Rassegna stampa 19 luglio

 

Trani: detenuto 24enne si suicida all’interno del carcere

 

Ansa, 19 luglio 2007

 

Misterioso episodio ieri sera all’interno del carcere di Trani. Un giovane detenuto di 24 anni si è tolto la vita impiccandosi all’interno del bagno. È accaduto durante l’ora d’aria. Il giovane aveva chiesto di poter andare in bagno, subito dopo un agente della polizia penitenziaria ha trovato il suo cadavere. Pare che il giovane avesse avuto da qualche giorno notizia della condanna definitiva per reati connessi allo spaccio di droga e contro il patrimonio. Sull’accaduto sono in corso indagini da parte della polizia, coordinate dal magistrato Achille Bianchi.

Giustizia: pronta bozza riforma codice di procedura penale

 

Agi, 19 luglio 2007

 

Il testo della riforma del codice di procedura penale messo a punto dalla commissione presieduta dal professore Giuseppe Riccio è stato consegnato al ministro della Giustizia Clemente Mastella, intervenuto alla riunione, che si è tenuta oggi, della commissione stessa che ha concluso la prima fase dei lavori.

Lo riferisce in una nota il ministero della Giustizia, riportando che "il Guardasigilli, ringraziando tutti per l’impegno ed il lavoro svolto, ha sottolineato l’importanza dell’apporto congiunto di magistrati, avvocati e docenti universitari teso in uno sforzo comune ad un risultato frutto di dialettica e confronto costruttivo".

"Il ministro della Giustizia ha anche messo in evidenza la necessità di ridurre in tempi della giustizia senza intaccare in alcun modo le garanzie delle parti. Il Guardasigilli ha invitato, quindi, il presidente della commissione a diffondere i risultati raggiunti affinché si realizzi un ulteriore confronto che potrà apportare contributi e arricchimenti dal mondo dell’accademia, della avvocatura e della magistratura da considerare per la stesura definitiva del testo", conclude il Ministero, annunciando che il lavoro della Commissione sarà illustrato domani alle 17, nella sala verde del ministero della Giustizia, dal presidente della commissione, Giuseppe Riccio.

Giustizia: Mastella, nuovo c.p.p. non presenta criticità politiche

 

Agi, 19 luglio 2007

 

"Non mi pare che la riforma del Codice di procedura penale contenga elementi di criticità politica". Lo ha detto il minsitro della giustizia, Clemente Mastella, intervenendo alla presentazione-festa della legge sulla partecipazione dei giovani alla politica e alle istituzioni, firmata dalle deputate Udeur Federica Rossi Gasparrini e Sandra Cioffi.

"Mi pare un’ottima cosa - ha aggiunto Mastella a proposito della riforma - e ho consigliato di consegnare un po’ in giro la proposta di riforma del Codice alle commissioni parlamentari, alle università, alle Anm locali e alle procure, in modo che ci sia una grande consultazione, cosicché alla ripresa dei lavori parlamentari potremo accogliere i contributi che verranno da questa lettura attenta della legge delega della commissione".

Giustizia: troppi Pm vanno in Tv a tenere conferenza stampa

di Paolo Guido (Magistrato)

 

www.radiocarcere.com, 19 luglio 2007

 

Capita sempre più frequentemente che magistrati dell’ufficio del P.M. partecipano disinvoltamente e con grande dimestichezza (e spesso anche con look adeguato e acconciatura da parrucchiere ad hoc), alle pompose ed auto celebrative conferenze stampa che le forze dell’ordine fanno normalmente all’esito di operazioni di polizia giudiziaria.

 

Due considerazioni. La prima.

Colleghi sempre attenti alle ultime interpretazioni giurisprudenziali, non hanno avuto evidentemente modo di leggere l’art. 5 D.Lvo n. 106/206, che mi risulta essere in vigore, e che nel prevedere l’attribuzione diretta al Procuratore della Repubblica dei rapporti con gli organi di informazione (escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento), vieta tassativamente ai magistrati della Procura "di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio".

Tanti (troppi) colleghi ignorino la legge in modo assolutamente disarmante, con ciò esponendosi (ed esponendo l’intera categoria) a critiche da cui mi pare impossibile difendersi.

 

La seconda.

A prescindere dal dato normativo, ritengo che le conferenze stampa con la partecipazione di un magistrato del P.M. debbano essere un fatto del tutto straordinario, imposto dalla necessità di conferire maggiore autorevolezza e sacralità, direi quasi ufficialità, a certe delicate notizie (mutatis mutandis le stesse ragioni che facultizzano eccezionalmente il Pubblico Ministero a rendere pubblici singoli atti di indagine ex art. 329 c.p.p.). Insomma: presenza istituzionale e soprattutto strettamente connessa al ruolo di garante e, terzo, anche rispetto alla polizia giudiziaria.

Con il tempo, invece, la presenza del magistrato (lo dico avendovi partecipato alcune volte) è del tutto inutile e priva di qualsiasi giustificazione istituzionale, neppure quella ufficiale, di "informare la stampa", poiché i giornalisti che vi partecipano hanno piena disponibilità delle ordinanze di misura cautelare e, nelle ore successive, hanno già notizie dettagliate sui singoli atti del procedimento che, puntualmente, vediamo il giorno dopo pubblicati sui giornali.

Purtroppo, il messaggio che passa è un altro: il magistrato si trova lì perché fa piacere a tutti apparire, rivedersi in TV, essere riconosciuto dal vicino di casa, sentirsi al centro delle attenzioni mediatiche, essere in fondo un super capo della Polizia Giudiziaria, tant’è che quasi sempre le conferenze stampa si svolgono negli uffici di polizia (per cui non sorprendiamoci quando poi nelle fiction si vede il Pubblico Ministero recarsi nei commissariati, arrivare nelle stanze dei dirigenti e lì quasi prendere ordini dal commissario o dal capitano eroe di turno).

Non solo. Oltre a constatare l’innegabile protagonismo, il cittadino vede nel magistrato un tutt’uno con le forze di polizia, non ne coglie la terzietà e la (fondamentale) funzione di garanzia rispetto alle investigazioni che svolge la polizia giudiziaria; senza contare che (purtroppo spesso) gli indagati vengono dopo pochi giorni clamorosamente scarcerati o in prosieguo assolti: fatto fisiologico, è ovvio, se rimane confinato nel processo; danno grave in termini di immagine e credibilità se il giorno prima lo si era celebrato pubblicamente e a microfoni aperti come l’arresto del secolo!

La verità è che - diciamocelo con franchezza -, un po’ ce piace... tanti, troppi colleghi (come tanti, troppi cittadini di questo mondo) vivono il loro ruolo e la dignità della loro professione perdendo di vista la sacralità della funzione, trascurando gli impegni professionali più pesanti e fuori dalle attenzioni mediatiche (penso ad esempio alla partecipazione al dibattimento, quello ordinario, che è la gran parte, dove normalmente il P.M. appare stanco e poco preparato o delega generosamente al V.P.O.), per privilegiare quelli più elettrizzanti, più eccitanti, cioè quello delle indagini preliminari, dove si "dirige" la Polizia Giudiziaria (ma sarà poi vero? o siamo, tanti di noi giovani ed inesperti, lusingati da smaliziati ufficiali di P.G. che ci seducono con il loro fingere di pendere dalle nostre labbra, facendoci sentire "importanti", per poi indirizzare dove vogliono le investigazioni?).

Concludo, ricordando Giorgio Gaber che se un tempo scriveva "non temo Berlusconi in se, ma Berlusconi in me", forse oggi direbbe "non temo Corona in se, ma Corona in me".

Giustizia: noi, avvocati esclusi... ma non siamo senza colpe

di Marco Vassallo (Avvocato)

 

www.radiocarcere.com, 19 luglio 2007

 

L’Anm, ottenuta l’esclusione degli avvocati dai Consigli Giudiziari, ha revocato lo sciopero, come se tutta la polemica sulla riforma dell’ordinamento giudiziario trovasse giustificazione in tale disposizione. L’astensione degli avvocati, invece, ha portato a casa una sola modestissima "Manzione".

Quali le ragioni di uno scontro così acceso, su temi talmente tecnici che gli organi di informazione (ed anche il dibattito parlamentare) hanno rinunciato in partenza a tentare di illustrarli nel merito? Il nodo era quello della partecipazione di un rappresentante dell’avvocatura quale membro di diritto dei Consigli Giudiziari. Tale previsione, introdotta dalla "Riforma Castelli" è stata abrogata dalla "Riforma Mastella" su richiesta dell’ANM.

La questione in sé non ha alcun peso reale: i Consigli Giudiziari hanno poteri limitati; già con la Riforma Castelli il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, membro di diritto, non interveniva sulla valutazione dei singoli magistrati; anche con la Riforma Mastella la presenza degli avvocati nei Consigli Giudiziari non è stata eliminata, essendo prevista su designazione del CNF.

Lo scontro - radicalizzato ben al di là di quanto le conseguenze pratiche della legge giustificassero - non aveva ragioni di merito, ma è stato il pretesto per misurare la capacità dell’ANM di determinare le scelte del Governo e del Parlamento e riaffermare l’esclusività della magistratura associata come interlocutore delle scelte politiche sulla giustizia. L’avvocatura, per parte sua, ha risposto in termini inadeguati - perché inefficaci - con un’astensione che ne palesa la debolezza quale soggetto politico.

Abbiamo cavalcato lo scontro politico, invece di ricondurre il dibattito al merito delle norme: si è ribadita la necessità della separazione delle carriere di giudici e pm, tranne poi schierarsi a difesa di un pallido simulacro di separazione delle funzioni; si è gridato allo scandalo dei diktat dell’ANM, invece spendersi - e spendere un po’ di denaro - per l’affermazione della naturale pluralità dei soggetti del processo penale (pm, avvocato, giudice), tutti partecipi della stessa funzione; si sono versate lacrime per un Parlamento pronto a farsi dettare le leggi, invece di affermare che il funzionamento della giustizia è tema che riguarda il Paese. Ciò nonostante gli avvocati sono stati incapaci di farsi ascoltare, sia per l’inesperienza ad agire su un terreno (la formazione del consenso politico) che non è il nostro, sia per i contenuti del messaggio.

Anche a fronte della sconfitta, abbiamo affermato che il nostro sciopero non ha alcuna incidenza sul dissesto degli apparati giudiziari, i cui unici responsabili sono la politica e la magistratura. Non è così: l’avvocatura italiana ha gravissime responsabilità sullo sfacelo della giustizia, rappresentato dal preoccupante abbassamento della qualità della giurisdizione, ormai esteso anche alle sentenze di una Cassazione devastata da conflitti intestini, protagonismi e incapacità individuali. Di fronte a questo sfacelo - ben più grave e preoccupante della lentezza dei processi - è troppo semplicistico attribuire tutte le colpe alla politica (specchio della società): chiediamoci piuttosto cosa non abbiamo fatto noi avvocati, cosa avremmo potuto fare, cosa possiamo fare per recuperare. Anche tra noi il livello culturale è gravemente diminuito e sarebbe un errore non prenderne coscienza.

Il tema del recupero di una cultura elevata negli operatori della giustizia - a partire da noi - dovrà divenire centrale nelle proposte dell’avvocatura. Anche sotto tale profilo, la riforma dell’ordinamento giudiziario è stata un’occasione mancata, perché - seppure ha aperto qualche impercettibile breccia nell’autoreferenzialità formativa dei magistrati - non ha affrontato adeguatamente il tema della necessità di una formazione permanente comune di tutti gli attori della giurisdizione, che non si arresti all’Università, ma prosegua con scuole di preparazione agli esami di abilitazione alle diverse funzioni, con tirocini obbligatori comuni e proceda anche durante il corso delle carriere professionali.

Solo istituzionalizzando luoghi di confronto permanente condivisi si potrà favorire il recupero di una reale cultura della giurisdizione, comune a tutti gli attori del processo, e non patrimonio esclusivo di pm e giudici. Servirà, tuttavia, coraggio e lungimiranza perché le resistenze, il comodo vittimismo e le pulsioni a lasciare tutto com’è (tranne poi restare travolti) tra gli avvocati sono enormi.

Giustizia: avvocati esclusi; serve riforma della professione

 

www.radiocarcere.com, 19 luglio 2007

 

Anche una cattiva riforma, come quella varata nella passata Legislatura dal governo Berlusconi in materia di ordinamento giudiziario, può avere dalla sua delle buone ragioni.

Anni ed anni di deludenti applicazioni delle leggi sulle promozioni "a ruolo aperto" dei magistrati hanno persuaso, anche i più ostinati conservatori, dell’impraticabilità di una politica votata alla difesa dell’esistente.

Il consiglio superiore della magistratura troppe volte non ha saputo gestire un sistema ispirato al valore, ancora attuale e prezioso, che i magistrati non devono subire né i timori né il fascino di una carriera organizzata in senso piramidale.

Sulla condivisione di questa critica ha preso corpo il dissenso alla soluzione della legge del governo Berlusconi, che ha articolato la progressione in carriera sul fitto reticolo di concorsi per esami; quel dissenso, infatti, non ha mai negato la necessità di una riforma, che fosse però efficace, reclamandone addirittura l’urgenza.

E la riforma, incentrata su verifiche periodiche di professionalità, si sta facendo strada, dopo aver superato il passaggio più problematico dell’esame al Senato ed incassato la revoca dello sciopero dei magistrati, grazie, soprattutto, alla bocciatura dell’emendamento per la partecipazione degli avvocati, componenti dei consigli giudiziari, ai pareri sulle capacità professionali dei magistrati.

Che i consigli giudiziari, strategicamente importanti nella prospettiva di un decentramento dei compiti del consiglio superiore della magistratura, dovessero mutare composizione, era ormai da molti anni convinzione diffusa.

Una struttura spiccatamente corporativa non nasceva, in periodo precostituzionale, per soddisfare le istanze di partecipazione, di estranei all’apparato, alle scelte incidenti sull’organizzazione del servizio giudiziario.

Ma, oggi, essa è del tutto incomprensibile. Sul numero delle sezioni degli uffici giudiziari, sulla qualità e quantità degli affari e sull’organico dei magistrati per ciascuna sezione, è giusto e politicamente necessario che i consigli giudiziari si esprimano in composizione allargata alle rappresentanze degli avvocati del distretto, di quanti cioè si misurano quotidianamente con le diffuse inefficienze del sistema.

E allora, perché escluderli dai pareri sulla professionalità dei magistrati, specie se si accetta l’idea che il profilo della capacità professionale è strettamente connesso al tema dell’efficienza del servizio giudiziario? La risposta non può prescindere da una buona dose di franchezza.

La magistratura ha bisogno di vincere tendenze alla chiusura corporativa, che rischiano di disperdere il senso della costruzione costituzionale del cd. autogoverno. Ma la via non è quella di rinsaldare, con brusca accelerazione di un percorso pur da compiere, i legami con una categoria in cui non certo minori sono le spinte corporative, accentuate dal malessere legato all’ingente e sempre crescente numero di avvocati e dalla conseguente difficoltà di gestione del mercato.

Occorre guardare con realismo alle condizioni dell’avvocatura, che la stessa sua rappresentanza denuncia, chiedendo una seria riforma della legge professionale per incoraggiare un sistema di formazione permanente anche come criterio di continua selezione.

Non è tanto il timore che, specie in alcune zone del Paese, potrebbe aversi una minorata tutela dell’autonomia dei magistrati, consentendo anche alle meno nobili motivazioni di un’accesa conflittualità processuale di trovare forme anomale di esternazione, alterando le condizioni per un giudizio imparziale. Sarebbe sufficiente a scongiurare il rischio la garanzia della partecipazione al procedimento valutativo del magistrato interessato, per i necessari rilievi o, di più, un sistema di incompatibilità (territoriali) all’esercizio della professione forense per l’intera durata del mandato consiliare, sulla falsariga di quanto già previsto per i componenti del Consiglio superiore.

Il pericolo è, invece, di non sfruttare nel miglior modo il fatto che gli avvocati sono i primi testimoni del valore e dell’inettitudine dei magistrati.

Proprio per avvalersi efficacemente di questa utile testimonianza, è preferibile non coltivare soluzioni, pur astrattamente coerenti, che, allo stato, potrebbero favorire l’assorbimento delle potenzialità di critica puntuale degli avvocati in atteggiamenti inclini a trovare con i magistrati accomodamenti compromissori, nel nome di reciproche e, appunto, corporative convenienze. La prospettiva immediata deve essere quella di lavorare per restituire ad avvocati e magistrati il senso autentico della loro professione. Su questo terreno c’è molto da fare: il resto verrà da sé.

Lettere: scrivono i genitori dei bambini morti in crollo scuola

 

www.radiocarcere.com, 19 luglio 2007

 

31 ottobre 2002 la scuola crolla. Muoiono 27 bambini e una maestra. 13 luglio 2007, vengono assolti tutti gli imputati.

I genitori dei bambini scrivono questa lettera: "L’(i)talia non è uno Stato. Uno (s)tato che non è in grado di garantire gli standard minimi di sicurezza dei propri cittadini, che non è in grado di punire i responsabili di colpe gravi come l’omicidio e le stragi, non può definirsi tale e per questo vogliamo tirarcene fuori.

Prima non è riuscito a proteggere i nostri Figli, dopo non è stato in grado nemmeno di rendergli un po’ di Giustizia! Non è una novità che in questo paese la giustizia sia un concetto assolutamente astratto, inapplicato ed inapplicabile.

Abbiamo fatto di tutto per credere nello Stato, nelle Istituzioni e nella Giustizia. Ci siamo affidati ad un apparato Giudiziario che sapevamo essere debole. Abbiamo presenziando tutte le 36 udienze con responsabilità. Ci siamo prodigati per fare in modo che questa esperienza fosse un utile stimolo per una nuova legge sulla sicurezza delle scuole.

Il 13 luglio tutti gli imputati sono stati assolti. Ora non riusciamo più a credere in questo (s)tato e nelle sue (i)stituzioni. Per questa ragione strapperemo i nostri certificati elettorali, restituiremo la somma che lo Stato ha speso per i funerali dei nostri Figli e restituiremo le medaglie d’oro che erano state riconosciute".

 

Associazione "San Giuliano di Puglia"

Lettere: direttore Secondigliano replica a scritto di un detenuto

 

Ristretti Orizzonti, 19 luglio 2007

 

Abbiamo letto la lettera di Francesco, pubblicata il 12 luglio 2007. In assenza di ulteriori elementi non siamo in grado di risalire all’autore per una verifica di quanto da lui lamentato.

Ciononostante ci sentiamo di assicurare che in una situazione come quella descritta certamente è stato attivato un protocollo interno ed il detenuto è stato sottoposto agli accertamenti diagnostici e specialistici ritenuti necessari: se è possibile avere altre informazioni su Francesco lo verificheremo.

Nella nota lui afferma inoltre che il magistrato avrebbe disposto il trasferimento in Centro Clinico, mentre in genere l’Autorità Giudiziaria, ove non ritenga di pronunciarsi per la incompatibilità con il regime carcerario, si limita a trasmettere gli atti all’Amministrazione penitenziaria per le valutazioni di competenza. Esaurita questa breve premessa veniamo alla motivazione di queste due righe.

Sappiamo che anche i malanni più lievi sono aggravati dallo stato di detenzione e abbiamo il massimo rispetto per questa condizione: non ci piace però apparire sempre come gli aguzzini di turno, insensibili e poco attenti ai problemi dei detenuti che ci vengono affidati, in primo luogo semplicemente perché non è vero, come il caso in questione potrebbe forse dimostrare, in secondo perché, nella piena consapevolezza del fatto che chi opera in settori come il nostro corre sempre il rischio di sottovalutare qualche situazione, di vedersi sfuggire di mano qualcuno prima ancora di riuscire a capirne lo stato d’animo ed eventualmente predisporre i dovuti accorgimenti, siamo certi di dare ogni giorno il massimo, anche se in pochi -soprattutto fuori dall’Amministrazione - lo sanno.

È però importante che gli sforzi di tutti i giorni non vengano poi ripagati attraverso l’enfatizzazione di qualche situazione negativa - o presunta tale - e la ricostruzione intorno ad essa dell’immagine complessiva - ovviamente falsata - di una istituzione e dei tanti che vi operano quotidianamente. Ed è proprio questo l’effetto - certamente non voluto - della pubblicazione di lettere senza un minimo di accertamento o di verifica sui fatti esposti.

 

Il Direttore del Centro Penitenziario di Napoli Secondigliano

Liberato Guerriero

Lettere: detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 19 luglio 2007

 

Antonio, dal carcere di Carinola

"Caro Riccardo, anche io sono uno di quei detenuti condannati all’ergastolo, Io mi definisco detenuto a lungo corso. Oggi mi trovo nel carcere di Carinola, dove mi hanno trasferito per antipatie col comandante degli agenti. Questo carcere è una specie di campo di concentramento, in cui si consumano torture psicologiche che rendono l’uomo detenuto inutile, più simile ad una pianta mai innaffiata. Io sono in carcere da 13 anni e non so quanto ci dovrò stare ancora, forse per sempre. Ma vorrei dire ai detenuti italiani quanto sia importante far conoscere fuori la situazione che si vive dentro le carceri. Anche per questo è importante Radio Carcere: la sua voce impedisce che le ingiustizie da noi subite rimangano protette da queste maledette mura. A Radio Carcere un grazie di cuore."

 

Florian, dal carcere di Monza

 

"Cara Radio Carcere io sto vivendo un brutto momento nel carcere di Monza. Sono 10 mesi che sono qui. E mi è già successo che mi hanno messo le mani addosso sia nella sala colloqui che in ascensore. Ho chiesto di poter parlare col direttore ma è stato inutile. Ho iniziato uno sciopero della fame e della sete solo per poter essere considerato dal direttore del carcere. Sono straniero, sono disperato, lascio la Radio Carcere il mio messaggio di aiuto!"

 

Massimiliano, dal carcere La Bicocca di Catania

"Caro Arena, ti scrivo perché credo che sto subendo un abuso, un’ingiustizia. Devi sapere che mi trovo in carcere dal 2001. Fino ad ora ho scontato quindi 5 anni e 8 mesi di carcere. Il mio fine pena è il 2012. A ciò vanno sottratti più di 2 anni tra liberazione anticipata e indulto. Io ho dei reati c.d. ostativi che ammontano a 6 anni e 6 mesi di carcere.

Il problema è questo: io ritengo che avendo fatto più di 5 anni di carcere, meno i due anni da sottrarre alla pena tra indulto e liberazione anticipata, ho scontato il reato ostativo, mentre l’ufficio matricola dice di no. Considera che a me serve superare il reato ostativo per poter beneficiare, non della libertà, ma di un regime di detenzione più umano che prevede 6 colloqui a settimana con i familiari e la possibilità di telefonare a casa. Secondo te chi ha ragione? Grazie per quello che fate per i nostri diritti"

 

G. e F., dal carcere di reclusione di Civitavecchia

"Caro Riccardo anche noi detenuti aspettiamo con ansia che il Governo, il parlamento faccia qualcosa per la giustizia. Dopo 15 anni hanno fatto solo l’indulto e questo da solo di certo non può bastare. Noi stiamo in carcere condannati non per reati violenti per bancarotta e ricettazione. La gente deve sapere che in carcere ci sta anche gente come noi. Gente che paga 16 anni di galera per bancarotta e 17 anni per ricettazione. Non ti sembra un po’ troppo? Possibile che reati così si debbano pagare con tanti anni di galera? Per questa ragione e perché senza ormai speranze abbiamo fatto istanza di Grazia al Presidente della Repubblica.. ma da 8 mesi aspettiamo una risposta. Grazie per il tuo interessamento, noi siamo sempre all’ascolto di Radio Carcere!".

 

Severino, dal carcere di Lecce

"Caro Riccardo nel carcere di Lecce va sempre peggio e per noi la parola rieducazione è solo una presa per il culo! Scusami se ti parlo così ma è la verità. Io sono un detenuto definitivo e qui per me nessuno fa nulla, stando in carcere non mi vene data nessuna possibilità di uscire migliore, ma che vuol dire rieducazione?? Come se non bastasse a marzo mi sono fatto male a una gamba il medico del carcere mi disse che non era nulla di grave, poi i dolori continuavano e per fortuna, per fortuna mi hanno portato all’ospedale. Beh, c’avevo la gamba rotta! Ti rendi conto?? Ti saluto con stima".

Piemonte: 975 mila euro contro la devianza e la criminalità

 

Redattore Sociale, 19 luglio 2007

 

Varato un bando per progetti sociali, culturali e sportivi rivolti ai detenuti. Gli assessori: "In carcere persone che presentano problemi diversi, da quelli sanitari a quelli di sostegno sociale". Servono politiche coordinate.

Dal contrasto alla devianza all’educazione alla legalità nelle scuole, formazione professionale e ancora orientamento all’accesso ai servizi, percorsi di reinserimento lavorativo, con specifiche azioni rivolte alla popolazione femminile detenuta e ai bambini presenti negli Istituti penitenziari. Questi e molti altri gli ambiti di intervento del bando per la realizzazione di progetti sociali, culturali e sportivi, rivolti alle persone in esecuzione penale o ex detenute. I finanziamenti disponibili ammontano varato dagli assessorati regionali al Welfare, alla Cultura e allo Sport. Un finanziamento complessivo di 975 mila euro, (800 mila dall’assessorato al Welfare per progetti sociali, 100 mila dallo Sport per progetti sportivi e 75 mila dalla Cultura per progetti culturali) per portare avanti una politica organica e coordinata rivolta alle persone entrate nel circuito della devianza e della criminalità.

"Con questo bando - sottolineano gli assessori - viene applicata anche nel settore del penitenziario la cultura della progettazione partecipata sulla base di indicazioni programmatiche regionali, riconducendo tutte le iniziative ad un quadro di coerenza che potrà migliorare efficacia e qualità degli interventi. I problemi relativi alla devianza, alla criminalità e alla pena sono di dolente attualità e ci troviamo di fronte a un cambiamento delle caratteristiche dei detenuti (stranieri, tossicodipendenti, con problemi psichiatrici, ecc), persone che presentano problemi e bisogni diversi, da quelli di natura sanitaria a quelli di sostegno sociale, e che necessitano di politiche coordinate a congiunte".

I progetti potranno essere presentati da enti locali, agenzie formative, associazioni culturali, sportive, di volontariato, cooperative, cooperative sociali e loro consorzi. La partnership deve però obbligatoriamente comprendere i Gruppi Operativi Locali (attivi su tutto il territorio regionale e composti da operatori di Enti Locali, Amministrazione penitenziaria, Enti gestori dei servizi socio-sanitari, Sert, Centri per l"impiego, volontariato e associazioni, coordinati da Province o Comuni) e, per i progetti che si attuano all’interno degli Istituti penitenziari, la Direzione dell’Istituto. Le domande di contributo devono pervenire entro il 17 settembre 2007, a mezzo raccomandata A/R a: Regione Piemonte - Direzione Politiche Sociali - Settore Programmazione - Corso Stati Uniti 1- 10128 Torino.

Firenze: ad un anno da indulto di nuovo "emergenza carcere"

 

In Toscana, 19 luglio 2007

 

Ad un anno dall’indulto la situazione delle carceri fiorentine resta preoccupante. A Sollicciano permane l’allarme: i detenuti sono 798 contro una capienza regolamentare di 450. Un sovraffollamento che persiste nonostante l’entrata in vigore del provvedimento d’indulgenza che, secondo Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti, rischia di essere un’occasione mancata. Nel corso di questo anno coloro che sono rientrati in carcere dopo l’indulto sono complessivamente 356. Tra loro 149 sono italiani e 207 stranieri.

Per cambiare la realtà all’interno delle carceri, dice il garante dei diritti dei detenuti Corleone, si devono tanto per cominciare, abrogare quelle leggi che affollano gli istituti penitenziari italiani e applicare adeguatamente le cosiddette misure alternative.

"Vanno abrogate le leggi sull’immigrazione, sulle droghe e l’ex Cirielli sulla recidiva". Il garante dei diritti dei detenuti ha ricordato che il 62% dei carcerati che affollano le nostre celle è rappresentato da carcerati che devono scontare pene non superiori a 1 mese e che il 90% di loro è condannato a pene fino ad un anno di reclusione. "In molti casi i nostri detenuti stanno in carcere per poco tempo, troppo poco anche per un progetto individuale da svolgere in carcere e per preparare il soggetto al reinserimento nella società".

Per riportare un po’ di ordine negli istituti di pena si deve poi pensare ad un serio intervento legislativo con l’approvazione di nuovo codice penale e non solo. Non si devono poi dimenticare le implicazioni sociali dell’emergenza-carcere in Italia. Il problema della sicurezza, così fortemente avvertito dagli italiani, non si risolve, insomma, solo con pene più severe o con più pattuglie per le strade, aggiunge ancora Corleone, ma anche con progetti che prevedano il reale reinserimento del detenuto nella vita "altrimenti si creeranno pericolosi focolai di infezione. Il carcere non è rassicurante e soprattutto non è per sempre. Prima o poi i detenuti tornano alla vita di tutti i giorni e se sono incattiviti e senza aspettative il problema sicurezza potrebbe peggiorare".

Palermo: presentati due nuovi progetti per l'inclusione sociale

 

L’Isola Possibile, 19 luglio 2007

 

Sono stati presentati mercoledì 18 luglio, nel corso di una conferenza stampa che si è poi trasformata in un vero e proprio tavolo tecnico, i progetti di inclusione sociale, azioni che punteranno all’inserimento o al reinserimento lavorativo di cittadini ex detenuti persone in esecuzione penale esterna, persone sottoposte a misure di sicurezza, individuati dall’Uepe (ufficio esecuzione penale esterna) e soggetti portatori di forte disagio sociale.

All’incontro erano presenti il sindaco di Bagheria, Biagio Sciortino, l’assessore ai servizi sociali Gianluca Rizzo, il vicepresidente del Consiglio Gaetano D’Agati, il presidente della IV commissione consiliare Paolo Amoroso, ed i componenti della Commissione Nino Amato, Domenico Aiello, Eustachio Cilea, Antonio Chiello, Giacinto Di Stefano, il direttore reggente del Ministero di Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Ufficio esecuzioni penali esterne, Marina Altavilla, l’ispettore di Pubblica sicurezza Domenico Barone, e il tenente della Polizia Municipale Salvo Bartolone.

Inoltre rappresentanti della Caritas cittadina, e delle associazioni promotrici di una delle due iniziative, hanno portato il loro contributo. All’incontro sono state presentate i due progetti che l’amministrazione comunale sta portando avanti quale strategia contro l’emarginazione, con particolare attenzione agli ex-detenuti.

Dopo la legge sull’indulto che voleva porre rimedio al sovraffollamento e al degrado delle carceri italiane è ricaduto soprattutto sugli enti pubblici il problema di fornire supporto e reinserire i cittadini rimessi in libertà" sostiene l’assessore Rizzo.

Nell’ultimo anno, infatti, sono notevolmente aumentate le richieste di soggetti che, come prevede la legge, scontano la pena inferiore ai tre anni agli arresti domiciliari e quindi residenti nei comuni. Il Comune si è posto come principale scopo quello di superare l’ottica assistenziale per fornire invece un’opportunità di reinserimento lavorativo.

L’assessore Rizzo, nell’illustrare i due progetti, ha evidenziato come le persone che ogni settimana incontra nei vari ricevimenti non chiedono più assistenzialismo ma possibilità occupazionali.

Oltre a produrre benefici concreti in termini di qualità della vita degli ex detenuti, l’integrazione lavorativa prevista nel progetto consentirà di contrastare l’esclusione e l’emarginazione sociale con lo scopo di ridare dignità agli individui, promuovere l’integrazione nella società, permettere il raggiungimento dell’autonomia economica.

I progetti sono due; il primo denominato "Euforia" è realizzato dall’associazione "Sviluppo Bagheria" rappresentata all’incontro dal suo presidente Francesco Castronovo e dall’associazione di promozione sociale "Emergenza e Sviluppo Bagheria".

Il progetto che è destinato ad ex-detenuti, persone in esecuzione penale esterna, persone sottoposte a misure di sicurezza, lavoratori svantaggiati, includerà una serie di servizi cui saranno applicate tali categorie di lavoratori la cui attività verterà sulla pulizia delle spiagge, la gestione, il presidio e la pulizia dei bagni pubblici; la cura del verde pubblico, il posizionamento, supporto alla rimozione e sostituzione della segnaletica orizzontale ed il ripristino di quella verticale su tutto il territorio bagherese; attività di attacchinaggio e facchinaggio ed infine supporto logistico e piccola manutenzione.

Gli ex-detenuti lavoreranno per un periodo di quattro mesi, il personale in esecuzione esterna di pena, per un totale di 21 mensilità da svolgere nel 2007 sulla base delle indicazioni dell’Uepe. Il progetto avrà una durata di sei mesi.

Il Comune di Bagheria, ente committente, affiderà all’associazione Sviluppo Bagheria l’esecuzione e la gestione del progetto. Queste risorse economiche che saranno utilizzate dal Comune sono disponibili in seguito ad un contributo straordinario erogato dalla regione e a fondi comunali. Rizzo, aggiunge che presto saranno disponibili anche i fondi regionali conferiti con la legge 328 al distretto D 39 e potranno essere utilizzate le somme della seconda e terza annualità del piano di zona relativi al contrasto alla povertà; pertanto oltre che all’assistenza lavorativa si potrà procedere con l’assistenza abitativa.

Il secondo progetto riguarda l’emanazione di un bando per l’assegnazione di contributi a favore di datori di lavoro privati che assumeranno persone prive di lavoro in condizione di svantaggio.

L’Amministrazione Comunale, con questa iniziativa, intende sostenere i progetti dei datori di lavoro privati volti all’integrazione lavorativa stabile di lavoratori svantaggiati.

Sono previsti: un contributo di € 300,00 mensili, per quattro mesi per 10 borse lavoro riservate esclusivamente a ex detenuti; un contributo di € 210,00 mensili, per sei mesi per 30 borse lavoro riservate soggetti svantaggiati cosi come previsto dal regolamento C.E. n° 2204/2002.

Le aziende ammesse ai contributi dovranno stipulare con il lavoratore un contratto a tempo indeterminato, o un contratto a tempo determinato, o anche un contratto a progetto. Per questo bando sono stati presi contatti anche con l’ASI, il consorzio per l’area sviluppo industriale oltre che con i responsabili che gestiscono i fondi del Patto territoriale, riferisce l’assessore, che aggiunge che in questo modo non solo si verificherebbe l’emersione dal lavoro nero, ma si realizzerebbero facilitazioni per l’assunzione a tempo indeterminato.

"Conosco cosa sia il disagio" esordisce il sindaco Sciortino "il lavoro presso la Casa dei Giovani mi ha posto più volte davanti a problemi che mi si ripropongono quando incontro chi viene a domandarmi un lavoro nelle ore di ricevimento, ma occorre cambiare registro, abbandonare definitivamente la strada dell’assistenzialismo che ci ha indotto anche in errori" il sindaco ricorda il caso dei 50 mila euro concessi alla Caritas che hanno creato non pochi problemi di gestione.

"Occorre innescare il meccanismo del cambiamento per tralasciare la spoglia e sterile assistenza, contrastare la povertà ed il disagio ed offrire formazione per rendere l’ex-detenuto un cittadino produttivo" conclude il Sindaco ringraziando il Consiglio comunale, la IV commissione consiliare e le associazioni presenti per la realizzazione di un percorso comune.

Ha rilevato il salto di qualità che si vuole attuare Marina Altavilla, dirigente dell’Uepe, l’ufficio esecuzioni penali esterne, "con l’inclusione socio-lavorativa dei soggetti svantaggiati si realizzano percorsi alternativi che superano la logica dell’assistenzialismo".

Fondamentale il lavoro sinergico tra Ministero della Giustizia, Enti locali e associazioni del III settore. Occorre puntare sulla capacità della persona che deve essere protagonista della sua vita, permettendogli di acquisire professionalità nell’ottica della cultura della legalità e del rispetto delle regole".

Sono seguiti poi gli interventi dei Consiglieri comunali che hanno chiesto ulteriori delucidazioni sui progetti; in particolare il consigliere Domenico Aiello, membro della IV commissione, ha espresso la sua preoccupazione legata a due fattori: il primo relativo all’aiuto rivolto in particolar modo agli ex-detenuti considerando che a Bagheria il mondo del disagio è molto più vasto "si deve evitare una guerra tra poveri" sostiene Aiello, la seconda problematica che il consigliere ritiene si possa verificare è legata a probabili casi di clientelismo dovuti alla chiamata per nominativo e non per professionalità.

"È obbligo delle Istituzioni aiutare chi ha sbagliato una volta" sostiene Gaetano D’Agati vice presidente del Consiglio, che ha salutato positivamente le iniziative messe in campo dall’amministrazione con i progetti di inclusione sociale.

Si sarebbe aspettata la presenza delle aziende, Confartigianato, Confesercenti il consigliere Paolo Amoroso, presidente della IV Commissione che ha aggiunto la necessità di effettuare dei controlli e di non creare false speranze fagocitando le "pretese" di lavoro.

L’assessore Rizzo ha rassicurato il consigliere che in un prossimo incontro, specifico sui contributi da erogare alle imprese che assumono soggetti svantaggiati bagheresi,verranno coinvolti non soltanto gli enti citati dal consigliere Amoroso, ma anche i rappresentanti dell’Asi, dell’APMI, della CCIAA.

Ha richiesto un approfondimento sulla tempistica dei progetti il consigliere Eustachio Cilea che si è posto anche il problema di far recepire alle aziende il messaggio dell’inclusione sociale. I lavori sono continuati con gli interventi delle associazioni presenti e della Caritas che hanno raccontato le loro esperienze passate e contribuito con proposte e soluzioni da mettere in campo, rilevante anche l’intervento dell’ispettore Domenico Barone della Polizia di Stato di Bagheria che ha sottolineato la necessità di non vanificare i progressi raggiunti e collaborare con il ministero della Giustizia per far si che i soggetti portino a termine la pena ma contestualmente siano protagonisti di progetti di inclusione sociale.

Milano: all’Ipm "Beccaria" sono sempre di più i giovani italiani

 

Il Corriere della Sera, 19 luglio 2007

 

Carcere minorile, dopo dieci anni eguagliate le presenze straniere. "Vogliono soldi facili". E torna di moda il vocabolario della mala.

I randa in casanza per uno scarafone. I ragazzini di strada in galera per un colpo andato male. Toccherà rispolverarlo, il vocabolario della malavita, ché al carcere minorile del Beccaria, rompendo una tradizione che durava dieci anni e che così consistente non si vedeva dai tempi antichi della Milano criminale, gli italiani oggi sono 25 su un totale di 50.

Dunque, tolta la sezione femminile interamente straniera, con una quindicina di zingarelle, la metà esatta dei detenuti. Lontana l’ondata maghrebina, superata quella albanese e dimenticando i baby borseggiatori nomadi - han meno di 14 anni, dunque niente cella -, ecco che il Beccaria torna a parlare la lingua di casa nostra. Che, poi, è il linguaggio delle periferie. Un linguaggio con accenti meridionali sovente sbiaditi e slang metropolitani.

Case popolari e droga - traffico di hashish, cocaina, eroina e anfetamine -, droga e rapine a manetta. Rapine in tabaccheria, farmacia e finanche banca. Niente sparatorie, agguati, imboscate. Colpi rapidi. Proficui. Soldi per iPod, playstation, vestiti, dunque il nulla o il superfluo. Piccoli boss. E già un armadio di aneddoti. Ottimo rimedio affinché, in carcere, non si passino le giornate a fare un elmetto. Ossia, parlare sempre delle stesse cose.

Marzo scorso, Comasina: due 16enni si avvicinano a un edificio dismesso abitato da immigrati, sorprendono un africano, lo invitano a lasciare il quartiere, e se ne vanno. Meglio controllare, però, meglio non fidarsi. E casomai l’africano non abbia recepito il messaggio, i ragazzini tirano sera girando su uno scooter con una mazza da baseball in mano.

Un mese dopo, Ponte Lambro: la polizia becca una banda di pischelli cattivi comandata da un Corcione, cognome che nel quartieraccio ha il suo peso. Sono figli di, i detenuti italiani del Beccaria. Figli di criminali ora - e per infinite ore ancora - al gabbio. È la storia che torna. Sono le brutte storie che non se ne sono mai andate. E ci dovesse essere una sorta di sfida tra questi e i ladri zingari della stazione Centrale, chi vincerebbe? Abili e di mano lesta, furbi e imprendibili i secondi. Scavati dall’esperienza e conoscitori del territorio i primi. Non che, comunque, per finire al Beccaria si debba partire da un albo di famiglia col "pedigree".

Racconta un operatore del carcere: "A gennaio, un 15enne è entrato in un negozio di piazza Tirana, ha tirato fuori il taglierino e si è fatto consegnare i soldi. È uscito, ed è salito sul tram, anziché scappare di fretta. No, si è messo sul tram. Tempo tre fermate, e ha trovato la polizia ad attenderlo. Gli ho domandato: "Perché il tram?".

E cos’ha risposto? "Che lui voleva farsi prendere. Non gli interessava la rapina in se stessa. Unico suo obiettivo, era dimostrare al padre - un professionista, mica un gangster - d’essere uno con le palle". E i fighetti che a marzo trascorsero due fine-settimana a pestare coetanei fuori dalla discoteche con un unico motivo alla base, "Far a botte è bello"? Sì, d’accordo. Ma sono casi isolati. E allora via, bisogna spostarsi dal centro e dalla movida.

E andare più in là, molto più in là, alla Comasina e al Corvetto, al Lorenteggio e a Niguarda. O a Quarto Oggiaro. Non vanno cercati, i piccoli boss: si fanno trovare loro. A inizio anno, una decina di ragazzini cinesi in trasferta dalla Bovisasca, stavano in via Val Lagarina. Dieci minorenni del posto, prima li avevano invitati ad andarsene in quanto "gialli" e "sgraditi". Poi, s’erano armati di bastoni e catene, ed erano saltati addosso loro. Salvo scappare al suono delle sirene dei carabinieri. Anzi, dei fratelli branca, come c’è scritto alla voce "carabinieri" su quel vocabolario da rispolverare.

Torino: 1.400 kit "di sopravvivenza" per i detenuti scarcerati

 

Agi, 19 luglio 2007

 

"La prima cosa che fa un detenuto appena scarcerato è spesso un illecito: prendere il bus senza biglietto. È non è certo il modo migliore per rientrare nella società". È quanto ha spiegato il direttore della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino alla presentazione del "Survival Kit" per detenuti in uscita dal carcere. Si tratta di uno zainetto contente articoli e ticket utili nei primi giorni di libertà, in attesa che entrino in contatto con la rete di protezione sociale della città.

Il Survival Kit, in particolare, comprende un abbonamento settimanale per le linee Gtt, la mappa dei trasporti cittadini, una tessera telefonica, buoni doccia da utilizzare nei bagni pubblici, oggetti per l’igiene personale e una guida, redatta in italiano, francese, arabo, albanese e rumeno, per orientarsi tra i principali servizi pubblici e privati attivi a Torino. Nella guida sono riportati, ad esempio, numeri di emergenza, indicazioni per trovare assistenza per documenti, servizi sociali, aiuti economici, sanitari e legali, ospitalità notturna, mense e bagni pubblici.

L’iniziativa è promossa dal Consiglio di Aiuto Sociale del Tribunale di Torino, presieduto dal presidente aggiunto della sezione Gip di Torino Francesco Gianfrotta, da dal Garante dei detenuti della Città di Torino Maria Pia Brunato, dalla casa circondariale Lorusso e Cutugno, dalla Compagnia di San Paolo e dalla Fondazione Crt.

Per il biennio 2007-2008 saranno predisposti 1.400 kit da distribuire ai detenuti appena scarcerati. Lo zainetto è stato pensato soprattutto per le scarcerazioni "inaspettate", per quei detenuti senza casa o famiglia e che si ritrovano liberi senza che ci sia stato il tempo di attivare la rete di servizi sociali per chi esce dal carcere.

Agrigento: protocollo d’intesa per l'integrazione dei detenuti

 

La Sicilia, 19 luglio 2007

 

Questa mattina, presso la Casa Circondariale Petrusa di Agrigento, è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra il Sindaco di Agrigento, il Direttore della Casa Circondariale Petrusa e l’Uepe (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) per la progettazione congiunta di attività finalizzate all’integrazione socio-lavorativa delle persone sottoposte a misure penali o limitative della libertà. Detto protocollo mira essenzialmente a radicare in modo fondamentale la percezione nell’opinione pubblica, della comunità penitenziaria come parte integrante del tessuto sociale e finanche come positiva risorsa della stessa.

Immigrazione: Grasso; disarmati contro i mercanti di uomini

 

La Repubblica, 19 luglio 2007

 

Contro la tratta d’esseri umani, l’Italia ha le armi spuntate. Pochi i procedimenti penali avviati. Solo 5 le rogatorie attivate dal 2004. Esiguo il numero dei permessi di soggiorno concessi alle vittime (214 nel2006). Difficile il coordinamento tra magistrati. A lanciare l’allarme è il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, con una circolare inviata il 6 giugno scorso a ministero della Giustizia, Csm, procuratori generali e distrettuali.

"La tratta di esseri umani - si legge nel documento - è ormai diventata una delle più lucrose attività della criminalità organizzata transnazionale". Eppure, secondo la Direzione nazionale antimafia (Dna), "le nostre mafie tradizionali non gestiscono direttamente questo traffico, che rimane in mano alle organizzazioni straniere e i molti italiani coinvolti lo sono a titolo personale e in posizioni di basso livello (tassisti, gestori di locali)".

Insomma i "mercanti di uomini" verrebbero per lo più da fuori. "Se si guarda all’ area di provenienza di indagati e vittime - conferma la Dna - i paesi più coinvolti sono Albania, Romania, Nigeria, Bulgaria e Cina". Non solo. "Spesso i trafficanti di un Paese sono più numerosi delle vittime: ciò può significare che oggetto del traffico sono anche vittime di Paesi terzi". È il caso di albanesi e romeni.

"I primi - precisano al Viminale - hanno dominato per anni la tratta di clandestini, poi sono arrivati i romeni a farla da padrone". Quanto alla nostra mafia, "emerge una collaborazione con le organizzazioni criminali straniere – proseguono al ministero dell’Interno - che concede una sorta di permesso di lavoro sul territorio italiano".

La Direzione nazionale antimafia sottolinea l’inadeguatezza degli strumenti di lotta alla tratta: "A fronte del fenomeno che appare sempre più dilagante, i procedimenti ex articolo 600, 601 e 602 del codice penale (che puniscono la riduzione in schiavitù e la tratta, ndr) sono relativamente pochi, con la maggior concentrazione di indagati nel Centro Nord. Mentre i procedimenti penali sono del tutto assenti nelle aree di forte presenza delle nostre mafie tradizionali (tranne Caltanissetta e Catanzaro per la presenza di centri di raccolta e Napoli dove però gli indagati sono quasi tutti stranieri)".

E ancora: "I reati associativi sono pochissimo contestati, con la conseguenza che si perde l’elemento tipico del fenomeno, ossia la sua riferibilità alla criminalità organizzata". La Dna lamenta inoltre come venga "poco attivata la collaborazione internazionale". Le colpe? "La

difficoltà di avere risposte specialmente da Paesi come la Cina e la Nigeria, di averle in tempi rapidi e adeguate alle richiesta avanzate". Il risultato è "una collaborazione inesistente: le rogatorie attivate dal 2004 sono in tutto cinque". In tal modo "si limitano le indagini ai livelli più bassi dei trafficanti, non tentando di colpire le fonti del grande traffico".

Altra cartina di tornasole sono i permessi di soggiorno concessi alle vittime di tratta (ex articolo 18 della "Turco-Napolitano" del ‘98). "Questi permessi - scrive Grasso - sono stati 559 nel 2003, 165 nel 2004, 111 nel 2005, 214 nel 2006". Poche dunque (considerato il flusso di irregolari che entra nel nostro Paese ogni anno) le vittime che hanno dato un contributo alle indagini.

Per tutte queste ragioni, il procuratore antimafia auspica un maggiore coordinamento tra magistrati (anche con le Ong competenti) e chiede che "l’iniziativa possa essere ripresa dal Csm e dal ministero della Giustizia per una più specifica formazione multidisciplinare dei magistrati e per valutare una più puntuale modifica della norma incriminatrice".

Droghe: Lecce; "movimenti di strada" contro le dipendenze

 

Redattore Sociale, 19 luglio 2007

 

Coinvolti 12 Comuni della provincia nel progetto di prevenzione che prevede una mappatura dei bisogni. Il progetto è gestito della cooperativa sociale L’Arcobaleno. A 12 giovani volontari, i "tutor junior", affidato il compito di mediatori.

Si chiama "MDS - Movimenti di strada" e interessa i territori dell’Ambito di Maglie, in provincia di Lecce, costituito da 12 Comuni. È il nuovo progetto che promuove il protagonismo giovanile, curato dalla Cooperativa sociale L’Arcobaleno di Lecce. Inserito nell’ambito della prevenzione primaria delle tossicodipendenze e finanziato con le destinazioni dei fondi nazionali, la cui percentuale minima in Puglia corrisponde al 5% dell’intero fondo nazionale assegnato ad ogni ambito territoriale, Movimenti di strada prevede una impostazione sperimentale, con un approccio partecipativo attento alla qualità delle varie fasi di attuazione del progetto. Al centro ci sono i giovani con le loro potenzialità, non solo quali destinatari delle azioni progettuali previste, ma soprattutto quali protagonisti e fautori concreti, "enzimi", promotori principali del proprio benessere ed attori primari nei processi di conoscenza e analisi dei propri bisogni. Il progetto è giunto alla sua seconda fase di attuazione, dopo l’individuazione e la formazione di dodici giovani che fungeranno da tutor per la mappatura dei bisogni del territorio in riferimento al target giovanile, con un’attenzione particolare alle risorse giovanili presenti, con particolare attenzione al mondo delle dipendenze da alcool e droghe.

"Nato come intervento di prevenzione primaria delle dipendenze da sostanze psicotrope - spiega Giovanni Aventaggiato presidente della Cooperativa sociale l’Arcobaleno di Lecce - il progetto "Movimenti di Strada" rappresenta un’occasione unica per trasformare in prassi operative i buoni propositi di concertazione e integrazione delle risorse, peraltro esigue, messe a disposizione per la prevenzione nel nostro territorio". Tuttavia il progetto può contare su prassi consolidate di lavoro concertato, interistituzionale e con le cooperative e le associazioni locali. "Grazie alla preziosa opera di mediazione svolta da 12 giovani volontari, i tutor junior - continua Aventaggiato - (espressione dei 12 Comuni afferenti al Piano sociale di Zona di Maglie, ndr), tutte le azioni di animazione e coinvolgimento attivo della popolazione giovanile del territorio, finalizzate alla promozione del benessere e della salute, sono state infatti avviate in stretta sinergia con gli interventi ed i progetti di prevenzione primaria già da tempo messi in campo dalla ASL di Maglie - Dipartimento Dipendenze Patologiche".

La mappatura dei bisogni avverrà con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti volontariamente in un vero e proprio lavoro di rete e animerà i territori dei dodici comuni interessati. "Questo movimento di esplorazione del variopinto ed invisibile mondo delle potenzialità e dei bisogni dei giovani, sarà reso "visibile" da un Camper, che percorrerà insieme ai tutor, ai gruppi promotori che insieme ad Arcobaleno hanno ideato l’iniziativa, (la Comunità Emmaus di Otranto, Lila Lecce, la Cooperativa sociale Navera,) ed i tanti partner che ci sono vicini, le strade dell’ambito, a testimonianza di come sia possibile promuovere dal basso, dalla strada, comunione di intenti, movimenti reali finalizzati al cambiamento, reti efficaci e condivise, azioni non necessariamente onerose se raccordate e co-progettate" conclude il presidente de "L’Arcobaleno".

Il progetto si concluderà con una restituzione alla cittadinanza dei 12 comuni, attraverso il materiale auto-prodotto, nelle forme e con il linguaggio che più si confà al mondo giovanile, degli elementi scaturiti dalla loro analisi, delle storie di strada raccolte, delle esperienze più significative del mondo giovanile incontrate

Gran Bretagna: riclassificare cannabis come "droga pesante"

 

Notiziario Aduc, 19 luglio 2007

 

Il premier britannico Gordon Brown, durante un suo intervento di stamani alla Camera dei Comuni, ha detto che il governo sta valutando la possibilità di "riclassificare" la cannabis, elevandola dall’attuale categoria C a categoria B. Il ministro dell’Interno, Jacqui Smith, sta studiando tale misura, che comporterebbe l’inasprimento delle pene per possesso e uso della droga, nel quadro di un più ampio giro di consultazioni sulla futura strategia dell’esecutivo in materia di stupefacenti. Nel gennaio 2004, l’allora ministro dell’Interno David Blunkett, aveva deciso di "retrocedere" la cannabis tra le droghe leggere. Una decisione che aveva comportato la riduzione della pene in caso di possesso da un massimo di 5 a 2 anni di reclusione. Charles Clarke, giunto all’Home Office dopo Blunkett, non aveva modificato le misure adottate dal suo predecessore.

 

 

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