Rassegna stampa 15 gennaio

 

Indulto: in Italia non c’è stata alcuna “ondata di ritorno”

 

Redattore Sociale, 15 gennaio 2006

 

Complessivamente dal primo agosto 2006 a oggi, sono stati scarcerati grazie all’indulto 25.405 detenuti. Superato il sovraffollamento, oggi nelle carceri italiane sono presenti 39.157 detenuti, solo 1.200 in più rispetto al settembre scorso.

La legge 241 del 2006, meglio nota come indulto, ha determinato per la prima volta da molti anni un allentamento della pressione patologica che si registra nelle carceri italiane. Non era mai successo negli ultimi anni di poter arrivare a sfiorare una situazione di normalità, o almeno - in altri termini - a riportare gli istituti penitenziari ad una situazione “fisiologica”. Bisogna infatti tornare indietro al 1991 per trovare la situazione che si è determinata in questi ultimi mesi grazie all’applicazione dell’indulto. Come nel ‘91, anche ora nelle carceri italiane ogni detenuto occupa un posto. Fino alla primavera dello scorso anno la situazione era invece arrivata oltre ogni limite di sopportazione: tre detenuti per posto fisico in carcere. O in altri termini: il numero complessivo dei detenuti presenti in carcere era diventato il triplo della capienza effettiva.

Alla data di ieri, 14 gennaio, nelle carceri italiane erano presenti 39.157 detenuti, solo 1.200 in più rispetto al 30 settembre 2006, cioè a indulto largamente applicato, ed esattamente tanti quanti sono i posti a disposizione. Non si vede ancora, dunque, “l’ondata di ritorno” temuta la scorsa estate, quando le carceri contenevano più di 60 mila persone.

Sull’indulto era infatti divampata una rovente polemica nell’ambito politico e sui media. Quella legge era stata utilizzata per rilanciare l’allarme sicurezza. Si è gridato al pericolo dei criminali rimessi in libertà e molti hanno anche speculato sui “rientri”, ovvero sul fatto che una parte dei detenuti rimessi in libertà sarebbe rientrata quasi subito in carcere per nuovi arresti e nuovi reati. Cerchiamo di vedere più da vicino come stanno le cose. E lo facciamo utilizzando due fonti: i dati più aggiornati del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e le analisi incrociate dell’associazione Antigone, che da anni monitora e segue la tematica carceraria.

Per quanto riguarda gli effetti dell’indulto, il Dap ha calcolato (uno per uno, carcere per carcere) il numero dei detenuti che sono stati scarcerati in base alla legge 241. Complessivamente dal primo agosto 2006 a oggi, 15 gennaio 2007, sono stati scarcerati grazie all’indulto 25.405 detenuti. In questa cifra bisogna però fare delle differenziazioni secondo la posizione giuridica delle persone che hanno potuto beneficiare del provvedimento avendone i requisiti previsti dalla norma stessa. Il Dap differenzia così due categorie: “i definitivi puri” e gli “usciti per revoca di misura cautelare a seguito di indulto”. Nella prima categoria rientrano 17.763 persone. Questi cosiddetti “definitivi puri” sono stati un po’ di più di quelli che erano stati previsti prima dell’approvazione della legge. Si era calcolato infatti che l’indulto avrebbe permesso la scarcerazione diretta di 15.470 detenuti. Il Dap spiega che lo scarto in eccesso (17.763 contro i 15.470) è dovuto al fatto che tra la previsione antelegge e l’applicazione, altri detenuti hanno maturato i requisiti per beneficiare del provvedimento.

Nella seconda categoria utilizzata dal Dap ci sono i detenuti in attesa di primo giudizio, gli appellanti, i ricorrenti e i “misti con più procedimenti a carico, con misura cautelare e provvedimenti di condanna definitiva o non definitiva”. Per quanto riguarda le persone in attesa di primo giudizio quelle che hanno potuto beneficiare dell’indulto e quindi uscire dal carcere sono state 466. Ci sono stati poi 1502 appellanti, 737 ricorrenti, mentre tra i cosiddetti “misti” troviamo circa cinquemila persone, 4937 per l’esattezza, ovvero circa il 20% del totale. I detenuti usciti per indulto in modo diretto (quelle 17.763 persone di cui abbiamo detto sopra) rappresentano il 69,9% del totale. 

Indulto: più di 9mila gli stranieri che sono usciti dal carcere

 

Redattore Sociale, 15 gennaio 2006

 

Gli immigrati e in generale i cittadini stranieri sono stati i meno coinvolti dal provvedimento di indulto varato lo scorso anno dal governo Prodi. Il fenomeno li ha riguardati in modo secondario rispetto agli altri italiani sia dal punto di vista degli effetti pratici del provvedimento sulle uscite dal carcere, sia dal punto di vista dei cosiddetti “rientri”, ovvero dei casi in cui le persone che hanno beneficiato dell’indulto sono state poi di nuovo arrestate.

Per quanto riguarda il totale dei beneficiari dell’indulto solo una parte è straniera. Non ci sono ancora le ultimi elaborazioni, ma il rapporto dovrebbe essere di meno di un terzo. Secondo le elaborazioni di Antigone, l’associazione che si occupa di carceri da molti anni, sulle cifre ufficiali fornite dal Dap, delle 25.256 persone uscite dal carcere a causa dell’indulto al 25 ottobre dello scorso anno, 9187 erano straniere.

Se prima dell’entrata in vigore del provvedimento di indulto gli stranieri in carcere erano 20.088, pari al 33% della popolazione detenuta totale, al settembre del 2006 erano 12.369, pari cioè al 32%. Sia secondo Antigone, sia secondo altri osservatori e studiosi delle carceri, ci si sarebbe potuti aspettare uno scarto maggiore tra queste percentuali, essendo - come scrive Susanna Marietti di Antigone - “i detenuti stranieri con reati ascritti di bassa gravità proporzionalmente di più dei detenuti italiani”.

Si può presupporre quindi che data l’alta percentuale di detenuti in custodia cautelare tra gli stranieri, in pochi abbiano visto cessare la misura cautelare grazie all’indulto. Si suppone anche che non sono tanto le condizioni di applicazione della legge sull’indulto, che poi sono uguali per tutti, ma qualche altro fattore esterno. Uno dei fattori che sicuramente fa la differenza è quello relativo alla difesa. Si conferma cioè anche per gli immigrati l’ipotesi che l’indulto, al di fuori dei casi più ovvi, sia stato applicato solo in situazioni giuridicamente tutelate dalla presenza di un avvocato di fiducia. L’altro elemento molto interessante che differenzia gli effetti dell’indulto e il dopo indulto tra italiani e stranieri è il dato relativo ai rientri in carcere. 

Indulto: rientrate in carcere 2.640 persone, di cui 929 stranieri

 

Redattore Sociale, 15 gennaio 2006

 

Al primo posto nelle statistiche dei reati ascritti ai soggetti nuovamente arrestati ci sono quelli contro il patrimonio (46,38%), seguiti dai reati legati alla legge vigente sulle droghe (14,29%) e da quelli contro la persona (10,34%).

I dati sui “rientri” in carcere dopo l’indulto, ovvero delle persone che sono state arrestate subito dopo o qualche tempo dopo la scarcerazione relativa al provvedimento di indulto smentiscono parecchie delle previsioni della vigilia e perfino alcuni dei luoghi comuni più ricorrenti. Il primo dato che emerge - ed è anche la prima smentita di alcune previsioni della vigilia dell’applicazione della legge n.241 - è relativo alla percentuale di stranieri sul totale delle persone finite nuovamente in carcere dopo essere state scarcerate.

Dal primo agosto 2006 a oggi (15 gennaio 2007) sono rientrate in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto 2640 persone. Tra queste 1711 sono italiani e 929 stranieri. Si ribalta così una delle previsioni, visto che quasi tutti gli osservatori avrebbe scommesso sul contrario. Si era detto e immaginato che la stragrande maggioranza dei “rientri”, ovvero delle persone che liberate, si sono fatte arrestate di nuovo, sarebbe stata composta di immigrati o stranieri in generale.

L’altro dato interessante riguarda, sempre per quanto riguarda gli effetti dell’indulto e il riscontro ufficiale fornito dall’amministrazione penitenziaria, la composizione per sesso. Tra i 1711 italiani che sono stati arrestati di nuovo dopo l’indulto, 43 erano donne e 1668 uomini. Un rapporto tra maschi e femmine che più o meno si ripete anche tra gli stranieri. Tra i 929 arrestati dopo l’indulto, 14 erano donne e 915 uomini. Tra straniere e italiane le donne arrestate dopo essere state scarcerate per l’indulto sono state dunque 57, mentre il numero complessivo degli uomini ri-arrestati dopo l’indulto (tra italiani e stranieri) è stato di 2583 persone.

Molto utile tentare anche di analizzare i dati relativi al tipo di reati per i quali sono stati di nuovo arrestato gli ex detenuti che avevano beneficiato dell’indulto. A una prima rilevazione dei dati spicca evidente la differenza - spesso anche macroscopica - nella tipologia dei reati. Al primo posto nelle statistiche dei reati ascritti ai soggetti rientrati in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto ci sono i reati contro il patrimonio, che rappresentano quasi la metà del totale (46,38%). Al secondo posto - ma molto distanziati rispetto alle percentuali - i reati legati alla legge vigente sulle droghe. Questi reati - tra chi è rientrato in carcere - rappresentano il 14,29%. Al terzo posto della graduatoria, con il 10,34% del totale, troviamo i reati contro la persona. Al quarto i reati contro la pubblica amministrazione con uno scarso 7,79%, mentre solo al quinto posto scopriamo i reati contro la legge sugli stranieri con un 7,32% del totale. Un’altra percentuale bassa riguarda poi la legge sulle armi (3,84%), i reati contro l’amministrazione della giustizia (1,34) la fede pubblica (1,24%), le contravvenzioni e i reati contro la famiglia che risultano all’ultimo posto con uno 0,52% del totale dei reati ascritti a chi è rientrato in carcere.

Erba: il ministro Ferrero scrive agli operatori dell’informazione

 

Ministero della Solidarietà Sociale, 15 gennaio 2007

 

Gli esiti della tragica vicenda che ha interessato Erba, interrogano la nostra società civile e chiedono a tutti noi un surplus di riflessione. È significativo che vari organi di stampa abbiano considerato criticamente il modo in cui hanno affrontato all’inizio la vicenda, ma forse può essere utile cogliere questa occasione per iniziare una riflessione più approfondita. Mi pare necessario che si cominci a riflettere seriamente su come sempre più spesso la logica del "capro espiatorio" permei la comunicazione relativa all’immigrazione e produca effetti devastanti in un corpo sociale profondamente inquieto e attraversato da paure crescenti.

L’immigrazione è un fenomeno che appartiene ormai stabilmente al panorama del nostro paese, eppure la "normalità" di questa presenza non sembra emergere. Tre milioni di immigrati che lavorano in Italia e producono il 5% del Pil continuano a fare meno notizia di un singolo caso di cronaca nera di cui può essere protagonista un immigrato.

Appare perciò necessario interrogarsi su come viene costruita la figura pubblica dell’immigrato, su come i mezzi di comunicazione di massa concorrono a definirne la figura nell’immaginario collettivo, su come si formi, su questo tema, ciò che definiamo "senso comune". E su questo punto mi sembra emerga un problema di fondo, perché la figura dell’immigrato viene presa in considerazione prevalentemente se fa "spettacolo", non esiste mai nella sua normalità.

L’immigrato esiste se delinque (o al limite se salva qualcuno mettendo a rischio la proprio vita): non appare quasi mai nella sua quotidiana attività lavorativa, scolastica, etc. Emblematica da questo punto di vista è la vicenda di Lampedusa. Nonostante nel corso del 2006 siano diminuiti gli sbarchi nell’isola siciliana rispetto al 2005, durante tutti i mesi estivi si sono ripetuti gli allarmi sull’invasione, come se gli sbarchi fossero raddoppiati o triplicati.

Parallelamente la maggioranza degli immigrati ha continuato ad entrare clandestinamente in Italia in autobus, dalle frontiere di terra, senza far notizia e senza che si aprisse una seria discussione sul perché siano costretti ad entrare in Italia clandestinamente.

Il punto che voglio sollevare è in definitiva questo: perché non aprire nel nostro paese una riflessione approfondita sul modo in cui stiamo diventando una società di immigrazione, nella quale i nuovi arrivati sono almeno in parte destinati a diventare cittadini così come i nostri nonni sono diventati cittadini statunitensi o francesi, dopo essere stati per altro storicamente una società di emigranti? In questo contesto è possibile che gli operatori dell’informazione, senza schierarsi con questa o quella parte politica, provino ad affrontare il tema dell’immigrazione nella sua complessità e non solo per gli aspetti che sconfinano nella cronaca nera?

Il punto non è parlare bene o male degli immigrati ma parlare del fenomeno nel suo complesso, considerandone la ricchezza e la complessità. Capisco che questo sia difficile, in un contesto in cui la destra fa una sistematica e demagogica campagna di allarme sociale, alimentando paure, razzismo e odio sociale. Tuttavia mi pare che su questa capacità di trattare correttamente un grande fenomeno storico come l’immigrazione, si giochi il senso stesso della democrazia nel nostro paese.

Questo quesito attraversa la società italiana ma, si tratti degli operatori dell’informazione come di chi opera nel campo della cultura, della comunicazione, delle pratiche sociali o della politica, avrebbe forse bisogno di un momento condiviso di riflessione. Perché non cogliere ora questa occasione e costruire insieme un tale appuntamento?

 

Paolo Ferrero, Ministro della Solidarietà Sociale

Erba: immigrazione e media; intervista al ministro Ferrero

 

Articolo 21, 15 gennaio 2006

 

Ministro Ferrero, lei ha scritto una lettera aperta agli operatori dell’informazione. È troppo tardi per rimediare alle malefatte su Azouz Marzouk?

"Il danno che ha subito questo cittadino è enorme. Purtroppo, temo che la stessa situazione si possa ripresentare con altri fatti di cronaca. Il punto è che i migranti sono presi in considerazione solo in casi eccezionali: o si tratta di assassini o di eroi. Invece in Italia vivono tre milioni di cittadini stranieri che studiano o lavorano ma sono invisibili".

 

I fatti di Erba offrono anche un mix devastante sospeso fra razzismo e cinismo. Su questo versante, i media democratici sono esenti da responsabilità?

"In tutta onestà, non ho visto le reazioni che questo caso avrebbe dovuto provocare. Proprio per questo mi sembra più che urgente sollevare la questione. Il caso di Erba è emblematico, sotto tutti gli aspetti. Sono convinto che ormai siamo arrivati ad un punto di guardia. Occorre intervenire sul serio, riaprire la nostra agenda politica e puntare non solo su temi economici ma anche e soprattutto sociali".

 

Dunque, riflettere sui media può evitare un altro caso Marzouk?

"Io dico che ormai siamo una società che ha enormi difficoltà a interrogarsi su se stessa. Ecco perché bisogna guardare all’immigrato come un cittadino normali, come tutti noi e smetterlo di considerarlo altro da noi, alimentando all’inverosimile paure e diffidenze, con l’obiettivo di costruire la figura dell’immigrato come delinquente".

Erba: quando l’informazione italiana sente "l’odore del sangue"

 

Articolo 21, 15 gennaio 2007

 

Goffredo Parise, dopo reportage da tutto il mondo e romanzi di successo, ne scrisse uno, prima di morire: "L’odore del sangue". Sullo sfondo, l’ossessione per la materia ematica, quasi che fosse l’inizio e la fine di tutto. Di più. Secondo Parise, il sangue determina non una ma più scelte di vita degli esseri umani. Dunque, una forza alla quale risulta difficile opporsi, come se si venisse trascinati in un vortice.

Lo stesso vortice ha travolto la stampa all’italiana chiamata a raccontare la strage di Erba. Mai e poi mai, i cronisti inviati sul luogo del delitto - trasformato subito in un Gran Barnum ad uso e consumo degli italiani che invocavano un colpevole ma subito - avrebbero immaginato di essere di fronte all’Erba del vicino ovvero alla banalità del male, i vicini di casa che inscenano dal vivo quello che neanche un reality dell’orrore sarebbe riuscito a produrre.

Michele Serra sostiene (Repubblica, 9 gennaio) che siamo passati "dallo scontro di civiltà allo scontro di condominio, con strage annessa". Natalia Aspesi, sempre su Repubblica (13 gennaio), descrive Rosa Bazzi, autrice della strage con il marito Olindo Romano, come "un’assassina che amava pulire, al centro di uno show da sterminatrice". Dunque, l’ansia di far pulizia di una famiglia "strana, diversa": una famiglia mista, in cui lui è musulmano, lei italiana e i figli sono "bastardi". La stessa ansia di quegli italiani che ricollegano la sporcizia delle strade italiane agli immigrati, l’influenza di stagione patita dagli italiani agli immigrati, la bassa qualità di certi ristoranti (italiani) perché "ormai in cucina, anche i cuochi sono immigrati".

Anche a causa di questo venticello che ormai è diventato un tifone di qualunquismo, dall’11 al 13 dicembre scorso, il gotha dell’informazione quotidiana su carta, ha titolato (e sparato) alzo zero sul "tunisino libero per effetto dell’indulto e autore di una strage orrenda". Con tanto di foto in prima pagina e l’inevitabile analisi sulle derive dell’immigrazione. Solo adesso, timidamente, arrivano le prime scuse e le prime analisi cu ciò che è accaduto in un tipico contesto di provincia del Nord Italia.

È Gianfranco Bettin, con una lucidissima riflessione apparsa su il manifesto (12 gennaio) a descriverci, mirabilmente, cosa si nasconde nella provincia italiana al tempo degli immigrati e a raccontarci la fenomenologia della banalità del male. La paura del diverso (straniero in questo caso) ha trasformato subito Azouz Marzouk nell’assassino perfetto, autore di un crimine la cui matrice è quasi un lungo comune tanto è presente sulla pelle degli italiani: l’immigrato che ha precedenti penali per droga, musulmano dunque portatore di una cultura inconciliabile con la nostra, che stermina moglie, figlio e vicini di casa. "I coniugi Romano - scrive Bettin - non sopportavano nulla di quei vicini, così diversi. Non si ponevano nemmeno il problema di confrontarvisi in modo maturo, neanche quello di tollerare, ammesso che vi fosse nel loro comportamento qualcosa da sopportare".

Eppure Azouz ha vissuto un duplice lutto: quello della moglie Raffaella e del piccolo Youssef e l’altro, da cittadino che assiste al de profundis del rispetto e della convivenza. In quei giorni, fu un coro: "Azouz Marzouk uguale assassino tunisino". Era un bluff, di quelli con il bollo e senz’appello. Adesso la politica - stavolta almeno - ci dà una lezione: Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale, ha scritto una lettera aperta agli operatori dell’informazione. Fermiamoci e ripartiamo dalla strage di Erba per avviare una riflessione sui media e la società multietnica. Su questi temi, da cinque anni, Articolo21 conduce una battaglia civile. Obiettivo: parlare (e scrivere) d’immigrazione non come un problema di ordine pubblico ma come un fenomeno, con tutto ciò che ne consegue, nel bene e nel male, ma senza pregiudizi.

Oggi in Italia vivono tre milioni d’immigrati regolari. Sei su dieci sono tra noi per lavorare e quattro su dieci per ricongiungimenti familiari. Il nostro Paese, ha un rapporto stabile con i flussi migratori. Negli ultimi cinque anni, la media degli arrivi è all’incirca immutata. Sono 130mila gli imprenditori stranieri che operano da noi mentre le rimesse verso i Paesi di origine, rispetto al 2005, sono quasi raddoppiate, così come la quota di risparmi reinvestita da noi. Il rapporto tra criminalità e immigrati in Italia è fra i più bassi a livello europeo. È troppo chiedere di ragionare su questa realtà in modo pacato e non come di uno scontro di civiltà?

Erba: Sappe; agenti garantiscono l’incolumità di Olindo e Rosa

 

Comunicato stampa, 15 gennaio 2007

 

"Non deve stupire che alcuni detenuti di Como minaccino espressamente di morte Olindo Romano e Rosa Angela Bazzi, i carnefici della efferata strage di Erba. Anche per il paradossale "codice d’onore" della criminalità quello di Erba è un delitto abominevole e inappellabile. Ma è altrettanto doveroso evidenziare che, nonostante l’efferato assassinio, gli uomini e le donne del Corpo di Polizia Penitenziaria garantiscono anche a quei detenuti l’incolumità e la sicurezza personale. È quindi doveroso rivolgere un plauso pubblico ai colleghi e alle colleghe per come stanno operando nella struttura comasca, pur in evidenti e gravi carenze di organico."

A dichiararlo è la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe, la più rappresentativa dei Baschi Azzurri con oltre 11mila iscritti, che intende porre in rilievo la professionalità del Personale di Polizia Penitenziaria pur trovandosi di fronte ad assassini criminali.

"Non è un tema semplice parlare del carcere perché la reclusione come esecuzione della pena comminata all’autore del reato e la conseguente questione penitenziaria in generale sono quasi sempre rimosse dall’opinione pubblica, che vive queste realtà con grandissimo distacco e vi si accosta solo quando fanno notizia nei momenti patologici come evasioni e aggressioni, tragici casi come i suicidi, o per la risonanza data da detenuti e inchieste eccellenti. Ancora più difficile è, per i non addetti ai lavori, parlare di chi lavora al suo interno, parlare delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria. Siamo appartenenti ad un Corpo di Polizia dello Stato, che nonostante gravi carenze di organico, deficienze di strutture e di mezzi, rappresentano lo Stato stesso nel difficile contesto delle galere.

Il carcere, oggi, si configura quasi come una discarica sociale, un grande magazzino dove la società, senza eccessive remore, continua a riversare tossicodipendenti, malati di Aids, extracomunitari, malati di mente, pedofili, mafiosi e camorristi, prostitute, travestiti e transessuali. Tutto ciò, insomma, che non si vuole vedere sotto casa e nelle strade. In mezzo a loro, spesso isolato se non dimenticato, il più delle volte anche giovane, l’agente di Polizia penitenziaria, che deve rappresentare la dignità e la legalità dello Stato, la Legge. La rappresenta da solo, con la sua divisa, con la sua coscienza professionale, con il suo coraggio, con il suo rischio.

Rappresenta, dunque, la Legge e la sicurezza della società. Se il carcere è, in qualche misura, la frontiera ultima, la più esposta del sistema-giustizia, all’interno del sistema carcerario il personale di Polizia penitenziaria costituisce la barriera estrema. Siamo noi quelli che stanno in prima linea, che stanno nelle sezioni detentive, che stanno in contatto quotidiano con i detenuti 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. All’agente di Polizia penitenziaria -ecco la difficoltà e la specificità del nostro lavoro- affida compiti che talvolta sembrano tra loro in contraddizione. Egli deve, in quella frontiera esposta che è il carcere e, come dicevo, spesso isolato se non dimenticato, rappresentare la dignità e la legalità dello Stato. Anche di fronte a criminali come Olindo Romano e Rosa Angela Bazzi. Ed è giusto che l’opinione pubblica sappia quanta nobiltà vi sia in questo nostro difficile e ancora troppo sconosciuto lavoro".

Emilia Romagna: una nuova legge per tutelare meglio i detenuti

 

Redattore Sociale, 15 gennaio 2007

 

Una nuova legge per migliorare le condizioni di vita dei detenuti nelle carceri dell’Emilia Romagna. A partire dalla salute, la cui tutela deve passare "totalmente in capo al Servizio sanitario nazionale". Affidare, quindi, la gestione della sanità penitenziaria alle Aziende Usl e ospedaliere del territorio. È quanto prevede il Progetto di legge regionale presentato da sette consiglieri dell’Emilia Romagna (primo firmatario Gianluca Borghi, dei Verdi): "Un intervento - dice lo stesso Borghi - reso urgente dalla necessità di scongiurare una drammatica paralisi dell’assistenza sanitaria all’interno degli istituti penitenziari".

A Bologna, per fare un esempio, dopo l’indulto gli "ospiti" del carcere sono scesi da 1.047 a 771. In tutta la regione, il numero dei detenuti è sceso da 3.980 a 2.900. Ma la situazione non è migliorata. È proprio di questi giorni l’ennesima denuncia della Garante bolognese dei diritti dei detenuti, Desi Bruno: "Nel carcere della Dozza mancano il sapone per lavarsi e lenzuola pulite per dormire, si vive in condizioni intollerabili. Già nei mesi scorsi avevo presentato in Comune formali richieste riguardo all’igiene sanitaria e alla pulizia delle celle, che non hanno ancora avuto seguito".

Anche di sanità (ma non solo) si occupa il nuovo Pdl regionale "Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari", composto di 11 articoli. "L’indulto - afferma Borghi - non ha risolto i problemi delle carceri, che continuano a versare in condizioni indegne di un Paese civile. Questo progetto di legge va ad interessare, oltre alla salute, settori come le attività socio-educative, il sostegno alle donne detenute, l’istruzione e la formazione professionale dei detenuti e degli operatori penitenziari.

Con interventi disciplinati nel pieno rispetto delle diverse competenze tra organi statali e locali, e con attenzione al ruolo svolto dalle associazioni di volontariato". Per quanto riguarda la sanità, sottolinea il consigliere dei Verdi, "è necessario applicare in pieno il decreto legislativo 230/1999 sul "Riordino della medicina penitenziaria", che prevedeva il passaggio della programmazione sanitaria al Servizio sanitario nazionale nella sua articolazione regionale. Dopo una fase sperimentale conclusa nel 2002, l’Emilia Romagna non ha ancora provveduto".

Per le donne detenute con figli minori, la proposta di legge si impegna "a sostenere le iniziative che favoriscono misure alternative alla detenzione". Anche per i tossicodipendenti in carcere il nuovo Pdl prevede un aiuto più efficace attraverso "équipe integrate da creare presso le Aziende Usl, per assicurare le prestazioni di assistenza ai detenuti e agli internati". Alla Dozza di Bologna i tossicodipendenti reclusi sono circa il 30%. "Un dato - ha sottolineato nei giorni scorsi la Garante Desi Bruno - che rimane stabile sotto qualsiasi legge sulle droghe. E ciò significa che c’è qualcosa che non va".

Lettere: in isolamento per un piatto di carne alla pizzaiola

 

www.informacarcere.it, 15 gennaio 2007

 

Nel mese di luglio dell’anno 2000, mentre eravamo sottoposti al regime di 41-bis, il mio amico Franco andò al colloquio. La sua famiglia gli portò un po’ di biancheria e del cibo cotto. Verso le ore 13.00 Franco ritornò dalla sala colloqui e m’informai come stava la sua famiglia, se aveva fatto un bel colloquio, etc.

Mi rispose che tutto andava bene ed aggiunse: "Aldo, oggi mangiamo un po’ meglio perché da casa mi hanno portato della carne alla pizzaiola e fagiolini". L’invito mi faceva particolarmente piacere perché invece di magiare la sbobba del carcere avevo l’occasione di magiare qualcosa di buono da casa. Alle quattro Franco mi bussa: "Aldo sei pronto? Allunga la mano…". Dato che le celle erano vicine una accanto all’altra ci si poteva passare gli oggetti. Così Franco mi passò un contenitore con dentro la carne ed i fagiolini.

Mi preparai alla grande abbuffata, apparecchiai la tavola, versai il cibo del contenitore nei piatti ed andai in bagno a lavarmi le mani, quando mi sentii chiamare da fuori. Mi affacciai e vidi due agenti, gli chiesi cosa volevano e loro mi chiesero cosa c’era nel piatto. Io capii subito, dato che era vietato scambiarsi qualsiasi oggetto fra di noi detenuti, che si rivolgevano al piatto che avevo sul tavolo perché sicuramente avevano visto il passaggio del contenitore che avevamo fatto io e Franco.

Io per ripicca gli dissi di entrare e di vedere loro… così uno di loro entrò… gli dissi di guardare ma non permettersi di toccare niente dal mio tavolo specialmente quello che avevo nel piatto. Lui mi disse: "Lei non lo sa che non si possono fare i passaggi fra i detenuti?" Gli risposi: "Io so solo che ho fame… fate quello che volete, fatemi rapporto, portatemi alle celle di punizione ma non toccate il mio cibo…". Loro se andarono. Io mi riscaldai di nuovo la carne e mi feci una bella mangiata alla faccia loro.

 

Per me era festa grande mangiare cibo di casa, perché nel regime del 41 bis non potevamo cucinare e quindi eravamo obbligati a mangiare cibo dell’amministrazione. Dopo mangiato Franco mi bussò al muro e mi chiamò: "Aldo, tutto bene!?". Gli risposi di sì ma lui mi disse: "Hai visto, ci hanno beccato mentre ti passavo il contenitore". Gli risposi di non preoccuparsi, l’importante è che abbiamo mangiato.

Dato che ci avevano già presi diverse volte a passarci la frutta o il giornale e ci avevano puniti con rapporti disciplinari e celle d’isolamento, aspettavo serenamente le conseguenze. Ed infatti il giorno dopo mi chiamò il comandante del carcere dell’Aquila e mi comunicò che ero stato rapportato e mi disse che il giorno dopo dovevo fare il consiglio di disciplina. Gli risposi: "Comandante, ma non vi sembra di abusare troppo della legge?". Mi guardò con aria strafottente e disse: "Perché dice questo?". Gli risposi: "Ormai in tutti i carceri italiani è consentito il passaggio di oggetti fra detenuti, lo ha stabilito il nuovo regolamento di esecuzione penitenziario…".

Mi rispose che a lui non era arrivato niente ed io aggiunsi che facevano sempre a scarica barile… lo salutai e me ne andai. Dopo poco chiamarono anche Franco e gli dissero le stesse cose che avevano detto a me. E mi disse: "Hai capito Aldo… mi hanno detto che siamo sempre noi…".

Lo consolai di non pensarci proprio, l’importante è che avevamo mangiato e bene. Ed aggiunsi che l’indomani nel consiglio di disciplina mi sarei portato la gazzetta ufficiale, così gli avrei fatto leggere l’articolo di legge dove c’è scritto che possiamo passare gli oggetti di modico valore… Franco mi disse che così li facevo arrabbiare ancora di più, per tranquillizzarlo gli risposi di non preoccuparsi che sarebbe andato prima lui a poi io.

La mattina seguente ci chiamarono e ci portarono davanti al consiglio di disciplina. Entrò prima Franco, dopo dieci minuti uscì tutto arrabbiato sussurrandomi che non c’era il direttore titolare ma una nuova direttrice. Entrai ed iniziò a parlare subito l’educatore: "Allora Gionta… siamo sempre i soliti…". Gli dico: "Mi scusi dottore ma lei dovrebbe difendermi dato che l’educatore nel consiglio di disciplina ha il ruolo del difensore e non di pubblico ministero".

Lui mi rispose che non poteva difendermi dato che i passaggi di oggetti fra detenuti non erano consentiti in nessun istituto. Gli dissi di aspettare un attimo, presi la gazzetta ufficiale e gli lessi l’articolo del nuovo regolamento dove c’era scritto che è consentito il passaggio di oggetti di modico valore fra detenuti.

L’educatore rimase immobile senza parlare e prese il vecchio regolamento dove c’era la vecchia normativa… Vedendolo in apprensione gli dissi che la vecchia legge non contava più perché ormai c’era quella nuova e negli altri istituti la stavano applicando. Per la prima volta sentii parlare la direttrice che mi chiese come facevo a sapere che in altri carceri era consentito il passaggio, gli risposi che avevo tutta la famiglia in carcere e che quindi sapevo come si stava in altri istituti col regime 41 bis.

Lei aggiunse: "Ma il mangiare dell’amministrazione non vi basta?". Io le dissi: "Dottoressa, il cibo dell’amministrazione arriva in sezione che è immangiabile, la colpa non so di chi sia, dei cuochi detenuti oppure delle guardie che in sezione lo fanno portare in ritardo e poi non credo che sia giusto che non possiamo dividerci un po’ di cibo cucinato con tanto amore dai nostri familiari".

Lei mi rispose che poteva anche capirmi, ma condannava soprattutto la mia arroganza. "Dottoressa, ma quale arroganza? Credo di essermi espresso normalmente e con la forza della legge".

"Lo sta facendo con noi adesso ma ieri ha detto alla guardia di non toccare il mangiare sul tavolo e l’ha minacciato che lo avrebbe buttato fuori dalla cella". "La verità dottoressa è che le cose non stanno proprio così, l’agente voleva prendersi il piatto con la carne ed io gli ho detto semplicemente di non permettersi di prenderlo e di uscire dalla cella…". "L’agente ha verbalizzato che se non usciva lo avrebbe preso a calci…". "Non mi sono neppure sognato di dire una cosa del genere… non sono un pazzo, ho solo difeso la mia cena…". "Va bene Gionta, può andare, le faremo sapere".

Esco e trovo Franco ad aspettarmi e mi chiese come mai non uscivo più? Gli rispondo che mi stavo difendendo da una calunnia… Siamo ritornati in cella, giusto il tempo di farci un caffè poi arrivarono le guardie e ci portarono in isolamento. Una volta lì, domandai quanti giorni di punizione avevamo preso, mi risposero 10 giorni io e cinque giorni Franco.

Entrai nella cella di punizione che ormai conoscevo bene, senza tavolo, senza sgabello, senza armadietti, mi misi a fare un po’ di pulizia. Mi dispiaceva per il mio compagno che era stato punito per avermi passato un piatto da mangiare, riguardo a me pensai che avevo fatto bene a difendere con le unghie e con i denti quel piatto di carne alla pizzaiola e fagiolini ed accettai serenamente l’ingiusta punizione.

 

Aldo Gionta, Carcere di Nuoro - dicembre 2006

Torino: il deputato Radicale Bruno Mellano visita il carcere

 

Agenzia Radicale, 15 gennaio 2007

 

L’On. Bruno Mellano, Deputato Radicale della Rosa nel Pugno, questa mattina si è recato in visita alle Vallette accompagnato da Jolanda Casigliani (Comitato Nazionale di Radicali Italiani) e Rosalba Bosco (membro dell’Associazione "Adelaide Aglietta").

A conclusione della visita Mellano ha dichiarato: "Abbiamo avuto il consueto e cordiale incontro con il direttore, Dott. Pietro Buffa, il quale ci ha fornito i dati delle presenze : ad oggi sono presenti 1114 detenuti - di cui 78 donne con tre bambini - e 17 semiliberi; il dato più significativo rispetto ai nuovi ingressi è che in questi ultimi giorni si sono moltiplicati (solo ieri sono entrate 48 persone), a causa dell’intensificarsi dei controlli di polizia in vista delle Universiadi; resta bassa, invece, la percentuale dei recidivi usciti per indulto negli scorsi mesi. Contrariamente alle previsioni, l’ingresso della Romania nell’Unione Europea, non ha avuto ricadute significative sulla scarcerazione di cittadini rumeni.

Ci siamo poi recati nella sezione femminile dove sono attualmente tre i bambini presenti con le madri (due sono usciti proprio ieri) e dove il personale di custodia ci ha illustrato le varie attività che si svolgono in favore dei minori: frequentazione della scuola materna o nido tre giorni la settimana ed incontro con gli operatori che fanno ingresso in carcere due volte la settimana.

Ultima tappa della visita l’abbiamo dedicata alla sezione Nuovi Giunti dove circa 100 detenuti sono in attesa di essere smistati nelle varie sezioni in base alla loro posizione giuridica e personale; questa è l’area di maggiore criticità in quanto l’impatto con la struttura carceraria è molto duro soprattutto per coloro che sono tossicodipendenti ed a causa di ciò devono affrontare anche l’astinenza. Abbiamo verificato che vi sono difficoltà ad intervenire rapidamente anche per la carenza di adeguate strutture sanitarie e per la solita resistenza da parte dei Ser.T. a fare uso di metadone.

Lazio: edilizia penitenziaria, al via un piano pluriennale

 

Il Campanile, 15 gennaio 2007

 

L’assessore Brachetti sulla costruzione di un nuovo padiglione a Velletri: "Altri 200 posti per l’istituto di pena". "Si tratta di una risposta concreta e rapida alle esigenze di sicurezza, efficacia e funzionalità manifestate dal sistema carcerario del Lazio".

A dichiararlo è l’assessore alla Sicurezza della Regione Lazio, l’udeurrino Regino Brachetti, dopo avere appreso che il Piano straordinario pluriennale di edilizia carceraria approvato dal ministro di Grazia e Giustizia, Clemente Mastella, prevede la costruzione di un nuovo padiglione presso il carcere di Velletri. "In virtù di questo provvedimento - ha aggiunto l’assessore Brachetti - altri 200 posti si aggiungeranno alla capienza dell’istituto di pena.

La realizzazione del nuovo padiglione consentirà di alleviare il problema del sovraffollamento, uno dei più gravi per un settore che, come ho potuto constatare di persona, nel corso delle frequenti visite che ho compiuto nei penitenziari della regione, è caratterizzato da aspetti di particolare complessità e delicatezza". L’intervento finanziato dal Ministero comprende un investimento di 8,5 milioni di euro: la sua conclusione è prevista entro il 2008. I fondi necessari, dalle notizie apprese, sono stati recuperati all’interno dei capitoli del bilancio di via Arenula.

"Le questioni relative al mondo carcerario, negli ultimi mesi, sono state monopolizzate dal tema dell’indulto, provvedimento, è bene ricordare, votato dai due terzi del parlamento, che rispondeva ad una specifica sollecitazione di clemenza di Papa Giovanni Paolo II alla quale, a parole, tutti erano pronti a dare seguito - ha aggiunto Brachetti - ma l’attenzione per il settore, come si può verificare anche dal provvedimento firmato ieri sera, è molto più ampia, e punta a rispondere con tempestività a tutti i bisogni, compresi quelli della sicurezza e della civiltà della detenzione, così come si impone ad una nazione moderna.

Con le misure contenute nel decreto, che riserva tra l’altro al Lazio circa il 15% dei nuovi posti previsti nel Paese, riusciremo a rendere più incisivi anche gli interventi che la Regione Lazio ha adottato e sta adottando a vantaggio del comparto, in ogni sua componente, per l’efficacia dei quali il miglioramento dell’edilizia carceraria è uno dei prerequisiti fondamentali".

Brachetti in qualità di titolare della delega agli Ordini e Collegi professionali, ha anche commentato il via libera dato nelle scorse settimane dal Consiglio dei Ministri al ddl Mastella sulla riforma delle professioni. "È una riforma - ha spiegato l’esponente dei Popolari-Udeur - che introduce ulteriori garanzie di qualità delle prestazioni, a vantaggio dei cittadini e delle istituzioni, rendendo il sistema delle professioni più moderno ed efficiente".

Per l’assessore agli Affari Istituzionali "la Regione Lazio già oggi si avvale della consulenza gratuita dei professionisti designati dagli Ordini e dai Collegi professionali, sia per prestazione tecniche, sia per quanto riguarda interventi di natura legislativa, grazie al lavoro svolto dalla segreteria tecnica della Conferenza Regione-Ordini e Collegi professionali, prevista da una legge regionale che era rimasta inapplicata, e che noi abbiamo reso operativa di recente in virtù della riforma, il nuovo modo di interpretare la collaborazione tra mondo delle professioni ed istituzioni che abbiamo avviato potrà contare su una base di discussione ancora più ampia".

Per chiudere Brachetti, insieme con il professor Giampaolo Rossi, direttore del Centro di Consulenza Giuridica del Centro di Eccellenza in Diritto Europeo dell’università Roma Tre, ha sottoscritto questa mattina un protocollo d’intesa che impegna l’ateneo ad una collaborazione con l’assessorato, per quanto riguarda le misure da adottare a vantaggio dello sviluppo socio-economico dei piccoli Comuni del Lazio e per la loro tutela e valorizzazione.

La convenzione sottoscritta dà incarico ad una commissione di studio prevista dall’accordo, di preparare, entro sei mesi, una sorta di "libro bianco" nel quale siano individuate, anche alla luce delle esperienze applicate in altre Regioni e in altri Paesi europei, le soluzioni più idonee allo sviluppo del piccoli Comuni, con particolare riferimento al decentramento delle funzioni amministrative e all’associazionismo comunale.

"Lo scopo della collaborazione è avere delle linee guida sulle quali adattare gli interventi che andremo ad attuare nei prossimi mesi a favore degli enti locali più piccoli, che sono anche i più diffusi - ha detto Brachetti - la raccomandazione che ho fatto è di procedere con speditezza, in maniera tale da trasformare tempestivamente le indicazioni della commissione in provvedimenti capaci di garantire servizi e opportunità a comunità particolarmente esposte a fenomeni di erosione demografica e di indebolimento della struttura economica e sociale".

Palermo: presto al carcere di "Pagliarelli" 300 nuovi posti

 

Apcom, 15 gennaio 2007

 

Presto il carcere Pagliarelli di Palermo potrà disporre di 300 nuovi posti. È quanto emerso durante la visita che il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ha compiuto stamattina alla casa circondariale del capoluogo siciliano. Il Guardasigilli, accompagnato dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara, dal Direttore dell’istituto, Laura Brancato, e dal Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Regione Sicilia, Orazio Faramo, ha passato in rassegna il picchetto d’onore schierato nel giardino all’interno del carcere. La visita ha proseguito all’interno dell’Istituto, in particolare nel reparto psichiatria ed infermeria e nelle aree attrezzate per il trattamento dei detenuti.

"Questa visita si collega ad interventi in materia di edilizia penitenziaria voluti dal ministro Mastella - ha detto il capo del Dap, Ettore Ferrara - che prevedono l’ampliamento di strutture carcerarie già esistenti in luogo della realizzazione di nuovi istituti". La casa circondariale Pagliarelli accoglie circa 600 reclusi ed è uno dei 6 istituti che beneficerà, in seguito al recupero di fondi residui 2006, al piano di ampliamento edilizio che in tempi estremamente ridotti garantirà 300 nuovi posti.

Volterra: inaugurata sede dell’Università delle Tre Età - Unitre

 

Comunicato stampa, 15 gennaio 2007

 

Sabato 13 gennaio 2007 è stata costituita presso la Casa di Reclusione di Volterra una sede dell’Università delle Tre Età "Unitre". L’iniziativa, che è stata fortemente voluta e caldeggiata dalla Direttrice Maria Grazia Gianpiccolo, ha la finalità di offrire ai detenuti di quel penitenziario l’opportunità di percorsi formativi al di fuori dei regolari corsi di studio che già sono seguiti da numerosi detenuti.

Unitre è iscritta al Registro Nazionale delle Associazioni di promozione sociale del Ministero della Solidarietà Sociale (ai sensi della legge 383 del 2000) e non è una associazione di volontariato carcerario; infatti delle quasi 300 sedi in Italia, solo due sono in Casa di Reclusione, una a Porto Azzurro e questa a Volterra.

In Italia Unitre si rivolge agli adulti che manifestano sempre maggiore interesse ad iniziative culturali e sociali che realizzino un aggiornamento permanente e ricorrente, curando un confronto tra generazioni e culture diverse. La stessa Comunità Europea (Gazzetta Ufficiale del 26/6/2000) sollecita i Paesi Membri a favorire e diffondere "l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita" perché "la necessità di partecipare ad azioni educative in diversi momenti della vita personale e lavorativa è un diritto a cui devono poter accedere ampie fasce di popolazione (art. 4). Le iniziative di educazione degli adulti, quali le Associazioni e le Università della Terza Età ed in genere tutti gli Enti che offrono attività di educazione non formale agli adulti al fine di favorire il pieno sviluppo della personalità dei cittadini, svolgono un ruolo fondamentale (art. 8.2.3. paragrafo c).

Se gli adulti del nostro tempo percepiscono esigenze di formazione che è giusto siano soddisfatte, ancor più forte potrebbe risultare questa esigenza da parte dei detenuti; da qui l’offerta da parte dell’Unitre ai detenuti di Volterra. L’iniziativa è stata condivisa da parte dell’Associazione, come è dimostrato dalla presenza della Presidente Nazionale Irma M. Re e dei Presidenti e di alcuni studenti delle Unitre di Cecina, Rosignano, Piombino, Elba Orientale e Porto Azzurro. I primi corsi che inizieranno a breve sono: shiatsu, yoga e calcio, in collaborazione con Aldo Agroppi.

All’incontro è intervenuto anche Claudio Messina, Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, con un intervento che qui di seguito riportiamo.

"Vi porto il saluto della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, organismo rappresentativo di una rete di oltre duecento associazioni grandi e piccole che in Italia contano 8.000 volontari. Oggi siamo a parlare di cultura, una parola che racchiude in sé tanti significati. Cultura è il sapere, l’istruzione, la conoscenza; ma è anche civiltà, erudizione dello spirito, un attributo intellettuale e morale.

Mancanza di cultura è quindi povertà, debolezza, schiavitù, espone l’uomo a seri rischi di sfruttamento e devianza. È il primo male da combattere sulla via dell’emancipazione e della libertà. Specialmente in un luogo di separazione com’è il carcere, il bisogno di cultura è invece una necessità primaria dello spirito, anche quando non viene percepito, anche quando sembra qualcosa di accessorio di cui si può fare benissimo a meno. L’arricchimento culturale è infatti quella molla che facilita la comprensione, che aiuta ogni uomo a vivere con maggiore consapevolezza, fornendo gli strumenti giusti, indicando i valori stabili, rivelando i limiti di tutto ciò che nasconde l’inganno ed è causa delle nostre cadute, dei nostri fallimenti.

Il carcere di Volterra viene definito il più colto d’Italia. Qui da anni si sperimentano forme artistiche, prima fra tutte il teatro, con successi notevoli e stupefacenti non solo a livello di compagnia ma anche a livello individuale. Elevare la cultura è perseguire la giustizia, quella giustizia che non si esaurisce con l’afflizione patita in carcere ma vuol dire soprattutto abbandonare sentimenti vendicativi per favorire un cambiamento reale nell’individuo attraverso percorsi di legalità e di attenzione alla persona.

Il carcere è generalmente considerato uno spartiacque sociale, un luogo in cui finora si è voluto confinare una quantità di problemi irrisolti e che non riguardano solo la delinquenza, ma includono il disagio sociale, la povertà e la malattia mentale. Sono problematiche serie che devono essere affrontate e gestite a livelli ed in luoghi diversi, con strumenti adeguati di civiltà e di giustizia sociale. Oggi stiamo vedendo positivi segnali di cambiamento nell’amministrazione della giustizia ed il volontariato affianca le istituzioni centrali e quelle locali per far sì che si realizzino scelte normative coraggiose e mature di prevenzione, più che di repressione.

Questa sfida riguarda però la società nel suo complesso - e qui ritorna in ballo la cultura - la cenerentola del nostro tempo, in cui la gente si nutre ormai di illusioni, sospinta dal desiderare e dal possedere. Una società del disimpegno, con una caduta impressionante dell’aspetto etico e solidaristico, dove la globalizzazione dei mercati e del profitto alleggerisce le tasche e le coscienze di molti sprovveduti, dove il rispetto dei diritti umani registra forti sconfitte.

È l’eterna storia di Pinocchio, nata per l’appunto da queste parti, a ricordarci che un abbecedario, che il rispetto delle regole e la voglia di sapere e di far bene valgono più delle ricchezze cercate nel campo dei miracoli, dei piaceri promessi da un improbabile paese dei balocchi. Sappiate dunque mettere a frutto queste ulteriori opportunità che da oggi vi vengono offerte dall’Unitre"

Usa: Mike Tyson incriminato per droga, rischia sette anni

 

Asca, 15 gennaio 2007

 

L’ex campione del mondo dei pesi massimi Mike Tyson è stato incriminato per possesso di droga e guida sotto l’influenza di stupefacenti dalla corte dell’Arizona. I fatti contestati all’ex campione che compirà 40 anni a giugno sono quelli che hanno portato il 29 dicembre al suo arresto, ha detto il procuratore della contea, Andrew Thomas, il quale ha sottolineato che punta a ottenere per Tyson una condanna esemplare in considerazione dei numerosi precedenti dell’ex pugile.

Se riconosciuto colpevole di tutti i reati ascrittigli, Tyson rischia fino a sette anni di prigione. Tyson fu arrestato dopo avere investito l’auto dello sceriffo. Gli fu trovata in tasca cocaina e altra cocaina era nell’auto. Secondo la polizia, l’ex pugile al momento dell’incidente stava guidando sotto l’effetto di un cocktail di alcool e droga.

Iron Mike era stato condotto nella prigione della contea di Maricopa, dove il giudice gli aveva concesso la libertà dietro cauzione a patto di non fare uso di alcool o di droghe non prescritte fino alla chiusura del caso. Ironia della sorte, il carcere in cui Tyson, che ha preso residenza nella poco lontana Phoenix, aveva trascorso mezza giornata (in isolamento) era lo stesso dove era stato in passato per mettere in guardia i giovani detenuti dai pericoli di droghe e alcool. Tyson è salito sul ring l’ultima volta nel 2005 perdendo per ko tecnico contro Kevin McBride.

 

Precedente Home Su Successiva