Rassegna stampa 13 gennaio

 

Erba: la banalità del male

di Gianfranco Bettin (sociologo e scrittore)

 

Il Manifesto, 13 gennaio 2007

 

Uno strano frutto cresce spesso quassù, a nord, in province che sono tra le più ricche del mondo ma anche fra le più spaesate e a volte spaventate dai cambiamenti che pure contribuiscono potentemente a provocare. Non pende dai pioppi, come lo Strange Fruit di Billie Holiday, ma ugualmente semina "sangue su foglie e radici".

Il sangue di Youssef, che ha vissuto soltanto due anni tre mesi e due giorni, quello di sua madre Raffaella e di sua nonna Paola, quello dei vicini accorsi in loro aiuto. Questo sangue viene da un frutto che, in questo caso, ha un nome solo e appropriato. Guardando alla scena del crimine, si potrebbe anche chiamarlo odio. Ma sarebbe un po’ sviante. Non perché non ci sia odio in quello che Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi hanno confessato di aver fatto. Ma è venuto dopo. L’odio è il frutto maturo. La linfa che l’ha gonfiato fino a farlo esplodere ha invece il nome di intolleranza.

Se c’è un delitto che possa esservi ascritto è proprio questo. I coniugi Romano non sopportavano nulla di quei vicini, così diversi. Non si ponevano nemmeno il problema di confrontarvisi in modo maturo, neanche quello di sopportarli (questo significa, appunto, "tollerare"), ammesso che vi fosse nel loro comportamento qualcosa da "sopportare". È probabile che questa incapacità di accettare gli altri - o certi altri - si radichi in percorsi soggettivi peculiari, sui quali è difficile oggi fare ipotesi. Ma tali, eventuali caratteristiche, vengono esasperate da un contesto sociale e culturale che, come riflesso delle proprie insicurezze, ormai sistematicamente produce intolleranza.

Lo strano frutto, che cresce in quel terreno di "banale litigiosità condominiale" di cui parla la procura di Como a proposito del delitto di Erba, si gonfia di questi veleni. Queste ricche province sono sempre più spesso spinte a perdere il controllo di sé, a farsi saltare i nervi, a contatto con ogni diversità. Si comincia con quella maggiore, lo straniero, ma si continua, in una replica infinita, anche con le più prossime. La famiglia di Raffaella Castagna e Azouz Marzouk era il perfetto bersaglio per soggetti avvelenati dall’intolleranza. Bisogna occuparsi di questo, se non si vuole fare come al solito, cioè sgomentarsi un po’ di fronte al fatto per poi rimuoverlo in fretta. È purtroppo probabile che ciò invece accada. C’è un sacco di gente che ha interesse a farlo.

Qualcuno lo abbiamo visto all’opera subito dopo la strage. Non gli pareva vero, come nei titoli di tanti grandi giornali, come nell’oscena dichiarazione a caldo di Gasparri (ma non è stato l’unico, e ce ne sono stati anche nel centrosinistra): "Complimenti a chi ha votato l’indulto. Ha fruito di quel provvedimento anche il tunisino che ha massacrato il figlio di due anni, la moglie, la suocera e la vicina ad Erba".

Ma non occorrono delitti efferati per scatenare questi favoreggiatori dell’odio, basta molto meno. "Se andando a visitare le tombe dei miei cari vedessi in cimitero anche le sepolture dei fedeli musulmani, mi offenderei", ha detto ieri il presidente leghista della provincia di Treviso. Non sopportare né la diversità dei vivi né quella dei morti: questo è, spesso, il clima. Chi lo alimenta, a volte non si rende nemmeno conto di quanto male fa alla propria stessa comunità, quanto la avvelena nel profondo. Altre volte lo sa benissimo, ed è ciò che vuole: cibarsi dello strano frutto dell’odio e dell’intolleranza. Sono i mostri che abbiamo intorno, ed è proprio la loro banalità che ci sgomenta.

Giustizia: è tempo di riforme

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Fuoriluogo, 13 gennaio 2007

 

39.176 sono i detenuti nelle carceri al 30 novembre. Un numero insperato e insperabile solo qualche mese addietro. Nell’immediatezza dell’approvazione dell’indulto un appello alle camere a "un ripensamento dell’intero sistema sanzionatorio e della gestione delle pene" fu rivolto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la cerimonia di presentazione al Quirinale del nuovo Csm.

Il Capo dello Stato ribadì che "vanno finalmente affrontate in modo organico le cause remote e attuali della sofferenza del presente modello penale". E fra le cause remote e attuali vi è la legge sulle droghe, ossia la Jervolino-Vassalli poi trasformata in Fini-Giovanardi. Negli ultimi 15 anni il ritmo delle incarcerazioni dei tossicodipendenti è stato costante. Così come alto è stato il livello di repressione di chi fa uso di cannabinoidi.

Il controllo sociale e penale dei consumatori di hashish e marijuana è passato sia attraverso il sistema delle vessazioni amministrative sia attraverso lo spettro dell’incarceramento. La percentuale di detenuti tossicodipendenti rispetto alla popolazione detenuta globale ha sempre oscillato intorno al 30%. Una percentuale che sale sino al 39% se si vanno a considerare i detenuti ristretti per violazione dell’ex articolo 73 del d.p.r. 309/90.

Ciò significa che solo un 10% di coloro che stanno dentro per effetto della Jervolino-Vassalli, poi trasformatasi in Fini-Giovanardi, è costituito da spacciatori di professione, mentre tutti gli altri sono consumatori. Circa l’80% dei minori cosiddetti devianti ha avuto problemi con la giustizia per avere assunto cannabis. Una percentuale in crescita progressiva. I numeri sono testimonianza evidente che a causa dell’uso e consumo di hashish e marijuana centinaia e centinaia di ragazzini vanno a finire in galera, seppur per pochi giorni.

La Fini-Giovanardi ha esasperato la questione delle droghe leggere, con eccessi di penalizzazione determinati soprattutto dalla unificazione delle tabelle. Il piccolo-medio consumatore di droghe leggere è stato normativamente equiparato allo spacciatore di droghe pesanti. Gli effetti, nelle loro devastanti conseguenze, non si sono ancora manifestati pienamente grazie all’approvazione del provvedimento di indulto. Non tarderanno, però, a dispiegarsi.

Ritornando alle parole del Presidente Napolitano, esse restano le più sagge in un panorama comunque desolante. A volerle prendere in seria considerazione vanno di fila riscritti: il codice penale, la legge sull’immigrazione e la legge sulle droghe. Non è sufficiente che tali leggi siano solo leggermente emendate sperando di non scontentare i teo-dem, i teo-con, i cultori delle cristoterapie e quelli che vorrebbero che il futuro partito democratico entri nell’internazionale democristiana. Il codice penale va riscritto. Va modificato l’apparato sanzionatorio.

Vanno ridotte le pene per i reati contro il patrimonio, altrimenti i tossicodipendenti e gli immigrati che vanno a finire dentro si faranno lunghi anni di pena per crimini di lievissima portata. Va eliminato il reato surrettizio di clandestinità. Va abrogata la norma che persegue colui che non si allontana dal nostro paese in quanto privo del permesso di soggiorno. Va fatto subito. Vanno depenalizzate tutte le pratiche di consumo di droghe, vanno ripristinate pene diverse a seconda se si tratti di droghe leggere o pesanti, vanno ridotti i minimi e i massimi edittali.

Il dibattito aperto dal decreto Turco, che ha raddoppiato la quantità di principio attivo di sostanze leggere, superata la quale scatta il mega-delitto, sembrerebbe che, seppur incolpevolmente, abbia ammazzato il dibattito sulla necessità di una nuova legge. Insieme ai teo-con e ai teo-dem si sono affiancati i benpensanti e i tattici. Dopo aver fatto un passo in avanti ne abbiamo fatti due indietro, quanto meno nel dibattito politico, molto più arretrato rispetto al dibattito pubblico e ai sentimenti diffusi nell’opinione pubblica. Nei giorni scorsi la regione Lazio, ripercorrendo una esperienza di democrazia discorsiva e di partecipazione sperimentata qua e là per il mondo dallo studioso di processi democratici Robert Fishkin, ha organizzato un sondaggio deliberativo.

Un campione demoscopico di 150 persone rappresentativo del Lazio ha discusso di sanità e finanza con gli amministratori regionali. Molte opinioni sono cambiate, la gente era ben più informata e sensibile di quello che si pensava. Se facessimo oggi un deliberative poll sulla perseguibilità penale dei consumatori di droghe leggere e pesanti ne uscirebbe sicuramente un quadro opposto a quello tetro descritto da Giovanardi, Don Gelmini, Binetti, Serafini.

Ecco una proposta per la Turco e per Ferrero: dimostrare che l’opinione pubblica, se informata correttamente, è contro la criminalizzazione di chi fa uso di droghe. Giuliano Amato, recentemente intervistato da Repubblica, ha sostenuto che i sondaggi deliberativi sono un laboratorio di democrazia. La questione droghe potrebbe essere un terreno di verifica. L’opinione pubblica, se consapevole, è più avanti della classe politica.

Indulto: Antigone; l’Eurispes ha scoperto l’acqua calda

 

Ansa, 13 gennaio 2007

 

Polemizza "Antigone", associazione "per i diritti e le garanzie nel sistema penale": il sondaggio Eurispes sull’indulto "ha scoperto l’acqua calda". È quanto dichiara il presidente dell’associazione Patrizio Gonnella, secondo il quale "oramai era noto che l’opinione pubblica era contraria".

Una contrarietà, secondo Gonnella, "suggerita dalle grandi testate nazionali che hanno messo in campo un attacco mediatico senza pari. Ogni morto assassinato, ogni crimine era colpa dell’indulto. Poi, come nel caso di Erba, si scopriva che gli assassini erano i vicini di casa, incensurati".

In realtà, rileva il presidente di Antigone, "il tasso di recidiva degli indultati è infinitamente più basso rispetto a quello dei detenuti che escono ordinariamente dal carcere". La classe politica, però, "si è subito spaventata di questo attacco mediatico - osserva -. Molti lo hanno rinnegato". Intanto, conclude Gonnella, il provvedimento "ha consentito di tornare alla legalità penitenziaria".

Rovigo: il magistrato; l'indulto ha portato benefici sconosciuti

 

Il Gazzettino, 13 gennaio 2007

 

Il carcere è strumento di rieducazione o scuola del crimine? "Un argomento che dopo l’applicazione dell’indulto è tornato alla ribalta", ha sottolineato il presidente del Rotary Massimo Ubertone, nel presentare Giovanni Maria Pavarin. Giudice del tribunale di sorveglianza di Venezia, rodigino, Pavarin (che è anche professore universitario e consigliere di Cassazione), ha presentato la situazione, disperata, delle carceri. Ha presentato la pena, vista nelle sue diverse funzioni, inflitta perché il colpevole paghi per il danno arrecato, perché sia indotto a riflettere e a non reiterare il reato, sia riparazione al danno arrecato alle vittime. Utopico annettere alla pena, nelle carceri odierne, la funzione di deterrenza, considerando che le statistiche confermano come i crimini non siano diminuiti, anzi.

"La pena deve tendere alla rieducazione del condannato e conciliarlo con il valore dal quale si è dissociato", ma anche il giudice si dissocia quando cambia l’ergastolo in 26 anni di detenzione? Numerosi i problemi e quasi impossibili da risolvere. Troppi i codici penali che hanno creato nuovi reati formali, riempiendo le carceri di immigrati. Unico paese al mondo, l’Italia prevede tre gradi di giudizio (in Inghilterra uno solo) e sono 50mila i ricorsi in Cassazione contro i cinquemila in Germania, cinque o sei gli anni necessari per definire un processo e assegnare una pena a persone cambiate. Ci sono poi le custodie cautelari protratte a riempire le carceri.

Da qui la necessità di un indulto per svuotare strutture stracolme. "Su 61mila detenuti - ha precisato Pavarin - ne sono stati rilasciati 25.341. Rientrati in cinque mesi 2.540". Tutte persone abbandonate a loro stesse, non assistite all’esterno, non recuperate, "perché i programmi di rieducazione in carcere sono minimi e difficili da portare avanti, vista la carenza di personale e la scarsa disponibilità dei criminali. Ricordiamo che la nuova Mala del Brenta si è ricostituita in carcere".

Un quadro "catastrofico" che è stato confermato dal presidente del tribunale Michele Bordon, anch’egli ospite. "L’indulto ha creato una situazione paradossale che potrebbe solo essere sanata da un’amnistia, ma nessuno se ne assume la responsabilità. La stessa Cassazione ha demandato le decisioni ai presidenti dei tribunali. A Rovigo ci sono duemila procedimenti pendenti e solo 600 sono portati a termine ogni anno, causa, soprattutto, un organico fermo a venti anni fa. Unico provvedimento possibile sarà di accantonare tutti i processi che si potrebbero concludere con una pena suscettibile di condono e quelli vicini alla prescrizione".

Rovigo: l’appalto è fatto, parte costruzione del nuovo carcere

 

Il Gazzettino, 13 gennaio 2007

 

Un’attesa ultraventennale sembra improvvisamente diventare storia. Rovigo avrà il nuovo carcere e così la vecchia struttura di via Verdi prende la strada della pensione, o meglio della demolizione.

Il Magistrato alle acque di Venezia, che agisce da braccio operativo dei ministeri della Giustizia e delle Infrastrutture, ha appaltato il primo stralcio della futura casa circondariale che nascerà alle porte della città.

L’aggiudicazione è ancora provvisoria, perché come qualunque gara d’appalto ora si apre una fase di controllo burocratica sugli atti, prima di procedere all’aggiudicazione definitiva. L’impresa vincitrice, in via ufficiosa dunque, è la Sacaim di Venezia e se l’assegnazione dell’opera supererà senza problemi il controllo di legge che deve operare la Corte dei conti, potrà procedere alle ultime istruttorie, la firma del contratto e l’apertura del cantiere, che al Magistrato alle acque confidano sia a primavera (avanzata, probabilmente). Da quel momento occorreranno circa due anni per completare il primo stralcio, che aveva circa 21 milioni a base d’asta.

Certo ci è voluto un po’ di tempo, perché giusto un anno fa l’allora sindaco Paolo Avezzù annunciava che il ministero avrebbe fatto la gara nel giro di qualche settimana, poi le cose sono andate per le lunghe perché di questioni da sistemare ce ne erano parecchie. Così come lunga è stato un percorso che già tra la fine del decennio scorso e l’inizio di quello attuale, aveva visto inserire Rovigo tra le priorità degli istituti carcerari.

È dovuta transitare prima per l’ipotesi di una casa circondariale in project financing, strada abbandonata per tornare alla costruzione diretta da parte dello Stato, ma con in mezzo anche qualche vicenda giudiziaria che coinvolse il ministero e dei consulenti con la struttura polesana presa inconsapevolmente in mezzo. Ed è passata anche attraverso il cambio di area rispetto a quanto era previsto nel piano regolatore per la cittadella della giustizia: dal retro della cittadella dell’Ulss 18, ora il carcere sorgerà sempre dietro quest’ultima, ma più a nord, a ridosso di via Calatafimi.

È da oltre un ventennio, però, che si parla di carcere da spostare, soprattutto dopo l’autobomba che sventrò il muro di via Mazzini per far evadere le terroriste di Br e Prima linea, il 3 gennaio del 1982, scoppio che uccise un passante, Angelo Furlan (e sono anni e anni che non viene più fatta alcuna commemorazione).

Il nuovo carcere sarà da 200 posti per solo uomini, con 150 alloggi per la polizia penitenziaria. È previsto serviranno due anni per la costruzione e questo dà il tempo per una riflessione su quale destinazione cercare di dare all’area che resterà vuota attorno al tribunale. E il confronto dovrà essere fatto con anche il ministero.

Nel progetto oltre alla detenzione si è pensato anche alla "riabilitazione" e per questo sono previsti spazi sociali e possibilità di scambi con il mondo esterno, con palestre, laboratori, coltivazioni all’aperto e luoghi di colloquio coni familiari sempre alla luce del sole. Tutto il contrario di ciò che accade in via Verdi: Rovigo è sesta in Italia per il sovraffollamento. Per il secondo stralcio i progetti definitivi ci sono, bisogna fare gli esecutivi. Su quando sarà realizzato, nessuno può esprimersi: dipenderà dai fondi messi a disposizione dal Governo.

Campobasso: Angelo Izzo condannato a un nuovo ergastolo

 

Il Messaggero, 13 gennaio 2007

 

Angelo Izzo è stato condannato all’ergastolo per il duplice omicidio di Maria Carmela Maiorano e della figlia quattordicenne Valentina. Le due donne, moglie e figlia dell’ex esponente della Sacra corona unita, Giovanni Maiorano, furono uccise in una villetta nei pressi di Ferrazzano, in provincia di Campobasso, il 28 aprile 2005. È la seconda volta che Izzo viene condannato all’ergastolo. La prima volta nel 1975, in seguito al massacro del Circeo. In aula, al momento della sentenza, Izzo non ha commentato. È rimasto impassibile anche durante la lettura della sentenza. Filomena Fusco, uno dei suoi legali, riferisce che sembrava sereno, "una serenità sconcertante". Solo uscendo dall’aula ha gridato, ai cronisti che aspettavano il verdetto, di non essere deluso: "Ci rifaremo in appello". "Siamo soddisfatti, non contenti perché ci ha ucciso due persone": così Matilde Cristofaro, suocera e nonna delle due donne assassinate, commenta la sentenza del giudice Stefano Calabria.

Nel 2005, all’epoca dei fatti, Izzo era detenuto in regime di semilibertà nel carcere di Campobasso. Poteva uscire per lavorare in una cooperativa, e il 28 aprile 2005 uccise le due donne perché, come ha dichiarato, si sentiva "asfissiato" dalla relazione che aveva con Maria-Carmela Maiorano. Complici dell’omicidio, Luca Palaia, imputato in un processo con rito ordinario per concorso nel delitto e Giovanni Palladino, che ha patteggiato una condanna a due anni e tre mesi di detenzione per l’aiuto dato nel tentativo di nascondere i cadaveri nella villa, di proprietà di sua nonna.

Fu lo stesso Izzo a confessare i fatti e, in una lettera al suo avvocato, a descrivere il macabro svolgimento degli omicidi. Il ritrovamento dei due corpi avvenne due giorni dopo il delitto in seguito all’arresto di Izzo per traffico di armi. I suoi legali hanno scelto di non rilasciare dichiarazioni finché la sentenza non sarà stata depositata.

Cagliari: Bulgarelli (Verdi) in visita a indipendentisti detenuti

 

Sardegna Oggi, 13 gennaio 2007

 

"Un caso inquietante e zeppo di paradossi al limite del grottesco". Così il senatore dei Verdi Mauro Bulgarelli ha definito la vicenda che vede coinvolti nove militanti dell’organizzazione "A manca pro s’indipendentzia", cinque dei quali rinchiusi dall’11 luglio scorso nel carcere di Buoncammino, a Cagliari, indagati per associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Il parlamentare ha annunciato che presenterà una nuova interrogazione per avere chiarimenti sulla vicenda.

Bulgarelli, dopo aver fatto visita ai giovani sottoposti a misura cautelare, ha annunciato che presenterà una nuova interrogazione parlamentare per avere chiarimenti sulla vicenda e soprattutto per sapere ufficialmente se l’indagine è stata chiusa. "Il mio è un atto dovuto - ha detto il senatore - perché in questa storia abbondano le contraddizioni di cui francamente non si coglie la logica". Bulgarelli ha rievocato in particolare la vicenda di S.S., il giovane trasferito un mese fa da Buoncammino a un carcere speciale nei pressi di Parma, e dopo breve tempo riportato a Cagliari per poi esser messo agli arresti domiciliari. "Vorremmo capire quel è la ratio di questi provvedimenti - ha continuato il senatore dei Verdi - perché oggi abbiamo cinque persone incarcerate e quattro agli arresti domiciliari. E per assurdo i primi godono di più libertà dei secondi, visto che chi è detenuto in casa non può neanche ricevere visite".

Bulgarelli ha poi espresso perplessità anche sulle motivazioni che avrebbero portato alle misure di custodia cautelare nei confronti dei nove militanti. Specie dopo che ieri, a Nuoro, il portavoce di "A manca pro s’indipendentzia" ha denunciato pubblicamente anomalie riscontrate dagli avvocati

riguardo la trascrizione di alcune intercettazioni ambientali. "Sarebbe giusto fare chiarezza anche su ciò che emerso in questi giorni a proposito delle prove basate su registrazioni poco nitide" - ha aggiunto il parlamentare.

Infine, due parole sullo stato di salute psicologica dei detenuti che ha incontrato: "È fuori discussione che sei mesi di carcere li abbiano provati, ma ora sono in cella insieme e mi sembra - ha concluso Bulgarelli - che tutto sommato abbiano retto bene a quella che di fatto per loro è già una pena".

Ferrara: amministratori provincia giocano a calcio con i detenuti

 

Estense.com, 13 gennaio 2007

 

Dopo il rinvio per motivi istituzionali della partita, organizzata in collaborazione con Promeco e fissata per il 23 dicembre in occasione della giornata mondiale della lotta all’Aids, i sindaci e gli amministratori della Provincia di Ferrara sono di nuovo pronti a scendere in campo per giocare, sul campo dai calcio, la partita della solidarietà.

Avversari i detenuti della Casa Circondariale ferrarese: proprio qui infatti, alle 13 del 13 gennaio verrà dato il calcio d’inizio. C’è da augurarsi che il numero 13 non porti sfortuna alla squadra guidata da Loris Gadda, sindaco di Lagosanto e dall’assessore provinciale alle Politiche Sociali, Diego Carrara e che vedrà come capitano il collega al Turismo, l’assessore Alessandro Pierotti, ma, rivalità di gioco a parte, il vero obiettivo sarà quello di creare un momento d’intrattenimento, svago e solidarietà umana: "Il progetto rientra tra le iniziative sociali e di solidarietà spesso svolte dalla squadra dell’amministrazione provinciale e , in questo caso, realizzata con la collaborazione del direttore delle carceri, Francesco Cacciola - afferma Carrara - ; l’obiettivo è quello di trasformare lo sport in veicolo d’incontro e socializzazione, approfittandone per fare il buon anno anche a chi ne ha davvero bisogno". Al termine dell’incontro la premiazione verrà eseguita dall’assessore comunale allo Sport, Davide Stabellini.

Catanzaro: mostra d’arte dei giovani detenuti dell’Ipm

 

Adnkronos, 13 gennaio 2007

 

Lunedì 15 gennaio il sindaco di Catanzaro inaugurerà la mostra "I ragazzi di via Paglia" presso il Centro di aggregazione giovanile comunale. Qui saranno esposti i murales e i quadri realizzati dai giovani dell’Istituto penale per i minorenni di Catanzaro. La mostra si inquadra nell’ambito del progetto "Arcobaleno", gestito dall’associazione "Ruvazzo". L’evento è stato realizzato con il sostegno del Comune di Catanzaro e della Regione Calabria e durerà fino al prossimo 20 gennaio.

Droghe: la legge Fini-Giovanardi continua a fare danni

 

Liberazione, 13 gennaio 2007

 

Lettera di "Forum Froghe" al Presidente del Consiglio Romano Prodi e al Consiglio dei Ministri.

 

Poco meno di un anno fa, nel febbraio 2006, veniva convertito in legge, con il numero 49/06, il cosiddetto decreto Fini - Mantovano - Giovanardi sulle droghe. Fu un vero e proprio, clamoroso, golpe istituzionale: fu, come noto, frettolosamente inserito nel decreto sulle Olimpiadi Invernali, non un solo minuto fu dedicato, in Parlamento o in qualche Commissione, alla discussione di un testo che avrebbe normato una materia delicata, complessa, che ha effetti importanti sulle vite e sui destini di milioni di persone, e anche, e non secondariamente, sulla civiltà sociale e giuridica del Paese.

Un testo che calpesta gli esiti del referendum del 1993, con il quale gli italiani avevano scelto almeno di limitare i danni della originaria formulazione della legge 309/90, evitando il carcere ai consumatori e abrogando quella dose media giornaliera che, in spregio ad ogni criterio di scientificità e giustizia, trasformava i consumatori in spacciatori. Un testo su cui la quasi totalità degli operatori del pubblico e del privato, delle comunità, delle associazioni e del volontariato si è sempre detto contrario, dando vita nei cinque anni di governo del centro destra a un variegato, plurale e determinato movimento di opposizione.

Questo vasto movimento ha trovato nei partiti del centro sinistra un interlocutore politico attento alle ragioni sociali, culturali, scientifiche e di politica sociale che chiedevano con forza di impedire questo ritorno alla logica repressiva e ideologica sulle droghe: tanto che nel programma politico della coalizione furono incluse in modo inequivocabile e netto sia, in prima battuta, la abrogazione della legge 49/06, sia un’azione di riforma dell’intera normativa nel segno della depenalizzazione delle condotte di consumo, dell’apertura verso prassi di prevenzione, cura, e riduzione dei danni innovative, sia, ancora, di una adeguata e efficiente riorganizzazione del sistema dei servizi.

"Dal penale al sociale", aveva chiesto questo ampio movimento, e su questo il centro sinistra ha siglato un patto attraverso il suo programma politico.

Ora, nel momento in cui vi apprestate a stilare gli impegni di governo per il 2007, siamo qui a ricordarvi questo impegno. La vostra agenda è fitta, è vero, ma questa è una riforma urgente: la legge 49 è vigente, è una delle leggi più repressive in Europa, e sta continuando a produrre i suoi danni, umani, sociali, giuridici ed economici. Sono danni destinati a restare scritti nella vita di molti: questa ci pare una responsabilità enorme, e sarebbe un vero paradosso se le forze politiche che questa legge hanno sempre osteggiato, continuassero a farsene carico.

Non solo: oltre il vincolo del programma, crediamo che il tema delle droghe possa essere emblematico di una differenza della politica "a sinistra" attorno alla quale molte e alte sono le aspettative, dopo cinque anni di approccio strumentale e rozzamente ideologico ai temi "sensibili". Ci aspettiamo, cioè, che non siano esigenze tattiche a governare la logica riformista sui temi delle libertà e della convivenza sociale, ma una rinnovata cultura, democratica, laica e tollerante, del diritto e dei diritti.

La riforma della 49/06 e della legge 309/90 nel segno della depenalizzazione, del restituire al sociale ciò di cui il penale si è impossessato, poggia sulle basi sicure e ampie di un lungo lavoro di confronto, studio, analisi maturato da almeno dieci anni: nelle Conferenze nazionali sulle droghe del 1997 e del 2000, nelle Consulte nazionali che, fino al 2001, hanno lavorato mettendo insieme competenze e professionalità, in tanti tavoli regionali e nazionali, nella pluralità di analisi e studi di valutazione sulle politiche e sugli interventi, nelle reti e nei movimenti dell’ultimo decennio. Un patrimonio che la destra ha tentato di azzerare, e che questo governo, al contrario, ci aspettiamo sappia riconoscere e valorizzare, facendone quel bagaglio di conoscenze acquisite su cui la riforma trovi le sue solide premesse.

La Consulta e il Comitato scientifico istituiti presso il Ministero della Solidarietà sociale e la Commissione creata preso quello della Salute hanno già iniziato il loro lavoro, e il 2007 vedrà lo svolgersi di una nuova Conferenza nazionale; il movimento per una nuova politica sulle droghe è ricco di proposte, conoscenze, saperi; in Parlamento sono già depositati testi di legge, come quello Boato, che recepiscono li linee di una riforma possibile. Il 2007 può e deve essere, allora, anche l’anno di una riforma non più rinviabile.

 

Associazione Forum Droghe

Droghe: Corleone; calendarizzare depenalizzazione consumo

 

Ansa, 13 gennaio 2007

 

Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia e presidente del "Forum droghe", ha invitato il governo "a rispettare gli impegni" e quindi "ad accantonare l’attuale normativa Fini-Giovanardi introducendo la depenalizzazione completa e chiara del consumo di tutte le sostanze".

L’iniziativa di Udine, ha spiegato, sarà ripetuta in altre città italiane tra cui Venezia, Bologna, Torino, Genova e Firenze e si concluderà a Roma presso la sala stampa della Camera dei Deputati il 23 gennaio "allo scopo di chiedere l’inserimento, nel calendario dei lavori del Governo, della discussione sulla proposta di legge Boato".

"L’attuale normativa non fa distinzioni tra consumo e spaccio e considera le droghe tutte uguali. Superarla è indispensabile non solo per evitare criminalizzazioni indiscriminate ma anche per dare respiro al sistema penale, carcerario e della giustizia. Basti pensare che già prima dell’indulto quando ancora non era in vigore la Fini-Giovanardi, 25mila carcerati su 62mila scontavano pene per la violazione della legge sulle droghe o reati connessi" e con l’attuale normativa "queste percentuali sono destinate a crescere".

"Il Forum droghe chiederà anche un incontro con l’assessore regionale alla Salute del Friuli Venezia Giulia, Ezio Beltrame, per portare avanti una iniziativa politica insieme ad altre Regioni e sollecitare il Governo".

Immigrazione: Fini; scenderemo in piazza a difesa nostra legge

 

Asca, 13 gennaio 2007

 

Il leader di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, si è detto pronto a portare avanti "una grande battaglia, sia in piazza, sia in Parlamento" a difesa della legge che lo stesso Fini firmò nella precedente legislatura insieme a Bossi sugli immigrati. In particolare, ha sostenuto il leader di An parlando a Roccaraso alla festa di Forza Italia sulla neve, "Neveazzurra", "bisogna impedire che vinca la linea demagogica che permette l’ingresso a tutti coloro che cercano lavoro e non solo a quelli che un lavoro ce l’hanno".

Fini ha definito "irresponsabile" il comportamento che il governo Prodi sta portando avanti in materia di sicurezza. E "non mi riferisco solo all’indulto, che noi non abbiamo votato. Il nostro obiettivo ora è quello di far emergere due cose: la prima è che Prodi è un bluff, e la seconda che lui non è ostaggio della sinistra radicale ma semmai il megafono". Del resto questo governo, ha concluso Fini, "è diviso in tutto tranne quando si tratta di aumentare il numero degli spinelli".

 

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