Rassegna stampa 2 giugno

 

Giustizia: Boccia (Rc); l'ergastolo è una "lenta pena di morte"

 

Libero Blog, 2 giugno 2007

 

Trecentodieci condannati al carcere a vita scrivono a Napolitano: "Chiediamo che la nostra pena sia tramutata in pena di morte". Ne parliamo con la senatrice Maria Luisa Boccia, prima firmataria di un ddl sull’abolizione dell’ergastolo.

Educare o punire? L’interrogativo rimane aperto e mai definitivamente risolto sia quando si affrontano tematiche pedagogiche in senso stretto sia, a maggior ragione, quando si parla di carcere. Per fortuna sono rari gli sbruffoncelli che, al pari di Fabrizio Corona, decantano il valore del carcere ("La sofferenza del carcere ti insegna a vivere. È un’esperienza che dovrebbero fare tutti") manco fosse un soggiorno in beauty farm.

La realtà è molto meno romantica. Che in carcere si incontri un’umanità spesso più ricca di quella distratta, egoista o superficiale che incrociamo nel nostro quotidiano è verità (o luogo comune?) risaputa, al pari della convinzione di molti che il privilegio di uscire tocchi ai più abbienti e che insomma piova sempre sul bagnato.

Devianza e normalità: due mondi che faticano a comunicare e che tuttavia devono trovare un terreno comune d’intesa, come si dice in un blog: "Se la società non entra in carcere, è il carcere che deve entrare nella società; solo in questo modo la conoscenza di una realtà "lontana" entra a far parte della conoscenza comune cercando di intervenire sull’informazione conformista, spesso deleteria all’informazione stessa e alla società".

Ferma restando, aggiungiamo noi, la consapevolezza che i due "interlocutori" non si pongono su un livello di pari legittimità: se la società è chiamata a un’autentica posizione di ascolto, rimane assodato che essa non può scendere a patti e compromessi quando si tratta di chiedere ai cittadini il rispetto della legalità senza se e senza ma.

Ma fino a che punto è lecito prolungare la condanna di chi si è macchiato dei più gravi reati? "L’ergastolo è l’invenzione di un non-dio - hanno scritto trecentodieci ergastolani in una lettera indirizzata al Presidente Napolitano - di una malvagità che supera l’immaginazione. È una morte bevuta a sorsi. È una vittoria sulla morte perché è più forte della morte stessa".

Parole forti, alle quali si accompagna una richiesta accorata: "Signor presidente della Repubblica - scrivono questi detenuti -, siamo stanchi di morire un pochino tutti i giorni. Abbiamo deciso di morire una volta sola, le chiediamo che la nostra pena dell’ergastolo sia tramutata in pena di morte".

E ancora: "All’ergastolano - proseguono i carcerati nella lettera al Capo dello Stato - rimane solo la vita. Ma la vita senza futuro è meno di niente. È piatta ed eterna". Capofila della protesta, Carmelo Musumeci, ergastolano già scontratosi varie volte con le direzioni carcerarie, nonché autore di una tesi di laurea (Musumeci ha iniziato e completato gli studi in Giurisprudenza dietro le sbarre) dal titolo vivere l’ergastolo.

Al tema è particolarmente sensibile la senatrice del gruppo di Rifondazione Comunista Maria Luisa Boccia, prima firmataria di un disegno di legge che chiede, appunto, l’abolizione dell’ergastolo e che auspica i 30 anni di carcere come la pena massima comminabile da un tribunale. Chiudere la cella e "buttar via la chiave", secondo un’espressione tanto infelice quanto comune, è troppo crudele: questo è almeno il pensiero della senatrice Boccia, alla quale chiediamo a che punto sia l’iter legislativo del provvedimento: "Il ddl è al momento depositato in Commissione, ma non ancora in calendario. Prima dell’estate è impossibile metterci mano, ma conto di ottenere che sia discusso quanto prima. Questo è un tema che del resto sta affrontando anche Pisapia, che presiede la Commissione di revisione del Codice Penale. La direzione che si sta prendendo anche in quella sede è quella di considerare il carcere come ultima ratio, dopo una serie di pene alternative".

Le problematiche sollevate da Musumeci e da tanti altri nelle sue condizioni riguardano, oltre alle miserabili condizioni di vita dentro le mura del carcere, anche le insormontabili difficoltà incontrate nella fase di reinserimento da chi magari usufruisce di sconti di pena, a fronte di patteggiamenti e di eventuali collaborazioni con il lavoro degli inquirenti, previsti dalla nostra legislazione premiale, come testimonia un ex detenuto nel video qui sotto. "Questo è un problema più generale - concorda la senatrice Boccia -, che risulta acuito per chi ha periodi di pena più lunghi".

Colpevoli e vittime: gli uni da recuperare, ove si creda che anche un uomo che ha commesso i più atroci delitti possa radicalmente cambiare, gli altri da risarcire di perdite affettive o di danni personali spesso irreparabili: come riuscire a bilanciare necessità e diritti a prima inconciliabili?

Il tema è tornato di scottante attualità: prova ne sia la designazione di una Giornata di memoria delle vittime del terrorismo e il tributo, a 35 anni dal suo assassinio, toccato al commissario Calabresi, il cui figlio Mario ha dato alle stampe da poco un libro toccante (Spingendo la notte più in là) sulla vicenda dolorosa che ha accomunato la sua famiglia a quella di tante altre vittime del terrorismo.

È giusto, chiediamo alla senatrice Boccia, che si chieda di chiudere i conti col passato proprio ai familiari, per i quali il "fine pena mai" è una realtà quotidiana, una ferita che non si rimargina, il cui dolore si riacutizza ogni volta che un ex terrorista viene interpellato come un maître a penser?

"Ho letto l’intervista a Mario Calabresi su L’Espresso e trovo che abbia ragione, per quanto riguarda le mancanze delle istituzioni e della società, che non sa rielaborare un passato politico, nei confronti delle vittime. Tuttavia la giustizia non è risarcimento: essa deve porsi quale obiettivo la verità e deve decidere una pena al solo fine riabilitativo e di reinserimento nella società. Quanto ai terroristi che godono di sconti di pena pur non avendo mai fatto i nomi dei complici dei loro omicidi, tuttora in libertà, io sono la prima a considerare discutibile il baratto confessione = sconto di pena. Ci sono terroristi che hanno rielaborato tutto il loro passato attraverso altri percorsi".

Il dolore privato, chiediamo alla senatrice Boccia, rischia a suo parere di degenerare in un atteggiamento giustizialista e forcaiolo? "Beh, un po’ sì. È un problema soprattutto culturale - risponde la senatrice di Rifondazione -. Veniamo investiti di fatti di cronaca che non abbiamo gli strumenti per rielaborare.

Vedo che la gente cerca in ogni modo di individuare un nemico, chiede vendette, pene severe. Bisogna invece individuare le radici dei problemi e della criminalità. Creare l’idea che ci sia una situazione d’emergenza - e non c’è, perché gli omicidi non sono aumentati - finisce per sollecitare risposte d’emergenza che fanno ancora più danno e che non hanno alcuna durata". L’individuazione delle radici del male, dunque, va di pari passo con la messa a punto di percorsi riabilitativi: ma chi può dire perché un uomo uccide?

Giustizia: messaggio in bottiglia da un delinquente d’altri tempi

 

Libero Blog, 2 giugno 2007

 

Ho visto la luce, l’altro giorno. Non più una luce del sole a scacchi. Ma non mi interessa, chiunque trovi questo biglietto per strada o dentro una bottiglia dove molti miei amici in galera hanno condiviso il fumo, è pregato di farlo avere a qualche magistrato d’altri tempi.

Ce ne sono ancora? La mia richiesta, il mio aiuto è quello di voler tornare in carcere. Ho visto la luce, l’altro giorno. E ho capito che ci vedevo benissimo per fare quello che mi piace fare.

Non ho resistito ad entrare dentro l’Oviesse e fare una bella rapina a squarciagola, sapete era un bel giorno di sole e quando avevo la possibilità di gridare al mondo la mia gioia! Ho gridato "Fermi tutti", avevo tante belle donne da violentare al reparto dell’intimo. In galera non ti danno le donne, dovrebbero almeno distribuire le "coperte" come negli alberghetti di quarta categoria. Io che ci voglio tornare in carcere, questo è pure il ringraziamento!

Ma chiunque trovi questo biglietto, non lo faccia avere ad un magistrato qualsiasi. Ci stanno scarcerando ma a noi piace tornarci. Che lavoro possiamo fare? Ce l’hanno mai insegnato? Ci hanno mai pagato? Dicono che costiamo al contribuente non so quanto. Ma se mi fanno lavorare, te lo dico io quanto costerò. Niente. Anzi dovranno ridarmi gli utili. Sì, perché voglio faticare per avere i soldi per le sigarette o i sogni rubati.

In carcere non me lo hanno permesso. E quindi a cosa serve la luce vera del sole? Preferisco l’aria viziata, le pulci, le infezioni, il grasso del brodo. Non è per crudeltà, ma l’altra volta gliel’ho detto al magistrato di sorveglianza e mi ha risposto che l’indulto non è facoltativo, è obbligatorio. Anche qui? Ho detto. Allora ditelo che non mi volete produttivo, ditelo. Dalle carceri non escono solo ricchi mafiosi, ma spesso poveri come me che hanno fatto ciò che hanno fatto e perso il controllo di sé, la mia bottiglia vuota lo potrebbe testimoniare e i buchi che ho sul braccio pure. I grandi delinquenti, quelli con i princìpi tutti sbagliati nel loro cervello, escono in un altro modo dal carcere, con i bravi avvocati professionisti, ben pagati. Tanto a loro li aspetta il vero sole che io o altri non hanno mai voluto conoscessi.

Dice, siamo in troppi. Ma in tv, sul "Tg Costume e Società", ho visto che è in vendita da febbraio una casa di 139 milioni di dollari per 103 stanze, ventidue suite con bagno, parco immenso, campi da tennis e da squash, non dico che le debbano comprare sempre gli arabi sceicchi o i magnati dell’economia che hanno la fissa dei castelli, ma a sentire il ministro della Giustizia che dice che per costruire un carcere ci vogliono 20 anni! Ma fatelo costruire a me, che da bambino facevo il piastrellista!

Fossano: "La Rondine", presto on-line il giornale del carcere

 

Comunicato stampa, 2 giugno 2007

 

Sabato 9 giugno 2007, alle ore 11.30, a Fossano, presso l’I.I.S. "Vallauri" in via S. Michele 68 ci sarà la presentazione dell’edizione on-line del giornale "La Rondine - una voce dal carcere". Il trimestrale, che da cinque anni ormai rappresenta uno strumento di comunicazione tra il carcere e la cittadinanza locale, sostenuto dal generoso contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano viene ore pubblicato anche nel sito del Comune. L’elaborazione web è stata realizzata grazie alla collaborazione degli studenti d’Informatica dell’I.I.S. "Vallauri", coordinati dal prof. Alberto Barbero.

Alla presentazione interverranno, oltre al Sindaco, Francesco Balocco, il Dirigente scolastico Marina Battistin, il Direttore della Casa di Reclusione, Edoardo Torchio, il Direttore del settimanale "La Fedeltà" e responsabile del giornale del carcere, Corrado Avagnina. Per ulteriori informazioni: Franca Ravera tel. 347.5800623; mail larondinefossano@libero.it

Terni: il Coni entra in carcere con progetto "Vivi lo sport"

 

www.sporterni.it, 2 giugno 2007

 

Si svolgerà lunedì 4 giugno la partita di calcio finale che vedrà protagonisti gli ospiti della casa circondariale di Terni nell’ambito del progetto del Coni "Vivi lo Sport". A fronteggiarsi saranno due squadre composte da ragazzi selezionati nell’ambito del carcere dai tecnici del Coni Giovanni Masiello e Nicola Traini che, nel corso dei mesi scorsi hanno tenuto all’interno della casa circondariale lezioni di calcio.

"È un progetto di cui andiamo particolarmente fieri - ha commentato il presidente del Coni provinciale Massimo Carignani - e che testimonia come lo sport possa rappresentare un traino positivo verso il recupero anche di chi nella vita ha commesso degli errori come nel caso di chi si trova oggi in carcere". Oltre al presidente provinciale dell’ente Sportivo, Massimo Carignani, alla manifestazione di lunedì mattina sarà presente anche il direttore del carcere ternano Francesco Dell’Aira che ha dato un prezioso supporto alla realizzazione dei corsi e della giornata conclusiva.

Treviso: mostra dei quadri realizzati dai ragazzi dell’Ipm

 

Il Gazzettino, 2 giugno 2007

 

Il noto critico d’arte Philippe Daverio ha tenuto a battesimo ieri a Treviso la mostra dei lavori pittorici realizzati dai giovani detenuti del carcere minorile. Lui che si definisce più che un giornalista "un antropologo culturale", attento ai linguaggi e alle diverse forme espressive delle "tribù" umane, ha accolto con entusiasmo la proposta lanciata dai promotori, le associazioni Italca ed Emergenze oggi. Per molteplici motivi: Daverio ha operato come assessore negli anni Novanta a Milano occupandosi dell’universo penitenziario; poi c’è la passione per l’arte soprattutto quella introspettiva, emozionale, più rivolta all’interno che all’esterno, tipica di percorsi educativi e di recupero.

Un viaggio alla scoperta di se stessi che i giovani detenuti di Santa Bona mettono allo scoperto, dandogli forma e colori. Protagonisti anche due giovani ospiti che hanno ricevuto un premio speciale ad un concorso nazionale di poesia a cui hanno partecipato grazie alle collaborazioni con la scuola. La sezione maggiore della mostra, di cui in carcere è stato proposto un assaggio, è allestita in Casa dei Carraresi dove i quadri rimarranno esposti fino al 24 giugno. Le intense fasi della giornata sono state proiettate su un maxi schermo in piazza Aldo Moro e trasmesse in diretta da Ski.

"Abbiamo approfittato del passaggio del giro d’Italia perché anche la nostra è una tappa significativa di un percorso che non finisce mai" ha detto il direttore del carcere minorile Alfonso Paggiarino, persona sensibile e aperta alle collaborazioni con il volontariato per offrire ai ragazzi la possibilità di cambiare, di trovare la propria strada al di là del muro. Due realtà, dentro e fuori, che ieri hanno interagito in modo nuovo grazie al percorso curato dal fotografo Marco Zanta e dal pittore Walter Davanzo che ha voluto, sul palco, leggere alcuni pensieri dei giovani artisti.

Tra le tante riflessioni dedicate alla libertà, di essere oltre che di fare, ha colpito chi dichiara "Voglio evadere dall’incoscienza". Parole e disegni che fanno riflettere il mondo adulto che forse propone modelli di vita lontani dalla "coscienza" che i ragazzi cercano. Perché le dipendenze - ha detto Paggiarino - sono di diverse tipologie e chi sbaglia spesso alle spalle ha una storia complicata, di sofferenza, violenze e soprusi subiti prima che compiuti. E come testimonia un dipinto in mostra, l’arte può aiutare a trasformarci, se lo vogliamo davvero, in una bellissima farfalla.

Droghe: nel mondo 200 milioni di consumatori e 25 di dipendenti

 

Redattore Sociale, 2 giugno 2007

 

Duecentotre milioni di persone al mondo usano sostanze illecite, 25 milioni sono dipendenti da droghe. Per Gilberto Gerra la vera strada da seguire è l’avvio da parte dell’Onu di una grande campagna per sensibilizzare.

Duecentotre milioni di persone al mondo usano sostanze illecite, 25 milioni sono dipendenti da droghe. Con questi dati Gilberto Gerra (Global challenger section, Division for operations, United Nations Office on drugs and crime) ha esordito nel suo intervento ospitato nell’ambito del congresso veronese sulle dipendenze. La vera strada da seguire, ha ripetuto più volte l’esperto, è l’avvio da parte dell’Onu di una grande campagna per sensibilizzare su questa che è una vera e propria malattia del cervello e non semplicemente un’attitudine.

"È ora di finirla con i progetti sporadici - ha spiegato Gerra -, è tempo di un approccio sistematico nei confronti di questa malattia cronica proprio come per tutte le altre malattie: è necessario un lavoro di coinvolgimento culturale affinché si possa smettere di considerare la dipendenza come una non-malattia perché la si considera auto-inflitta e quindi colpevole". Questo non significa dire che il problema è solo biomedico - aggiunge -, ma significa che è una malattia curabile a meno che si smetta di fare il trattamento in modo spontaneistico ed episodico.

Gerra dedica due battute a ogni droga: "Sono anni che cerco di mettere in allerta sulla cannabis" ha spiegato, evidenziando che una diminuzione di uso di questa sostanza è confinata in Nord America e Australia. In tutte le altre zone il trend è in aumento. Quanto all’eroina "l’Afghanistan è un Paese che ci pone davanti a un grosso problema, perché questa droga viene prodotta in loco e di conseguenza il Paese si trova a fronteggiare decine di migliaia di consumatori in patria". Non ci sono, in generale, buone notizie per quello che riguarda le droghe iniettate, che aumentano in Europa, Est, Nord America.

Che la dipendenza sia una malattia e come tale vada trattata è una tesi sostenuta da diverse considerazioni: ci sono dei fattori che rendono la persona a maggiore rischio di dipendenza perché particolarmente vulnerabile. I segnali d’allarme sono temperamenti a rischio, ansia e umore problematici, abusi subiti nell’infanzia, condizione di povertà. Queste ferite diventano antecedenti classici di futuri dipendenti. Inoltre un recente studio ha sottolineato la rilevanza della corteccia orbito frontale nella vulnerabilità alle droghe. Sono stati anche "dimostrati i tragici effetti su aree del cervello a causa anche solo del sentire parole relazionate a cocaina ed eroina. Segno che i danni arrecati dalle droghe sono per tutta la vita".

Ma quali sono le ragioni che spingono a prendere le droghe? "Ce ne sono di due tipi - spiega Gerra - il primo è più futile: divertirsi, evitare lo stress, una sorta di auto-medicina, favorire la socializzazione, intensificare le emozioni. Poi ce ne sono di ben più gravi, che hanno a che fare con la povertà, la violenza, l’esclusione sociale, il non sentire la fame, il sostegno per affrontare il lavoro sessuale, la solitudine". Ci sono studi che mostrano il legame stretto tra povertà e consumo di sostanze. In zone come l’India, dove non c’è un sistema sanitario ma c’è il capitalismo esasperato nelle vie del centro, l’idea di un mondo in evoluzione porta ad avere grandi masse di esclusi sociali.

I costi delle dipendenze, poi, sono drammatici su diversi fronti: soprattutto sul versante sanitario e per l’intreccio con la violenza e il crimine. Le droghe producono anche una perdita enorme di risorse economiche: "È un messaggio chiaro che deve essere recepito - spiega l’esperto -: si guadagna a investire sulla prevenzione a meno che non si faccia lavoro spontaneistico". Quali soluzioni? "Prima di tutto l’educazione a scuola, in modo che gli istituti siano meno permeabili alle droghe. Questo è un progetto che risale al 2004, ma è finito nei cassetti. Poi c’è la "Life skill education": un modello misto di informazione, mirato a fornire la capacità al soggetto di resistere alle condizioni interne ed esterne che lo possono portare a essere più vulnerabile. Infine, la prevenzione con le famiglie e il "Targeting youth particularly at risk", un programma di prevenzione selettiva e mirata".

Droghe: in Europa ogni anno 8mila morti per cause correlate 

 

Redattore Sociale, 2 giugno 2007

 

Coinvolti in media uomini di 35 anni. Scendono i decessi improvvisi legati al consumo. Le riflessioni di Oliviero Bosco (Ulss 20 Verona). L’Italia detiene un primato, quello dei decessi con presenza di oppiacei (85%).

I decessi droga-correlati in Europa sono 8mila all’anno. Le persone coinvolte in media sono uomini di 35 anni. Scendono, fortunatamente, i decessi improvvisi legati al consumo. Eppure questo quadro è probabilmente destinato a cambiare a causa delle nuove tendenze di abuso, che possono introdurre a breve nuovi andamenti anche nell’ambito dei decessi. Queste riflessioni sono di Oliviero Bosco del centro di Medicina preventiva dell’Ulss 20 veronese intervenuto sul tema della comorbilità internistica infettivologica in occasione del congresso scaligero sulle dipendenze.

L’Italia detiene un triste primato, quello dei decessi con presenza di oppiacei (85%). L’eroina segue a ruota e resta la principale causa di morte tra le altre droghe. Ma anche sul fronte delle patologie e delle infezioni ogni sostanza stupefacente ha aspetti peculiari e solleva problematiche caratteristiche. La maggior parte delle morti per eroina ad esempio è dovuta a overdose, mentre quando si tratta di cocaina di solito a portare al decesso sono altre cause correlate, come gli incidenti stradali. La coca infatti altera i tempi di reazione e in Italia ha portato a un aumento dei decessi sulla strada, arrivati a quasi il 14% delle morti totali sull’asfalto nel 2002. Un dato questo che risulta tra l’altro sottostimato perché in questo Paese non c’è l’abitudine di fare test ad hoc.

Ma quali effetti sull’organismo possono avere le diverse sostanze stupefacenti? Bosco li elenca uno a uno: "Tra le conseguenze mediche dell’eroina ci sono infezioni batteriche, artriti, setticemie, infezioni da funghi, patologie celebrali, Hiv, epatiti". La cocaina, questa sostanza ancora emergente, "negli Stati Uniti è causa di un’alta percentuale di ricoveri, spesso per diverse patologie correlate. Diversi sono gli ambiti problematici: cardiovascolare, neurologico (ictus)". A questo quadro si aggiunge poi un ulteriore tassello: l’assunzione concomitante di alcol e cocaina aumenta ancora la possibilità di morte improvvisa. La marijuana dal canto suo ha visto un raddoppio dei consumatori che hanno dovuto ricorrere al pronto soccorso.

Un dato su tutti per quanto riguarda il contagio dell’Hiv: "Il tasso di infezione negli Stati Uniti è del 13% tra tossicodipendenti maschi". A una conclusione in particolare arriva l’esperto dell’azienda socio-sanitaria veronese: "Deve essere sollevata di nuovo l’attenzione legata alle infezioni, perché su questo aspetto non è possibile abbassare la guardia".

Droghe: Nas nelle scuole; "sì" di don Mazzi e Giovanni Serpelloni

 

Redattore Sociale, 2 giugno 2007

 

Il Presidente della Fondazione Exodus e il direttore dell’Osservatorio sulle dipendenze del Veneto: "Insegnare ed educare non sono più verbi estranei l’uno all’altro. O coabitano o dovremo riempire le scuole di cani e di poliziotti".

Si fa un gran parlare, in questi giorni, di lotta alla droga nelle scuole con il metodo delle "maniere forti". La proposta di inviare i Nas negli istituti per effettuare il drug-test ha suscitato un vespaio di polemiche, ma due esperti del settore difendono la proposta a spada tratta. Sono il dottor Giovanni Serpelloni (direttore dell’Osservatorio regionale sulle dipendenze del Veneto e direttore del dipartimento dipendenze Ulss 20 di Verona), e don Antonio Mazzi, della Fondazione Exudus. "Va creata e ricercata una collaborazione tra forze dell’ordine e scuola, privilegiando però e soprattutto lo sforzo educativo - hanno scritto i due in un comunicato congiunto -. Insegnare ed educare non sono più verbi estranei l’uno all’altro. O coabitano o dovremo riempire le scuole di cani e di poliziotti".

L’affondo sulle polemiche relative ai Nas viene dalla bocca di Serpelloni: "Pensare che inviare la polizia nelle scuole sia un eccessivo allarmismo vuol dire non avere compreso le reali dimensioni del problema e trasmettere una falsa percezione della realtà del consumo di droghe e dell’importante ruolo preventivo che possono svolgere le forze dell’ordine.

Queste devono essere vissute come a tutela dei giovani dagli spacciatori e non come intrusive o disagianti". A conferma di questa tesi Serpelloni racconta un aneddoto: "Qualche anno fa avevo invitato personalmente il precedente prefetto a mandare i cani antidroga nelle scuole e gli studenti, apprezzando l’iniziativa, ci hanno chiesto il perché i cani fossero stati stanziati soltanto all’esterno e non portati invece anche all’interno delle strutture".

Don Mazzi aggiunge: "È severamente proibito perdere la testa. La situazione nelle scuole italiane è delicata ma non catastrofica. Va però affrontata a vari livelli, in tempi non brevi e senza l’aria degli sconfitti. Parlare di vocazione all’insegnamento non è frase da preti, ma da professionisti coscienziosi. Sono infatti convinto che i verbi vincenti saranno: prevenire, coordinarsi, responsabilizzarsi e coinvolgere le forze sul territorio come genitori, enti locali, associazioni.

E ancora all’unisono: "Tutti e due siamo d’accordo che la droga uccide e non permette banalizzazioni, che drogarsi fa sempre male e non può essere considerato un diritto della singola persona". A supporto delle loro tesi Serpelloni e Don Mazzi riportano i dati della ricerca Dro.Val 2006 condotta su un campione di circa 5.000 giovani fra i 12 e i 24 anni e circa 1.000 genitori residenti in Veneto. "Il 60,7% dei genitori ha reputato un’efficace misura quella dei cani antidroga nelle scuole e solo il 28% degli studenti la ritiene inefficace". In conclusione, i due ritengono che "tutti gli educatori compresi i presidi devono prendere posizioni chiare e non mostrare perplessità di fronte a iniziative che mirano alla tutela della salute degli studenti. I giovani oggi subiscono le pressioni forti di alcuni membri del gruppo dei pari dediti all’uso di droghe e degli spacciatori, mentre l’intervento educativo non ha sufficiente forza di contrasto sul minore rispetto a questi stimoli".

Droghe: cannabis dodici volte più potente che negli anni 70

 

Redattore Sociale, 2 giugno 2007

 

Può contenere fino a 300 milligrammi di principio attivo contro i 5-25 di allora. Il farmacologo Fabrizio Schifano (Università di Hertfordshire). "La dose letale? 30 spinelli superstrong fumati di seguito".

Le droghe, come la società, le abitudini, le generazioni, non restano sempre uguali a se stesse ma cambiano, si evolvono, si modificano e traggono anch’esse beneficio dal progresso. Inoltre gli stupefacenti rientrano in un vero e proprio mercato, quindi devono saper rispondere ai desideri della clientela, aggiornarsi, seguire una logica specifica. L’evoluzione di questo mercato è stata l’oggetto della prima conferenza del secondo giorno di convegno sulle Dipendenze che si concluderà questa sera a Verona. Relatore è Fabrizio Schifano della Associated Dean, università di Hertfordshire, Inghilterra.

"Tutto inizia nel 1968 - spiega l’esperto -, quando si espande l’utilizzo epidemico di sostanze nell’estate dell’amore di San Francisco. La sostanza che allora era nota e assunta era l’Lsd. Non quella di oggi, ma una sostanza con delle componenti sensibilmente diverse".

Dagli States "nel 1972 arriva a Padova, nel Nord Italia. Ha inizio dunque, negli anni ‘70, il dibattito sulla grande distinzione tra droghe leggere e pesanti. Ora tuttavia è chiaro agli esperti che questa distinzione non esiste". Il consumo di droghe si intreccia con la realtà sociale e politica di quegli anni: la marijuana a quel tempo aveva la forte valenza di contrapposizione al potere, che si manifestava addirittura con una rivista ("Re nudo"), che ne incentivava al consumo come lotta allo Stato. Al lato però, ai margini, c’è tutto un altro mondo, quello dell’eroina.

"Nel novembre del 1981 lo scenario cambia drasticamente - spiega Schifano -: sei omosessuali maschi a San Francisco risultano contagiati da Hiv. Da quel momento si scopre la grande diffusione della sieropositività tra gli eroinomani". A quel punto la criminalità organizzata si trova davanti solo due possibilità: o chiudere bottega perché il prodotto di punta è in forte crisi, oppure diversificare la produzione per aumentare il numero dei consumatori. Neanche a dirlo, si percorre la seconda strada.

"Arriva dunque dalle Baleari l’ecstasy, che ottiene un successo enorme. Le nuove droghe hanno delle caratteristiche che le rendono molto appetibili: non necessitano dell’utilizzo endovenoso, non inducono necessariamente alla dipendenza". Si arriva dunque agli anni ‘90, che vedono il successo di questo fenomeno. "Queste sostanze portano i soggetti a non essere emarginati e, al contrario, ad aumentare produttività ed efficienza - continua Schifano -. Alla fine del decennio poi arrivano gli stimolanti, le droghe sintetiche o eco-droghe".

Tra le droghe più diffuse attualmente l’esperto punta grande attenzione sulla cannabis, per fugare alcuni luoghi comuni: "La cannabis di cui spesso si parla negli studi scientifici è quella degli anni ‘60 e ‘70, contenente 5-25 milligrammi di principio attivo Thc, ma non è quella che si trova adesso sul mercato, che contiene addirittura 150-300 milligrammi".

Quanto alla cocaina, invece, l’esperto ricorda: "In Italia è diffusa in polvere, ma si parla anche di cocaina per via inalatoria (smokable coca). L’aspetto negativo della polvere è che solo una modesta parte della sostanza passa nel circolo plasmatico, mentre quella da fumare garantisce un tasso più alto e quindi l’effetto garantito". In Inghilterra - aggiunge - sono circa mille i morti per cocaina in 10 anni.

Soprattutto nel Regno Unito si stanno diffondendo altre due sostanze. La prima e forse più pericolosa è la cosiddetta "date rape drug" (tradotto "droga per lo stupro su appuntamento"): "Si invita la potenziale partner a uscire, si aggiunge nel drink la sostanza che seda la vittima rendendo facile l’abuso e fa sì che difficilmente possa ricordare ciò che è accaduto (in Inghilterra sono stati registrati già 120 casi)".

Ci sono poi le Crystal Meth, metamfetamine che vengono fumate e spesso conducono i consumatori direttamente ai servizi psichiatrici. "Da segnalare è infine l’importanza che internet sta assumendo - conclude Schifano -. La domanda è: quali informazioni trovo sulle droghe nella Rete? Si possono distinguere tre classi di siti: quelli pro-drug (danno informazioni su come trovarle e assumerle); anti-drug (puntano alla prevenzione, ma spesso sono noiosi); siti intermedi (danno informazioni ma non si schierano".

Francia: nuova legge prevede aumento delle pene ai recidivi

 

Ansa, 2 giugno 2007

 

È duro e anche più duro di quanto era stato annunciato il nuovo testo di legge sulle pene minime per delinquenti recidivi, che Nicolas Sarkozy aveva annunciato quando era ancora candidato all’Eliseo. La proposta di legge, in preparazione, è ora una delle misure principali del nuovo governo ed anche il primo grosso dossier da sbrigare per il nuovo ministro della giustizia, Rachida Dati.

La neo guardasigilli, portavoce di Sarkozy durante la vittoriosa campagna presidenziale, ha scelto le pagine di "Le Monde" per spiegare i dettagli del testo - il cui esame è previsto nel prossimo luglio dalla nuova Assemblea - già sotto il tiro dei sindacati dei magistrati. La pena minima non riguarderà solo i multirecidivi, come era nel progetto del candidato Sarkozy, ma tutti i recidivi e anche i minori tra i 16 e i 18 anni che non avranno più diritto alle attenuanti legate alla giovane età.

In sostanza i recidivi colpevoli di un delitto passibile di tre anni di carcere o più saranno condannati ad almeno un terzo della pena, annuncia la Dati che entra poi nel dettaglio: "La pena minima in caso di recidiva sarà di un anno di prigione quando il delitto è punibile a tre anni, di due anni per un delitto punibile a cinque, di tre anni per sette, di quattro anni per i delitti puniti di dieci". Il rischio della legge?

Delle prigioni super popolate, temono i magistrati mentre le prigioni francesi già straripano con più di 60 mila detenuti per 50 mila posti circa. "Le prigioni scoppieranno", reagisce Helene Franco, segretario generale del Sindacato della magistratura. Lei stessa magistrato, il ministro Rachida Dati, 41 anni, figlia di immigrati maghrebini, una fedelissima di Sarkozy, si fa i suoi primi oppositori nel suo stesso campo.

"La giustizia deve stare dalla parte delle vittime", dichiara la Dati a "Le Monde" prima di promettere che "il progetto non mette in discussione la libertà del giudice. Le pene minime non saranno automatiche". Ma il magistrato che non l’applicherà dovrà spiegare perché. "La personalizzazione della pena - osserva ancora la Franco - è confinata all’eccezione e nel migliore dei casi alla buona volontà del giudice".

Ma "i magistrati, visto il loro carico di lavoro, non avranno la possibilità di entrare nei dettagli di ogni dossier per giustificare le decisioni", sottolinea Bruno Thouzellier, presidente dell’Unione sindacale dei magistrati. Anche Segolene Royal ha reagito alla misura che definisce "esclusivamente carceraria", denunciando soprattutto l’estensione della pena minima ai minori. "Vuol dire che a 16 anni la soluzione sarà la prigione e non più la prevenzione o l’educazione", osserva la socialista.

È una "nuova legge repressiva", quella che sta proponendo il governo, continua la Royal, mentre ci sarebbero "misure più urgenti sulla questione dei giovani e sul lavoro". Certo è che Nicolas Sarkozy aveva a cuore da tempo questa legge, dopo aver fatto una campagna presidenziale incentrata sui problemi della sicurezza dei cittadini.

Sin dal suo arrivo al ministero degli Interni, nel 2002, aveva moltiplicato le misure: dieci leggi in quattro anni, un record. Dal 2005 una legge punisce i criminali recidivi di violenze e aggressioni sessuali. Nel dicembre 2006, un nuovo testo sulla prevenzione della delinquenza e le pene minime aveva incontrato numerose opposizioni nel governo. Quella volta Sarkozy aveva dovuto fare marcia indietro. Ora Rachida Dati va avanti, perché tutto il governo è con lei e, naturalmente, con Sarkozy.

Usa: California; "visite coniugali" consentite anche per i gay

 

Ansa, 2 giugno 2007

 

Piccola rivoluzione nelle carceri della California: da oggi sarà permesso anche ai detenuti gay e lesbiche di passare la notte, in giornate prestabilite, con il proprio partner. Una decisione, riportata dal Los Angeles Times di oggi, che il governo californiano ha assunto per conformare anche i detenuti omosessuali alla legge di stato sui diritti dei conviventi. La California infatti è uno dei sei stati americani che permettono le "overnight visits", che generalmente avvengono in roulotte o in locali situati all’interno del complesso carcerario. Ma è il primo a consentire anche a partner dello stesso sesso di usufruire del diritto di visita. Ultima tappa di un progresso storico, partito dalla concessione del diritto ai familiari più intimi, nel 1970, e che ha visto a partire dal 2005 l’estensione anche ai conviventi.

Usa: scarcerato dopo 8 anni Jack Kevorkian, il "dottor morte"

 

Ansa, 2 giugno 2007

 

Otto anni fa l’America rabbrividì di fronte a questa domanda: può un malato terminale chiedere al suo medico di aiutarlo a morire? Jack Kevorkian, 79 anni, medico patologo laureatosi presso la Medical School dell’Università del Michigan, diede la sua risposta: "Sì, la morte è un diritto". Per questo fu processato e condannato per omicidio di un 52enne, un suo paziente, malato terminale, che gli aveva appunto chiesto di aiutarlo a morire.

"Suicidio assistito" si difese Kevorkian, che non solo confessò di avergli somministrato un’iniezione letale, ma ammise pubblicamente di aver aiutato a morire tra il ‘90 e il ‘98 (l’anno del processo) almeno 130 persone. Tutti malati terminali che chiedevano al loro medico "la dolce morte". Per l’America, divenne così il "dottor morte". Ora Kevorkian è tornato libero. Dopo otto anni nel Lakeland Correctional Facility di Coldwater, Michigan, il "dottor morte" è potuto tornare a casa, nella contea di Oakland.

La sua uscita dal carcere non solo è stata seguita dalle tv americane come un evento da immortalare in diretta, ma ha anche riaperto il dibattito sulla domanda-base del "caso Kevorkian": può, o no, un medico aiutare un malato terminale a morire? Fino a che punto quella richiesta va considerata un diritto? E fino a che punto un medico può spingersi nel suo dovere di assistenza? Può egli decidere, come fece Kevorkian, di assecondare le richieste del malato e arrogarsi il diritto di dargli la "dolce morte"?

Il "dottor morte" era convinto a tal punto delle sue posizioni che arrivò a filmare un suicidio assistito di un paziente per poi a fare diffondere le immagini in tv. Nella sua attività, Kevorkian arrivò anche a fotografare gli occhi di alcuni pazienti, nel tentativo di cogliere il momento del trapasso e inventò una "Death machine" - la Thanatron - creata perché un malato potesse azionarla da solo, dandosi la morte senza aiuti di altre persone. Dolcemente, però, si è sempre difeso. All’uscita dal carcere Kevorkian, sorridente e in buone condizioni, non ha voluto fare dichiarazioni.

Si è limitato ad un saluto di circostanza ai giornalisti in attesa. Ma il suo legale, Mayer Morganroth, ha detto che nei prossimi giorni il suo assistito terrà una conferenza stampa. L’associazione Michigan Catholic Conference l’ha già ammonito che una legge dello Stato vieta i suicidi assistiti, e che pertanto si opporrà ad ogni tentativo di riaprire il dibattito. Di fatto, però, riaprendolo. Solo nell’Oregon, in Usa, è riconosciuto il diritto di chiedere ad un medico una medicina letale, ma solo a persone che abbiano avuto una diagnosi di sei mesi di vita al massimo. Il dibattito è destinato a riaprirsi, e ad uscire dai confini americani.

 

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