Rassegna stampa 17 gennaio

 

Taranto: detenuto di 39 anni muore in cella per un infarto

 

Corriere del Giorno, 17 gennaio 2007

 

Sarà eseguita oggi l’autopsia sul corpo del detenuto morto in carcere. Come riferito ieri, Luciano Cologna, 39 anni, di San Severo, detenuto nella casa circondariale di via Magli dal 16 settembre scorso, è deceduto in seguito ad un infarto. Avrebbe finito di scontare la pena il 2028 poiché aveva rimediato diverse condanne per vari reati fra cui anche quelli di omicidio e di estorsione, tutti commessi nel Foggiano dove, comunque, non è considerato un elemento di spicco della mala. Il decesso si è tinto di giallo anche perché l’uomo il giorno precedente era stato sottoposto ad alcuni controlli all’ospedale Moscati. Per fare chiarezza sulle cause della morte, il pm Pietro Argentino ha disposto l’autopsia che questa mattina sarà effettuata dal professor Luigi Strada, docente di medicina legale dell’Università di Bari. In seguito al tragico episodio, ieri la struttura penitenziaria è stata passata al setaccio. Le perquisizioni delle celle vengono effettuate periodicamente dagli agenti della Polizia penitenziaria ma quella di ieri era legata alla triste vicenda e a un altro episodio verificatosi ieri pomeriggio. Sembrava che un detenuto avesse ingoiato una dose di droga e per questo è stato trasportato al Santissima Annunziata dove è stato sottoposto ad alcuni controlli e dimesso. A quanto pare si è trattato di un falso allarme. Stando a quanto si è appreso, durante la perquisizione non sarebbe stato trovato nulla di illecito.

Giustizia: prescrizione per Oreste Scalzone, può rientrare in Italia

 

Affari Italiani, 17 gennaio 2007

 

Da oggi l’ex leader dell’ultrasinistra, Oreste Scalzone, da anni latitante a Parigi, può tornare in Italia. I giudici della prima Corte d’assise di Milano hanno infatti dichiarato il non doversi procedere nei suoi confronti per intervenuta prescrizione in relazione ai reati di partecipazione ad associazione sovversiva, banda armata e rapine, per i quali era stato condannato a Milano, nel 1981, a 16 anni di reclusione, nel cosiddetto processo Prima Linea - Cocori (Comitato Comunisti Rivoluzionari). La richiesta di prescrizione è stata formulata dai suoi legali, Gabriele Fuga e Ugo Gianangeli. "Certo che torno. Sarò un pendolare per condurre in Italia nuove battaglie di libertà".Queste le prime parole di Scalzone, rifugiato da 25 anni a Parigi.

Chi è Scalzone - Nelle cronache dei media, viene definito immancabilmente "ex leader di Potere Operaio". Ma la sua storia, intrecciata a doppio filo con quella dell’ultrasinistra italiana, comprende molte altre pagine. E un contatto continuo con il nostro Paese anche dall’esilio parigino. Nato a Terni nel ‘47 da mamma Eugenia e papà Giuseppe, nel ‘68 si iscrive all’Università a Roma e - complici anche il suo coraggio e le sue qualità di oratore "torrenziale" - diventa in fretta uno dei leader del movimento studentesco romano, protagonista tra l’altro degli scontri di Valle Giulia.

Trasferitosi a Milano, partecipa all’organizzazione dei "Comitati comunisti", emanazione dell’allora Potere Operaio del quale era stato co-fondatore con Franco Piperno e Toni Negri: ma nel ‘72, dopo il congresso di Rosolina, Potere Operaio si scioglie e i Comitati comunisti - attivi soprattutto alla Pirelli e all’Alfa-Arese - diventano autonomi, mentre Scalzone contribuisce all’affermazione della nascente "Autonomia operaia". Sono anni difficili, segnati dalla sfida del terrorismo, e per Scalzone il 7 aprile del ‘79 arrivano le manette, nella sede della rivista "Metropolis": il provvedimento contro di lui, Antonio Negri e Emilio Vesce viene emesso nell’ambito dell’inchiesta del giudice Calogero, nota come inchiesta "Sette aprile", in base alla quale l’ex vertice di "Potop" viene accusato di associazione sovversiva e banda armata. Successivamente, viene imputato anche di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, sempre nell’ambito del cosiddetto "teorema" del giudice Calogero secondo cui Potere operaio fu la culla di tutte le organizzazioni armate, "Brigate Rosse" comprese.

Giustizia: Mastella; il "male" è la prescrizione, non l’indulto

 

Asca, 17 gennaio 2007

 

"Non entro nel merito di chi ha riflettuto sul fatto che tutti i mali fossero quelli dell’indulto, ma come si vede purtroppo i mali sono da imputare alle prescrizioni, a prescindere di chi ne fruisce". Così il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, si esprime in merito alla caduta in prescrizione del reato dell’ex esponente del comitato comunista rivoluzionario, Oreste Scalzone. "Tenteremo di sollevare questa questione sul piano parlamentare mentre per quanto riguarda il governo ci attiveremo perché non ci sia più una giustizia fondata sulla prescrizione". Questo perché, spiega il ministro, "un conto sono le garanzie per la difesa, un conto è invece giocare con le prescrizioni. La prescrizione non è il dato del processo ma è un elemento del processo che dà l’idea di una giustizia che stenta".

Lazio: delegazione Consiglio Regionale in visita a Rebibbia

 

Asca, 17 gennaio 2007

 

Luisa Laurelli (DS), presidente commissione Sicurezza e lotta alla criminalità del Consiglio Regionale del Lazio, Peppe Mariani (Verdi) e Francesco Lollobrigida (AN) hanno compiuto oggi la prima visita all’Istituto penitenziario di Rebbibia (nuovo complesso) sulla Tiburtina, a Roma. Seguiranno altre visite alla Casa circondariale, a Rebibbia femminile e alla terza casa Rebibbia. Il ciclo di visite si concluderà il 20 febbraio, poi a marzo la commissione si recherà a Casal del Marmo. Oltre 900 detenuti, la struttura relativamente moderna e architettonicamente pensata come modello di carcere dove la detenzione sia più umana possibile, si è avvertito qui l’effetto indulto. La diminuzione dei detenuti ha consentito di ottimizzare il rapporto tra il personale della Polizia penitenziaria e la popolazione detenuta, con un miglioramento dei controlli e dei servizi.

La commissione ha rilevato la buona funzionalità del carcere, pur essendo ancora insufficiente l’organico della Polizia penitenziaria. "Nel nostro giro nelle carceri del Lazio, riscontriamo qui condizioni di vita dei detenuti migliori che in altre situazioni. Certo, molto resta da fare per accompagnare il periodo di detenzione con iniziative di socializzazione e di reinserimento dei detenuti, una volta che hanno scontato la pena". Ha così sintetizzato Luisa Laurelli l’impegno della Regione Lazio per questo delicato settore della società, aggiungendo che "il tema dei diritti dei detenuti attiene comunque ai diritti della persona e il dovere delle Istituzioni è quello di essere al servizio dei cittadini, di tutti i cittadini, nessuno escluso, anche se si tratta di detenuti".

Al braccio G8 che ospita transessuali, alcuni detenuti hanno chiesto proprio questo: l’interessamento delle Istituzioni per il dopo-carcere, il diritto al lavoro, il diritto ad una casa, il ‘diritto’ a vivere decentemente per non tornare a delinquere, per non tornare più in carcere. Analoghe le esigenze nel reparto che ospita tossicodipendenti, assistiti dal Ser.T. della Asl Roma B e che sono in carcere per aver commesso reati. Processi di recupero, cure, possibilità di riscattarsi per tornare a una vita normale. Questo chiedono.

È prevista anche una visita presso la struttura assistenziale per detenuti che sorge da oltre un anno presso l’ospedale Sandro Pertini, "a testimonianza che il nostro impegno su questo fronte è a tutto campo. La Regione intende collaborare con la Asl e con l’Istituto penitenziario per risolvere i problemi". Il nuovo complesso di Rebibbia ospita anche detenuti in regime di 41-bis, il cosiddetto carcere duro per chi ha commesso delitti di mafia, con forti limitazioni anche alla libertà di comunicare con l’esterno e sottoposti a stretta vigilanza. "Queste misure restrittive sono necessarie - è stato spiegato - perché la pericolosità di questi soggetti è non sono dovuta a eventuali contatti con i congiunti, ma soprattutto per eventuali connessioni che essi hanno con i contesti sociali di provenienza, che sono, per l’appunto, contesti mafiosi".

Caserta: presidente Consiglio Regionale visita carcere militare

 

Il Mattino, 17 gennaio 2007

 

Formare "operatori dello spettacolo" attivando un corso tra le mura della casa circondariale militare Andolfato di Santa Maria Capua Vetere, di cui è comandante il tenente colonnello Antonio Del Monaco. Obiettivo? Restituire dignità ai detenuti favorendo il loro recupero sociale in maniera diversa riconducendoli in particolar modo ai valori della cultura. È il messaggio forte portato ieri dal presidente del Consiglio Regionale Sandra Lonardo Mastella che in via del tutto informale ha visitato la struttura circondariale sammaritana.

Un pomeriggio certamente diverso per gli "ospiti" con le stellette. "Questo non è solo luogo di pena - ha affermato la massima carica istituzionale consiliare regionale - ma una ricchezza da recuperare, rieducare e restituire alla società". Con Sandra Lonardo Mastella, Pino Insegno, che in maniera altrettanto inaspettata ha rallegrato con battute e storie divertenti la platea carceraria. Di rientro da Napoli verso Roma, contattato dalla moglie del Guardasigilli Clemente Mastella, Insegno ha fatto tappa al carcere militare fornendo la propria piena disponibilità ad avviare - di concerto con il Ministero di Giustizia - un corso di formazione di operatori dello spettacolo. Esperienza che parte da Roma ma che allargata a Santa Maria Capua Vetere trova diffusione su scala nazionale. "È certamente un luogo di detenzione - ha concluso Sandra Lonardo Mastella - ma diverso, non solo per il tipo di popolazione ospitata ma per il clima che si respira all’ interno delle mura. Detenuti, sorveglianti, responsabili amministrativi formano, infatti, una vera e propria squadra. Una sorta di famiglia allargata nella quale vige rispetto dei ruoli, delle competenze della personalità dei singoli".

Pistoia: inaugurazione del Teatro della Casa Circondariale

 

Asca, 17 gennaio 2007

 

La Ballata del Teatro Instabile, ovvero una performance teatrale che ha per protagonisti i detenuti della Casa Circondariale di Pistoia, per la significativa inaugurazione di una vera sala teatrale nel carcere, che proponiamo di chiamare Teatro Instabile di Pistoia: un teatro letteralmente costruito nel corso del 2006, fornito di palco, quinte, luci, fonica e schermo di proiezione, nato in continuità con l’esperienza laboratoriale e produttiva del Teatro Popolare d’Arte, in accordo con la Direzione della Casa Circondariale e con la Provincia di Pistoia.

La collaborazione fra il Teatro Popolare d’Arte (già presente presso la Casa Circondariale di Arezzo) e il carcere di Pistoia, è attiva dal novembre 2005 con un primo laboratorio condotto da Gianfranco Pedullà, Giusi Merli e Marco Natalucci, e prosegue con l’attuale laboratorio, ripartito con un nucleo di una decina di partecipanti (quasi tutti senza alcuna esperienza teatrale), sotto la direzione teatrale di Gianfranco Pedullà, coadiuvato da Roberto Caccavo e Francesco Rotelli, e sotto la direzione musicale di Marco Magistrali.

La performance del 20 gennaio sarà una serata particolare dove - nel corso del rinfresco e degli interventi dei rappresentanti delle istituzioni - ogni partecipante del laboratorio offrirà un omaggio in forma di poesia, racconti, musiche e danze del proprio paese.

Un piccolo baratto fra chi salirà sul palco e i presenti; dei doni per raccontare il proprio mondo simbolico e culturale: come in ogni ballata blues sarà importante la capacità di improvvisare e la sincerità del comunicare.

Libri: Punire i poveri. Il nuovo governo dell’insicurezza sociale

 

Le Monde Diplomatique, 17 gennaio 2007

 

Punire i poveri. Il nuovo governo dell’insicurezza sociale

Loïc Wacquant. Editore Derive Approdi, 2006, 18 euro

 

Nel corso degli ultimi decenni, si è diffusa su scala planetaria una nuova dottrina del rigore penale che vede e indica quale minaccia alle società occidentali una criminalità di strada che sarebbe in crescita esponenziale e di cui sarebbero protagonisti i giovani appartenenti ad alcune minoranze etniche ed ai settori più fragili e deprivati del proletariato urbano. Una dottrina che, fondata su concetti e principi ammantati di un’aurea di scientificità quantomeno dubbia ed ambigua, si è sviluppata parallelamente all’imporsi di un capitalismo aggressivo nei confronti dei diritti del lavoro e delle protezioni sociali conquistati dal movimento operaio novecentesco.

Alla condizione di precarietà ed incertezza a cui le regioni inferiori dello spazio sociale sono condannate dal "libero mercato", si aggiunge quindi il pugno di ferro di un nuovo apparato di teorie pseudocriminologiche e di pratiche di governo della società basate sulla persecuzione sistematica dei "nuovi barbari" sottoposti ad un regime disciplinare fondato sull’espansione ipertrofica del dispositivo penitenziario e sulla intensificazione delle attività repressive dello stato.

In questa sua ultima opera Loïc Wacquant, sociologo ed allievo di Pierre Bourdieu, ricostruisce e analizza in maniera dettagliata e sistematica la genesi e lo sviluppo della "tolleranza zero", ovvero della politica di trattamento punitivo della nuova miseria di massa prodotta dalla desocializzazione del lavoro salariato e dalla messa in discussione delle politiche di welfare.

Un’ideologia della sicurezza che, nata negli ambienti neoconservatori d’oltre Oceano come rivincita politica, razziale e di classe sui movimenti di emancipazione degli anni ‘60, è approdata successivamente in Europa, convertendo al suo verbo buona parte dell’industria culturale e delle classi dirigenti (di destra e di sinistra) del Vecchio Continente. Wacquant si impegna con successo nel mettere a nudo le finalità politiche, l’inconsistenza scientifica e il crudele razzismo sociale e di classe che anima le attuali politiche di criminalizzazione delle vittime del neoliberismo. Un testo appassionato e rigoroso

Diritto: giurista premiato per uno studio su Guantanamo

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 17 gennaio 2007

 

Per la sua denuncia sui diritti violati a Guantanamo, il giovane giurista neozelandese James G. Stewart ha ricevuto il 15 gennaio il premio Giorgio La Pira della Regione Toscana. Il premio - promosso a partire dal 2005 in collaborazione con il Journal of International Criminal Justice per promuovere la tutela del diritto internazionale e comprendente anche un assegno - è stato consegnato dal presidente della Regione Claudio Martini. Alla cerimonia ha preso parte il direttore della rivista Antonio Cassese. Il riconoscimento è stato assegnato al giovane studioso per una originale pubblicazione sul carcere di Guantanamo che mette in luce l’illegittimità delle condizioni di vita dei prigionieri in esso detenuti. L’assessore regionale alla pace e alla cooperazione internazionale, Massimo Toschi, ha sottolineato "che ovunque il diritto viene sospeso, l’insicurezza cresce", un concetto già sottolineato in passato da autorevoli esponenti dell’ONU e del Consiglio d’Europa. Il procuratore aggiunto presso il tribunale di Milano Armando Spataro - noto fra l’altro come inquirente sui rapitori dell’imam Abu Omar ma anche come accusatore dei terroristi assolti in prima istanza dal gip Forleo - è intervenuto con un approfondimento sul bilanciamento fra lotta al terrorismo ed il rispetto dei diritti fondamentali.

Stati Uniti: il mio rap per raccontare le carceri americane...

 

Dillo ad Alice, 17 gennaio 2007

 

Alice intervista il rapper Capital X: "Maltrattamenti, abusi, violenze… i mass media non possono entrare nelle carceri americane perché forse accadono fatti da nascondere. Il mio incontro con Dio che mi ha cambiato la vita".

 

Capital X, raccontaci la tua storia.

È una storia molto lunga. Quando avevo 11 anni i miei genitori si stavano separando e lavoravano entrambi per molte ore al giorno e io mi trovavo spesso da solo. A 12 anni ho iniziato a far uso di droga e a 14 la vendevo. All’età di 16 anni facevo già parte di un gang criminale che spacciava droga. Sono entrato nel carcere di New York per la prima volta a 17 anni.

Quando sono uscito di prigione ho continuato a condurre lo stesso stile di vita che avevo prima di entrare, poi, a 19 anni, mi è stata inflitta una condanna di un anno e mezzo di carcere. Quando sono uscito di prigione, ho vissuto in strada per circa un altro anno e poi di nuovo dentro e fuori dal carcere con sentenze di tre anni, quattro fino all’ultima, di cinque anni.

 

Per quali tipi di reati?

Per vari reati, prevalentemente legati alla droga, al possesso e uso di armi e per aver mandato all’ospedale un poliziotto ferendolo gravemente. In quest’ultimo caso l’accusa aveva chiesto 21 anni di carcere, ma il giudice, avendo riscontrato che avevo problemi psichici (ndr: un disturbo bipolare), dispose il mio trasferimento in un ospedale psichiatrico condannandomi a "soli" 5 anni. Tale ordine del giudice non fu però eseguito e scontai quegli anni in un carcere ordinario.

Fu un’esperienza particolarmente importante, perché la proposta dell’accusa mi portò a considerare l’eventualità di stare in prigione per buona parte della mia vita. Fu da allora che ripromisi a me stesso che avrei lavorato per evitare di nuovo il carcere. Durante quei cinque anni (che furono poi gli ultimi in prigione) cominciai ad educare me stesso, ripresi gli studi e ottenni il diploma. Poi, una volta uscito di prigione, mi iscrissi al college e iniziai a costruire ciò che faccio anche oggi.

 

Durante gli anni in cui entravi e uscivi dal carcere continuavi a fare parte della gang criminale?

Sì, facevo parte di un’importante gang criminale della strada che aveva potere anche in prigione.

 

Poi cos’è successo?

Quando i miei "superiori" della gang hanno capito che volevo realmente cambiare mi hanno dato un "pass", dicendo che ero libero di andare solo per seguire la strada che avevo iniziato a percorre insieme a Dio.

 

In caso contrario?

Sarei stato obbligato a rientrare a far parte della gang.

 

Hai parlato di un percorso "insieme Dio", cosa intendevi dire?

Un giorno, quando ero già fuori dal carcere, ho vissuto un’esperienza che ha dell’incredibile ed è difficile da raccontare, anche perché ne avevo parlato con dei preti che non mi avevano creduto.

Ciò che posso dire è che ho sentito la voce di Dio dentro di me e ascoltato i suoi insegnamenti attraverso parole precise. Era una voce che non avevo mai sentito, talmente chiara e limpida che andava oltre l’essere umano. Questo è avvenuto in un periodo in cui giravo spesso per strada da solo e parlavo con Dio certo che mi stesse ascoltando. Inoltre si sono verificate una serie di coincidenze che non erano solo coincidenze. Considera che fra tutti quelli con cui uscivo e avevo a che fare all’epoca, sono l’unico che è sopravvissuto, perché gli altri o sono morti o sono in prigione per sempre.

 

Oggi sei un rapper: perché?

Durante gli anni del college studiai approfonditamente il sistema carcerario e quello giudiziario americano, ma specialmente feci ricerche su ciò che realmente accade nelle carceri americane. Ciò che faccio è prendere queste informazioni e inserirle nelle mie canzoni. Ho scelto il rapper perché mi è sempre piaciuto e perché credo sia un ottimo strumento di comunicazione per i detenuti.

 

Qual è lo scopo principale delle tue canzoni?

Hanno scopo informativo, per far conoscere la realtà all’interno delle carceri, ma l’obiettivo principale delle mie canzoni è quello di parlare per i detenuti, dar loro una speranza. Quando in carcere subivo certi abusi, mi ripromettevo che una volta uscito mi sarei adoperato per far conoscere il più possibile ciò che realmente accade nelle carceri americane.

 

Quindi le tue canzoni si rivolgono ai detenuti?

Con le mie canzoni non mi rivolgo ai detenuti, ma parlo per i detenuti, nel senso che se c’è qualcuno incarcerato che viene maltrattato e vuol far sapere che sta subendo degli abusi, non potendo farlo loro lo faccio io parlando per loro.

Tieni presente che nelle carceri nemmeno i media sono autorizzati ad entrare nelle prigioni "per ragioni di sicurezza" - dicono i responsabili del sistema carcerario-; ma io credo che il vero motivo sia dato dal fatto che hanno qualcosa da nascondere...

 

Questa tua "missione" ti consente anche di vivere?

Non faccio rapper per arricchirmi, ma, come dicevo prima, per farmi portatore della voce dei detenuti dando loro una speranza e raccontando le verità dentro le carceri americane. Personalmente sono e rimango povero: i contributi che ricevo li destino tutti al progetto o ai detenuti che ne hanno bisogno.

Giappone: con nuovo ministro giustizia record di esecuzioni

 

Ansa, 17 gennaio 2007

 

Con il nuovo ministro della Giustizia, l’ultraconservatore Jinen Nakase, è finita in Giappone la moratoria nelle esecuzioni. La moratoria nelle esecuzioni era informalmente in vigore dal settembre 2005 per gli scrupoli del suo predecessore, il fervente buddista Seiken Sugiura. Nakase è ora il Guardasigilli che ha il dovere di controfirmare l’ordine di esecuzione proveniente dalla Corte Suprema. Una novantina di detenuti sono finiti sul patibolo dall’inizio del 2006.

 

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