Rassegna stampa 24 luglio

 

Giustizia: Manconi; cambiare leggi su droghe e immigrazione

 

La Stampa, 24 luglio 2007

 

Nell’ultimo "Rapporto Sicurezza" del Viminale, presentato dal ministro Giuliano Amato, colpiva l’assenza di ogni riferimento agli effetti dell’indulto sui numero dei reati e più in generale sulla sicurezza dei Paese, se non in un passaggio (pagina 893), a proposito dell’attività di prevenzione del terrorismo islamico: "L’indulto ha comportato la dimissione dalle carceri anche di numerosi estremisti islamici, tutti condannati per reati comuni sulla base della previgente normativa che non consentiva di contestare l’aggravante della finalità dei terrorismo".

Poca cosa - anche se di per sé un segnale degli effetti collaterali indesiderati del provvedimento di clemenza - soprattutto se riferita alle polemiche suscitato da un rapporto del Viminale al Parlamento (nel quale si stigmatizzava l’indulto in quanto aveva determinato un aumento di furti e rapine) e dalla presa di distanza dello stesso ministro dell’Interno, Giuliano Amato, che dopo la sua approvazione aveva sottolineato che per quanto lo riguardava l’indulto non l’avrebbe proposto.

Oggi il sociologo Marzio Barbagli, che ha lavorato al Rapporto Sicurezza, spiega che l’assenza di ogni riferimento all’indulto è stato voluto perché, a suo avviso, per essere scientificamente attendibile qualsiasi valutazione sui suoi effetti occorrerebbe stimare degli indicatori che non ci sono. In sostanza, lamenta Barbagli, mancano dati attendibili sulla percentuale dei recidivi indultati.

"Premesso che personalmente non ho condiviso l’indulto - precisa il professore -, un provvedimento sciagurato, per valutare i suoi effetti, e cioè per comprendere la dimensione dell’aumento dei reati in rapporto all’indulto, dovremmo avere disponibili i dati sulla percentuale dei recidivi che avevano beneficiato dell’indulto.

Per ragionare su base scientifica, questi dati dovrebbero essere raccolti sul medio periodo, almeno cinque anni". Pur non pronunciandosi sulle effettive ricadute dell’indulto sull’aumento dei reati, Barbagli spiega le ragioni del suo dissenso: "L’indulto riduce la certezza della pena, introducendo un elemento di casualità, e produce effetti deprimenti sulle forze di polizia, demotivate perché vedono i loro sforzi improduttivi".

Difende a spada tratta l’atto di clemenza, invece, il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi: "È un bilancio straordinariamente positivo, innanzitutto sotto il profilo della vivibilità del sistema penitenziario perché la riduzione del sovraffollamento, e quindi della promiscuità, ha una ricaduta anche nel miglioramento significativo delle condizioni di lavoro di tutti gli operatori, nel miglioramento di tutti i servizi all’interno del sistema penitenziario, da quello sanitario all’attività lavorativa, formativa, culturale e in genere trattamentale".

Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione "Antigone", che si occupa di carceri e detenuti, pur essendo un convinto sostenitore dell’indulto, si dichiara perplesso: "Il rischio che vedo è che l’indulto diventi una occasione sprecata. Se continuiamo con il trend di crescita della popolazione carceraria, fra due anni saremo punto e a capo. Le carceri diventeranno di nuovo sovraffollate quanto lo erano il 31 luglio scorso. Per non sprecare questa occasione, che l’opinione pubblica non ha condiviso, dobbiamo procedere con le riforme".

Ne è convinto anche il sottosegretario Manconi: "Nella fase che ha preceduto l’applicazione dell’indulto, ho sempre ripetuto che accanto ad esso avremmo dovuto riformare la legge Bossi-Fini, quella Giovanardi-Fini e la ex-Cirielli". Immigrazione, droga, recidivi, "leggi che producono detenzione". Il governo ha varato le sue proposte ma i tempi del Parlamento sono imprevedibili. E ogni giorno che passa nuovi "clienti" affollano le carceri. Il punto è solo capire quando nelle carceri torneremo al punto di non ritorno, a quota 60.000.

Giustizia: Di Pietro; l’indulto è stato fatto per motivi ignobili

 

La Stampa, 24 luglio 2007

 

Ministro Antonio Di Pietro, un anno dopo l’entrata in vigore dell’indulto, è cambiata la sua posizione?

"Ero, sono e sarò sempre contrario. L’indulto è stato proposto e attuato con una motivazione di fondo: decongestionare le carceri e fare stare meglio i suoi abitanti, i detenuti e gli operatori penitenziari".

 

Oggettivamente, ministro, da questo punto di vista l’indulto ha centrato i suoi obiettivi.

"Oggi le carceri scoppiano nuovamente e chi si trova al loro interno sta male ugualmente. Un anno dopo, se dovessimo ritenere valide quelle motivazioni nobili che portarono il Parlamento a varare l’indulto, dovremmo rifare un nuovo provvedimento di clemenza. La verità è che all’epoca, un anno fa, fu fatto l’indulto anche per inconfessabili motivazioni ignobili".

 

Quali?

"Far evitare il carcere a chi doveva scontare una pena, da Previti a compagnia bella. Con l’indulto, ricordo, si è anche stabilita la regola per cui chi veniva condannato a una pena inferiore ai tre anni, di fatto poteva non essere raggiunto da provvedimento di esecuzione pena. Insomma, chi doveva affrontare la detenzione per Tangentopoli varie lo ha evitato".

 

Faccia qualche esempio.

"I furbetti del quartierino".

 

Ministro, l’indulto è stato il primo passo falso del governo e della maggioranza?

"Sì, è stato il primo errore del governo e della maggioranza parlamentare. L’errore oserei dire strutturale, di credibilità sta nel non avere attuato una politica giudiziaria in discontinuità con il governo di centrodestra. Penso all’indulto, appunto, che non andava fatto, alla riforma dell’ordinamento giudiziario del ministro Castelli che - stavo dicendo avevamo messo a verbale - avevamo scritto nel programma avremmo cambiato in sette giorni e invece l’abbiamo modificato in modo tale da scontentare la magistratura. Posso proseguire?".

 

Ministro la sua è una requisitoria implacabile contro il governo e la maggioranza di cui fa parte…

"In termini di politica giudiziaria non abbiamo accorciato per niente i tempi del processo. Risorse per la giustizia per far funzionare le strutture non se ne sono viste. Nel merito poi siamo stati contigui al centrodestra. Anzi, in questi ultimi giorni siamo andati oltre: rispetto alla Casa delle libertà che ha sempre criminalizzato e delegittimato i magistrati che indagavano per esempio politici di quella parte, allo stesso modo si sta comportando il centrosinistra in questi giorni criminalizzando i comportamenti dei magistrati e arrivando al punto che un Guardasigilli, con il consenso di ampie parti della maggioranza, sindaca un atto e non un comportamento di un giudice, il gip di Milano Clementina Forleo, arrogandosi il ruolo di supergiudice che può sindacare un atto giurisdizionale di un altro giudice".

 

Fin qui la requisitoria. Non vede neppure un’attenuante per evitare l’ergastolo all’imputato governo? Per esempio, le Forche Caudine del Senato?

"La credibilità del centrosinistra è stata minata non perché al Senato c’è un voto di differenza ma perché le decisioni che prendiamo sono di compromesso al ribasso, scollegate dalla volontà collettiva della maggioranza".

 

Siete in un cul de sac?

"Proprio per questo dico che dobbiamo essere coerenti. Quel voto in più sarebbe tale anche senza compromessi al ribasso. Per questo penso che quando si dovrà discutere le autorizzazioni all’utilizzo delle intercettazioni telefoniche del caso Unipol-Bnl-Antonveneta, sarebbe utile anche per i diretti interessati dare il via libera. Alla fine, per riconquistare una credibilità occorre solo avere coraggio".

Giustizia: Mantovano; su indulto Amato venga in Parlamento

 

Apcom, 24 luglio 2007

 

"A un anno di distanza dal varo dell’indulto, il dibattito attorno alla sua approvazione e agli effetti che ha prodotto continua a essere monco, per la persistente assenza di uno dei soggetti più qualificati a intervenire, con dati e valutazioni: il ministro dell’Interno". Lo afferma Alfredo Mantovano, An, ricordando che "nella discussione parlamentare Amato, benché esplicitamente richiesto, perfino dalla presidenza del Senato, optò per la latitanza. Qualche mese dopo si è limitato a riferire di un suo generico mal di pancia, provocato dal provvedimento".

"Di fronte ai numeri del primo anno di applicazione - prosegue - egli ha il dovere di informare le Camere: a) dell’impatto dell’indulto sulla sicurezza, e in particolare sull’incremento di alcuni tipi di reati; b) di eventuali misure che contengano la propensione al crimine di coloro che sono usciti dal carcere molto prima del tempo; c) di come sia possibile circoscrivere i reati con risorse per le forze dell’ordine che - per riprendere l’espressione del Capo della Polizia - sono vertiginosamente calate; d) di quanti extracomunitari scarcerati per indulto sono stati espulsi, come impone la legge (a quanto è noto, poche unità)".

Giustizia: Napolitano; più riservatezza sugli atti processuali

 

Adnkronos, 24 luglio 2007

 

Un richiamo a una maggiore "riservatezza dell’autorità giudiziaria a non inserire negli atti processuali dichiarazioni eccedenti le esigenze di indagine" arriva ancora una volta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel corso del plenum del Csm che ha nominato Vincenzo Carbone primo presidente della Corte di Cassazione.

Il tema spinoso delle intercettazioni è stato nuovamente affrontato anche dal segretario dei Ds, Piero Fassino, nella relazione di chiusura al comitato politico della Quercia. Fassino ha contestato l’operato del gip Clementina Forleo, che lo ha chiamato in causa sulla vicenda Unipol-Bnl.

"Alla dottoressa Forleo riconosco il diritto di chiedere al Parlamento l’utilizzo delle intercettazioni - ha detto il leader Ds - Ma non le riconosco il diritto di precostituire giudizi infondati senza accertamenti". "In Italia - ha sottolineato con forza - lo Stato di diritto è ancora fondato sulla presunzione di innocenza e non su quella di colpevolezza".

Fassino ha inoltre ribadito che nessuno, all’interno della Quercia "è parte di disegni criminosi. Solo pensarlo da parte di chi ci conosce è offensivo". Quindi il ringraziamento a "tutti i compagni per le dimostrazioni di solidarietà". "Non abbiamo nulla da rimproverarci o da nascondere - ha assicurato - siamo sereni e possiamo continuare a fare politica come l’abbiamo fatta fin qui, dando serenità a tutto il partito".

Fassino non ha rinunciato poi a sottolineare che "c’è un intreccio perverso tra politica e informazione per cui solo il conflitto fa notizia. Per questo abbiamo visto la stessa telefonata pubblicata quattro volte e ora mi aspetto la quinta. Ad agosto, quando non ci sarà più nulla da scrivere, magari pubblicheranno anche un libro".

"È un problema grave perché l’informazione è un elemento basilare della democrazia. Si chieda all’informazione - ha concluso - la stessa responsabilità che si chiede alla politica". Dunque anche oggi a tenere banco è stata la vicenda Bnl-Unipol sulla quale è tornato anche il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro.

Secondo l’ex pm, "il Parlamento, per il bene delle persone di cui si discute, dovrebbe dare immediatamente l’autorizzazione a procedere per l’utilizzo delle intercettazioni". Quanto alla polemica con il Guardasigilli, avverte il leader dell’Italia dei Valori, "accentuando il dibattito con Mastella si guarda al dito e non alla luna".

"Non ci si accorge che il vero problema - puntualizza il ministro alle Infrastrutture - è che ci sono parlamentari che hanno svolto una certa attività di dialogo con il mondo dell’imprenditoria e che tra questi finanzieri c’erano ‘i furbetti’ che utilizzavano, millantavano e a volte erano conniventi con il sistema politico istituzionale". Per Di Pietro "un’indagine tesa ad accertare la trasparenza può aiutare le istituzioni e il Paese".

Giustizia: Mastella scrive a Prodi; Di Pietro si deve dimettere

 

Il Gazzettino, 24 luglio 2007

 

A Rovigo per la posa della prima pietra del nuovo carcere, poi a Cortina d’Ampezzo per un dibattito sulla riforma dell’ordinamento giudiziario in compagnia del ministro De Castro. Per Clemente Mastella quello di ieri è stato un intenso lunedì di lavoro fra un capo e l’altro del Veneto.

 

Signor ministro, il presidente della Repubblica Napolitano ha appena invitato la politica ad andare in vacanza, anche per placare i bollenti spiriti di qualche suo esponente. Lei non pensa di andare in ferie?

"Condivido l’invito del capo dello Stato. Si tratta di un altro suggerimento da parte del presidente Napolitano che invita a stemperare le polemiche e a dialogare. C’è soltanto una cosa che non va: qualcuno pensa a Napolitano come se fosse un presidente di parte, mentre invece quest’ultimo dimostra ancora una volta autorevolezza ed equilibrio. Da quando è stato eletto non ha mai espresso una benché minima valutazione che potesse sembrare in qualche modo partigiana".

 

Non si sente chiamato in causa dall’appello del presidente? In questi ultimi giorni ha fatto molto discutere la sua iniziativa di accertare eventuali violazioni della Costituzione da parte del gip Forleo, a proposito della sua richiesta di sentire alcuni esponenti politici coinvolti nell’inchiesta sulle scalate a Bnl, Antonveneta e Rcs. Il suo collega Di Pietro non le ha mandate a dire, e lo scontro è stato piuttosto vivace. Tanto che lo stesso Di Pietro ha invitato a non guardare al dito ma alla luna del problema, ovvero le indagini sulle intercettazioni dei politici.

"Ma guardi, mi sembra che proprio oggi alcuni columnist che si interessano di giustizia sui principali giornali italiani, a partire dal Corriere della sera, fino ad autorevoli costituzionalisti, esclusi quelli che sono nella filiera di An, mi abbiano fatto sentire in buona compagnia. L’on. Casson ha detto che il mio non è l’atteggiamento di uno che non conosce la Costituzione, D’Ambrosio, che è stato maestro del ministro Di Pietro ha fatto le stesse considerazioni, e l’on. Violante idem. Mi sembra invece un tono banalmente arrogante quello di Di Pietro, che sostiene che io non conosco il diritto. Beh, evidentemente a mancare dei fondamenti giuridici siamo in tanti. Lui del resto fa il ministro delle Infrastrutture, ma mica è ingegnere... Pensasse invece e si occupasse, adesso che è cominciata la stagione estiva, delle autostrade e delle strade italiane che purtroppo ancora languono. Si occupi di questi problemi, anziché di altri. Non c’è cosa peggiore di chi studia e non è in grado di capire quello che studia".

 

Anche in questo caso, come già evidenziato in altre circostanze, dal dibattito sulla Tav all’indulto, sembra che le occasioni di dissentire dall’ex pm di Mani pulite non siano mancate. A proposito, lei ritiene che anche qui nel Nordest ci siano ritardi da colmare in tema di infrastrutture?

"Purtroppo sì, me ne sono reso conto anche oggi arrivando in ritardo qui all’appuntamento di Rovigo".

 

Dev’essere per questo che ha deciso di proseguire il suo viaggio a Cortina in elicottero...

"Mi lasci finire. I lavori del Passante di Mestre procedono a rilento, come sottolinea qui a fianco l’on. Mauro Fabris, e Di Pietro non ha ancora deciso l’assetto societario di chi lo gestirà".

 

Torniamo ai temi della giustizia. La sua iniziativa nei confronti del gip Forleo, e le polemiche che ne sono seguite, fanno supporre che i rapporti fra politica e magistratura continuino a rimanere critici, a tre lustri di distanza dall’inizio di Tangentopoli.

"Il mio tentativo di questi giorni è stato anche quelli di frenare certi slanci. Lei si immagini se alla Camera dovesse passare anche un solo emendamento al disegno di legge di riforma dell’ordinamento giudiziario. Ciò significherebbe tornare al Senato e di fatto non fare più la riforma. Soltanto un mestierante della politica come Di Pietro non riesce a rendersi conto di questo pericolo. Domani scriverò al presidente del Consiglio Prodi perché intervenga. Se Di Pietro ha qualche dubbio di moralità su alcuni partner di Governo, si dimetta".

 

Altro che invito al dialogo...

"C’è il dovere di tenere in equilibrio questa situazione, che è in equilibrio precario. E questo significa che nel contempo in questa fase ci sia una sorta di rivalsa della politica nei confronti della magistratura, nel caso la politica dovesse essere messa sotto scacco. Così come è capitato quando, nei cinque anni passati, la politica ha messo sotto scacco la magistratura, suscitando la giusta ribellione di quest’ultima".

 

Ma non teme che, proprio in considerazione dell’iter che attende la riforma alla Camera, le polemiche in seno alla maggioranza possano costituire un pericolo? Gli ultimi mesi di navigazione del Governo Prodi non sono stati propriamente tranquilli.

"Credo che sull’ordinamento giudiziario non ci saranno problemi. Come ha detto proprio il presidente Napolitano, questa riforma era l’unica possibile in questa situazione, e devo ringraziare per questo il grande buonsenso dimostrato in questa circostanza dal Capo dello Stato".

 

Quindi pensa che la farete?

"Credo proprio di sì".

Giustizia: Di Pietro; resto ministro, contro gli "inciuci giudiziari"

 

Panorama, 24 luglio 2007

 

Quindici anni fa indossava la toga. Oggi litiga, da ministro a ministro, con il Guardasigilli che con le toghe se la prende. "Il problema non è il quotidiano ritornello sulla lite tra me e il ministro Mastella. È solo che sono profondamente deluso, e disilluso, dalla politica giudiziaria del centrosinistra tutto e del governo. Per i cinque anni che abbiamo passato all’opposizione abbiamo costruito un progetto di discontinuità con il precedente governo Berlusconi, l’abbiamo messo nero su bianco nel programma dell’Unione. E invece…"

 

Invece, ministro Di Pietro?

Invece siamo tornati indietro, al ‘94. All’attacco nei confronti dei magistrati che fanno il loro mestiere e ribadiscono la loro sacra indipendenza dal potere politico. Li si vuole, oggi come allora, delegittimare, affermando che vanno oltre i loro compiti, le loro prerogative. Si vuole, oggi come allora prestare orecchio e favore agli inquisiti e non all’accertamento della verità giudiziaria dei fatti.

 

Forse anche perché, oggi come allora, c’è un presidente del Consiglio sotto inchiesta?

Ecco l’equivoco che tiene in piedi tutto. Essere indagati non è essere colpevoli. Quindi il giudice che indaga va tenuto libero nella sua azione investigativa. Nello specifico, so per certo che Prodi si difenderà dalle accuse della procura di Catanzaro, nel caso ce ne siano. Dovrà cioè dare giustificazioni nel merito delle cose e non fare di tutto per impedire ai giudici di fare il proprio mestiere, come accadde allora.

 

Allora, che fa al Governo?

Se uno non condivide le coltellate, non può mica rispondere con le pistolettate…

 

Ma non si sente in imbarazzo in un esecutivo il cui premier è sotto inchiesta, un viceministro è indagato, il ministro degli Esteri e il leader del partito più votato della sinistra sono definiti "complici consapevoli" di Consorte & Co da un giudice di Milano?

Se dovessi trarne le conseguenze, andrei a casa, certo. Ma ripeto: è la politica giudiziaria di tutto il governo che non mi convince e voglio restare per combatterla. Ho dalla mia la gente comune e gli elettori. E a chi mi chiede che c’azzecco io con questi, rispondo che ho l’ambizione di portare sulla retta via coloro che fanno politica attiva e sbagliano nell’attaccare i giudici. Non sto al governo per farlo cadere, sto al governo per mandare a casa quelli che non rispettano il programma dell’Unione.

 

Destra e sinistra soffrono quindi della stessa questione morale?

Ci sono onesti sia a destra che a sinistra. E ci sono furbi a destra e a sinistra. E poi lo vedono tutti che su alcuni provvedimenti (come per l’indulto) si sono registrate maggioranze politiche diverse da quelle parlamentari.

 

A chi si riferisce, ministro?

Nomi non ne faccio: ci metto tutti quelli che stanno con gli inquisiti.

 

Ci risiamo: è in scena un altro atto del conflitto tra politici e giudici?

Per fare un conflitto bisogna essere in due. Qui l’attacco viene solo da una parte, quella politica. Se qualcuno pesta i piedi ai magistrati, questi avranno o no diritto di protestare? È successo con la legge Castelli, è successo con la riforma Mastella, una legge sulla falsa riga di quella della Cdl, che non ho esitato a definire "inciucio giudiziario".

 

Il presidente Napolitano ha di nuovo invitato i poli all’ascolto reciproco. Ha poi ribadito, a proposito delle scalate Unipol-Bnl, che non c’è il clima del ‘92...

Vero, non è lo stesso clima. Anche perché nel ‘92 tutti - politici compresi - avevano fiducia nella magistratura. Dal ‘94 in poi il sistema di illegalità è diventato più sofisticato e, quindi, più pericoloso. Mentre si è ridotta ai minimi termini la solidarietà nei confronti dei giudici.

 

Sarebbe meglio se il Parlamento dicesse sì all’acquisizione delle intercettazioni sul caso Unipol?

Assolutamente sì. Io e l’Italia dei Valori, voteremo perché succeda. Ma mi augurerei che gli stessi chiamati in causa chiedano ai loro colleghi di non stracciare quelle carte. Per amore di verità; perché è nel loro stesso interesse; per permettere alla giustizia di fare il suo corso e per non lasciare che sul Parlamento aleggi un alone di impunità che lo discrediterebbe. Ovvio - fa una pausa - che per fare un discorso del genere bisogna essere innocenti.

Rovigo: nel 2010 il nuovo carcere, sarà a "misura di detenuti"

 

Il Gazzettino, 24 luglio 2007

 

"Oggi inizia un’impresa di cui la comunità deve sentirsi responsabile: un’opera che darà serenità alla città e condizioni detentive vivibili ai detenuti". Il ministro della Giustizia Clemente Mastella è intervenuto ieri alla consegna dei lavori del nuovo carcere di Rovigo. Il ministro se n’è andato con una targa ricordo dell’apertura dei lavori, in attesa di una nuova targa - e di una nuova visita in Polesine - quando il cantiere chiuderà per consegnare l’opera completata al capoluogo. Che dall’ex carcere in via Verdi ricaverà una cittadella giudiziaria a completamento del tribunale e spazi verdi per i residenti.

Il nuovo carcere di Rovigo sorgerà al di là della cittadella socio-sanitaria, tra la Tangenziale e via Calatafimi. Secondo l’appalto, i lavori del primo stralcio - coperti da finanziamenti ministeriali - termineranno nel luglio 2010: per il secondo stralcio (costruzione degli alloggi di servizio e della caserma con palestra) si cercano i finanziamenti necessari. L’impresa esecutrice è la Sacaim di Venezia: sarà un carcere da 200 posti per soli detenuti maschi, con annessi altri 150 alloggi per gli addetti di polizia penitenziaria. La costruzione sarà a 4 piani "fuori terra": il primo piano con la sala polivalente, l’infermeria e la cappella; i tre piani superiori con i 6 bracci detentivi. Ogni cella sarà condivisa da due detenuti, che avranno disponibili 16 metri quadri più gli spazi per il bagno e il cucinino.

Minori: Bologna; all’Ipm sperimentazione della "pet therapy"

 

Comunicato stampa, 24 luglio 2007

 

A partire da giovedì 12 luglio, è partita la sperimentazione all’Ipm di Bologna di una attività di "pet therapy" gestita dall’Associazione Chiaramilla. Il personale qualificato dell’Associazione interviene in istituto con alcuni cani in percorsi di educazione assistita dall’animale, volti al miglioramento delle dinamiche di gruppo e di promozione del benessere delle persone coinvolte. L’intervento, con cadenza settimanale, ha preso avvio coinvolgendo tutto il gruppo dei ragazzi presenti, con l’obiettivo principale di favorire positive dinamiche di gruppo in termini di collaborazione ed integrazione. Tale iniziativa si inserisce infatti all’interno di interventi mirati ad aumentare il livello comunicativo tra ragazzi e superare o perlomeno contribuire ad attenuare il senso di chiusura e di appartenenza etnico culturale. Gli operatori dell’Associazione Chiaramilla in collaborazione con l’area educativa, sicurezza e sanitaria dell’Ipm svolgeranno un costante monitoraggio dell’attività, valutando inoltre l’eventuale attivazione di interventi individuali o su un piccolo gruppo.

Minori: Nisida; un corso di vela per i giovani dell'area penale

 

Ansa, 24 luglio 2007

 

Un progetto sperimentale per consentire ai ragazzi dell’area penale detentiva e non detentiva di Napoli di svolgere attività velica presso il Centro velico dell’Accademia aeronautica a Nisida. Il programma, iniziato nell’ottobre 2004, è realizzato per il terzo anno dal Dipartimento di Giustizia minorile per la Campania e il Molise e il Comando dell’Accademia aeronautica. Si tratta di un progetto che sta suscitando il vivo interesse dei minori coinvolti.

L’iniziativa intende fornire una fattiva testimonianza di collaborazione tra istituzioni diverse nei fini e nell’organizzazione, ma egualmente impegnate verso i giovani: l’una nella formazione dei futuri dirigenti dell’Aeronautica militare, l’altra in una strategia di risocializzazione e di lotta all’illegalità e al degrado delle fasce giovanili più deboli e solitamente escluse da progettualità di più ampio respiro sia educativo che civile.

Ed è per dare un impulso ancora maggiore a quest’iniziativa che, oggi (ore 15), presso il Centro velico dell’Accademia presso Nisida, un giovane equipaggio solcherà il mare di Bagnoli con l’imbarcazione da competizione più rappresentativa dell’Accademia Aeronautica ("Il Grifo"), che ha conseguito numerosi successi nelle acque campane.

Immigrazione: Ferrero; il ddl è un "assoluto compromesso"

 

Redattore Sociale, 24 luglio 2007

 

Il ministro per la Solidarietà sociale, presente ieri al meeting di Cecina, ha definito "un assoluto compromesso" il ddl di riforma della legge sull’immigrazione e ha invitato associazioni e immigrati a una mobilitazione dal basso.

Ferrero gela la base. Il ministro per la solidarietà sociale, intervenuto ieri pomeriggio al tredicesimo meeting antirazzista dell’Arci a Cecina (Livorno), ha definito "un assoluto compromesso" il testo del ddl delega sulla riforma del testo unico sull’immigrazione che porta il suo nome, e ha invitato associazionismo e comunità immigrate ad una grande mobilitazione dal basso, perché poco c’è da aspettarsi "con questo governo, con questi parlamentari".

Il ddl Amato - Ferrero? Un "compromesso". L’auto-sponsorizzazione scambiata con il divieto d’assunzione degli stranieri nel pubblico impiego. Il diritto all’assistenza sociale e alla riscossione della pensione di anzianità innalzati rispettivamente a due e cinque anni di residenza in Italia, sotto il fuoco del Ministro del Tesoro. E tuttavia quel compromesso, aggiunge Ferrero, "è l’unico approvabile da questo Parlamento", "va nella direzione giusta, e riterrei un risultato molto alto non peggiorarlo nella sua discussione in Parlamento". Il ddl, appena approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, è ora sulla scrivania del Quirinale. Sarà il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a firmarlo e a inviarlo alle Camere. "Meglio se andasse prima alla Camera dei deputati", dice Ferrero, dove la maggioranza ha i numeri per sostenere l’iter della legge.

Sollecitato dagli interventi delle associazioni a Cecina, Ferrero ha anche espresso la sua opinione sull’accordo con le Poste per i rinnovi dei permessi. Un accordo che "fa schifo", ma sulla cui modifica niente può fare, dal momento che è stato siglato dal Ministro degli interni, allora era Giuseppe Pisanu, e solo dal Ministro degli interni può essere ritirato o modificato. Ferrero si è anche detto favorevole ad una sanatoria, ma propone di chiamarla regolarizzazione, per evitare ondate mediatiche "populiste e demagogiche".

Sul clima crescente di criminalizzazione degli stranieri nel nostro Paese, Ferrero ha attaccato la televisione e "la destra". "Occorre aggredire - ha detto - quel livello di paura che individua l’immigrato come capro espiatorio". Ma il grosso di questo razzismo, ha continuato, va smontato dal basso. "Non delegate al Governo il compito di incidere dall’alto sulle culture di massa". Ferrero si è quindi appellato agli immigrati in primis, affinché contribuiscano in modo attivo alla costruzione dell’immagine di se stessi, a partire dai territori. E al movimento antirazzista ha detto: "parlate alla maggioranza degli italiani, serve un messaggio largo, o si rischia di non uscire dalla nicchia antirazzista".

Immigrazione: Iulm; ricerca su integrazione ed emarginazione

 

Corriere della Sera, 24 luglio 2007

 

"Per me l’immigrazione è la parte illegale, gli spacciatori. Non si pensa al cingalese con le sue rose quando si pensa all’immigrato" dice un italiano nel corso di un’intervista di gruppo. E poco importa se il cingalese c’è, o se il 42% degli italiani dice di provare sentimenti di "comprensione, disponibilità e fiducia" nei confronti degli immigrati, mentre il 33% parla di "disagio, rabbia e insicurezza".

Quelle due frasi, che in parte identificano immigrazione con delinquenza, raccontano alcune cose sul percepito e sul reale, sul rapporto fra noi e loro, su "l’Italia e gli immigrati". E sono la prova che esistono "tante società" immigrate nel nostro Paese: portatrici di idee, culture e aspettative diverse. "Sono quattro i macro-gruppi che convivono in Italia: est-europeo, latino-americano, asiatico e nord-africano" spiega il professor Mario Abis, docente di Ricerche psicosociali e Analisi dell’opinione pubblica allo Iulm. "E la domanda di integrazione - aggiunge - si differenzia in relazione a queste grandi aree e ad altri fattori, uno di questi è la religione". Abis è amministratore delegato di Makno Consulting, la società alla quale il ministero dell’Interno ha commissionato una ricerca sociale sull’immigrazione in Italia. Il Viminale voleva un’indagine che andasse un po’ al di là dei numeri.

Amato ha posto una sola condizione: doveva esserci un’analisi del livello di conoscenza delle norme che regolano l’acquisizione della cittadinanza italiana, e dell’interesse per il disegno di legge del 4 agosto 2006, che prevede un abbassamento da 10 a 5 del numero di anni necessari per poterla richiedere. Così, da un lato si è scoperto che l’idea interessa all’incirca solo la metà degli stranieri. Dall’altro, sul tavolo del ministro è arrivata la più completa indagine condotta in tempi recenti, e forse in assoluto, sugli immigrati nel nostro Paese.

La percezione degli italiani - "In generale ci sono molta disinformazione e ignoranza reciproca" avverte Abis. In effetti due terzi degli italiani non hanno idea di quanti siano gli immigrati sul territorio nazionale. Il 5% parla di oltre 5 milioni e pochi indicano una cifra fra i 2 milioni e mezzo e i 3, che si avvicina al dato reale. In compenso, siamo quasi tutti convinti che l’immigrazione negli ultimi 5 anni sia cresciuta, e il 75% di noi crede che in futuro andrà peggio. Ma non si può dire che ne facciamo un dramma: tra le nostre priorità, prima del controllo degli ingressi alle frontiere, che è all’ottavo posto, vengono la disoccupazione e il lavoro precario, le condizioni economiche delle famiglie - prezzi, crisi economica, pensioni - e persino la formazione di una nuova classe dirigente. Però, anche se gli immigrati vengono vissuti soprattutto come "lavoratori " e solo una minoranza sostiene che la loro principale attività sia chiedere l’elemosina o delinquere, la percezione della clandestinità rimane rilevante: per circa il 15-16% degli italiani gli irregolari sono almeno il 50% del totale. Uno dei fattori che alimenta la diffidenza è la lingua. "È un punto fondamentale - dice Abis -. Potrebbe favorire i meccanismi dell’integrazione, ma per ora c’è un livello di conoscenza basso. Per paradosso, tanti immigrati in Italia, oltre alla loro lingua conoscono altri idiomi stranieri meglio dell’italiano. Questo si riverbera su questioni di sicurezza sociale, come la salute: alcuni non accettano di farsi curare per problemi di comunicazione".

L’Italia vista dagli immigrati - Dante Goffetti, mantovano, 58 anni, è l’uomo che ha progettato l’indagine, coordinato il lavoro di centinaia di intervistatori, assemblato i dati. Ora sfoglia i risultati e cita: "Ecco qui, pagina 25: lavorano 3 immigrati su 4 e la maggior parte ha contratti regolari ". Poi va a pagina 73: "Oltre l’85% degli immigrati si trova bene in Italia, con un 24% che dice di stare molto bene". Goffetti spiega che il campione è stato "proporzionato" tenendo conto della provenienza dei cittadini immigrati, per rispecchiare la realtà italiana. Racconta che gli intervistati sono stati avvicinati nei negozi etnici, nei phone center, nei supermercati. "I cinesi non hanno voluto parlare - dice -. Ci hanno risposto che l’Italia sa tutto di loro: lavorano e pagano le tasse". Ma gli altri si sono raccontati, e ne è venuto fuori un identikit interessante di chi vive da un po’ nel nostro Paese.

Le mansioni più diffuse sono operaio, badante, colf e cameriere. Il 44% degli immigrati abita con la propria famiglia, in nuclei composti mediamente da 3,7 persone. Stanno, per due terzi, in case in affitto (i proprietari sono il 12%) più piccole delle nostre: 75 metri quadri contro 103. Ma oltre 7 su 10 sono soddisfatti dei propri appartamenti. Dotati di quasi tutti gli elettrodomestici, meno la lavastoviglie, di tv (le reti preferite sono Canale 5 e Rai Uno) e di più antenne paraboliche di quante ne usino gli italiani. E ancora: la metà dei cittadini immigrati ha la macchina, il 20% possiede un motorino, quattro su dieci vanno in bicicletta. Il 50% ha un conto in banca. "C’è tanta integrazione " chiude Goffetti. Ma alla voce progetti per il futuro la ricerca dice: oltre un quarto degli immigrati intende vivere in Italia, circa la metà vuole tornare al proprio Paese.

La cittadinanza - Non sempre i segnali di integrazione si traducono nella volontà di diventare italiani. La cittadinanza sarebbe per gli immigrati un "traguardo funzionale", il modo per ottenere "beni" come il welfare o la possibilità di acquisti rateali, e soltanto pochi hanno una reale aspirazione a poter votare. Molti di loro, poi, temono di perdere i propri beni in patria: "sanzione" prevista da alcune legislazioni nazionali per chi decide di cambiare passaporto. A questo si aggiungono la scarsa conoscenza delle nostre leggi, compreso il disegno di legge Amato, e questioni legate alla cultura dei singoli gruppi. Ecco che gli albanesi, spesso in Italia da tempo, con redditi superiori ad altri immigrati e un buon italiano parlato, vivono il nostro Paese come un trampolino di lancio per gli Usa e comunque preferiscono l’idea di tornare a casa a quella di fermarsi qui. Per le badanti ucraine, che pure tendono ad adeguarsi con facilità a usi e costumi del Paese ospitante, il ritorno in patria "è un mito". Ed è in parte simile l’atteggiamento dei filippini, che certo non dipende dall’integrazione. I ricercatori hanno verificato una circostanza curiosa: malgrado la comunità filippina sia la sesta in Italia per numero di persone, noi sembriamo non accorgerci di questa presenza. Perché sono discreti, o perché la parola "filippino" ormai indica una professione più che una nazionalità. Loro lo sentono, ci considerano caldi e affettuosi: "La signora per cui lavoro - dice una donna di 35 anni - è molto carina, si comporta da amica, beviamo il the assieme e chiacchieriamo". Però nutrono dubbi sulla proposta di Amato di poter ottenere la cittadinanza più rapidamente.

"Come faccio a sapere dopo solo 5 anni che voglio restare in un Paese?". Sono soprattutto i latino-americani a manifestare l’intenzione di stabilirsi qui. E per loro un ruolo importante lo gioca "l’auto-percezione di affinità culturale", dovuta in buona parte al fatto che sono cattolici. I dati dicono che oggi il 55% degli immigrati, poco più di uno su due, sarebbe interessato a chiedere la cittadinanza dopo 10 anni. Mentre il 47% (meno del 51,8% di italiani favorevoli) considera giusti i criteri del disegno legge che porta a 5 anni il periodo necessario, introducendo controlli sulla conoscenza della lingua. "Tante di queste "società immigrate" vogliono sì integrarsi - dice Abis -. Solo che pensano a convivere con gli italiani, mantenendo buoni rapporti, ma restando in una sorta di mondo parallelo".

Punti forti e criticità - Gli immigrati sono un soggetto poco omogeneo. Si vedono anche loro così. "Ci sono quelli che non vogliono lavorare" dicono in molti parlando degli altri stranieri. In base alle risposte date a domande sull’immagine che hanno degli italiani e di se stessi, sono stati individuati 5 gruppi portatori di orientamenti diversi verso la nostra società. Il primo (36,7%) è composto da chi valuta positivamente gli italiani e desidera assimilarsi. Il secondo (33,2%) da chi pensa che gli italiani siano razzisti. Poi viene chi non ha una grande opinione degli italiani ma non pensa che siano razzisti e critica gli altri immigrati; chi non desidera assimilarsi; e infine chi ritiene che gli italiani non siano razzisti e difende la reputazione degli immigrati. I problemi di presunto o reale razzismo riguardano soprattutto i rapporti con gli arabo-musulmani. "Ci chiamano animali, bestie, non ci rivolgono il saluto", dice una giovane donna marocchina. "Ti vogliono imporre la loro cultura" replicano alcuni italiani pensando alle popolazioni dell’Africa del Nord. E i ricercatori ammettono: "Parte della comunità marocchina è arroccata a difesa della propria identità". Una cosa sembra mettere tutti d’accordo: i bambini. Sono un veicolo di integrazione per gli adulti; per madri che spesso lavorano nelle case degli italiani e contribuiscono a creare stabilità. E a tutti pare giusto dare la cittadinanza a chi nasce in Italia e ha almeno un genitore regolarmente immigrato qui da 5 anni. "Per ora - dice Goffetti - ne sono già nati 620 mila".

Sicurezza: Milano sceglie la "linea dura" contro senza dimora

 

Redattore Sociale, 24 luglio 2007

 

I cittadini comunitari dovranno favorire oltre alla carta d’identità, il contratto di lavoro e il libretto sanitario pena l’allontanamento. Milano è il primo Comune ad attuare la direttiva Ue, ma non ci saranno pattuglie solo per i controlli.

La linea dura contro "accattoni, senza dimora e lavavetri" a Milano inizia oggi. Quando, oltre al documento d’identità, i cittadini comunitari dovranno favorire anche il contratto di lavoro e il libretto sanitario, pena l’allontanamento dal Comune secondo quanto stabilito da una direttiva comunitaria (n. 38 del 2004; ndr) recepita in Italia dal decreto legislativo 30/2004 entrato in vigore lo scorso 11 aprile. E al capoluogo lombardo spetta il primato del primo Comune a prendere questo tipo di provvedimenti.

"Dopo i controlli - spiega Riccardo De Corato, vicesindaco e assessore alla Sicurezza -, le persone fermate verranno invitate a recarsi all’ufficio anagrafe, dove dovranno dichiarare le proprie generalità, residenza, attività lavorativa e la disponibilità di risorse economiche. Alla scadenza dei 90 giorni, se non saranno rispettate le condizioni previste si perderà il diritto di soggiorno, con conseguente espulsione".

La procedura per espellere cittadini comunitari dunque è piuttosto complessa e i primi a incappare nei controlli saranno proprio i mendicanti, dopo di loro toccherà a chi abita nei campi nomadi rom. "Per rendere più efficace il sistema dei controlli, - aggiunge il vicesindaco - Milano ha intenzione di predisporre una banca dati operativa, che sarà messa a disposizione delle polizie locali di tutti i Comuni della Provincia di Milano". Non ci saranno però pattuglie dedicate esclusivamente all’applicazione della direttiva Ue, come fanno sapere dal Comando di piazza Beccaria, sede della Polizia municipale: "I vigili hanno ricevuto le nuove disposizioni. E le applicheranno nell’ambito dei controlli che già vengono effettuati ogni giorno".

"Le norme ci sono e vanno applicate, ma non possono valere solo per i Rom", spiega Bruno Nascimbene, docente di Diritto dell’Unione europea all’Università statale di Milano e membro del direttivo dell’Asgi, l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, e aggiunge: "Questi stessi requisiti devono essere chiesti anche a cittadini tedeschi, francesi, maltesi e lituani che restano in Italia per un periodo superiore ai tre mesi".

A livello giuridico poi, i provvedimenti di allontanamento sono competenza del Prefetto e non del Comune. "Al sindaco spetta solo il compito di identificare le persone e accertare se siano in possesso o meno dei requisiti richiesti", spiega Nascimbene. E la normativa europea non prevede neppure un trattamento specifico per i Rom, principali destinatari dei provvedimenti presi dal Comune di Milano. "Si rischia di confondere i piani, e poi tra i Rom ci sono anche cittadini italiani e contro di loro non vale nessun decreto di allontanamento".

Droghe: adesso torniamo ai dati di realtà, di Susanna Ronconi

 

Fuoriluogo, 24 luglio 2007

 

Tra gli allarmismi strillati dai titoli dei media e da qualche sindaco e i dati sui consumi presentati dalla relazione al Parlamento su droghe e dipendenze, non c’è sintonia. È vero che il consumo di qualche sostanza, legale o illegale, è un fenomeno sociale diffuso e culturalmente radicato, tanto che la gestione repressiva di questi comportamenti sociali appare sempre più ridicolmente inadeguata, ma è anche vero che le cifre parlano di una sostanziale stabilizzazione dei consumi, con l’eccezione della cannabis: il consumo abituale di cocaina - il grande allarme sociale del momento - risulta stabile, dal 2001, è aumentato solo il consumo sperimentale e sporadico, di chi consuma da 1 a 5 volte l’anno: che non è dunque un’abitudine e difficilmente incide negativamente sulla vita personale e sociale. Sono queste le persone che si vorrebbe reprimere e su cui si vorrebbe scaricare la responsabilità del mercato illegale?

Flessione anche nei consumi abituali di alcool e tabacco. Dunque, l’uso sperimentale diffuso e l’incremento del policonsumo suggeriscono semmai l’urgenza di adeguare ai nuovi stili di consumo politiche di informazione, prevenzione, limitazione dei rischi mirate a far sì che da quella sperimentazione non si passi ad un uso problematico.

Ciò che invece è aumentato esponenzialmente sono segnalazioni alle Prefetture e comminazione di sanzioni dopo il colloquio di giovani e giovanissimi detentori di cannabis, denunce e incarcerazioni, a riprova che la legge Fini Giovanardi continua paradossalmente a fare il suo mestiere. E che una ingente parte delle risorse viene gettato in repressione inutile del consumo e del piccolo spaccio spesso gestito da consumatori. Interessanti i dati della Relazione sui costi sociali del consumo di sostanze illegali: i 2,7 miliardi che se ne vanno in repressione sono una somma enorme: non sarebbe tempo di investirla in prevenzione, informazione e servizi? E anche quella perdita di produttività sociale stimata in 1,9 miliardi di euro e i costi sanitari e sociali per 1,7 miliardi, quanto devono ai danni prodotti dalle sostanze e quanto invece a quelli da stigmatizzazione, clandestinità e repressione? Se a qualcosa servono, gli studi del fenomeno, è a porsi le domande più appropriate invece che lanciare ciclici allarmi.

Droghe: Torino; una petizione per le "stanze da iniezione"

 

Notiziario Aduc, 24 luglio 2007

 

Ieri Domenico Massano (Giunta di segreteria Associazione Radicale Adelaide Aglietta), Susanna Ronconi (Presidente Forum Droghe) e Alessandro Orsi (Malega 9 Produzioni) negli Uffici del Municipio di Torino hanno apposto le prime tre firme in calce alla petizione al Consiglio Comunale per richiedere l’istituzione di almeno una "sala da iniezione" nel Comune di Torino.

"Abbiamo deciso di utilizzare lo strumento di democrazia diretta previsto dallo statuto comunale per dare più forza alla nostra richiesta di istituire, finalmente, almeno una "sala da iniezione" nel territorio comunale. Le sale da iniezione sono una concreta iniziativa di riduzione del danno, che tutela sia il cittadino tossicodipendente sia gli altri cittadini, limitando l’impatto sociale provocato dall’uso di sostanze in strada (abbandono di siringhe ed altro materiale, problemi di sicurezza e di ordine pubblico)".

"Anche in questo campo Torino potrebbe essere la "città laboratorio" in grado di esprimere un contesto di innovazione, di affermazione della cultura dell’accoglienza, di un approccio laico basato su evidenze scientifiche al fenomeno delle tossicodipendenze".

Gran Bretagna: il dibattito sulla cannabis è diventato "infinito"

 

www.antiproibizionisti.it, 24 luglio 2007

 

L’annuncio dell’inasprimento delle pene per i consumatori di cannabis da parte del Primo ministro Gordon Brown e la valanga di confessioni dei membri del suo gabinetto che ha precipitosamente fatto seguito, hanno lasciato spazio alla credenza che la litania sulla cannabis - quella di una volta, quella sì che era buona e innocua, mentre oggi è molto più potente e dannosa di quando la si fumava noi - possa avere un qualche fondamento di verità e costituisca una valida giustificazione alla criminalizzazione dei consumatori. Niente di più falso. È quanto ci ricordano, e non lo si ripeterà mai abbastanza, alcuni articoli apparsi in questi giorni su due importanti organi di informazione britannici, il Guardian e l’Independent.

Per Francis Sedgemore, in "Cannabis: la grande bugia", la Skunk può essere forte, sì, ma non più dell’hashish di alta qualità che è sempre stato fumato in Gran Bretagna. "Si fa un gran parlare di ri-criminalizzare milioni di consumatori di cannabis, ed è tutto basato su una bugia. Vale a dire che politici e medici stanno spacciando dati ingannevoli con l’intento di mostrare che la skunk attualmente sul mercato è almeno 10 volte più potente di qualsiasi cosa il ministro degli Interni abbia potuto fumare quando studiava a Oxford negli anni ‘80.

È semplicemente falso, e ripetere una bugia ad nauseam non la rende vera". "L’erba è sempre più verde", titolava qualche giorno prima l’articolo di Tom Clark, che - sempre dal sito del Guardian - ricordava come le preoccupazioni sulla cannabis non possano certo giustificare il ritorno a una politica fallimentare.

"Uno studio del Lancet dello scorso marzo ha concluso che, ferma restando la pericolosità della cannabis, questa costituisce un problema meno grave dell’alcol e del tabacco. Nonostante ciò, nessuno mette in discussione che il metodo corretto per porre l’attenzione dei bevitori e dei fumatori sui rischi che corrono sia quello di utilizzare le campagne di informazione - non quello di gettare in galera i tabaccai e i gestori dei pub".

Dalle colonne dell’Independent, Jeremy Laurence ripropone, in un articolo intitolato "Smontata la scusa dei politici che la cannabis sia diventata più potente", un’interessante dichiarazione del Prof. Leslie Iversen, farmacologo della Oxford University, il quale afferma che la credenza diffusa che la skunk sia 20 o 30 volte più potente è "semplicemente falsa".

"Il cambiamento più significativo negli ultimi decenni - continua Laurence nel suo articolo - è rappresentato dalla potenza della marijuana coltivata in casa, ma questa è solamente raddoppiata, arrivando al 12-14% di Thc. In Gran Bretagna si trova sul mercato una Skunk particolarmente potente, ma c’è sempre stata, come testimoniato dallo UN Drug Control Program".

In conclusione, viene trattata un’altra questione "scottante" e di grande attualità: quella riguardante la relazione causale tra l’uso di cannabis e la schizofrenia. "Gli esperti guidati dal Prof. David Nutt, specialista in psichiatria della tossicodipendenza all’università di Bristol, hanno affermato lo scorso marzo sul Lancet che non è stato stabilito alcun legame di tipo causale". Perché un’associazione non costituisce una causa.

Svizzera: ricerca; la cannabis aumenta il rischio di psicosi

 

Notiziario Aduc, 24 luglio 2007

 

Il consumo di canapa accresce il rischio di schizofrenie o altre psicosi: a tale conclusione è giunto uno studio della Clinica psichiatrica universitaria di Zurigo, i cui risultati sono stati pubblicati sull’edizione online della rivista specializzata "Schizophrenia Research". "Dal profilo preventivo la cannabis appare meno insignificante di quanto generalmente supposto" finora, rilevano i ricercatori, citati in una nota diramata ieri dall’ateneo zurighese.

Gli studiosi ritengono che il ruolo della canapa come fattore di rischio per malattie psichiche debba essere riesaminato. A loro avviso, coloro che presentano predisposizioni ereditarie a disturbi psichici dovrebbero rinunciare a consumare canapa.

Per la ricerca sono stati analizzati statisticamente i dati delle ammissioni negli istituti psichiatrici del cantone di Zurigo, risalenti fino agli Anni ‘70. Gli studiosi hanno rilevato un notevole incremento della quota di malati fra i giovani maschi nel corso degli Anni ‘90: nella fascia di età dai 15 ai 19 anni è triplicata e in quella dai 20 ai 24 anni è raddoppiata in brevissimo tempo. Nello stesso decennio si è constatato un netto aumento del consumo di droghe leggere. Fra i giovani uomini i consumi di cannabis sono diventati più frequenti e di quantità superiori.

Libia: grazia a infermiere bulgare, sono tornate a casa

 

Ansa, 24 luglio 2007

 

Dopo oltre otto anni trascorsi nelle carceri libiche, sono finalmente ritornati a casa le cinque infermiere bulgare e il medico palestinese loro connazionale che erano stati condannati a morte in Libia, pena poi commutata nell’ergastolo, per aver infettato 438 bambini con il virus dell’Aids nell’ospedale pediatrico di Bengasi.

L’aereo con a bordo i sei ex detenuti messo a disposizione della Presidenza della Repubblica francese, grande regista del rilascio, è atterrato a Sofia in mattinata; era partito da Tripoli circa tre ore prima. Il ministero degli Esteri della Bulgaria ha fatto sapere che, contrariamente a quanto reso noto in un primo momento, i sei non sconteranno alcuna detenzione in patria, ma saranno immediatamente graziati.

Insieme a loro è rientrato anche un altro medico, pure lui di nazionalità bulgara, che al processo in Libia era stato prosciolto dalle accuse, ma cui era stato sempre proibito di lasciare il Paese arabo. Sul medesimo velivolo hanno viaggiato Cecilia Sarkozy, moglie del presidente francese Nicolas Sarkozy, il braccio destro di quest’ultimo e segretario generale dell’Eliseo, Claude Gueant, e l’eurocommissario per le Relazioni Esterne, l’austriaca Benita Ferrero-Waldner, la cui missione di mediazione a Tripoli si è rivelata decisiva per la positiva conclusione della vicenda. Cecilia Sarkozy, ricevuta ieri personalmente dal colonnello Muammar Gheddafi, era già stata a Tripoli una prima volta una decina di giorni fa.

 

 

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