Rassegna stampa 29 luglio

 

Giustizia: ok anche dalla Camera, la riforma Mastella è legge

 

La Repubblica, 29 luglio 2007

 

L’Aula della Camera ha approvato in via definitiva il ddl Mastella di riforma dell’ordinamento giudiziario. Il provvedimento è stato approvato con 281 voti a favore e 25 contrari. Presenti 319 deputati, 306 i votanti, 13 gli astenuti."Andiamo avanti, passo dopo passo", ha affermato il Presidente del Consiglio Romano Prodi, visibilmente soddisfatto".

Da oggi le figure istituzionali del giudice e del pubblico ministero hanno di nuovo intorno a sé le mura della legge", ha detto il segretario dell’Associazione nazionale magistrati Nello Rossi. Per il Ministro della Giustizia Clemente Mastella, si tratta di una "svolta che porta un grande equilibrio nelle istituzioni e ad una serenità che il precedente governo aveva eliminato dall’orizzonte della vita istituzionale del nostro paese.

Non è una riforma contro gli avvocati - ha affermato Mastella - non è una riforma contro nessuno, ma a favore dei cittadini a cui bisogna guardare con la debita attenzione ponendoli al centro del senso della giustizia e dell’organizzazione della giustizia. Vogliamo dire all’opposizione che noi non abbiamo scritto la legge sotto dettatura dei magistrati, abbiamo praticato le scuole dell’obbligo anche quelle del diritto, forse con qualche master universitario, abbiamo determinato e fatto una legge che non offende nessuno a differenza di quella passata che aveva solo un obiettivo quello di umiliare la magistratura".

"Lo dico - ha concluso il ministro - con senso di serenità chiedendo oggi alla magistratura che siccome c’è stato uno scatto di orgoglio del Parlamento e della mia maggioranza ci sia un’impennata di sereno orgoglio da parte della magistratura di accogliere questa grande occasione nel senso di quella leale collaborazione tra poteri della stato di cui parla la nostra costituzione che sono poteri al servizio non poteri contro poteri o potere tra poteri al servizio dei cittadini tutti del nostro paese".

Infine Mastella ha ringraziato Udc, Mpa e Lega "che hanno dimostrato senso delle istituzioni e hanno creduto nella rappresentatività del Parlamento restando in aula a differenza di altri che hanno usato questa occasione più per un fatto di propaganda che per un esercizio di dialettica parlamentare".

 

Scheda della legge Mastella

 

Funzioni tra magistratura requirente e giudicante distinte sì, ma molto leggermente, no ai test psicologici per diventare toga e un tirocinio più corto. E se un giudice è bollato come "fannullone" è anche possibile che venga licenziato. Gli avvocati, inoltre, non potranno valutare l’operato dei magistrati, in quanto non membri di diritto dei consigli giudiziari. Ecco i punti salienti della riforma dell’ordinamento giudiziario targata Clemente Mastella, che con il via libera definitivo della Camera arrivato in nottata diventa legge e archivia la riforma Castelli approvata dalla Cdl nella scorsa legislatura.

Test di ammissione e scelta di campo. La riforma Mastella non prevede più il test psico-attitudinale per chi vuole diventare magistrato, ma soprattutto, al momento degli esami, il candidato non dovrà più scegliere se fare il giudice o il pm. Per accedere al concorso, però, non basterà la laurea in legge. Servirà comunque la conoscenza di tutte le branche del diritto, ma anche avere ulteriori titoli laurea. In compenso, spariscono i limiti d’età per chi vuole diventare magistrato. Inoltre, nelle commissione d’esame, al fianco di giudici e docenti universitari, saranno presenti anche avvocati.

Cambio funzioni. Le toghe potranno cambiare funzione, ma non più di quattro volte in tutta la carriera. Per farlo, però, dovranno trasferirsi in una regione diversa. L’incompatibilità territoriale è stata però attenuata nel passaggio da pm a giudice civile e viceversa: il magistrato dovrà soltanto cambiare provincia.

Verifiche periodiche. I magistrati saranno soggetti da parte del Csm ogni 4 anni a valutazione di professionalità, senza però che essa abbia come oggetto l’attività di interpretazione del diritto o di valutazione del fatto o delle prove. Tra l’altro, fino alla prima valutazione, i magistrati non potranno mai svolgere funzioni requirenti, giudicanti monocratiche penali o di Gip o di Gup. Una valutazione negativa che si ripeterà per più volte potrà portare anche al licenziamento dei magistrati negligenti.

Incarichi a tempo. Tutti gli incarichi, direttivi e semidirettivi, saranno temporanei e dureranno 4 anni, rinnovabili per altri 4, con la valutazione favorevole del Csm. Ai magistrati con più di 71 anni d’età non potranno essere affidati incarichi direttivi nuovi.

Scuola di magistratura. La scuola superiore della magistratura mantiene competenza "in via esclusiva" per ciò che riguarda la formazione e l’aggiornamento di giudici e pm. Tra gli organi, spariscono i comitati di gestione, spuntano il segretario generale e i responsabili di settore. Il comitato direttivo della scuola sarà formato da 7 magistrati, 3 universitari e 2 avvocati. La nomina spetta in parte al Csm e in parte al ministro della Giustizia (un giudice, due docenti e due avvocati). Per le toghe sarà obbligatorio frequentare corsi di specializzazione e aggiornamento.

Tirocinio. Il tirocinio per i neo-magistrati passa da 24 a 18 mesi, con 6 mesi di scuola obbligatoria. Con la Mastella, inoltre, cambierà anche il procedimento di valutazione finale: sarà infatti il Csm a esprimere il giudizio di idoneità al conferimento di funzioni giudiziarie, tenendo conto delle tre relazioni, una per ogni sessione di tirocinio, e della relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della scuola.

Avvocati con meno poteri nei consigli giudiziari. Gli avvocati saranno presenti nei consigli giudiziari, ma non saranno membri di diritto. Essi saranno soltanto elettivi e quindi non potranno partecipare alla valutazione dei magistrati. Inoltre, cambieranno le regole per l’elezione dei togati. Infine, nei consigli giudiziari saranno istituite sezioni autonome relative ai giudici di pace.

Giustizia: riforma che evita la "Castelli" e ci ridà la Costituzione

di Domenico Gallo (Magistrato)

 

Liberazione, 29 luglio 2007

 

Dopo una durissima battaglia parlamentare, finalmente è stata approvata una legge organica (ma ancora incompleta) di riforma dell’ordinamento giudiziario, che è riuscita a scongiurare - a poche ore dalla scadenza - l’entrata in vigore della parte principale della oscena riforma "Castelli". In questo modo l’Unione ha realizzato un risultato di grandissimo rilievo politico, marcando una radicale discontinuità rispetto alla precedente maggioranza politica.

La questione dell’ordinamento giudiziario può sembrare una vicenda astratta rispetto ai problemi, molto più concreti, che riguardano la vita di tutti i cittadini e che in questo momento interpellano la politica chiedendo delle risposte in tema di pensioni, garanzie del lavoro e diritti sociali. Invece è questione di massimo rilievo politico, e che quindi riguarda tutti, perché attiene ai fondamenti dei diritti di cittadinanza.

I Costituenti previdero, con la settima Disposizione transitoria e finale, che, per darsi attuazione ai principi costituzionali in tema di giustizia, occorreva una "nuova legge sull’ordinamento giudiziario", che sostituisse l’ordinamento vigente, emanato dal fascismo nel 1941, perché si resero conto che i principi articolati dalla Costituzione a garanzia del corretto ed indipendente esercizio del potere giudiziario per diventare effettivi avevano bisogno di un ordinamento giudiziario coerente.

La legge sull’ordinamento giudiziario, quindi, è lo strumento tecnico attraverso il quale si fanno scendere in terra i principi costituzionali e li si innestano nell’ordinamento, rendendo concreti e tutelabili i diritti fondamentali della persona previsti nella prima parte della Costituzione. Chi vuole rendere inoperante il controllo di legalità nei confronti dell’esercizio dei poteri pubblici e privati, è sull’ordinamento giudiziario che deve operare.

Qui c’era la genesi, l’ispirazione profonda della riforma confezionata dalla Casa della Libertà nella passata legislatura. La riforma Castelli rivoltava completamente l’ordinamento giudiziario vigente, allo scopo di cancellare o rendere al massimo inoperanti tutti (proprio tutti!) i principi costituzionali. Dal principio che i giudici sono soggetti soltanto alla legge, a quello che i magistrati si distinguono fra di loro solo per la diversità di funzioni, al principio del potere (giudiziario) diffuso, al principio della obbligatorietà dell’azione penale. Il risultato cui la riforma mirava era quello di ottenere dei magistrati deboli, isolati ed intimiditi, la cui libertà di coscienza veniva compressa al massimo da condizionamenti di ogni tipo, mentre il controllo diffuso di legalità nei confronti degli abusi del potere, diveniva quasi impossibile. La riforma Castelli introduceva un ordinamento giudiziario, radicalmente disomogeneo rispetto alla Costituzione del 1947, ma, tuttavia, coerente con l’ordinamento autoritario dello Stato designato dalla nuova costituzione scritta dai quattro cosiddetti "saggi di Lorenzago" (Calderoli, Nania, D’Onofrio e Pastore). Per questo la riforma dell’ordinamento giudiziario, accompagnata da tutte le altre "leggi della vergogna", costituiva il capitolo occulto dell’ambizioso disegno di controriforma della Costituzione, naufragato con il referendum del 25-26 giugno 2006.

Il merito fondamentale della legge approvata ieri dal Parlamento è quello di aver cancellato anche questo capitolo occulto, ripristinando il primato della Costituzione. E tutto questo non è avvenuto, ripristinando l’ordinamento vigente prima della Castelli, ma nel contesto di un ambizioso progetto di riforma, volto a dare completa attuazione al precetto Costituzionale che imponeva di superare l’ordinamento di derivazione fascista con una nuova legge organica sull’ordinamento giudiziario.

La critica principale che si può fare al testo licenziato dalle Camere è la sua incompletezza. Nel corso del percorso parlamentare sono state stralciate parti importanti della riforma: quella relativa alla modifica dell’assetto verticistico degli Uffici di Procura, quella relativa al Consiglio Superiore della Magistratura e quella relativa all’ordinamento dei Tribunali militari. Questa scelta, determinata dall’esigenza di accelerare il percorso della riforma, si è rivelata vincente perché ha consentito l’approvazione della legge entro la scadenza del 31 luglio 2007 (imposta dalla L. 24/10/2006 n. 269). Tuttavia sarebbe esiziale se l’Unione non si impegnasse per trasformare in legge tutte le parti stralciate, lasciando così incompleta la riforma.

Nel merito, la riforma ha inteso dare piena attuazione al principio costituzionale secondo cui la magistratura è unica, sia nel concorso di ammissione, sia nel tirocinio e nel ruolo di anzianità e si distingue solo per le funzioni esercitate. È stato così abolito il sistema delle qualifiche in cui si articolava la carriera del magistrato e la diversità delle funzioni ha perso ogni connotazione gerarchica. Nello stesso tempo è stato introdotto un rigoroso sistema di valutazione della professionalità a cui è ancorata la progressione economica. La riforma ha attuato una rigidissima separazione delle funzioni giudicanti e requirenti, facendo forse un sacrificio eccessivo ai miti del processo accusatorio, ma ha scongiurato il pericolo di una separazione delle carriere che avrebbe inesorabilmente spinto il pubblico ministero al di fuori della cultura della giurisdizione.

Tuttavia se è stato investito molto sull’imparzialità del giudice, sono state stralciate le norme volte a garantire l’imparzialità del Pubblico Ministero, bene giuridico altrettanto importante per garantire l’effettività del controllo di legalità. Basti pensare ai fatti di Genova, a quello che sarebbe accaduto, se non vi fosse stato un’azione imparziale di controllo del pubblico ministero nei confronti degli abusi compiuti dalle forze dell’ordine. Per questo è importante che riprenda immediatamente il percorso parlamentare, soprattutto delle norme che riguardano il Pubblico Ministero.

La riforma ha suscitato molte perplessità, critiche, a volte tanto violente quanto ingenerose. Come tutte le leggi di riforma organica, avrà bisogno di manutenzione per smussarne le rigidità e modificare i meccanismi che si rivelassero inefficienti o ingiusti. Insomma dovrà essere messa a regime attraverso una paziente opera di verifica del suo funzionamento.

Quello che conta è che, abbandonato il modello del giudice funzionario, si sono restaurate le condizioni perché la giurisdizione possa assolvere al ruolo fondamentale che le compete nel quadro dello Stato di diritto. Un ruolo fondamentale per la salute della democrazia, come ci insegna un maestro del diritto, Domenico Barbero che nell’introduzione del suo testo di diritto privato, non si stancava di denunziare i guasti prodotti dai giudici funzionari che avevano ridotto la Giurisprudenza dalla maestà di una "divinarum atque humanarum rerum notizia" ovvero una "meccanica esercitazione di codice". Questo metodo - denunziava Barbero - "ha prodotto l’ambiente e le condizioni tecniche ideali per la dittatura fascista. Che non sarebbe forse passata con una giurisprudenza più cosciente e, pertanto, più gelosa della sua superiorità della sua funzione; e che potrebbe anche ripresentarsi se la giurisprudenza non si affretta a prendere coscienza di codesta superiorità, a rifarsi un abito mentale che ripristini la ragione, dovunque sia bandita... fosse anche dalla legge, e a considerare sé stessa non come fucina di sentenze ottenute meccanicamente attraverso l’introduzione di un articolo di legge, ma fattrice di giustizia indagata e, se occorre, faticosamente rintracciata al vaglio di tutti gli elementi di ragione, chiudendo anche arditamente la porta di fronte a chiunque pretenda di entrare nel suo stesso tempio a portarvi la profanazione con lo stivale speronato o con la faccia infarinata".

Giustizia: Di Pietro; Mastella ha ottenuto il massimo possibile

 

Apcom, 29 luglio 2007

 

Tregua tra il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, e il collega titolare della Giustizia, Clemente Mastella. All’indomani dell’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario, il leader dell’Idv plaude all’azione del Guardasigilli, che ha portato a casa il miglior risultato possibile: "Non ho difficoltà a dire che, sostengo, apprezzo e approvo lo sforzo portato avanti dal collega Mastella il quale, questa volta, di più non poteva fare", ammette Di Pietro.

"Più di così, onestamente - prosegue Di Pietro - non si poteva fare. È per questo che noi dell’Italia dei Valori abbiamo votato a favore della riforma Mastella a cui va riconosciuto il merito di aver trovato l’unico punto d’equilibrio possibile per venire incontro alle esigenze di indipendenza della magistratura e di funzionalità del sistema ordinamentale della stessa. In assenza del meglio, quindi - ribadisce Di Pietro - un plauso al Guardasigilli per aver almeno portato a casa il massimo possibile".

Giustizia: Radicali; una maggioranza prona alla magistratura

 

Apcom, 29 luglio 2007

 

"Bocciati emendamenti sostenuti in aula da La Rosa nel Pugno, fra una maggioranza prona agli interessi corporativi della magistratura, e una opposizione rumorosa ma rigorosamente a ranghi ridotti". Lo afferma Marco Beltrandi, deputato de La Rosa nel Pugno commentando l’approvazione definitiva della riforma dell’ordinamento giudiziario che la notte scorsa ha avuto il via libera definitivo con il voto della Camera.

"Fra i diversi Odg de La Rosa nel Pugno accolti ieri, anche come raccomandazione, dal Governo in sede di approvazione del disegno di legge Mastella sull’ordinamento giudiziario, ve ne è uno - aggiunge Beltrandi - che impegna il Governo a limitare gli incarichi extragiudiziari dei magistrati, anche a legislazione vigente, che compromettono l’immagine e la realtà di autonomia ed indipendenza della magistratura, e la separazione dei poteri, con particolare riferimento ai distacchi di magistrati al Ministero della Giustizia".

"È un risultato importante, anche se piccolo rispetto agli emendamenti al ddl che La Rosa nel Pugno ha presentato e sostenuto anche in aula, di fronte ad una maggioranza sorda e prona agli interessi corporativi dell’associazionismo della magistratura, e ad una opposizione che tanto ha ruggito ma rigorosamente a ranghi ridotti alla Camera. Senza contare che quando era ampia maggioranza in Parlamento - conclude - non ha realizzato granché in materia."

Giustizia: Anm; il ddl chiude una delicata partita istituzionale

 

Apcom, 29 luglio 2007

 

"A tarda notte la Camera dei deputati ha definitivamente approvato il ddl sull’ordinamento giudiziario, chiudendo una fase importante di una complessa partita istituzionale iniziata più di cinque anni fa". Nello Rossi, segretario dell’Associazione nazionale magistrati, commenta così l’approvazione della riforma definitiva dell’ordinamento giudiziario avvenuta questa notte alla Camera dei deputati.

"Innanzitutto, sul piano del metodo, - aggiunge Rossi - due riconoscimenti: ai parlamentari italiani che, in questo luglio infuocato, hanno lavorato intensamente per approvare la nuova legge di ordinamento prima della scadenza del 31 luglio 2007 (anche a quelli che hanno mosso critiche, durissime e spesso totalmente irrispettose della verità, ai magistrati ed alla loro libera associazione)" e "al Ministro della Giustizia che , in condizioni assai difficili, ha operato come un efficace risolutore di problemi; quello che ci si aspetta da un uomo politico che ha la responsabilità di un ministero".

Sul terreno dei contenuti l’Anm, prosegue Rossi, ha "ben presente la enorme distanza culturale e tecnica che separa la legge oggi approvata dalla punitiva e mortificante controriforma Castelli anche se mantiene riserve di principio e critiche specifiche verso il testo approvato".

Per l’Anm è "certamente negativo che l’assetto organizzativo degli uffici di Procura sia rimasto quello verticistico e burocratico introdotto dalla legge Castelli e che sia stata accantonata la norma contenuta nel testo originario del ddl Mastella sulla trasparente e controllabile programmazione dell’ufficio di Procura. Così come è insoddisfacente la normativa sulla direzione e sulla organizzazione della Scuola della Magistratura".

Vi sono poi "imperfezioni tecniche" che l’associazione aveva rappresentato in tutte le sedi e che a nostro avviso reclameranno rapidi interventi correttivi. Il riferimento è soprattutto alla "disciplina transitoria della temporaneità degli incarichi di direzione (che dovrà essere rimodulata al fine di non ingolfare e paralizzare l’attività del Csm) ed alla eccessiva rigidità delle norme sul primo impiego degli uditori giudiziari (che dovrebbero essere rese più elastiche per tener conto delle situazioni di alcuni uffici)".

"Occorrerà continuare a ragionare, discutere, criticare, studiare, proporre per migliorare. Ma da oggi le figure istituzionali del giudice e del pubblico ministero - continua Rossi - hanno di nuovo intorno a sé le mura della legge".

È un fatto importante, dopo anni di "instabilità e di gravi incertezze", anche se "queste mura appaiono solo in alcune parti solide e ben costruite, mentre in altri punti mostrano brecce e varchi pericolosi, che occorrerà colmare, o incrinature che le rendono incombenti ed opprimenti per gli stessi soggetti istituzionali che dovrebbero garantire".

"Nel prossimo futuro - conclude Rossi - l’associazione nazionale magistrati continuerà a lavorare sui temi ordinamentali per ottenere modifiche e perfezionamenti , ma intensificherà il suo impegno sui temi del processo, dell’organizzazione giudiziaria e delle condizioni economiche, di vita e di lavoro dei magistrati e degli operatori della giustizia per contribuire a realizzare una giustizia più efficace ed in grado di soddisfare la promessa costituzionale della ragionevole durata del processo".

Intercettazioni: Catanzaro; un'indagine ministeriale sul perito

 

Asca, 29 luglio 2007

 

Le difese - e anche gli 007 di via Arenula impegnati in queste ore nell’ispezione alla Procura di Catanzaro - avrebbero focalizzato la loro attenzione sull’incarico conferito al consulente tecnico e sullo svolgimento dello stesso anche sulla base di un precedente ratificato dalla Suprema Corte. Che nel confermare un’ordinanza del tribunale di Genova del 2003 - dove si respingeva la liquidazione delle spese degli onorari di un consulente tecnico del pubblico ministero - poneva dei paletti all’attività del consulente.

Anche sulla base di questo precedente, le relazioni di Genchi con annesse le sue "considerazioni atecniche", potrebbero rischiare di essere inutilizzabili. Secondo i difensori, infatti, la necessità di non dilatare l’ambito della funzione del perito del Pm risponderebbe a una duplice esigenza: non sostituirsi o sovrapporsi ai carabinieri nello svolgimento delle indagini, che per legge spettano alla sola polizia giudiziaria, né fare valutazioni "non specificamente tecniche" di competenza esclusiva del Pm.

 

Nessuna delle persone indagate (e non) a Catanzaro, che hanno contattato telefonicamente Antonio Saladino, definito dalla Procura "il deus ex machina dell’articolato progetto criminoso", avevano finora minacciato querele negando l’evidenza riportata in atti. Unica eccezione il vicepremier Francesco Rutelli che con una nota alle agenzie di stampa, ieri ha fatto sapere d’aver "dato mandato ai suoi legali di perseguire il Giornale nelle sedi giudiziarie competenti per l’intollerabile diffamazione nei suoi confronti. Nel titolo "Catanzaro, coinvolto pure Rutelli" - continua la nota - si riporta una notizia falsa e diffamatoria perché Rutelli non è coinvolto in nessun modo nelle vicende penali oggetto delle indagini giudiziaria di Catanzaro".

 

Il nome del vicepremier

 

In un modo, in realtà, il nome del vicepremier esce fuori nella consulenza del perito Gioacchino Genchi allorché si parla di "numerosi" contatti telefonici tra Saladino e Rutelli. Così anziché prendersela con i giornalisti, Rutelli avrebbe potuto indirizzare altrove i suoi strali come peraltro stanno facendo sia i difensori di gran parte degli imputati sia gli stessi ispettori ministeriali che in queste ore stanno setacciando gli uffici del Pm Luigi de Magistris (quello che ha indagato Romano Prodi) anche alla ricerca di eventuali irregolarità nel conferimento e nell’espletamento del mandato peritale dove di Rutelli, e Saladino, si parla a pagina 10.

Sott’osservazione, infatti, è finito l’incarico al super esperto Genchi che ha firmato la relazione preliminare dove si tirano severe conclusioni su indagati e personaggi politici basandosi sulla mera circolarità, e sulla frequenza, dei contatti telefonici. Poliziotto in aspettativa, esperto in tabulati e sviluppi informatici, Genchi da quindici anni è consulente di punta di numerose procure.

Grazie a lui si è arrivati alla scoperta del tesoro di Provenzano e ai killer di Capaci, attraverso lui Giovanni Falcone alzò il livello di protezione dopo il fallito attentato all’Addaura. Adesso, però, Genchi è nell’occhio del ciclone perché potrebbe essere andato ben oltre i compiti assegnati dal sostituto de Magistris.

 

La buccia di banana

 

L’affondo nei confronti di Genchi è tutto qui. Certe considerazioni, e certi ragionamenti del perito avallati dal Pm, sia nell’ultima relazione che in quelle immediatamente precedenti - insistono i difensori - avrebbero stravolto i dettami dell’incarico circa la semplice "acquisizione, elaborazione e analisi dei dati di traffico e delle istanze intercettive".

Da una prima lettura delle relazioni peritali, osservano al dicastero di via Arenula, si evincerebbe proprio questo: commenti e valutazioni anziché asettici rilievi tecnici e riscontri probanti sull’attività degli associati del presunto "comitato d’affari". Il riferimento va anche a talune conclusioni riportate sull’ultimo documento depositato dove, ad esempio, a commento di alcuni incroci telefonici e delle trascrizioni di conversazioni intercettate, Genchi scrive: "Queste rendono lo spaccato plastico del modus operandi di Antonio Saladino e degli stretti rapporti con Sandro Gozi (parlamentare dell’Ulivo, ndr).

Con questo suo modo di fare e con il più assoluto e totale trasversalismo politico, Saladino si è posto nelle condizioni di potere dare e pretendere qualunque tipo di favore o di servigio dai diversi soggetti politici (politici, ministri, pubblici funzionari) appartenenti a diversi schieramenti politici con i quali è entrato in contatto". E ancora: "Sarebbe un grave errore tentare di attribuire un colore politico a Saladino tirando la coperta dell’indagine da destra, da centro o da sinistra, nel tentativo di strumentalizzare le risultanze.

È inutile nascondersi dietro un dito o negare l’evidenza, specie nel considerare la sequela di polemiche, di disinformazioni e di mistificanti strumentalizzazioni, che la necessitata ostensione di alcune limitate risultanze delle indagini, ha determinato nelle scorse settimane". Parole in libertà, commenti non richiesti, conclusioni suffragate da meri indizi e non da solidi riscontri, attaccano i difensori. Che incalzando Genchi e la sua perizia, offrono un assist agli 007 ministeriali a caccia di una buccia di banana su cui far scivolare il pm che ha indagato Prodi e intercettato Mastella.

Bolzano: libertà negata, nomade 22enne partorirà in carcere

 

L’Espresso, 29 luglio 2007

 

Ventidue anni di età e 55 denunce per furto. Sulla carta è stata condannata complessivamente a nove anni e 9 mesi di reclusione. Dopo le prime due condanne avrebbe dovuto starsene in carcere in realtà ha avuto via libera per continuare a delinquere. È la storia giudiziaria di Veselinka Jovanovic, nomade slava finita in carcere a Bolzano.

Ieri mattina è comparsa davanti al tribunale del riesame per rivendicare il diritto di tornare in libertà perché madre di due bimbi piccoli, in attesa di un terzo che dovrebbe nascere tra un mese. La giustizia italiana, si sa, ha le maglie larghe ma questa volta probabilmente si sono superati tutti i limiti.

Di fronte alla classica tecnica di chi pensa di continuare a delinquere facendo leva sul diritto di restare libera perché incinta o già mamma, il tribunale ha deciso di voltare pagina con un’ordinanza - a firma del presidente Edoardo Mori - che farà discutere.

La giovane donna nomade dovrà sostanzialmente partorire dietro le sbarre. O meglio, potrà essere ricoverata in ospedale nell’imminenza del parto ma dovrà poi far subito ritorno in cella (con il bimbo da allattare) non appena dimessa.

L’ordinanza del tribunale (presidente Edoardo Mori, giudici a latere Carlo Busato e Lorenzo Puccetti) funge da denuncia pubblica alle disfunzioni del nostro sistema giudiziario ove la certezza della pena è ormai diventato un miraggio. Come detto la giovane nomade in questione è stata denunciata già 55 volte per furti vari ed ha rimediato condanne per complessivi 9 anni e 9 mesi.

Dopo le prime due condanne non avrebbe dovuto restare libera per continuare a delinquere. In realtà dal 1996 in poi ha continuato imperterrita a razziare per tutta Italia da Roma a Udine. "In tutto questo periodo - si legge nell’ordinanza del tribunale - nessun giudice ha avuto la capacità professionale sufficiente per accorgersi che erano ampiamente maturate le condizioni per la dichiarazione obbligatoria della delinquenza abituale" che in realtà non vi fu.

Ora la giovane nomade dovrà restare in carcere nonostante la gravidanza. Lo aveva disposto (per eccezionali esigenze cautelari) il Gip, lo ha confermato il tribunale del riesame. "Di fronte ad una scelta di vita criminosa globale - si legge nell’ordinanza - con il furto in abitazioni altrui come unico scopo, di fronte ad una mentalità criminosa inculcatale sin da piccola, di fronte alla constatazione che nessuna pena ha minimamente scalfito i propositi criminosi... è di tutta evidenza che le esigenze cautelari sono sicuramente eccezionali".

Le esigenze della gravidanza? "Possono essere senz’altro rispettate anche in carcere - scrive il tribunale - specie se paragonate con quelle che può garantire il nomadismo a cui è dedita la donna per commettere furti".

Genova: e l’inchiesta sulle minacce a monsignor Bagnasco...?

 

Liberazione, 29 luglio 2007

 

I proiettili al presidente della Cei Bagnasco, perché non si è parlato più di quella storia? Al vescovo arrivano tre proiettili, e una lettera con scritto Monsignore, lei deve morire: se non con queste che le mando, lo farò di persona. Si parla di ennesima recrudescenza sotterranea di anticlericalismo. Poi, per qualche giorno, si sospetta che l’autrice sia Nadia Desdemona Lioce, la brigatista: nella sua cella di massima sicurezza a L’Aquila si trovano dei pezzetti di carta da cui si potrebbe ricostruire una specie di brutta copia della lettera minatoria.

Passano settimane e il 9 giugno viene fuori la verità: c’è un ex-carabiniere che si voleva vendicare di una prostituta con cui aveva avuto una relazione. Lei l’aveva lasciato e lui, al tempo ancora in servizio, l’aveva continuata a perseguitare, richiedendole prestazioni sessuali in cambio di minori controlli. Lei aveva deciso di denunciarlo (si chiama concussione sessuale). Lui era andato a casa e aveva scritto una lettera imitando una grafia strampalata, sperando che le accuse ricadessero sul nuovo compagno di lei, un immigrato albanese.

Ecco una bella storia di quest’Italia e dei capri espiatori che più sono andati quest’anno: anticlericali, terroristi, immigrati. Una catena accusatoria generata dal desiderio sessuale frustrato di un uomo. Così l’immaginario collettivo, cioè noi, ne sforniamo a getto continuo. Autisti ubriachi e piromani e cellule salafite sono solo gli ultimi arrivati. Ma il must per le ultime stagioni è stato un altro: i pedofili.

Giusto per fare capire quanto l’insofferenza sociale si sia incarnata nella caccia all’orco: Roma per due settimane è stata letteralmente tappezzata da manifesti che invocavano una presa di posizione contro una fantomatica giornata dell’orgoglio pedofilo internazionale - un sito tedesco (!) che era già stato oscurato da tempo.

Ma è difficile rovesciare questa dinamica. Neanche un mese fa Repubblica (non Libero, appunto) apriva in prima pagina con un’inchiesta di Paolo Berizzi a nove colonne che millantava un complotto internazionale; la sobrietà dell’articolo si poteva scorgere fin dalle prime righe: "Per entrare nella stanza dell’orco non bisogna nemmeno bussare. Si saltano le presentazioni. Nessuna maschera o identità posticcia. Al massimo: un nickname a scadenza. In molti casi neanche quello. Entri e fai i tuoi porci comodi, e anche ottimi affari". Insomma che fare quando l’allarmismo diventa sentimento di massa?

Un minimo antidoto nel caso specifico è il libro di Marina Valcarenghi, psicanalista junghiana, appena uscito per Bruno Mondadori. Si intitola Ho paura di me. Il comportamento sessuale violento (pp. 208, euro 18,00) e parla di pedofilia e di stupro, e - udite! udite! - non giunge a nessuna conclusione sui due temi. Però è sicuramente un libro che può placare l’ansia sociale.

Parte da un dato un po’ inquietante - il 50% dei suoi pazienti, racconta Valcarenghi, hanno subito molestie e abusi da bambini - e si fa una domanda: che fine fanno i molestatori? Chi se ne occupa? I politici no, i magistrati no, i criminologi no, i medici no, i formatori no, e spesso neanche gli psicologi, quasi impauriti che ad avvicinarsi al mostro si diventi correi o ci si contagi per una sorta di infezione psichica.

I pedofili e gli stupratori che vengono alla luce sono marginalizzati, incarcerati, marginalizzati anche in carcere, farmacologizzati, annientati, molti si suicidano. Perché, ci si chiede, uno dovrebbe confessare pulsioni pedofile o un’aggressività sessuale? E infatti non lo fa, e invece di cercare di capire come trasformare il suo istinto violento in altro, ci si abbandona come non fosse artefice delle sue azioni.

Dall’immaginare violenze sui bambini o sulle donne, passa a compierle. Valcarenghi riporta con discrezione il fuoco di un problema sociale al suo luogo di interesse originario appunto: la società. Il libro è il resoconto della sua esperienza di analista con pedofili e stupratori, spesso detenuti, e della difficoltà - ma anche della necessità - di riuscire a trovare e implementare dei percorsi terapeutici con quelle persone che vengono definitivamente escluse o si autoescludono dal consesso sociale.

Al bando qualsiasi atteggiamento giustificatorio, la base di partenza è che la violenza sessuale sia oggi un tabù sociale e un crimine, e quindi questo deve essere il contesto in cui si agisce per una possibile analisi. Ma al bando anche qualsiasi pretesa onnicomprensiva: non ci sono - allo stato degli studi che riporta Valcarenghi - dati che consentano di stabilire un’unica causa alla radice del comportamento pedofilo, per esempio, né tantomeno standard di intervento.

Molti pedofili hanno subito violenze sessuali da bambini, è vero; la maggior parte dei pedofili è di sesso maschile, è vero: esistono tanti di questi indizi ma nessuno ha una efficace capacità diagnostica. E proprio grazie a questo approccio, centrato sul caso personale, sull’individualità dell’unico essere umano, l’orco torna ad essere un paziente come potremmo essere noi. Paura? Ma soprattutto - e questo mi sembra il maggior pregio della sua visione anti-ideologica già chiara e distinta nei suoi due libri precedenti, L’aggressività femminile e L’insicurezza - il malessere del singolo va preso in carica dall’intera società, per aiutarlo certo, ma anche per non fare di sé un monumento falso alla purezza.

Verona: delegazione penitenziaria romena in visita a Montorio

 

L’Arena di Verona, 29 luglio 2007

 

La casa circondariale di Montorio ha aperto i cancelli a una delegazione romena del carcere di massima sicurezza di Arad. Per una settimana, infatti, il direttore Dan Hakchin, il vice direttore economico amministrativo Daniel Lancea, il responsabile del blocco alimentare e mensa Delia Jacob, l’ufficiale istruttore delle guardie carcerarie, Catalin Lepadatu e la psicologa Corina Gruia, hanno visitato la struttura detentiva veronese e osservato da vicino quelle che sono le differenze, ma anche le somiglianze, tra gli istituti dei due Paesi dell’Unione Europea.

Ne è emerso che i programmi di recupero e i progetti si somigliano e così anche le strutture. Anche il sovraffollamento è un problema delle carceri rumene, che vedono un esubero di carcerati pari al 15 per cento. Nel Paese dell’Est da poco entrato nella comunità europea le carceri sono 39, sette i centri di rieducazione per i minori.

Ad Arad fa capo anche il centro di formazione professionale del personale. Qui per 1500 detenuti operano 500 guardie carcerarie. Il processo di riforma delle carceri rumene è stato avviato nel 2003. Il governo romeno basandosi su una ratifica di legge del 1994 che stabiliva una Convenzione per la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ha abrogato norme come la detenzione preventiva, allineandosi agli standard europei. Nel 2004 ha demilitarizzato il personale delle carceri. Nel 2006 infine ha introdotto nuovi elementi come l’istituzione del giudice delegato per l’esecuzione delle condanne e la personalizzazione delle cosiddette pene private di libertà.

"Un confronto positivo", lo ha definito il direttore della casa circondariale di Montorio Salvatore Erminio, che tra l’altro ha evidenziato come il sistema di recupero alla socialità sia pressoché uguale. "Anche nelle carceri romene si parla di programma di scolarizzazione, di formazione professionale, di attività artistiche, di promozione culturale e di programma sportivo".

Le differenze sono più che altro burocratiche e si legano alla partecipazione del personale carcerario alla richiesta di libertà condizionata. È infatti una commissione composta da personale interno affiancato da psicologi e assistenti sociali che col magistrato decide in merito alla scarcerazione.

Como: partita amichevole di calcio tra detenuti ed ex campioni

 

La Provincia di Como, 29 luglio 2007

 

Il carcere ha regole che non si possono trasgredire, nemmeno su un campo da calcio. Quando i detenuti si incontrano per una partita amichevole, devono essere sportivi, leali. Competitivi, anche: ieri pomeriggio, la squadra che ha sfidato le vecchie glorie del Calcio Como ha giocato anzitutto per vincere.

Ma quando c’è stato da battere un rigore ingiustamente assegnato dall’arbitro, Tonino Viola ha accompagnato dolcemente il pallone fra le braccia del portiere, con una correttezza rara fra uomini liberi. Sarà stato anche perché ormai la sua squadra trionfava per 7 a 3, su una formazione di campioni e amministratori locali che aveva un’età media doppia.

Non c’è stata partita, si direbbe, fin dal momento in cui i quattordici hanno messo piede su un campo che si riconosceva solo dalle porte: primo tempo senza linee laterali, perché qualcuno si era dimenticato di disegnarle con la calce. "Campo irregolare, per questo abbiamo perso", scherza Giuseppe Moretti, fra gli organizzatori di un evento che ha animato la giornata al Bassone "E ora vi aspettiamo fuori da qui", ha detto ai ragazzi durante la premiazione, che ha consacrato vincitori e capo cannonieri: Tonino Viola, autore di tre gol; Mourad, algerino di 22 anni che ne ha segnati quattro.

Chi faceva il tifo, accanto al presidente provinciale del Coni Alberto Botta e sotto lo sguardo vigile degli agenti di polizia penitenziaria, coordinati dal vicecomandante Calogero Castronovo; chi chiedeva autografi a Ennio Fiaschi e Silvano Fontolan, che non ha mancato di elogiare il gruppo rivale: "Sono bravi e molto agguerriti".

"Ma questo non è solo un evento sportivo - riflette Mauro Imperiale, responsabile dell’area educativa - È un momento di educazione e formazione, un modo per rendere il carcere meno austero e per stabilire un rapporto con il territorio. Un ringraziamento particolare va al magistrato di sorveglianza di Varese che ha autorizzato la manifestazione".

Livorno: arrestato fugge da auto della polizia davanti al carcere

 

Ansa, 29 luglio 2007

 

È accaduto la notte scorsa. L’uomo, 36 anni, livornese, già conosciuto dalle forze dell’ordine, era stato arrestato dal personale della squadra mobile poco prima, con l’accusa di essere l’autore di quattro rapine in tre farmacie e in un supermercato avvenute nel territorio della città toscana nei giorni scorsi. Una volta che l’auto della polizia, priva di contrassegni, è arrivata davanti al carcere delle Sughere, i poliziotti sono scesi dalla macchina per farsi riconoscere dal personale di guardia dell’istituto penitenziario. È stato allora, secondo quanto spiegato, che l’arrestato è riuscito ad aprire la portiera della macchina e a fuggire. Immediate le ricerche con posti di controllo in tutta la città che per ora non hanno dato alcun esito.

Teatro: Armando Punzo presenta il suo "Pinocchio galeotto"

 

La Repubblica, 29 luglio 2007

 

Candidato come sempre all’ammirazione generale, ecco l’annuale spettacolo della Compagnia della Fortezza nel Carcere di Volterra. Come tradizione, la cornice è piacevole da vedersi, stavolta grazie alla scenografia di Alessandro Marzetti e ai costumi di Emanuela Dall’Aglio.

La prima colloca in un cortile del penitenziario una scatola rettangolare dalle pareti nere con pavimento coperto di sabbia; in cima alle pareti della scatola, lungo due lati della quale sono le gradinate per il pubblico, si affacciano a guardare dentro grandi teste di asini, neri anche loro. Nella parete di fondo si apre una lunga finestra orizzontale, dentro la quale vedremo dei cuochi di ambo i sessi preparare amorevolmente impasto per fettuccine, ripieni vegetali e altri manicaretti.

I costumi, spiritosi e inventivi, creano animali con maschere di gomma - gatto, volpe, somaro, ecc., ossia quelli della storia di Pinocchio, secondo il titolo del Progetto (il sottotitolo è "Lo spettacolo della Ragione"). Li affiancano inservienti in nero con volto coperto; arriveranno poi anche altri personaggi della letteratura, come in particolare Don Chisciotte e Sancho Panza.

Il testo è quasi tutto declamato dall’autore nonché interprete e regista, il fondatore e direttore della Compagnia della Fortezza Armando Punzo: in falsetto, con finta voce di bambino amplificata da vari microfoni. Sono riflessioni amarognole sulla condizione umana ("non voler più esserci - non voler più far parte - prendere parte a questa - umanità") con un paio di inserti da grandi come Leopardi, incessantemente accompagnate da musiche classiche e molto solenni, Beethoven, Chopin.

Punzo è tutto in nero anche lui, con un lungo naso di plastica che si applica dopo avere accolto gli spettatori dimenandosi come un forsennato e mugolando in modo incoerente. Non sta fermo un momento ma corre per tutto lo spazio scenico, si butta per terra, esce e rientra portando in braccio un manichino che replica le sue fattezze e che compone al suolo per celebrare il funerale di quello e suo (il funerale di Pinocchio); interagisce, anche, coi vari animali che nel frattempo si aggirano senza altro da fare che mostrarsi, abbracciandoli, ficcandone uno dentro una cassa, togliendo a un altro la maschera e quindi permettendogli di dire qualcosa. Alla fine di un percorso convulso (circa 55’), si veste macchinosamente da gonfio pierrot in rosso, con tanto di faccia finta senza naso (Pinocchio è diventato un bambino, ossia si è allineato: triste epilogo) mentre la finestra del banchetto si chiude e le altre creature lo lasciano solo sulla scena.

Musiche, colori, movimenti, sorprese (una pioggia di coriandoli rossi) creano un intrattenimento discretamente avvincente, un sogno nel quale ci si immerge volentieri. Chi è venuto per confrontarsi ancora una volta con l’ormai mitico ensemble di detenuti può peraltro restare perplesso.

A parte un solo, irresistibile momento in cui cinque o sei omaccioni tatuati e seminudi prorompono chiassosamente, affermando la propria vitalità, tutto l’evento sembra solo contorno alla dilagante, ininterrotta, narcisistica esibizione del demiurgo: spesso sottolineata da applausi dei convenuti, ma almeno per me, insopportabile. E viene in mente Schindler, un altro santo indiscusso, il quale salvava gli ebrei, ma allo stesso tempo li faceva lavorare nella sua fabbrica; beninteso, gratis.

Droghe: un'occasione mancata per valutare la nuova legge

di Franco Corleone (Garante dei diritti dei detenuti di Firenze)

 

Fuoriluogo, 29 luglio 2007

 

Il governo illustra la relazione al parlamento sulle tossicodipendenze per l’anno 2006. La presentazione della Relazione 2006 sullo stato delle tossicodipendenze è stata sfruttata dai giornali e dalle televisioni per lanciare ancora una volta l’"allarme droga". Se passa il messaggio terrorizzante dell’emergenza droga, se il titolo più usato dai maggiori quotidiani è "Un italiano su tre fuma spinelli", vuol dire che la Relazione non ha centrato la sua mission, informativa e formativa.

L’articolo 131 del Testo Unico prevede che ogni anno vengano presentati al Parlamento i dati sullo stato della tossicodipendenza, sulle strategie adottate, sugli obiettivi raggiunti, nonché sugli indirizzi che saranno seguiti, con anche un’analisi sull’utilizzo dei fondi erogati. Se non ricordo male questa previsione fu adottata sulla base di un mio emendamento durante la discussione in Commissione al Senato del disegno Jervolino Vassalli; in ogni caso nella Relazione di minoranza nel 1989 scrivevo che questa era l’unica norma positiva perché ogni anno si sarebbe presentata l’occasione di discutere i risultati e riproporre, di fronte al fallimento inevitabile, una inversione di rotta.

Quali dati dovrebbero essere raccolti e presentati? Nella legge sono indicati chiaramente e soprattutto è previsto l’organismo deputato a questo compito. Si tratta dell’Osservatorio permanente che dovrebbe essere disciplinato da un decreto del ministro per la solidarietà sociale. In realtà, nonostante l’invito della Conferenza di Napoli di dieci anni fa, l’Osservatorio è rimasto sulla carta e il ministro Ferrero, pur avendo chiuso l’esperienza del Dipartimento nazionale antidroga e riportato le competenze all’interno del suo ministero, nulla ha fatto per far vivere l’Osservatorio (e ha continuato come i suoi predecessori a delegare le analisi al Cnr).

Quest’anno sarebbe stato necessario un segno di discontinuità profonda. Eppure, dalla tematizzazione stessa del rapporto, dalla (scarsa) quantità e qualità dei dati offerti, non emergono elementi validi per valutare l’impatto della nuova legge, specie sotto l’aspetto penale.

Invece di offrire una bussola di interpretazione politica e culturale del fenomeno, si susseguono capitoli sui consumi, sui consumatori problematici, sulla prevenzione e sui trattamenti, senza però centrare il nodo discriminante.

Da questo punto di vista assolutamente stravagante appare l’inserimento nel capitolo dei trattamenti delle segnalazioni alle prefetture ex articolo 75 del dpr 309/90 e le conseguenti sanzioni amministrative assai aggravate dalla Fini-Giovanardi. Nonostante le carenze suddette, colpiscono alcuni dati. Ad esempio, sono in aumento gli arresti e le segnalazioni. Il 76% dei soggetti risulta segnalato per la prima volta e nel 75% dei casi la segnalazione è per possesso di canapa. Le sanzioni adottate dai prefetti sono state ben 7.146 e 5.816 giovani sono stati inviati al Sert per il trattamento terapeutico.

Per piccolo spaccio (articolo 73 del dpr 309/90) sono state 29.593 le denunce e risultano entrate in carcere 25.399 persone di cui il 60% censito come tossicodipendente. Nella Relazione non risulta la sostanza oggetto del reato, d’altronde l’unificazione delle tabelle porta alla indifferenziazione delle sostanze e alla medesima pena, da sei a venti anni di carcere. Ma andando a consultare le Tavole del dischetto allegato si trova la conferma che la sostanza più perseguita (o perseguitata?) è la canapa. Infatti le operazioni antidroga riguardanti la cannabis sono state 9.407, pari alla somma di quelle riguardanti eroina e cocaina. I sequestri vedono sempre un netto primato dell’erba. Le persone di nazionalità italiana deferite all’autorità giudiziaria per piccolo spaccio di cannabis sono state 8.717, nettamente superiori a quelle relative alle altre sostanze. Va ricordato che in base alla nuova legge le pene inflitte saranno molto più gravi che con la legge precedente. Un dato di enorme gravità e che avrebbe dovuto essere al centro delle valutazioni della relazione è il numero dei procedimenti penali pendenti al 31.12. 2006, che vedono coinvolti 99.825 adulti e 2.888 minorenni (queste cifre si scoprono solo consultando gli allegati)!

Un capitolo che meriterebbe un maggiore approfondimento è quello relativo ai "costi sociali" legati all’uso di droghe. Al vertice il costo dell’applicazione della legge penale, che ammonta a 2.798.000.000 euro (sic!). L’elenco indiscriminato dei più svariati "costi sociali" (dalla repressione, alle spese sociosanitarie, al costo delle sostanze sul mercato illegale, alla "perdita di produttività") suggerisce che alla radice del problema sia l’uso di droga e non le scelte politiche e legislative. Ad esempio, la criminalizzazione di massa e la incarcerazione di centinaia di migliaia di persone dal ‘90 in poi (per un totale di 250.000 anni di galera!) originano dalla legge più che dal consumo, ma l’impianto teorico scelto dalla Relazione preclude questa riflessione critica.

Il ministro Ferrero ha dichiarato che il tempo della pazienza è finito e che è necessario arrivare a una normativa che abolisca l’assurda legge Fini-Giovanardi. La Relazione, purtroppo è stata un’altra occasione mancata per ragionare sui guasti della sua applicazione.

Droghe: la vera emergenza? è il clima che c’è nel paese

di Susanna Ronconi (Forum Droghe)

 

Fuoriluogo, 29 luglio 2007

 

Il 26 giugno scorso eravamo in piazza, con il cartello Non incarcerate il nostro crescere, con Mdma, e poi con i parlamentari che hanno sottoscritto e promosso una legge di riforma su droghe e dipendenze. Non ci sono mai piaciuti gli anniversari rituali della war on drugs, e per questo la giornata mondiale Onu, il 26 giugno, non è mai stata per noi una scadenza. Quest’anno, però, l’abbiamo contro-celebrata noi, perché proprio non ce l’avremmo fatta a permettere che piazze e sale di rappresentanza si riempissero sfrontatamente della retorica punizionista.

Non oggi, nel 2007, dopo anni di mobilitazione e impegno (nostri) e impegni e programmi (della politica) per una troppo attesa inversione di tendenza. Già, la politica. Il 26 ci ha dato un segnale, piccolo, quella calendarizzazione della legge Boato, per la quale, all’inizio dell’anno, Forum aveva indetto un digiuno a staffetta, poi interrotto dalla crisi di governo, sebbene avesse incassato l’impegno del Presidente della Camera.

E poi l’impegno del ministro Ferrero a portare il suo ddl in Consiglio dei Ministri, in modo che anche il governo si assumesse la sua parte di responsabilità. La calura estiva è esplosa ma del ddl governativo non si vede traccia: a settembre, chissà. Chissà, appunto: perché quello che appare saltato del tutto, sulle droghe, è il dispositivo che - sebbene con tutte le criticità di questa epoca - pareva poter ancora garantire qualche connessione tra la mobilitazione sociale e il palazzo, un dialogo, un tenere aperta la porta della mediazione. Come si fa a dire che questo filo non è spezzato, in assenza di un seppur minimo riscontro? E in presenza di segnali sgangherati, come quelli usciti negli ultimi mesi dalla compagine governativa?

La politica è attenta ad altre cose, più importanti del rispetto del proprio programma, che non sembra più essere quella cambiale firmata per riottenere il consenso sociale: perché, se ancora lo fosse, verrebbe trattata con più delicatezza. La politica, poi, è schiacciata su un clima sociale che a sua volta concorre a creare: è un circolo vizioso, non virtuoso. In questa porta girevole, anche quello che di buono c’è, viene fagocitato, triturato e digerito (fatto digerire) all’insegna della retorica dominante.

È il clima sociale mass-mediato a far da traduttore di ciò che, pure, potrebbe a sua volta dire una parola, portare un’evidenza diverse. Così, per esempio, alcuni dati riportati dalla Relazione annuale al Parlamento - che ha certo ancora grandi limiti ma evidenzia dopo anni lo sforzo di un cambiamento - non hanno fatto che enfatizzare "l’emergenza" e invocare il giro di vite, invece che poter dire ciò che dicono: che, per dirne una, la gran parte di quelli che hanno assunto cocaina lo hanno fatto in modo sporadico (da una a cinque volte in un anno), limitato nel tempo, sperimentale.

E poi non ne hanno fatto più uso (non almeno nell’ultimo mese). E allora? Non è una buona notizia, questa? E non è bene che ce lo dica una ricerca più accurata, che molti cittadini per questo non perdono la testa, il proprio stile di vita, il lavoro, la salute? Il clima sociale, la politica e i media riescono nel mirabile esercizio di negare l’evidenza.

E noi non possiamo limitarci a invocare l’evidenza, se viene così maltrattata, se è così debole. Noi dobbiamo non solo conoscere e sapere, ma anche comunicare, e provocare, e praticare, e spiegare. Come sempre, si dirà, ma oggi dobbiamo farlo meglio di sempre. Perché la vera emergenza è il clima: una costruzione di cui ormai non si vedono più le fondamenta di sabbia. Una costruzione retta da tante bugie, ma solida, troppo solida.

Droghe: quella tutela pagata al prezzo della perdita dei diritti

di Maria Grazia Giannichedda (Forum Droghe)

 

Fuoriluogo, 29 luglio 2007

 

Dagli ospedali psichiatrici giudiziari alle strutture sanitarie di cura e custodia estese ai tossicodipendenti, due proposte in campo.

Si vede ancora bene, nel parco dell’ex manicomio di Trieste, il murale La libertà è terapeutica disegnato dal pittore Ugo Guarino in un pomeriggio d’estate del 1973, all’inizio del lavoro di Franco Basaglia e del suo gruppo. Tutto sommato, quello slogan ha messo radici nella società italiana, anche se, in realtà, in modo parziale, distorto.

Se infatti è passato il rifiuto del manicomio, è invece rimasta in ombra l’altra faccia di quell’idea: la libertà è terapeutica in quanto il suo riconoscimento restituisce, o meglio non toglie più, capacità e responsabilità alla persona malata, che quindi mantiene diritto di parola sul "suo bene", in nome del quale la sua libertà non deve essere compressa, né la sua dignità offesa o il suo punto di vista ignorato.

La libertà terapeutica mette quindi in questione ogni forma di tutela pagata al prezzo dei diritti, ogni "statuto speciale" che riconoscendo una malattia, una disabilità, una minorità collochi la persona malata, disabile, minore fuori dalla cittadinanza, col suo corollario di diritti e responsabilità. È un processo complesso, difficile includere e mantenere tutti, specie le persone più deboli o in difficoltà, nella cittadinanza.

Esige trasformazioni profonde nell’organizzazione dei servizi, nei saperi specialistici, nel senso comune. L’Italia è tra i paesi europei quello che ha fatto i maggiori passi in questa direzione: abbiamo chiuso i grandi manicomi pubblici e le scuole speciali; si sono radicate e diffuse le imprese sociali in cui persone con problemi mentali fanno lavoro vero e non ergoterapia; la legge sull’amministratore di sostegno agevola l’esercizio dei diritti civili e riduce il ricorso all’interdizione, che peraltro si sta cercando di abolire.

Ma molto resta ancora da fare per eliminare dall’ordinamento e dalle politiche le tutele che sottraggono i diritti: la più grave, resta la legislazione sul malato di mente autore di reato e sugli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), nati per sottrarre il reo malato alla punizione ma rivelatisi poi punizioni peggiori del carcere. Ma proprio su questo tema due proposte recenti sembrano invertire il percorso che in questi anni si è fatto strada. Le due proposte delineano infatti, su piani diversi, un regime speciale che prevede istituti sanitari di cura e custodia del tutto simili, anche se su scala ridotta, ai manicomi che la "legge 180" ha voluto abolire.

La prima proposta fa parte delle linee per la riforma del codice penale predisposte dalla "Commissione Pisapia" che suggerisce, all’art.22, che "vengano considerate cause di esclusione dell’imputabilità l’infermità, i gravi disturbi della personalità, l’intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti se rilevanti rispetto al fatto commesso". Ai non imputabili va applicata "una misura di cura e controllo" che "tenga conto della necessità della cura" e che non superi in durata la pena che si applicherebbe a una persona imputabile.

Lo stesso articolo indica diverse modalità e sedi di esecuzione della misura. In alcuni casi si tratta di strutture residenziali sanitarie (sono indicate "strutture terapeutiche protette o con finalità di disintossicazione e comunità terapeutiche"), in altri sembra invece prevista una dissociazione tra sfera terapeutica e controllo, in quanto quest’ultimo si può declinare come obbligo di presentazione all’autorità di polizia.

Nell’insieme, sembra affermarsi, in questa proposta, una linea opposta a quella cui era arrivato, alla fine degli anni ‘80, il dibattito in tema di imputabilità, che tendeva a prefigurare dispositivi che restringessero in modo rigorosamente eccezionale l’ambito in cui poteva essere riconosciuta questa condizione, da cui discendeva il disinteresse dello Stato a punire e l’affidamento a strutture sanitarie ordinarie.

Qui si propone invece un meccanismo che può allargare a dismisura il numero dei potenziali non imputabili, di coloro cioè cui non è riconosciuto il diritto a essere fatti responsabili dei propri gesti, e quindi anche puniti, in forme che evidentemente tengano conto del diritto alla salute. In conseguenza, si rende necessaria una istituzione che mescola, di nuovo, il curare e il punire, con custodi in camice bianco che riducono le libertà in nome e in forma di cura.

Il documento elaborato dal gruppo di lavoro interministeriale per il superamento degli Opg evidenzia bene gli esiti istituzionali di una tale linea di riforma dell’imputabilità. Il testo prevede, in una prima fase, interventi certamente appropriati per ridurre l’accesso agli attuali Opg e la durata dei tempi di internamento, attraverso la costruzione di progetti personalizzati da parte delle Asl da cui gli internati provengono.

Il documento prosegue però immaginando anche il medio e lungo periodo, in cui, al posto degli attuali Opg, vi sarebbero: 300 posti letto in tre Opg e 200 in centri di psichiatria penitenziaria gestiti tutti dall’amministrazione penitenziaria; 300 letti in centri diagnostico terapeutici di 15 letti ciascuno distribuiti in tutte le regioni; 500 posti letto in "strutture residenziali ad Alta Intensità terapeutica e media sicurezza" gestiti dalle Asl nelle varie regioni; 500-1.000 posti letto in "strutture residenziali a Media Intensità terapeutica e bassa sicurezza", gestiti anche questi dalle Asl nelle varie regioni. Come si vede, non solo i circa 1.200 letti degli attuali Opg raddoppierebbero, ma andrebbero alle Asl, e verrebbero riconsegnati a strutture psichiatriche, il controllo di quote di pericolosità sociale e la responsabilità della custodia.

È una strada già percorsa questa, con esiti come sappiamo non brillanti sul piano dei costi/benefici sociali. Tuttavia, questo assai discutibile approdo parte, come si è detto, dalla volontà, per ora solo indicata, di metter mano davvero alla situazione del migliaio di internati nei sei Opg in funzione. Partendo da qui, dalle persone, dai loro problemi, dai mezzi per affrontarli, dalle "buone pratiche" che anche in questo campo si sono affermate sarà più facile e produttivo riprendere il dibattito, che si è interrotto anni fa, sul curare e sul punire, e sui valori e gli strumenti dell’una e dell’altra funzione.

Droghe: Minniti; nei controlli notturni "positivo" 1 giovane su 5

 

Notiziario Aduc, 29 luglio 2007

 

"Nelle notti dei fine settimana, le positività ai controlli anti-droga sono circa il 18%, con punte del 25%, nelle fasce d’età degli ultra trentenni nell’orario che va dalle 2 alle 6". Il viceministro Marco Minniti, ascoltato in commissione Trasporti della Camera nel corso dell’indagine conoscitiva sugli incidenti stradali, quantifica il fenomeno della guida sotto effetto di stupefacenti. Definisce il fenomeno "non meno preoccupante" di quello della guida in stato di ebbrezza. Anzi: "Soprattutto i più giovani stanno acquisendo l’abitudine ad unificare in un solo contesto l’assunzione di droghe - cocaina soprattutto - e alcol".

Droghe: Svizzera; dibattito sulla ricerca cannabis-schizofrenia

 

Swiss Info, 29 luglio 2007

 

Uno studio dell’Università di Zurigo sul rapporto tra uso di cannabis e schizofrenia ha suscitato dibattito in Svizzera. Negli anni ‘90, sostengono i ricercatori, è aumentato il numero di giovani schizofrenici. L’indagine si basa su 8.000 giovani uomini e donne del Canton Zurigo, ricoverati per la prima volta in una struttura sanitaria per schizofrenia tra il 1977 e il 2005. Nel decennio 1990 si è notata una maggiore incidenza nei gruppi d’età più esposti all’uso di canne, si sostiene.

In base ai risultati pubblicati il 23 luglio 2007, i maschi della fascia 15-19 anni erano tre volte più propensi a sviluppare la malattia che nei decenni precedenti, e questa propensione era due volte maggiore nel gruppo di coloro che avevano 20-24 anni. Wolf Roessler, coautore dello studio, ha dichiarato a Swiss Info che i risultati mostrano l’esistenza di un rapporto diretto con il consumo di cannabis.

"Sappiamo da altri studi sperimentali che la cannabis può causare psicosi, ma per la prima volta abbiamo potuto stabilire un rapporto chiaro con la schizofrenia". "Il rischio di sviluppare la schizofrenia è direttamente collegato con le quantità consumate. Nel caso dei fumatori occasionali non c’è incidenza, ma se uno fuma regolarmente, quotidianamente, per vari anni, il rischio si triplica".

I risultati non convincono il Dipartimento federale di Sanità, secondo cui, essi non spiegano l’aumento dei casi di schizofrenia a metà degli anni ‘80 e, inoltre, non tengono conto della storia sanitaria dei pazienti. "Non si chiarisce il percorso sanitario dei pazienti; per esempio, il consumo di sostanze psicotiche o altri fattori che potrebbero causare sofferenze di questa natura", afferma il Dipartimento in un comunicato. "Non s’illustra il possibile nesso tra la schizofrenia e il consumo di cannabis".

Pur felicitandosi con lo studio, Ambros Uchtenhagen, famoso esperto di disturbi derivati da droghe presso l’Istituto di Medicina Sociale e Preventiva di Zurigo, si mostra prudente verso questi risultati. "Si basano su mere ipotesi e bisogna evitare a tutti i costi che si strumentalizzino i risultati a fini politici affermando che la cannabis causa schizofrenia", spiega a Swiss Info. "Nessuno sa se quelle persone hanno consumato cannabis qualche volta. È un’ipotesi interessante che merita di essere seguita indagando nei dettagli".

L’Istituto Svizzero di Prevenzione dei Problemi di Tossicodipendenza e Alcol ritiene che si tratti di un’ipotesi "abbastanza credibile", benché faccia riferimento ad altre ricerche, le quali suggeriscono che esiste un rapporto tra consumo di cannabis e schizofrenia. Il suo portavoce Gerlind Martin mette in guardia tutte le persone fragili affinché non cadano nelle reti della droga. "I giovani che si trovano nella fase dello sviluppo e gli adulti che attraversano situazioni difficili non devono consumare droghe, nemmeno cannabis", ha dichiarato.

Filippine: girato video con 1.600 detenuti che ballano in cortile

 

La Repubblica, 29 luglio 2007

 

Tutti gli "ospiti" dell’istituto di pena, fatta accezione per i più anziani e per i malati, hanno aderito al nuovo programma di allenamento che combina musica e movimento, introdotto nel marzo dello scorso anno da Byron Garcia, l’esperto che sovrintende alla sicurezza del carcere, per migliorare la disciplina e il morale dei detenuti.

"La musica coinvolge il corpo e la mente - ha spiegato Garcia alla Bbc - perché i prigionieri devono contare i passi, memorizzarli e seguire la musica. E quando stai ballando, non puoi pensare di commettere un crimine, tanto è vero che molti detenuti mi hanno detto: "Ci hai fatto passare la voglia di vendicarci, di fare qualche sciocchezza o di tentare di fuggire di prigione". Molti di loro adorano danzare, mentre per quelli che non lo vogliono fare, adottiamo il sistema del bastone e della carota e aboliamo dei privilegi. Ma per la verità non dobbiamo usare il bastone tanto spesso…".

Thriller - Il video di "Thriller" non è, però, stato il loro primo "lavoro di gruppo". "Avevamo iniziato con "Another Brick in the Wall" dei Pink Floyd - ha confermato Garcia - ed è stato straordinario, perché i ragazzi sono stati davvero grandi. Avevamo usato dei bambini per fare il coro, ma quando l’anno scorso è entrata in vigore la nuova legge che ha stabilito che i minori non possano entrare nelle prigioni, non abbiamo più potuto mettere in scena quello spettacolo". La scelta si spostò, allora, su "In the Navy" e "Ymca" dei Village People, per evitare che i detenuti maschi si sentissero offesi dal fatto che fosse chiesto loro di ballare. Ma è stato l’avvento di Youtube a scatenare la psicosi dei galeotti-ballerini, non appena lo stesso Garcia ha cominciato a postare sul sito i filmati delle loro performance: "Volevo dimostrare ai detenuti che stavamo facendo qualcosa che avrebbe avuto un enorme successo".

Grande successo - E così è stato, almeno a giudicare dal riscontro degli utenti di Youtube, che hanno cliccato su "Thriller", esattamente 2.028.127 volte in una sola settimana, ma anche gli altri clip degli "arancioni" hanno avuto ottimi risultati: l’Algorithm March ("marcia dell’algoritmo"), una sorta di balletto preso dal programma televisivo giapponese "Pythagoras Switch", è stato, infatti, visto più di 525 mila volte in nove mesi, mentre la reinterpretazione di "Radio Ga-ga" dei Queen ha attirato quasi 102 mila clic in tre mesi, per non parlare di "Sister Act 1 e 2", visti, rispettivamente, 137 mila e 40 mila volte in 60 giorni, e di un’esilarante versione di "Jumbo Hotdog" dei Masculados, che ha catturato quasi 57 mila utenti in tre mesi. "I ragazzi sono felicissimi dell’interesse che hanno suscitato - ha concluso Garcia - e non fanno altro che parlare degli spettacoli e mi chiedono in continuazione quanta gente li abbia visti". Già decisi anche le prossime performance, fra cui una versione di "Ice Ice Baby" del rapper Vacilla Ice.

 

 

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