Rassegna stampa 22 giugno

 

Giustizia: perché nessuno debba più "morire di ergastolo"

di Arturo Salerni (Avvocato - Rifondazione Comunista)

 

Liberazione, 22 giugno 2007

 

"L’ergastolo è una pena che rende il nostro futuro uguale al passato, un passato che schiaccia il presente e toglie speranza al futuro… È una morte bevuta a sorsi. È una vittoria sulla morte perché è più forte della morte".

Scrivono così oltre 300 persone condannate all’ergastolo e detenute nelle carceri italiane e si rivolgono al Presidente della Repubblica ed alla senatrice Maria Luisa Boccia, prima firmataria del disegno di legge per l’abolizione dell’ergastolo. È un messaggio forte ("siamo stanchi di morire un pochino tutti i giorni. Abbiamo deciso di morire una volta sola, le chiediamo che la nostra pena sia tramutata in pena di morte"), un grido di fronte al quale non si può girare la testa.

L’abolizione dell’ergastolo, una pena che esclude per il condannato la prospettiva di una nuova vita, è questione da sempre al centro delle battaglie progressiste, è un obiettivo irrinunciabile di civiltà giuridica, è il cardine di quel "diritto penale minimo e mite" che solo può invertire la spirale perversa che si crea tra le urla scomposte del giustizialismo, l’emarginazione di intere fasce sociali, la negazione dei diritti e della speranza.

Rifondazione ha posto l’obiettivo dell’abolizione dell’ergastolo al centro delle sue battaglie sul carcere, con una propria iniziativa parlamentare e con la campagna aperta all’Aquila lo scorso ottobre da Franco Giordano con la partecipazione di esponenti del governo, come Bobo Craxi e Luigi Manconi.

L’abolizione dell’ergastolo si lega all’obiettivo del nuovo codice penale cui sta lavorando la commissione ministeriale presieduta da Giuliano Pisapia: un nuovo codice che mira alla riduzione dell’area dell’illecito penale ed alla riformulazione del sistema delle pene.

Il Presidente Napolitano ha posto l’accento, nel corso della sua recente visita a Rebibbia sulla necessità di ripensare l’intero sistema sanzionatorio e di gestione delle pene, dando spazio alle pene alternative al carcere. Intervenire oggi sulla questione delle pene e del carcere è indispensabile.

Il carcere è usato quale luogo di raccolta delle emarginazioni e della disperazione sociale, le politiche sulle droga diventano politiche repressive e producono nuova detenzione, il vecchio governo ci ha lasciato la terribile eredità dell’utilizzo abnorme del sistema penale e della detenzione amministrativa nei confronti dei migranti, la giustizia penale è sommersa dal proliferare dei processi resi necessari dal proliferare dei reati, la questione sicurezza distorce dati e fatti per creare un clima di allarme.

Su questi temi si scherza col fuoco, ed il nostro dovere è quello di non inseguire i demoni creati dall’intolleranza e dall’irrazionalità. Bisogna invece chiamare la parte migliore della società e della politica a reagire all’oscurantismo per sostenere la giustezza e l’umanità degli obiettivi riformatori, creando convergenze ed avviando percorsi concreti di modifica legislativa.

La battaglia abolizionista sull’ergastolo è una battaglia per l’affermazione di un principio costituzionale, quello della finalità rieducativa della pena, è una battaglia contro un trattamento inumano e degradante. Rifondazione comunista raccoglie il grido di dolore e le sollecitazioni che vengono dalle carceri e chiama le forze parlamentari ad una scelta coraggiosa, opportuna e civile.

Giustizia: Priebke, il paradosso della "rieducazione" di un 93enne

di Andrea Boraschi e Luigi Manconi (Associazione "A Buon Diritto)

 

L’Unità, 22 giugno 2007

 

Erich Priebke, 93 anni, ex ufficiale delle SS, condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, ha il permesso di lasciare gli arresti domiciliari con un’autorizzazione firmata dall’Ufficio militare di sorveglianza. Priebke potrà andare a lavorare "tutti i giorni, libero nella persona", come è scritto nel decreto di modifica delle prescrizioni concernenti la sua detenzione domiciliare.

Egli è "autorizzato a recarsi anche giornalmente (...) nello studio dell’avvocato Paolo Giachini per rimanervi nell’arco temporale che avrà cura di segnalare con congruo anticipo alle autorità di polizia preposta al controllo". Era agli arresti domiciliari, Priebke: ora quella restrizione gli viene attenuata affinché possa svolgere un’attività professionale.

La notizia è stata accolta con sdegno e rabbia da tutti coloro che hanno voluto commentare questa decisione, nessuno (a nostra conoscenza) escluso. Comprensibile, più che comprensibile. E in parte, se vogliamo che anche i moti dell’animo contino qualcosa, condivisibile. Ma solo in parte. No, qui non si vuole offendere nessuno, ché su quel grumo di memoria evocata dal nome di Erich Priebke, si addensano orrori e dolori indicibili.

Nulla potrà mai attenuarne l’intensità, il valore, la dignità. E neppure si vuole tentare un esercizio garantista rocambolesco: vale a dire, misurare un principio sulle sue applicazioni più estreme, su casi tanto esemplari quanto iperbolici, sì da risultare efficaci solo per combattere il buon senso. Dunque, anche noi troviamo in larga parte discutibili le motivazioni che possono giustificare la revisione degli arresti domiciliari di Priebke. L’idea che un uomo di 93 anni, nelle sue condizioni e con la sua storia, debba ancora "realizzarsi" o "riscattarsi" attraverso lo svolgimento di un lavoro è, francamente, risibile.

Ed è ovvio che ci si trovi dinanzi a uno di quei casi in cui la difesa del condannato utilizza strumentalmente, ancorché legittimamente, le garanzie previste dal codice. Questo non deve certo scandalizzare; più discutibile appare, semmai, la decisione del Tribunale Militare. Che avrebbe potuto seguire altro orientamento, in considerazione di una molteplicità di elementi di "opportunità", per così dire, fin troppo evidenti. E, tuttavia, quello stesso tribunale, crediamo, non avrebbe mai dovuto trovarsi nelle condizioni di respingere o accettare la richiesta avanzata da Priebke e dai suoi legali.

Qui sta il paradosso: discutiamo di una decisione probabilmente inopportuna che, però, è tale e controversa solo in virtù di una fallacia che sta a monte di tutto. Se volessimo analizzare la questione più approfonditamente, dovremmo ricordare quanto previsto dal quadro normativo che regola la detenzione e l’accesso al lavoro: "Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi.

Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti" (l. 354, 1975). E ancora: "Il trattamento del condannato e dell’internato è svolto avvalendosi principalmente dell’istruzione, del lavoro (...) e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno (...).

Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurato il lavoro" (articolo 15 della medesima legge). L’articolo 21 dell’Ordinamento penitenziario, poi, prevede che chi è soggetto a vincoli restrittivi della libertà personale possa essere autorizzato a uscire dal luogo in cui sconta la pena per il tempo strettamente necessario allo svolgimento del suo lavoro.

Insomma: la pena serve a rieducare e il lavoro è strumento primario della riabilitazione del condannato. E qui sta il punto: come si può rieducare un uomo di 93 anni, che ha commesso quei crimini 63 anni addietro? Qualcuno crede davvero che nella detenzione (anche in quella domiciliare) inflitta a Priebke si possa ravvisare un principio riabilitativo?

E cos’è, quella condanna, qualora non contempli una qualsivoglia possibilità di riscatto (ammesso che per Priebke ve ne possa essere una)? Cos’è, se non mera "retribuzione" per il male fatto? Il nostro ragionamento non vuole forzature e, tantomeno, provocazioni: no davvero. Crediamo solo che ci si debba raccontare la verità e solo quella: o il fine rieducativo della pena è solo un velo, che ammanta di umanità una sanzione esclusivamente afflittiva (punizione e risarcimento coatto), oppure la possibilità che la condanna consenta - a chiunque! - anche solo una chance virtuale di reinserimento, deve essere presa sul serio.

Se propendiamo per questa seconda ipotesi, allora essa si rivela inutile per tutti quei casi in cui ciò non sia possibile; e, in particolare, qualora i crimini per cui si è giudicati siano remoti nel tempo (e non più reiterati); e qualora i dati anagrafici del soggetto siano tali da scongiurarne la pericolosità sociale e da impedire una prospettiva temporale, tra pena e vita post-pena, ragionevole ed equa.

Aveva ragione Tullia Zevi, allora presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, quando diceva: "Un uomo di 86 anni (questa era l’età di Priebke all’epoca della condanna) è stato lo strumento per affermare uno straordinario principio: egli è stato giudicato in modo esemplare per sottolineare il fatto che non si può uccidere della gente semplicemente perché è diversa da te. La violenza va frenata dalle leggi.

Una volta affermato questo principio, il destino personale dell’uomo Priebke non ha più importanza". Aveva ragione Tullia Zevi quando invitava a lasciarlo vivere e a lasciarlo morire. Insomma, quell’uomo, all’età di 93 anni, dovrebbe essere "libero": consegnato al suo rimorso (qualora sia in grado di provarne), dimenticato nella sua identità personale come è bene che si dimentichi certa disumanità e certa miseria morale: e ricordato nel suo ruolo storico come un modello negativo che trova pochi pari negli ultimi secoli.

Giustizia: Udeur; pdl per la "castrazione chimica" dei pedofili

 

Il Campanile, 22 giugno 2007

 

La decisione è ormai presa: contro la pedofilia non è più possibile indugiare né rinviare. Il fenomeno ha acquisito negli anni aspetti così drammatici ed invasivi nella società globale che ricercare alchimie dialettiche senza riscontri penali forti non ha più senso.

E forte di questa drammatica realtà i Popolari-Udeur sono scesi in campo con il vice segretario vicario nazionale, Antonio Satta che proprio in queste ore ha presentato in Parlamento la propria proposta di legge contro la pedofilia. Una proposta importante, seria, a favore del fanciullo che indurisce le pene e stabilisce l’introduzione della cosiddetta "castrazione chimica".

Come è noto, la materia del contrasto alla pedofilia trova la sua disciplina nelle leggi 15 febbraio 1996, n. 66, e 3 agosto 1998, n. 269, che ne costituiscono le principali fonti normative. In particolare, la legge 3 agosto 1998, n. 269, apportando modifiche significative e rilevanti al codice penale, ha introdotto una serie di norme contro la pedofilia, che costituisce il risultato dell’impegno assunto dal nostro Paese, in virtù della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, e della successiva Dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996, in ordine alla tutela dei fanciulli, meglio dire dei minori, contro ogni forma di sfruttamento e di violenza sessuale, a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicofisico, spirituale, morale e sociale.

"Questa proposta - sottolinea il parlamentare Antonio Satta - nasce dall’esigenza di rafforzare la legislazione vigente, proprio perché quest’ultima nel corso degli anni, si è rivelata insufficiente, a fronte della esigenza di dare risposte immediate ed efficaci, sia sul piano repressivo, che su quello preventivo, rispetto alla grave diffusione del fenomeno".

La pedofilia, infatti, rappresenta una delle grandi piaghe della nostra epoca, che vede come protagonisti, in qualità di vittime, un numero sempre più elevato di minori. Si parla, infatti, di circa 2 milioni di minori soggetti a sfruttamento e violenza sessuale. Un dato, di certo, estremamente allarmante. Ogni giorno, nel mondo, sempre più bambini e giovanissimi sono vittime dello sfruttamento e degli abusi sessuali. Da qui la impellente necessità di un’azione sempre più incisiva, per contrastare un fenomeno così aberrante e odioso.

La tutela dei minori contro tale infamante reato va esercitata con determinazione, prevedendo pene severissime per i responsabili di così gravi delitti, che minano nel profondo la società civile e provocano danni irreparabili sulla vita del minore colpito, che, come l’esperienza insegna, difficilmente riesce a ritrovare il suo normale equilibrio psichico.

"Di fronte ad una realtà così drammatica ed allarmante - riprende il vice segretario nazionale dei Popolari-Udeur - è necessario reagire ed intervenire prevedendo, da una parte, pene severissime da scontare in carcere fino all’ultimo giorno, e, dall’altra, l’attuazione della "castrazione chimica" (o blocco androgenico totale), attraverso l’assunzione di farmaci, capaci di ridurre la libido".

Elementi fondamentali di questa proposta di legge sono, infine, l’estensione della protezione del minore sino al diciottesimo anno di età; la pena di reclusione da otto a quattordici anni e con la multa da euro venticinquemila mila a centoventicinquemila mila e l’istituzione della figura professionale dello psicologo scolastico nelle scuole di ogni ordine e grado.

 

Il testo della proposta di legge "Satta"

 

Articolo 1. (Trattamento del blocco androgenico)

 

Chiunque è riconosciuto, con sentenza definitiva, colpevole del reato di pedofilia, in qualunque modo compiuto, nei confronti di persona di età inferiore agli anni diciotto, è punito con la reclusione da otto a quattordici anni e con la multa da euro venticinquemila mila a centoventicinquemila mila.

I soggetti di cui al comma precedente sono, altresì, sottoposti al trattamento del blocco androgenico totale, attraverso la somministrazione di farmaci analoghi all’LH-RH, ovvero di metodi chimici o farmacologici equivalenti

Il trattamento del blocco androgenico totale, comunemente conosciuto come castrazione chimica, è adottato nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 al termine della completa espiazione della pena.

 

Articolo 2. (Disposizioni per il trattamento androgenico)

 

Nel provvedimento che dispone l’obbligo di sottoporsi al trattamento del blocco androgenico totale, il giudice, sentito il competente servizio di medicina dell’Asl, deve indicare il metodo da applicare e la struttura sanitaria nella quale è eseguito il trattamento stesso.

Con il medesimo provvedimento di cui al comma 1 dello stesso articolo, il giudice individua l’ufficio di polizia giudiziaria, ove il condannato deve recarsi, entro il giorno successivo a quello di ciascuna somministrazione delle sostanze, di cui al comma 2 dell’ articolo 1, per dimostrare l’avvenuto intervento.

Il giudice fissa i giorni di presentazione all’ufficio di cui al comma 2, tenuto conto delle modalità del trattamento, del luogo di abitazione e dell’attività lavorativa del condannato.

 

Articolo 3. (Mancata presentazione)

 

La mancata presentazione all’ufficio di cui al comma 2 dell’articolo 2 è immediatamente notificata dalle competenti autorità di polizia giudiziaria al giudice, che, con nuovo provvedimento, ai sensi dell’articolo 205 del codice penale, dispone il trattamento ricorrendo a misure coercitive.

 

Articolo 4. (Esclusione dai provvedimenti di amnistia e indulto)

 

Il reato di cui all’articolo 1, comma 1, non è compreso nei provvedimenti di amnistia e indulto.

 

Articolo 5. (Divieto delle misure alternative)

 

A coloro i quali sono stati condannati per il reato di cui all’articolo 1, comma 1, della presente legge, non sono concessi i permessi premio, l’assegnazione al lavoro esterno e le misure alternative alla detenzione, previste dal capo VI del titolo I della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.

 

Articolo 6. (Istituzione della figura dello psicologo scolastico)

 

Ai fini del riconoscimento precoce della violenza o dello sfruttamento sessuale subiti dai minori, il Ministro della pubblica istruzione provvede alla istituzione, nelle scuole di ogni ordine e grado, la figura professionale dello psicologo scolastico.

 

Articolo 7. (Entrata in vigore)

 

La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Lavoro: il Programma Equal per il reinserimento di ex detenuti

 

Ago Press, 22 giugno 2007

 

Il reinserimento degli ex detenuti nella società civile è possibile. A dimostrarlo, il programma comunitario Equal 2001-2008, gestito, in Italia, dal ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, con l’assistenza tecnica di Isfol.

"L’anno europeo delle pari opportunità ha rappresentato un’occasione importante promuovere progetti volti a combattere le discriminazioni e gli ostacoli all’accesso al mondo del lavoro - spiega una nota - L’obiettivo è quello di avviare una discussione su uno standard minimo europeo di principi per il reinserimento degli ex- detenuti sulla base delle indicazioni emerse dalle sperimentazioni, di illustrare agli attori istituzionali buone pratiche individuate a livello europeo e di costituire una rete europea sostenibile operante anche al termine dei finanziamenti Equal".

In ambito nazionale, Equal finanzia tra questi più di venti interventi specificamente rivolti agli ex detenuti. In particolare, due i progetti più riusciti. Il primo, realizzato in Abruzzo, ha coinvolto associazioni di imprenditori arrivando ad istituire una linea di microcredito, 50.000€ per coprire le fideiussioni, per avviare attività.

Ciò è stato possibile anche grazie all’attivazione di sportelli ad hoc volti a rispondere ai fabbisogni non solo occupazionali, ma anche alloggiativi e socio-sanitari delle persone in uscita dal carcere. L’altro progetto è stato realizzato in Piemonte. Mediante una rete di organismi pubblici, privati e del privato sociale, sono state erogate misure formative a più di 700 detenuti per aumentarne le chance occupazionali al momento del rilascio.

Sul versante lavorativo, l’esperienza di un progetto tedesco ha evidenziato che, grazie a un’attività di assistenza personalizzata ai detenuti - attraverso la cooperazione tra servizi pubblici e privati - la percentuale di collocamento lavorativo raggiunge il 48%. Inoltre, laddove le agenzie di assistenza hanno interagito con altri servizi specializzati, il tasso di successo è stato due o tre volte superiore a quello ottenuto in caso di intervento di singoli organismi. I risultati degli interventi finanziati dal programma saranno presentati e discussi nel corso di una due giorni, che si terrà a Varsavia a partire da domani.

Ravenna: il sindaco; indulto grave errore, costruite più carceri

 

Ansa, 22 giugno 2007

 

Il sindaco di Ravenna, Fabrizio Matteucci, stamattina ha preso parte alla conferenza stampa in questura all’indomani della tragica sparatoria avvenuta nei pressi della Rocca Brancaleone, per ribadire il profondo ringraziamento della città nei confronti delle forze di polizia.

"Sono qui - ha esordito - innanzitutto per ringraziare, a nome di tutti i cittadini, gli agenti di polizia per la brillantissima operazione che ha fatto sì che l’episodio avvenuto ieri non avesse conseguenze ancora più gravi. L’epilogo della vicenda è avvenuto in luogo molto frequentato, in particolare modo dai bambini, per questo ho voluto dimostrarvi ancora una volta la gratitudine dei cittadini perché nessuna persona innocente è rimasta coinvolta. Al di là del gravissimo fatto di ieri, noi siamo comunque una città più sicura di altre. Perché Ravenna continui a rimanere tale ci deve essere la massima unità attorno alle istituzioni ed alle forze dell’ordine".

Il sindaco ha poi concluso il suo breve intervento con una considerazione personale. "L’indulto voluto sia dal centrosinistra e che dal centrodestra si rivela un grave errore. Non c’è pericolo di strumentalizzazione politica in questa considerazione. Semmai serve una discussione approfondita sul tema del nostro sistema sanzionatorio, ma è chiaro che l’argomentazione utilizzata per l’indulto, quella che le carceri scoppiano, può avere solo una risposta: la costruzione di nuove carceri".

Padova: corteo del "Gramigna" per sostegno a Br detenuti

 

Apcom, 22 giugno 2007

 

Domani pomeriggio a Padova si svolgerà una manifestazione organizzata dal centro sociale "Gramigna" per sostenere i 15 presunti brigatisti rossi arrestati lo scorso 12 febbraio. Ai manifestanti non è stato concesso di sfilare nel centro storico della città ma seguiranno un percorso esterno. Tuttavia, si legge nell’articolo, un portavoce del centro sociale occupato spiega che non si faranno fermare dal divieto della Questura ma che cercheranno comunque di portare il corteo nel centro della città.

"Abbiamo indetto questa manifestazione a livello nazionale a Padova - ha ricordato un portavoce del Gramigna - per difendere gli spazi occupati e portare solidarietà ai compagni arrestati lo scorso 12 febbraio e tuttora detenuti in condizioni di arbitrario isolamento carcerario".

Il sindaco di Padova, Flavio Zanonato, ha condannato l’iniziativa definendo la manifestazione "inaccettabile" e sottolineando che da parte dell’amministrazione comunale "c’è la più totale condanna di questo tipo di atteggiamenti legati a chi predica la violenza e non riconosce le istituzioni. La Magistratura e le Forze dell’ordine vigileranno - ha assicurato Zanonato - per evitare ed eventualmente sanzionare qualunque trasgressione della legge".

Droghe: un documento di "Non incarcerate il nostro crescere"

 

Fuoriluogo, 22 giugno 2007

 

Ecco il documento del Cartello "Non incarcerate il nostro crescere", che sarà presentato il 26 giugno in occasione della mobilitazione a Montecitorio.

Ad un anno dal cambio di direzione politica alla guida del Paese, ad un anno dall’impegno esplicito - assunto da tutte le forze politiche di centrosinistra nel loro programma di governo - di un cambiamento sostanziale in materia di politiche sulle droghe, ci ritroviamo purtroppo a fare i conti, nei nostri servizi e sulle strade, con domande e questioni che non hanno ancora trovato risposte diverse o ipotesi alternative su cui discutere se non quelle lasciateci in eredità da una politica sulle droghe punitiva, crudele e miope, che insieme abbiamo contrastato e condannato che però qualcuno addirittura sembra in questi giorni inseguire sulle prime pagine dei giornali, con affermazioni, prese di posizioni e proposte che riteniamo gravi e incomprensibili.

Come Cartello nato proprio sul contrasto a queste ipotesi esclusivamente punitive e, soprattutto, come organizzazioni pubbliche e private rappresentative di migliaia di operatori pubblici e privati e della gran parte del sistema dei servizi e come associazioni e movimenti rappresentativi di migliaia di giovani, cittadini, familiari sensibili ed impegnati nel sociale, ci sentiamo allora obbligati a porre urgentemente importanti questioni strategiche e ad avanzare ulteriori richieste di impegni precisi a ministri, onorevoli e rappresentanti regionali (tra i quali figurano diverse persone attente e sensibili che hanno condiviso con noi, negli anni precedenti, un percorso di denuncia e opposizione e che sono stati presenti, con noi, in diverse delle occasioni di confronto e proposta organizzate in questi anni a Napoli, a Bologna, a Firenze, ancora a Bologna e poi il 7 dicembre 2005 a Roma).

Il Cartello "Non incarcerate il nostro crescere" - alla luce degli evidenti ritardi e delle oggettive difficoltà di questi mesi nel garantire l’assolvimento degli impegni presi dal Governo, dal Parlamento e dalle Regioni nel settore delle dipendenze, sia legislativamente che operativamente - esprime la propria grave insoddisfazione riguardo al ritardo con cui si intende superare la legge Fini-Giovanardi e riformare il precedente TU 309/90.

Al tempo stesso e inscindibilmente, il Cartello sottolinea come l’attuale sistema dei servizi e le relative garanzie economiche e organizzative siano da tempo in grave sofferenza, con riguardo tanto ai servizi pubblici già operanti quanto alle necessarie e non più rinviabili innovazioni, attività di ricerche e sperimentazioni. L’attuale organico ridotto dei servizi, la precarizzazione di molti dei rapporti di collaborazione insieme con lo strangolamento finanziario del privato sociale ( pagamenti di rette dovute a 12/ 20 mesi dal dovuto ) e la questione rette delle comunità, collocate su livelli indecorosi, ci porta ad un riflessione non rinviabile sul rapporto strettissimo fra la dignità stessa degli operatori, sia pubblici che del privato sociale, la qualità delle prestazioni erogate e la necessità di garantire i diritti delle persone coinvolte su tutto il territorio italiano.

In particolare, in questa difficile e delicata fase storica e politica, il Cartello richiama alla necessità di riprendere un percorso reale e concreto verso una riscrittura degli approcci e delle politiche di prevenzione, cura, lotta e contrasto e riduzione dei danni del consumo problematico, dell’abuso e delle tossicodipendenze ispirato da alcuni principi guida quali:

La necessità di modificare celermente le priorità relative all’approccio delle politiche sulle droghe legali e illegali, le sostanze psicostimolanti e gli atteggiamenti di addiction, passando da una cultura ispirata da una logica di pesante punizione e di forte penalizzazione del consumo a un orientamento che esprima chiari indirizzi di contrasto al grande traffico e alla diffusione sempre più massiccia di sostanze stupefacenti e, nel contempo, di investimenti certi verso le politiche di prevenzione e cura.

Va incentivata una vera politica di depenalizzazione, prevenzione, accoglienza e supporto che sappia evitare qualsiasi forma di penalizzazione grave e relativa stigmatizzazione sociale generalizzata dei comportamenti di consumo, come accade invece attualmente con i principali strumenti di penalizzazione pesante del consumo proposti dal precedente Governo. Riteniamo ancor più necessario, alla luce degli ultimi gravi fatti di cronaca, un vero cambio di paradigma e indirizzo che sappia spostare l’attenzione, le culture e l’investimento anche organizzativo del sistema da una cieca fiducia nell’approccio puramente repressivo alla fiducia in un approccio integrato che combini dimensioni relazionale, culturale, educativa e, ove necessario, trattamentale.

A questo scopo, il Cartello chiede di aprire una discussione - da condurre in tempi brevi, anche in occasione della scrittura del Dpef - su come le risorse, oggi impegnate esclusivamente nell’ambito sanzionatorio, possano essere coerentemente reinvestite ed integrate nello sviluppo di un aggiornato ed efficace sistema di prevenzione e di presa in carico (che non faccia leva solo sul carcere e sulle Prefetture ma piuttosto sugli operatori sociali nei servizi e sui territori sia pubblici che del privato sociale, affronti il tema dei veri costi economici e sociali del carcere e delle misure alternative, elabori un piano nazionale pluriennale di educazione alla salute nelle scuole e nei territori, ecc.).

Coerentemente con il passaggio dall’approccio della pena all’approccio di prevenzione e promozione della salute, è urgente sviluppare un sistema di intervento che dia delle risposte più efficaci sul versante della prevenzione - sia primaria che della limitazione dei rischi - intervenendo nell’ottica del lavoro di comunità e dell’empowerment, per garantire la creazione di relazioni significative ed accrescere il senso di responsabilità e autotutela soprattutto nei giovani e, più in generale, nei consumatori non problematici e negli abusatori, anche al fine di favorire una cultura diffusa della prevenzione e sviluppare consapevolezza, auto protezione e competenze sociali. Questo comporta anche la ridefinizione di metodologie di intervento adeguate (come quelle nei luoghi naturali, della peer education, dei life skills, delle unità mobili giovani, del lavoro di strada ecc.) e la formazione di nuove professionalità.

Garantire una allocazione stabile ed equa delle risorse umane e tecniche a tutela della dignità degli operatori e dei diritti dei consumatori di sostanze, con l’obiettivo di portare l’investimento in questo campo ai livelli europei, e cioè almeno all’1,5% del fondo sanitario (si tratta dei temi degli organici dei Ser.T., della messa a regime degli interventi, del Fondo nazionale vincolato, ecc.) e di ritornare ad applicare gli impegni espliciti della legge 45 del ‘97 che prevedeva un investimento annuale certo nazionale di una quota specificatamente destinata che neppure questo governo ha rispettato nella precedente finanziaria.

Garantire un reale sviluppo e l’efficienza di un Sistema Integrato Pubblico-Privato Sociale, in un rapporto chiaro e di co-progettazione, attraverso risorse certe ed adeguate ai cambiamenti del fenomeno e ai nuovi stili di consumo, con la garanzia che su tutto il territorio nazionale sia presente uno stabile, vero, articolato e complesso sistema diversificato di risposte e di continuità terapeutica, che garantisca una funzione pubblica anche dal punto di vista organizzativo e che preveda un ruolo di indirizzo, garanzia e tutela dell’equità da parte del sistema pubblico (Dipartimenti e pari dignità tra pubblico e privato, servizi di prossimità, bassa soglia, sistema di allerta rapido, ecc., andando oltre la sperimentazione ormai strutturale).

Maggiori investimenti nel settore della ricerca, in particolare sul versante socio culturale e dell’analisi antropologica delle diverse modalità e culture connesse ai vari consumi e alle dipendenze, in coerenza con la necessità di sviluppare nuove metodologie di intervento attorno ai diversi stili di consumo, tenendo conto anche delle esperienze già validate a livello europeo (cocaina e nuovi sistemi di presa in carico e trattamento, trattamenti sempre più personalizzati, attenzione alle diverse forma di gravosità assistenziale e di intervento necessarie, nuove tipologie di sperimentazioni territoriali di cura e supporto…).

Favorire le innovazioni - ormai rese necessarie dai profondi mutamenti nella morfologia dei consumi e degli stili di vita - all’interno del Sistema degli interventi, senza porre in contrapposizione tra loro le necessarie sperimentazioni con la tenuta dei livelli storici ed essenziali dell’assistenza. Stabilire per questo, accanto a garanzie certe per i servizi a regime o da mandare a regime, un Fondo nazionale vincolato all’innovazione e alla sperimentazione sia a livello nazionale che nell’interazione con le programmazioni regionali.

Costruire un sistema nazionale di confronto e monitoraggio condiviso tra ministeri, regioni e servizi su tutto il territorio nazionale, nel profondo rispetto delle varie funzioni e responsabilità sappia garantire un vero livello minimo di assistenza e cura in tutti i territori, come garanzia di un diritto di cittadinanza condiviso anche per questo tipo di fragilità e problematiche. Attualmente rileviamo discrepanze profonde e illogiche sia nelle culture, nelle metodologie e nelle stesse strategie di intervento e cura, che nella ripartizione delle risorse anche in territori vicini (rendendo il seppur minimo diritto di cittadinanza non più così certo per tutti soprattutto se tossicodipendenti ).

Al fine di permettere la realizzazione di quanto sopra esposto, si rende urgente per il Cartello un forte recupero di protagonismo per promuovere confronto, scambio e proposta nei confronti di tutti i livelli di programmazione e decisionalità sia tecnica che politica che siano ministeriali, parlamentarti, regionale, locali e delle vaie reti di intervento. Risulta, quindi, necessario programmare:

Un incontro con il Coordinamento delle Regioni tramite il loro coordinatore (Ass. Enrico Rossi), per la ripresa e lo sviluppo di un dialogo continuativo in interazione con le varie direzioni regionali.

Un’iniziativa pubblica che promuova una discussione tecnico/politica sull’attuale sistema di intervento - magari in concomitanza con la pubblicazione della Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia del 2006 - e sulle conseguenti richieste per la messa a disposizione delle risorse necessarie, anche in prossimità della discussione sul Dpef 2007 verso la finanziaria per il 2008.

Un’iniziativa unitaria del Cartello sia di piazza, magari davanti al Parlamento, che di contenuto tecnico politico con la partecipazione dei ministri interessati, per la definizione di una data limite per un’iniziativa di tipo legislativo.

L’istituzione di ulteriori momenti di confronto tra i membri del Cartello anche in relazione a importanti appuntamenti futuri ("Strada facendo", Clat, Conferenza nazionale governativa, ecc.).

 

Per il Cartello "Non incarcerate il nostro crescere", De Facci Riccardo

Droghe: "test" obbligatori per molte categorie di lavoratori

 

Notiziario Aduc, 22 giugno 2007

 

Test antidroga obbligatori per una lunga lista di lavoratori: la norma potrebbe essere varata prima di agosto dalla Conferenza Stato-Regioni ed è contenuta nella bozza di intesa voluta dal ministro della Salute Livia Turco subito dopo la tragedia di Vercelli, dove morirono due bambini che viaggiavano su un bus guidato da un autista che aveva fumato uno spinello.

Così, dall’autista di taxi al pilota, dal controllore di volo a quello addetto al traffico dei treni, il controllo antidroga potrebbe presto diventare operativo. A realizzare i controlli saranno i Ser.T. che hanno giudicato "buona" la notizia dell’arrivo della nuova normativa che ha già avuto un primo sì da parte degli assessori alla Salute.

Per il presidente di Federserd (federazione dei Ser.T.), Alfio Lucchini, quelle interessate dal provvedimento, sono "categorie importanti per la sicurezza dei cittadini" e il ruolo dei Ser.T. che si delinea "è un giusto ruolo tecnico, che attiene alla consolidata professionalità del personale, all’interno delle competenze sanitarie complessive delle aziende sanitarie".

Per Riccardo De Facci, responsabile tossicodipendenze del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (Cnca), "in una logica di sicurezza pubblica, gli strumenti di controllo, come gli etilometri, vanno potenziati. Ma il rischio che si corre è di ridurre il tema al solo controllo, trascurando l’aspetto fondamentale della prevenzione".

I lavoratori coinvolti sono quelli che svolgono mansioni particolarmente rischiose per la sicurezza propria e di altri, come tutte le attività di trasporto, chi lavora nell’impiego di gas tossici, con i fuochi di artificio o gli esplosivi.

In caso di esito positivo del test il lavoratore, che sarà avvisato tre giorni prima del controllo, non perderà il posto di lavoro ma, se sarà accertata la tossicodipendenza, potrà essere spostato ad altre mansioni. Il testo è stato già inviato al ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e dovrà ora passare all’esame della Conferenza Stato Regioni.

Il provvedimento di fatto applica questo prevedeva già la normativa Iervolino Vassalli, cioè la nascita di una norma da emanare di concerto da parte del ministero della Salute e del Lavoro e delle Politiche Sociali con l’indicazione delle mansioni a rischio e le modalità dei controlli. Se il lavoratore non si dovesse presentare verrà invitato entro 10 giorni ad un nuovo controllo.

Nel caso in cui il lavoratore non si presenti nuovamente e in assenza di un giustificato motivo il datore di lavoro sarà tenuto a sospenderlo dalle mansioni comprese nell’elenco stilato nella bozza, mansioni che per loro natura sono rischiose e che se svolte in condizioni mentali e fisiche alterate possono mettere in pericolo non solo la salute dello stesso lavoratore ma anche di altre persone.

Gli accertamenti riguarderanno anche tutti i lavoratori previsti nell’elenco delle categorie coinvolti in un infortunio sul lavoro che ha causato una lesione con prognosi superiore ai 20 giorni e anche in tutti i casi in con il medico competente lo ritenga necessario. Sempre i Sert potranno attestare successivamente l’avvenuto recupero del lavoratore che potrà tornare alla sua mansione anche se potrà subire nuovi e ripetuti controlli.

Le procedute diagnostiche e medico legali dovranno essere indicate da un accordo successivo. Nel caso in cui il test dovesse risultare positivo il lavoratore potrà chiedere entro 10 giorni la ripetizione dell’esame. Norme speciali vengono indicate per i controlli per il personale delle forze armate e di polizia e del corpo nazionale dei vigili del fuoco così come per il personale marittimo.

Droghe: Veneto; nuove linee-guida sulle tossicodipendenze

 

Vita, 22 giugno 2007

 

La Regione Veneto ha approvato linee guida per preparare programmi terapeutici e riabilitativi - coordinati con i servizi regionali dipendenze, le carceri, la magistratura di sorveglianza - utili ad ottenere misure alternative al carcere per le persone tossicodipendenti.

Di questo tema si è parlato durante il seminario tenutosi ieri a Selvazzano Dentro e al quale è intervenuto l’Assessore regionale alle politiche sociali Stefano Valdegamberi. Erano presenti anche, tra gli altri, Giovanni Tamburino Presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia, Daniele Berto dell’Osservatorio regionale sul carcere, Lorenzo Rampazzo della direzione servizi sociali della Regione Veneto.

"Per i tossicodipendenti in carcere - ha detto Valdegamberi - è sempre più evidente la necessità di programmi alternativi alla carcerazione. E, per gli operatori, si rende indispensabile avere un quadro di riferimento e di procedure comuni a fronte di programmi e iter tra loro molto diversi. Attualmente nelle carceri venete ci sono 567 (dati del marzo 2007) detenuti tossicodipendenti, pari a circa il 29% della popolazione detenuta.

Il nostro scopo, che non dobbiamo mai dimenticare, è il recupero, la riabilitazione del detenuto tossicodipendente e il suo reinserimento sociale e lavorativo, che presuppone, se vogliamo che il recupero funzioni, un trattamento personalizzato della sua dipendenza". "Perciò - ha aggiunto - abbiamo formulato delle linee guide regionali, ottenute dopo un lavoro di due anni da parte di un gruppo di lavoro specifico, in armonia con quanto previsto dal protocollo d’intesa sul carcere firmato tra Regione Veneto e Ministero di Giustizia.

Con questo lavoro - ha aggiunto - compiamo un grosso passo in avanti nell’armonizzazione a livello regionale delle procedure in modo da poter garantire un’uniformità di azione, che attualmente non c’è, nel presentare alla Magistratura i programmi terapeutici-riabilitativi, passo essenziale per chiedere la concessione di misure alternative al carcere. È un momento importante nel percorso di collaborazione tra sanità pubblica, che ha la responsabilità del trattamento sociosanitario dei tossicodipendenti in carcere, e magistratura di sorveglianza". I Dipartimenti per le dipendenze dovranno attenersi a quanto prevedono le linee guida regionali.

Droghe: Olanda; schedatura per tutti i clienti dei "coffee shop"

 

Notiziario Aduc, 22 giugno 2007

 

Comprare cannabis nella città olandese di Maastricht significherà ben presto dover accettare di farsi prendere le impronte digitali, di farsi scannerizzare e il viso e di avere schedati i propri dati biometrici. Tutti i 15 coffee shop dove lo spinello è legale stanno spendendo circa 100.000 euro per installare un sistema di sicurezza che - ha detto Marc Josemans, capo della locale associazione dei coffee shop - renderà più difficile per un consumatore di cannabis sotto i limiti di età entrare in uno dei locali che per un terrorista entrare in Europa.

"Ci vergogniamo per questo attacco alla vostra privacy", afferma un volantino che illustra il sistema, che sarà operativo dal prossimo settembre. I locali dove la cannabis viene consumata sono obbligati a dimostrare - pena anche la chiusura - che non vendono ai minori di 18 anni, e che non vendono più di 5 grammi al giorno a chiunque altro.

"Se un 17enne - ha spiegato Josemans - viene qui, mostra la carta d’identità del suo fratello maggiore e poi viene fermato dalla polizia in possesso di cannabis comprata nel nostro negozio, dobbiamo provare che è stato lui a violare la legge, non noi". Le impronte digitali e i dati scannerizzati del viso dei clienti dei caffè di Maastricht saranno paragonati con i dati presenti negli archivi e, se saranno combacianti, potranno entrare nel locale.

Non saranno schedati nomi o indirizzi e i particolari della quantità di cannabis acquistata ogni giorno saranno tenuti solo fino alla mezzanotte. I proprietari dei caffè sostengono che la privacy è assolutamente rispettata, ma Josemans ammette che al 90 per cento dei suoi clienti il sistema non piace e si aspetta che all’inizio ci sarà un calo di vendite. "Non mi piace che sia registrato quello che compro - dice Barry, 34 anni - ma un’impronta digitale va bene".

Droghe: padre chiede aiuto per figlio arrestato in India

 

Notiziario Aduc, 22 giugno 2007

 

"Qualcuno ci aiuti, i ragazzi sono allo stremo": è disperato Giovanni Falcone. Suo figlio Angelo ed un suo amico, dal 10 marzo scorso sono in carcere in India perché ritenuti responsabili di possesso di droga. "Non so più a chi rivolgermi; la situazione non si sblocca, i ragazzi sono in carcere con una accusa gravissima, ma fino ad ora non sono stati nemmeno incriminati, sono lì, in carcere in India, con tutte le difficoltà possibili e immaginabili".

Giovanni Falcone, che vive a Rotondella (Matera) dopo la separazione dalla moglie che risiede con il figlio Angelo nel Piacentino, sin dal momento dell’arresto dei ragazzi - che erano in vacanza nello stato dell’Himachal Pradesh - ha chiesto aiuto alle autorità italiane, a cominciare dal ministero degli Esteri. "Lo scorso fine settimana sono stato a Roma - spiega Falcone - ed ho parlato con il vice ministro Patrizia Sentinelli che mi ha assicurato che si interesseranno della vicenda. Ieri, inoltre, il presidente della Regione Basilicata ha scritto al ministro D’Alema per sollecitare un intervento presso le autorità indiane".

Angelo Falcone, di 26 anni, era in vacanza nello Stato dell’Himachal Pradesh con l’amico. Pochi giorni prima della partenza per l’Italia i due ragazzi si sono trovati coinvolti in una retata e sono stati accusati di possesso di 18 chilogrammi di droga.

Stati Uniti: pubblicato libro-diario dal "braccio della morte"

 

Associated Press, 22 giugno 2007

 

Gene Wilford Hatorn, rinchiuso dal 23 anni nel braccio della morte del carcere di Polunsky in Texas, lo stato americano che vanta il maggior numero di sentenze capitali eseguite, è stato condannato a morte per aver ucciso il padre e la matrigna, che per anni hanno abusato di lui. "Dead Man walking. La mia voce dal braccio della morte" (Ed. Clandestine, euro 13,00) è il suo scioccante memoriale, in cui alterna ricordi della sua vita a descrizioni della situazione carceraria degli internati della Polunsky Unit.

L’autore - si legge nella quarta di copertina - non vuole discolparsi dal crimine commesso: vuole solo mostrare l’ipocrisia di un mondo corrotto, in cui buoni e cattivi esistono per fini politici piuttosto che morali poiché, alla possibilità di pentimento per gli internati, si preferisce spogliarli della loro dignità". In un contesto di questo genere, troppo spesso vittima e carnefice si somigliano troppo per essere l’uno il giudice dell’altra.

Non sono un mostro - scrive Hatorn - Sono solo uno che in gioventù ha commesso un terribile errore. Qui, nel braccio della morte, ho avuto molto tempo per riflettere sul dolore causato a me stesso e agli altri e non menziono il mio passato per giustificarmi. Ma c’è una ragione dietro ogni crimine e credo che la mia debba essere ascoltata, così come tante altre storie segregate dietro le sbarre del braccio. So che una volta che lo Stato ha intrappolato qualcuno nel suo meccanismo di morte è praticamente impossibile riacquisire la libertà.

Tale è la mia condizione e sebbene in certe occasioni soccomba di fronte a questo esilio di frustrazione e di pianto, l’affronto con la dignità rimastami. confido in primavere esterne, anche se la speranza è una principessa ingannevole e qualche volta crudele".

Da solo per 23 ore al giorno, Hatorn vive in una cella di cemento armato due metri per tre, aspettando il suo destino, che potrebbe consistere, in caso di sconfitta nell’ultimo appello, nell’esecuzione della condanna a morte mediante iniezione letale. Nel frattempo scrive saggi e articoli, molti dei quali hanno vinto riconoscimenti e premi.

Le Edizioni clandestine, editrici di questo suo diario, hanno attivato per aiutarlo il progetto Libero Barabba, finalizzato alla raccolta di fondi. L’ennesimo capitolo di una lunga e difficile crociata contro la pena di morte.

 

 

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