alla casa, all’incolumità personale.

L’intensità della Paura e delle preoccupazioni cresce insieme al rarefarsi dei legami sociali. Per cui, l’insicurezza è più elevata fra le persone che hanno meno fiducia negli altri, più timore degli immigrati, relazioni sociali più deboli e saltuarie. In più, fra coloro che guardano il futuro con maggiore preoccupazione. O forse è vero il contrario: l’assenza di orizzonte, di futuro, isola le persone nel loro immediato. E ne alimenta il disorientamento.

Una riflessione specifica meritano la demografia e la geografia sociale del fenomeno. Che sono cambiate non poco, negli ultimi due anni. I punti critici, in passato, erano costituiti, soprattutto, dalla popolazione anziana e dal Sud. Ma, negli ultimi anni, l’insicurezza è cresciuta, soprattutto: nel Nord Ovest, nelle grandi città, fra i giovani sotto i 25 anni.

Nel Nord Ovest: la quota di persone "molto preoccupate della sicurezza nella zona in cui vivono" è cresciuta, negli ultimi due anni, dal 14% al 25%, superando il Sud. Nelle grandi città, oltre 500mila abitanti, è passata dal 21% al 34%. Tra i più giovani (15-24 anni): dal 20% al 28%. È la generazione "più impaurita".

In qualche misura, si tratta di tendenze incrociate. Le grandi metropoli e il Nord Ovest significano l’asse metropolitano Milano-Torino. Le cui periferie si sono degradate. Un’area, il Nord Ovest, ma più in generale il Nord, in cui l’urbanizzazione si è allargata ben oltre i confini "amministrativi" delle città maggiori.

E ha invaso ogni interstizio, trasformando i paesi più piccoli in una plaga spesso informe. Dove è difficile trovare angoli di società. Per cui la Paura ha sconfinato: oltre l’aumento dei reati e dei crimini. La "questione settentrionale", in fondo, è anche questo. Uno sviluppo violento, avvenuto tanto in fretta da rendere difficile farvi fronte, adattarsi. È disagio cognitivo. Difficoltà di capire e di capirsi. È perdita di riferimenti.

Quanto alla crescente insicurezza giovanile, ha spiegazioni precise e ragionevoli. Come sottolinea il rapporto del Ministero degli Interni (curato da Marzio Barbagli), i più giovani, infatti, oggi sono il crocevia principale del fenomeno illegale. Al tempo stesso, vittime e autori di piccole illegalità. (Piccole nel linguaggio comune, come abbiamo già detto).

Legate al consumo e allo spaccio di droghe. Ma anche ad alcuni reati di cui l’Osservatorio Demos-Coop ha rilevato la diffusione recente. Come il furto di scooter, motorini e biciclette. Senza dimenticare gli episodi di violenza nelle scuole, in rapida crescita. Che i media riprendono, con grande enfasi. Enfatizzando, per ricaduta, anche l’insicurezza. Ma come sottovalutare il ruolo della pressione ansiogena esercitata dai genitori sui loro figli unici? Controllati in ogni momento, anche a distanza, complice il guinzaglio elettronico del telefono cellulare?

L’insicurezza ha un colore politico. È più alta fra chi vota a destra. Ma è elevata anche tra chi vota a sinistra. Poi, quando è in gioco la propria casa, non c’è bandiera né ideologia che tenga. Ma, soprattutto, è di destra la "sicurezza". Nel senso che, per "combattere la criminalità", il 40% degli italiani ritiene più adatto e capace un governo di centrodestra; solo il 18% un governo di centrosinistra. Un atteggiamento simile emerge in rapporto al tema dell’immigrazione. In altri termini, in tema di sicurezza, oggi il centrosinistra non è credibile. Certo: la "paura" che avvolge la società è, in parte, virtuale e artefatta.

Ma ciò avviene perché la proposta del centrosinistra è "debole". E la sua cultura è incapace di comprendere e di spiegare. Il che ne spiega la difficoltà di mantenere il consenso politico ed elettorale. Perché la sicurezza è una questione sentita, soprattutto nel Nord Ovest, nelle grandi città e fra i giovani. Punti di forza dell’Unione. Se la sicurezza è di destra, allora il centrosinistra ha buone ragioni per sentirsi insicuro.

Giustizia: la sicurezza e il governo "percepito", di Adriano Sofri

 

La Repubblica, 9 luglio 2007

 

In uno spot famoso e assai premiato della "Dove" - prodotti di bellezza - una ragazza né bella né brutta si trasforma, in un minuto primo e diciassette secondi, grazie al maquillage e alla grafica al computer, in una bellezza da cartellone. La campagna si intitola alla "bellezza autentica" e conclude: "No wonder our perception of beauty is distorted".

Non so dire quanto il video sia pertinente alla morale: mi interessa la filosofia. La nostra percezione della bellezza è distorta. C’è una bellezza autentica (real beauty) e una percepita - e questa è distorta. Ma abbiamo già sentito qualcosa del genere. Da tempo i telegiornali ci informano sui record della temperatura reale, e di quella percepita.

Va da sé che quella che conta è la percepita, dato che si tratta di noi, più esausti per il caldo "che sentiamo" che per il caldo "che fa". Qualche volta la rubrica del meteo prova a motivare la cosa con qualche cifra sul tasso di umidità: in realtà il clima percepito resta alquanto nebuloso, e può essere valutato attraverso scale diverse e complicate di valori, ma prende comunque una autorevolezza, tanto più che conferma quello che ci consola sentirci dire, che non ha mai fatto così caldo.

C’è un altro campo urgente, che contende alle vicissitudini del clima l’allarme pubblico: quello della sicurezza. Qui la scissione fra l’andamento reale e certificato dei reati e delle minacce e il sentimento diffuso - "l’insicurezza percepita" - si è compiuta irreversibilmente. (Figuratevi "l’insicurezza percepita" dagli immigrati nelle nostre città). È così in altri campi.

La percezione della cosa ha preso un po’ dappertutto le distanze dalla cosa, e ha occupato il centro della scena. Se un sondaggio vi chiedesse di scegliere le due parole che meglio servano a compendiare lo spirito del tempo, rispondete pure: Percezione ed Emergenza.

Non sbaglierete. Del resto il sondaggio è a sua volta una causa e un frutto dell’auge della Percezione. Ha fatto un sol boccone della troppo vecchia e generica Opinione. L’Opinione suona volubile quanto la Percezione si mostra solida e affamata. Già ci sono avvisaglie dello spodestamento degli opinion-makers da parte dei perception-managers.

La seconda professione dichiara più spregiudicatamente la propria vocazione alla manipolazione. Non promette di indirizzare i vostri pensieri sulla realtà, ma di formare il vostro modo di vedere la realtà. Basta pensare alla differenza fra la guerra, e la guerra percepita. Fra Bagdad e Chicago, diciamo.

Il successo della Percezione significa che le cose non vanno per il verso giusto. I sondaggi sono in qualche misura profezie che si auto adempiono (o al contrario, come in clamorosi casi elettorali, profezie che si auto smentiscono). Vivono della "percezione", e dunque l’alimentano; sono l’invadente complemento, ma anche il contraltare, dell’accertamento fattuale. "Nel marketing la percezione è tutto". All’altro capo, anche lo slogan "alter-mondiale" dice: "Change the perception".

Del liceo classico di una volta si ricordano con più nostalgia i concetti che apparivano da subito più inservibili. La differenza fra percezione e appercezione, per esempio. O quel "esse est percipi" che sembrava un gioco di prestigio: Oplà, e il mondo spariva. Il vescovo Berkeley non pensava di formulare un paradosso, ed era anzi convinto di conciliare la filosofia col senso comune. Trovava adatta alla gente comune l’idea che le cose non esistano se non in quanto noi le percepiamo.

Quella pretesa "immaterialista" era destinata a un gran futuro, assurda com’è. Le ginestre che ho visto lungo l’autostrada venendo a casa esistono anche ora, mentre io dormo e si è fatto buio, e profumano ancora, benché non per me. A lui sembrava strana e intellettualistica la convinzione che le cose esistano sul serio, che la realtà esista, indipendentemente da noi che la pensiamo e le camminiamo sopra, e per esempio che la terra esistesse prima che l’uomo comparisse a percepirla, e a percepire le ossa dei suoi dinosauri. Il mondo era già la nostra fiction. Si capisce che il primato della "percezione" - dell’apparire rispetto all’essere, se volete - tenda sempre più a soppiantare la realtà piuttosto che ad adeguarvisi.

È così per la questione del governo. L’argomento trasversalmente invocato dagli opposti governi è questo: di realizzare un mucchio di cose, ma di non "comunicarle" abbastanza. Governi percepiti: i sondaggi parlano chiaro. Un altro sinonimo è quello: Visibilità. C’è un’onesta, universale aspirazione alla visibilità. Fa il bene e scordatelo, si diceva. Beh, te lo puoi scordare. Un quarto d’ora di celebrità, secondo Andy Warhol, non si sarebbe negato a nessuno. E la differenza fra un impercettibile vicino di casa e, all’indomani di un "passaggio televisivo", un vicino di casa percepito: che comincia a esistere, anche per il suo principale, anche per il suo fruttivendolo.

E vi ricordate della "povertà percepita" secondo Berlusconi, che in questo caso stava imprevedibilmente dalla parte del realismo, inteso come spiegare ai poveri che in realtà non sono poveri affatto. (Concetto peraltro cui anche istituti di statistica e studiosi seri e meno interessati si affidano, dato che anche le povertà sono relative, oltretutto perché il confronto fra una modesta povertà e una ricchezza efferata grida vendetta).

E i casi alla rovescia, in cui campagne per la realtà contro la percezione vogliono aver ragione dei supposti pregiudizi della gente, sono altrettanto istruttivi, che si tratti della mucca pazza o dell’influenza aviaria o della sicurezza delle centrali nucleari. Il pollo mangiato in televisione non basta a sgominare il pollo percepito: chi vivrà, vedrà, dice il pubblico. E non ha tutti i torti. Si chiama principio di precauzione, da quando le parole hanno sentito il bisogno di diventare principi di parole. E i nuclearisti non possono lamentarsi se nella gente il rischio percepito soverchia il rischio reale, dal momento che l’istigazione alla percezione li vede in prima fila, salve le complicazioni di Chernobyl e Three Mile Island. La società del rischio di Ulrich Beck è soprattutto la società della percezione del rischio. E la paura, anche quando è infondata, o il dolore, anche quando è psicologico, non sono meno spaventosi e dolorosi. Figuriamoci quando sono fondati, e organici.

Adesso è la volta del Partito Democratico. Bisognerebbe farlo. E almeno far sì che se ne avesse la percezione. Un Partito Democratico percepito è già meglio che niente.

Polizia Penitenziaria negli Uepe: documento Verona e Vicenza

 

Blog di Solidarietà, 9 luglio 2007

 

Al Ministro della Giustizia On. C. Mastella

Al Sottosegretario del Ministero della Giustizia Prof. Manconi

Al Capo del DAP Presidente E. Ferrara

Ai Vice Capi del DAP Dr. Di Somma e D’Alterio

Al Direttore Generale E.P.E. Dr. Turrini Vita

 

Oggetto: Sperimentazione Polizia Penitenziaria negli Uepe. Riflessioni

 

I sottoscritti assistenti sociali dell’UEPE di Verona e Vicenza condividono la posizione assunta dal CASG in merito alle proposte delineate nella bozza di regolamento elaborata dal Coordinamento in relazione alla sperimentazione della polizia penitenziaria negli UEPE.

Ribadiscono la necessità di salvaguardare la dimensione del Servizio Sociale in ambito penitenziario e la professionalità degli assistenti sociali ai quali la Legge espressamente conferisce specifici compiti e funzioni.

Sostengono il documento redatto dagli assistenti sociali degli UEPE di Genova, Savona, Imperia, l’Aquila, Cosenza e Foggia, chiedendo in particolare che i nuclei sperimentali di verifica siano eventualmente allocati in strutture esterne agli UEPE, affinché sia chiaro che la polizia penitenziaria va a sostituirsi alla polizia di Stato e ai Carabinieri, senza creare confusione tra operatori dell’inclusione, quali gli assistenti sociali, e gli operatori di Polizia.

Tale fondamentale distinzione ha, sinora, permesso agli assistenti sociali di svolgere il loro mandato con serenità e autonomia di giudizio instaurando un rapporto di fiducia con l’utenza.

La presenza all’interno degli UEPE di soggetti appartenenti alle FF.OO potrebbe arrecare pregiudizio alla peculiare natura della relazione di aiuto e controllo demandato nella fattispecie agli assistenti sociali, con ricadute negative rispetto al buon andamento ed esito finale delle misure alternative.

Sul piano tecnico professionale si rimanda all’art. 118, comma 8, lett. a), b), c), d) del Regolamento di Esecuzione, ove si afferma che gli interventi del servizio sociale, articolati in un processo unitario e personalizzato, sono prioritariamente caratterizzati:

dall’offerta al soggetto di sperimentare un rapporto con l’autorità basato sulla fiducia nella capacità della persona di recuperare il controllo del proprio comportamento senza interventi di carattere repressivo;

da un aiuto che porti il soggetto ad utilizzare meglio le risorse nella realtà familiare e sociale;

da un controllo, ove previsto dalla misura in esecuzione, sul comportamento del soggetto che costituisca al tempo stesso un aiuto rivolto ad assicurare il rispetto degli obblighi e delle prescrizioni dettate dalla magistratura di sorveglianza;

da una sollecitazione a una valutazione critica adeguata, da parte della persona, degli atteggiamenti che sono stati alla base della condotta penalmente sanzionata, nella prospettiva di un reinserimento sociale compiuto e duraturo.

A fronte dello spirito che ha mosso il legislatore all’introduzione delle misure alternative nell’Ordinamento penitenziario e ai contenuti sopra richiamati, appare incompatibile con la mission del Servizio sociale l’attuale proposta di scardinare questo modello di intervento.

 

Gli assistenti sociali dell’UEPE di Verona e Vicenza

Mulas Patrizia

Ripamonte Francesca

De Angelis Elisabetta Maria

Faraci Giuseppina

Mulè Francesca

Montresor Romina

Parla Laura

Marani Giovanna

Fontana Sofia

Di Benedetto Nicola

Bevilacqua Rafaella

Auditore Rosaria

Verrengia Letizia

Genova: G8; a Bolzaneto documenti di ingresso falsificati

 

La Repubblica, 9 luglio 2007

 

Massacrata a calci e manganellate nell’inferno della scuola Diaz. Arrestata illegalmente con prove false. Trascinata via per i capelli, il volto ridotto ad una maschera di sangue. Ma Anna Nicola Doherty, cittadina inglese di 27 anni, quella notte maledetta entrando nella caserma di Bolzaneto dichiarava di "non temere per la propria incolumità fisica". Di non voler parlare con i propri familiari, con un legale, tantomeno con l’ambasciata britannica. E come lei tutti gli altri no-global stranieri, 66 delle 93 vittime del blitz poliziesco durante il G8.

Secondo i verbali ufficiali del ministero della Giustizia - redatti nel centro di prima detenzione - i ragazzi non avevano paura e non volevano parlare con nessuno. Sei anni più tardi la Procura di Genova è riuscita a dimostrare la falsità di quei documenti, e stamani chiederà che venga ascoltato in aula il perito che ha smascherato la bugia delle forze dell’ordine. I rapporti erano stati compilati in anticipo.

Per evitare rogne e differire quanto più possibile i contatti tra le persone fermati nella scuola e l’esterno, circostanza che getta ombre ancora più cupe sulla sciagurata irruzione del 21 luglio 2001. Se oggi il presidente del tribunale non dovesse accettare l’inserimento della nuova indagine nel processo per i soprusi e le violenze di Bolzaneto - 47 imputati tra funzionari di polizia, ufficiali dei carabinieri e della polizia penitenziaria, guardie carcerarie e medici -, i pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati apriranno l’ennesimo fascicolo per falso nei confronti delle persone allora responsabili della caserma.

Ancora un falso, ancora uno scandalo per coloro che durante il vertice internazionale dovevano garantire l’ordine pubblico. La perizia calligrafica dimostra che nel centro di prima detenzione furono preparati due modelli precompilati. In entrambi era scritto in anticipo che il detenuto sosteneva di "non" appartenere ad alcun clan criminale, ma soprattutto che "non" temeva per la propria incolumità personale o fisica e che "non" voleva che del proprio stato di detenzione venisse data comunicazione al consolato o all’ambasciata del suo paese.

La cosiddetta "dichiarazione di primo ingresso" recava l’intestazione Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e in calce il timbro del magistrato Alfonso Sabella, allora capo del servizio ispettivo del Dap (la sua posizione è stata archiviata nel gennaio scorso). All’arrivo a Bolzaneto, ciascun detenuto si vedeva intestare il relativo verbale. E via, chiuso in cella, costretto a restare per ore con le mani alzate. Insultato, minacciato, ancora picchiato. Accecato con i gas lacrimogeni gettati tra le sbarre. Spogliato, deriso, con gli agenti che mimavano atti sessuali. Senza distinzione tra detenuti maschi o femmine. Ad uno di loro, un poliziotto divaricò le dita di una mano fino a strappare letteralmente la pelle.

Ma ufficialmente, secondo i verbali, i fermati non avevano paura e preferivano non parlare con l’esterno. Il falso, certificato dal perito Laura Parodi, è oggettivamente distinguibile anche ad occhio nudo. In 49 casi è stato usato un modello pre-compilato, in 17 un altro. In questi che i pm ricordano essere atti redatti da pubblici ufficiali, ci sono poi alcuni strafalcioni grotteschi. In calce a quello di Anne Nicola Doherty c’è scritto che "il dichiarante si rifiuta di firmare".

La dichiarazione di Achim Nathrath, di Monaco di Baviera, non porta neppure la firma. Quella di stamani è l’ultima udienza dei processi genovesi per i fatti del G8, prima della pausa estiva. Sabato è in programma l’interrogatorio dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, indagato recentemente per aver istigato il questore Francesco Colucci a testimoniare il falso.

Cagliari: negato il principio di territorializzazione della pena

 

Sardegna Oggi, 9 luglio 2007

 

"Ancora una volta il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha respinto la richiesta di un ergastolano sardo di far ritorno, dopo 27 anni di detenzione nella Penisola, in una delle Case circondariali dell’isola per stare vicino ai familiari. Con ciò contravvenendo a quanto disposto dalla legge sull’ordinamento penitenziario e dall’intesa Ministero-Regione".

Lo denuncia la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Sdi-RnP), segretaria della Commissione "Diritti Civili". Mario Trudu, detenuto nel carcere di Spoleto, aveva inoltrato la nuova istanza, il 21 febbraio di quest’anno.

Dopo quattro mesi, la Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento ha respinto la richiesta "per motivi di sicurezza ed opportunità penitenziaria". "Una decisione - sottolinea Caligaris - incomprensibile per la laconica motivazione e contraria alla legge sull’ordinamento penitenziario, all’intesa sottoscritta dalla Regione e dal Ministero della Giustizia e all’ordine del giorno approvato dal Consiglio regionale sulla territorializzazione della pena.

Non si comprendono infatti, dopo oltre 27 anni di reclusione - tenuto conto che l’obiettivo della pena è la rieducazione - i "motivi di sicurezza ed opportunità penitenziaria" per rifiutare ad un detenuto il cui comportamento è stato valutato corretto e non pericoloso dal Giudice di Sorveglianza che gli ha concesso per motivi di studio due giornate di libertà nell’abitato di Spoleto.

Vorrei iniziare lo sciopero della fame, ma mi sembra assurdo - ha scritto Trudu in una lettera - che si debba arrivare a mettere a repentaglio la propria salute per ottenere ciò che spetta per legge. Il mio modo di vedere le cose me lo proibisce. Presenterò una nuova istanza affinché il caso possa essere riesaminato.

A causa della lontananza e delle spese di viaggio - sottolinea la consigliera socialista - Mario Trudu riesce a vedere i familiari tre volte l’anno e ciò avviene praticamente ad ogni detenuto. Il suo caso ripropone con forza la condizione di molti sardi costretti a scontare la pena nelle carceri della penisola privati del diritto all’affettività, nonostante il principio delle territorializzazione della pena, prevista per legge, rientri nell’ambito del dettato costituzionale sul rispetto della dignità costituzionale sul rispetto della dignità della persona privata della libertà.

Non voglio credere - ha concluso Caligaris - che i motivi "di sicurezza ed opportunità" addotti si riferiscano all’attuale situazione penitenziaria e di criminalità in Sardegna. Senza ulteriori specificazioni, simili affermazioni, oltre a creare allarme, sono ingenerose nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria e degli operatori delle Case Circondariali sarde e dimostrano una superficiale conoscenza della condizione dell’ordine e della sicurezza nel nostro territorio"

Forlì: pronta una banca dati per il lavoro degli ex-detenuti

 

Vita, 9 luglio 2007

 

Attivo il portale www.equalpegaso.net del Progetto Strade (sistemi - prodotti integrati dal carcere al lavoro). Tale archivio o anche banca strumenti si costituisce del complesso di esperienze di formazione professionale, di orientamento e di inserimento lavorativo, rivolti a persone in esecuzione penale (detenuti e beneficiari di misure alternative) ed ex-detenuti, realizzate dal 2001 ad oggi su tutto il territorio nazionale.

Si sono individuati i progetti più significativi ed avviata un’attività di presentazione e di informazione del progetto Strade riguardo i suoi aspetti e le sue finalità, realizzando col tempo una fitta rete di relazioni e di scambi.

Gli enti coinvolti hanno risposto con interesse accogliendo positivamente il progetto ed hanno fornito materiali e/o informazioni alle richieste. Da questo rapporto è nata quella banca strumenti che si trova entrando nell’area denominata "formazione" in "materiali" nel portale www.equalpegaso.net, a cui tutti i soggetti interessati e chiunque operi nel settore carcerario possono attingere liberamente.

Crediamo nel progetto che vuole essere un luogo di confronto entro cui poter mettere in comune e dare visibilità ad esperienze, idee, progetti, con l’unico obiettivo di favorire e facilitare il reinserimento al lavoro.

Dato il consistente quantitativo di materiale raccolto e per una migliore valutazione delle attività svolte dagli operatori contattati, la banca strumenti verrà integrata dai documenti con cadenza settimanale. L’attività di inserimento dei progetti e del materiale didattico e formativo terminerà presumibilmente entro dicembre 2007.

Torino: cartoline ai detenuti, un collegamento col mondo

 

Redattore Sociale, 9 luglio 2007

 

Può contenere un pensiero, una riflessione; essere scritta a mano, avere dei disegni, l’importante è che i messaggi non ledano la sensibilità dei destinatari. Vale a dire i detenuti della casa circondariale di Torino.

60 centesimi di francobollo per la spedizione, una cartolina spedita da una località di vacanza, dalla propria città, dall’Italia o dal tutto il resto del mondo. Può contenere un pensiero, una riflessione; essere scritta a mano, avere dei disegni, l’importante è che i messaggi non ledano la sensibilità dei destinatari. Cioè i detenuti della casa circondariale di Torino, sezione Prometeo, quella destinata ai sieropositivi.

L’iniziativa si chiama Post Card, non ha data di scadenza e riesce a fare da tramite tra chi vive in carcere e il mondo esterno. "Post Card è un ampliamento del blog - spiega Simone Natale, uno dei giovani giornalisti (con Hermes Delgrosso e Matteo De Simone, e Alice Alice Avallone) che formano la redazione di Dentro e Fuori. È un modo per rendere partecipe di questa iniziativa anche chi non usa internet".

Prima, nel 2004, nasce il blog "Dentro e Fuori" , prima esperienza di questo tipo in Italia, un caso che non ha eguali, anche all’estero, se non negli Stati Uniti, nel braccio della morte. È un’idea che permette di dare voce ai detenuti grazie a internet (e al lavoro di "filtro" dei giovani redattori).

Oggi, grazie al contributo del Comune di Torino, ha avuto inizio il progetto Post Card, che utilizza le cartoline, ma funziona allo stesso modo. "Poiché internet è uno strumento che nelle carceri è interdetto per motivi di sicurezza- spiega ancora Natale - abbiamo avuto l’idea di aggirare questo ostacolo utilizzando la carta come mezzo di trasporto".

"Ogni settimana in sezione ritiriamo gli scritti dei detenuti e li pubblichiamo sul web, poi stampiamo le risposte che arrivano via internet di chi ‘sta fuori’ e le portiamo in carcere."

"Dentro e Fuori", insomma, è riuscito a creare uno scambio fra il carcere e l’esterno, che con Post Card ha oggi il suo corrispettivo cartaceo, per dare la possibilità di scrivere anche a chi non possiede un computer.

"Dall’aprile 2006 ci sono stati più di 600 lettere fra i detenuti e la gente - racconta Matteo De Simone, un altro dei redattori - c’è un grande feedback. Nella sezione, i detenuti sono circa una ventina, a rispondere sono soprattutto donne". "Hanno voglia di comunicare - spiega Natale- c’è una "sete" di scrittura. Noi parliamo con loro, li stimoliamo, e cerchiamo di capire di che cosa vogliono parlare".

Tra i temi trattati nel blog (ma per le cartoline, che stanno iniziando ad arrivare, non ci sono ancora anticipazioni) anche la speranza, e ovviamente la libertà. "Osa credere nei tuoi desideri -scrive Giancarlo dalla sezione Prometeo, rivolto alle persone che lo ascoltano dal mondo esterno- finché hai il coraggio di credere niente potrà impedirti di giocare il ruolo che vuoi. Troppe persone si tirano indietro un momento prima di realizzare i propri sogni, troppe persone finiscono su una strada sbagliata, fuorviate da un granello di dubbio. Il destino può cambiare. Questo l’ho scritto dedicandolo a me. Perché ho vinto e continuerò a vincere tutte le battaglie che la mia vita mi ha dato da combattere. E lo dedico a voi, perché credere è rendere possibile l’impossibile". Un’anticipazione: per dare voce anche alle detenute donne, per l’anno prossimo i redattori di Dentro e Fuori stanno pensando ad un secondo blog, per la sezione femminile.

Parma: il personale del carcere di via Burla in agitazione

 

Lungo Parma, 9 luglio 2007

 

In seguito all’incontro tenutosi lo scorso venerdì 6 luglio con la direzione degli istituti penitenziari di Parma, le sigle sindacali Fp-Cgil e Fps-Cisl hanno proclamato lo stato di agitazione dei lavoratori per dare una forte risposta al mancato rispetto delle 36 ore lavorative settimanali previste, nonché all’incertezza dell’orario di lavoro giornaliero.

L’agitazione arriva anche per ribadire un deciso "no" alla mancata concessione del riposo settimanale, costituzionalmente riconosciuto, nonché all’apertura di nuovi reparti, come è avvenuto negli ultimi anni con l’apertura del Reparto paraplegici e del Reparto per detenuti ad elevato indice di vigilanza, la cui attivazione ha incrementato ancor di più il numero di soggetti appartenenti a criminalità organizzata - mafia, camorra e ‘ndrangheta - nonché i trasporti di soggetti disabili pericolosi presso il locale ospedale.

I lavoratori, insieme alle organizzazioni sindacali, si oppongono anche all’istituzione di reparti con detenuti con reati disomogenei, causando notevoli difficoltà ai poliziotti che vi operano per la gestione di quei soggetti. La protesta riguarda anche l’inerzia dell’amministrazione a tutti i livelli per il mancato arrivo del Gom per la gestione del reparto 41-bis, così come prevede la normativa vigente.

Con l’agitazione si chiede quindi l’arrivo di nuovo personale in missione - così come è avvenuto per l’istituto milanese di San Vittore per decisione dell’amministrazione centrale - vista la carenza di personale per oltre 150 unità a Parma. Si chiede inoltre l’arrivo della Gom per la gestione dei detenuti sottoposti al regime del 41-bis, l’assegnazione dei poliziotti neo-assunti e la chiusura di alcuni reparti per garantire i diritti ai lavoratori che operano nelle condizioni supposte, come il riposo settimanale e le 36 ore lavorative.

Per tutti questi motivi, le organizzazioni sindacali hanno proclamato lo stato di agitazione ed iniziative utili per migliorare le condizioni di lavoro del personale e per la sicurezza degli istituti e della città.

Droghe: in Italia il consumo cresce, nel mondo diminuisce

 

Il Messaggero, 9 luglio 2007

 

Per i gruppi mafiosi la cocaina è diventata il "petrolio bianco". Venduta a prezzi stracciati è perfino alla portata dei ragazzini. Con il mercato che si espande grazie a una rete criminale che ne garantisce la distribuzione capillare. Napoli e Milano sono le "piazze" principali.

Ma tutta l’Italia, da Nord a Sud, è uno snodo internazionale con alleanze strettissime con i "cartelli" del Centro America. I narcos muovono enormi capitali per le partite di droga da spedire in mezzo mondo.

Trasversale a generazioni, classi sociali e culture, la "polvere" continua a farsi strada. La conferma arriva dalla Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze che verrà presentata dopodomani al Parlamento. Il consumo è cresciuto in modo esponenziale. Dai 700 mila assuntori del 2005 siamo passati agli 850 mila di oggi, rivela la Relazione. Se la cocaina può contare su un aumento del 20 per cento di consumatori, la cannabis è poco al di sotto. Confrontando i dati si scopre che l’aumento del consumo di spinelli è intorno al 15 percento. Significa che abbiamo superato i 4 milioni di persone che, saltuariamente o in modo stabile, ne fanno uso.

II precedente documento, presentato nel 2005, parlava infatti di 3 milioni e 800 mila consumatori, mentre nel 2001 eravamo a quota 2 milioni. All’aumento si aggiunge la modificazione del principio attivo. La cannabis non è più quella degli anni Settanta, è fortemente potenziata, con una percentuale di principio attivo (Thc, tetra-cannabinolo) 30 volte maggiore di quella che era conosciuta.

I narcos hanno fatto modificare le piantagioni, manipolate geneticamente per ottenere una sostanza più capace di agganciare i consumatori. Solo con la coca i clan fatturano cifre da capogiro. Calabria e Campania forniscono i più grandi mediatori mondiali del traffico, e proprio in Campania sono avvenuti i maggiori sequestri d’Europa degli ultimi anni (una tonnellata solo nel 2006).

Sommando le informative dell’Antimafia calabrese e napoletana in materia di narcotraffico si arriva a calcolare che ‘ndrangheta e camorra trattano circa 600 tonnellate di coca l’anno. Africa, Spagna, Bulgaria, Olanda, sono i percorsi infiniti e molteplici di questa sostanza che ha un unico approdo da cui poi ripartire per nuove destinazioni: l’Italia. Secondo due autorevoli e recentissime ricerche, la prima dell’Nhsda, il National Household Survey on drag abuse, e l’altra delle Nazioni Unite, l’uso di droghe tra gli adolescenti americani è sceso del 19,8%, mentre in Inghilterra è sceso del 10%. Anche rispetto al fenomeno nel suo complesso è stato individuato un trend di lievissimo calo.

L’Italia, però, è in controtendenza con aumenti per tutte le sostanze. Ma torniamo alla Relazione al Parlamento, da cui emerge un altro dato allarmante: l’ulteriore abbassamento dell’età. Ci sono ragazzini tra i dodici e i tredici anni che iniziano a sperimentare anche sostanze pesanti. Le minidosi immesse sul mercato e i prezzi stracciati spingono in questa direzione.

La coca è passata dai 40 euro al grammo del 2004 ai 10-15 di oggi. "Ma c’è anche un ritorno dell’eroina perché ci sono pusher che la vendono agli adolescenti a 5 euro a dose", la denuncia è di Claudio Leonardi, direttore dell’Unità operativa di prevenzione e cura della Asl Roma C, e membro della Consulta nazionale antidroga.

Che aggiunge: "Questo dato sugli adolescenti preoccupante è stato individuato da chi ha lavorato alla Relazione annuale. Da noi, per esempio, arrivano ragazzi dipendenti dalla cocaina dai sedici anni in su, hanno alle spalle almeno due anni di abuso, associato all’alcol. In aumento anche i consumi di cannabis".

E sempre di più crescono i mix di più sostanze. Con una forte interazione tra cocaina e alcol, che, quando sono usati congiuntamente, l’organismo trasforma in etilene di cocaina. L’effetto nel cervello è più lungo e più tossico di quando si usa soltanto la droga. Sembra inoltre che molte morti da droga siano dovute a questa combinazione.

"C’è un aumento forte e incontrastato dell’uso delle sostanze - afferma Pietro D’Egidio, segretario nazionale del Federserd, l’associazione che raggruppa i Sert d’Italia - per questo motivo l’allarme è alto. Chiunque, in qualsiasi città, anche una città che non conosce, con facilità può comprare quello che vuole".

I narcos hanno scelto di vendere la "roba" a prezzi stracciati per ampliare i consumi. È per effetto di questa strategia che salgono i consumi? "I prezzi c’entrano fino a un certo punto, non è questa l’unica ragione - osserva ancora D’Egidio - il tipo di domanda corrisponde a certi stili di vita. Sempre più di frequente so di persone assolutamente "normali" che negli ultimi cinque anni hanno fatto uso di cocaina, e lo fanno senza paura come se non ci fossero rischi. La verità è che si sta costruendo un immaginario sociale che lega la droga al successo e alla felicità, convincendo i consumatori della mancanza del rischio. Nulla di più ingannevole".

Droghe: Serpelloni; dosi "in saldo" per catturare i giovani

 

Il Messaggero, 9 luglio 2007

 

Professor Serpelloni, in Italia continuano a crescere i consumi. Perché?

"I narcotrafficanti hanno studiato strategie di marketing del tipo paghi uno e prendi due. Ci sono delle "offerte" sul mercato studiate per catturare i giovanissimi. Mini-dosi di cocaina con poco principio attivo, a prezzi ridottissimi, per avviare al consumo e alla dipendenza, per iniziare ai rituali e al bisogno di droga".

All’intervista risponde Giovanni Serpelloni, medico, consulente dei ministri Ferrero e Turco, direttore dell’Osservatorio sulle dipendenze di Verona, e membro della Commissione degli esperti del ministero della Salute e della Solidarietà sociale.

 

La politica dei prezzi stracciati è studiata per allargare i consumi?

"Proprio così, ci sono spacciatori che vendono dosi di cocaina a prezzi da saldo, a 10 euro l’una. Si tratta di dosi-test, promozionali. Il loro scopo è quello di "insegnare" ai ragazzi come si fa e qual è la via per arrivare ai pusher. Lo spaccio è cambiato, usa altri mezzi. Da un pusher si trova tutto. Offrono contemporaneamente tutte le sostanze, quelle da fumare e quelle da iniettare. E torna l’eroina, usata come sedativo dopo le droghe eccitanti, ecstasy e cocaina, per essere in grado di tornare lunedì al lavoro. Però anche con l’eroina si stabilisce subito la dipendenza, dopo tre-quattro assunzioni".

 

Dunque, è cambiato lo spaccio…

"Sì, ma non solo per le strategie di cui ho parlato. Nel giro della coca ci sono pusher che chiedono prestazioni sessuali alle ragazzine che vanno a comprare la roba. Cedono droga in cambio di sesso. La cosa assurda è che si crea una doppia dipendenza, dalla sostanza e dal venditore. Per i pusher sono prede, molte di loro sono soggiogate. Una si sentiva la "pupa del capo". L’ho conosciuta di recente. A dodici anni e mezzo consumava cocaina e aveva rapporti sessuali con uno spacciatore colombiano di 38 anni che l’ha rovinata. Un tipo senza scrupoli, lei si era annullata, innamorata persa di quest’uomo che la sfruttava e che era arrivato a dirle se mi vuoi devi pagarmi".

 

Che fine fanno queste ragazzine?

"Per alcune, soprattutto quelle a contatto degli albanesi, si è aperta la porta della prostituzione, anche se di un tipo diverso da quella che conosciamo".

 

Professore, è vero che la cannabis ora è potenziata?

"Molto potenziata, ben 28-30 volte di più di quella che si conosceva un tempo. I trafficanti internazionali hanno fatto modificare geneticamente le piante. Il Thc, il tetra-cannabinolo, è più concentrato. Nelle colture sono state selezionate piante con percentuali più elevate. Significa che negli spinelli la concentrazione è molto alta, tanto che a questo punto eviterei di parlare di droghe leggere e droghe pesanti. Se prendo un grammo di hashish e questo contiene un principio attivo 28 volte superiore è chiaro che il livello di pericolosità cresce".

 

Molti tossicodipendenti non si sentono tali, rispetto al passato manca consapevolezza?

"Proprio così, se è vero che la tossicodipendenza è una malattia, la diagnosi arriva con molto ritardo. Per l’eroina si rivolgono ai servizi dai 5 ai 6 anni dopo l’inizio della dipendenza, per la cocaina anche dai 6 agli 8 anni. È chiaro che i danni sono già enormi".

Grecia: denuncia giornalistica; 250 detenuti morti in 1 anno

 

Ansa, 9 luglio 2007

 

Sono almeno 250 i detenuti che, negli ultimi 12 mesi, hanno perso la vita nelle prigioni della Grecia. Lo denuncia il quotidiano "Ta Nea". Secondo il giornale ateniese, inoltre, in più di un caso i decessi sono avvenuti in "strane circostanze". Da questa ampia e documentata ricerca è emerso che, solo nel penitenziario di massima sicurezza di Korydallos, alle porte della capitale, negli ultimi nove mesi sono morti 90 detenuti, ad una media cioè di un decesso ogni tre giorni.

Francia: Sarkozy; nessuna amnistia per la festa nazionale

 

Ansa, 9 luglio 2007

 

Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha confermato le indiscrezioni che circolavano nelle ultime settimane: nessuna amnistia collettiva il 14 luglio, in occasione della festa nazionale francese. Questa era una tradizione non scritta in Francia. Sarkozy non ha comunque escluso misure di clemenza individuale nell’intervista rilascia a "Le Journal du Dimanche", in edicola domani. "Avevo detto durante la campagna presidenziale che non ci sarebbe stata una grazia collettiva. Ora manterrò la promessa" ha detto il capo dello Stato. "Il decreto che mi è stato proposto - ha proseguito - puntava a far uscire di prigione 3mila detenuti. Da quando il diritto di grazia serve a gestire le carceri". Infine, Sarkozy ha ricordato: "Riconosco l’utilità, per ragioni umanitarie o eccezionali, della grazia individuale pronunciata in modo trasparente".

 

 

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