Rassegna stampa 9 febbraio

 

Giustizia: Napoli; morire internati senza che il mondo lo sappia

 

Redattore Sociale, 9 febbraio 2007

 

È accaduto ad un marocchino lo scorso gennaio nell’Opg di Aversa. Morti invisibili: tre persone da novembre sono decedute nella struttura. In Campania gli Opg sono 2 e ospitano il 40% degli internati in tutta Italia.

Morire da internati senza che il mondo lo sappia. È accaduto ad un marocchino di 35 anni il cui nome in sigla è D.H. il 29 gennaio scorso nell’Ospedale psichiatrico di Aversa, deceduto per arresto cardiocircolatorio, e la notizia si diffonde solo ora. Una morte invisibile come altre nei mesi scorsi: tre persone da novembre ad oggi sono scomparse nell’Opg, uno dei due della Campania (l’altro è Sant’Eframo a Napoli), che complessivamente ospitano il 40% degli internati in tutta Italia.

Denuncia l’associazione Antigone Napoli: "Solo pochi mesi fa - spiega Dario Stefano Dell’Aquila, presidente dell’associazione - nell’Opg di Aversa si sono verificati due suicidi. Siamo preoccupati dal progressivo deteriorarsi delle condizioni di vita degli internati. Negli Opg di Aversa e di Napoli non c’ è alcuna cura: gli psichiatri sono a contratto, con in media un’ ora al mese di assistenza psichiatrica a paziente, e il solo personale certo è quello di polizia penitenziaria". Negli Ospedali psichiatrici giudiziari - che hanno sostituito i manicomi criminali - sono internate circa 1.200 persone in tutta Italia, il 60% delle quali per reati contro la proprietà.

"Si tratta di persone - spiega Dell’Aquila - povere e prive di assistenza familiare, che, a causa di un disagio psichico, compiono un reato e si trovano a scontare decine di anni in quello che è un carcere a tutti gli effetti. La loro pericolosità sociale non è dovuta alla diagnosi medica, ma all’ assenza di luoghi alternativi di accoglienza. Accade così che centinaia di persone vivono in condizioni giuridicamente ed eticamente inaccettabili".

"Bisogna arrivare presto ad un disegno di legge - conclude Dell’Aquila - per la chiusura e il superamento degli Opg. Nell’attesa, è necessario uno sforzo immediato per migliorare le condizioni di vita degli internati e avviare programmi di dimissioni protette, costruendo un sistema integrato socio sanitario di accoglienza che punti all’ inclusione e all’ autonomia delle persone".

Giustizia: con le misure alternative c'è molta meno recidiva

 

Redattore Sociale, 9 febbraio 2007

 

Meglio fuori che in carcere. Un’indagine rivela: ricade il 19% degli ammessi alle misure alternative, contro il 68% di chi è uscito dopo aver scontato la pena in stato di detenzione.

La percentuale di recidivi tra coloro che beneficiano delle misure alternative al carcere è di gran lunga inferiore rispetto a coloro che sono in carcere e vengono liberati regolarmente alla scadenza della pena. Il dato non è nuovissimo ma è tornato prepotentemente alla ribalta dopo che ieri il ministro Ferrero vi ha fatto cenno nel corso della sua esposizione (in Commissione Sanità al Senato) delle linee guida del nuovo ddl governativo sulle droghe.

In generale, si può affermare che "ricade" nella tentazione di commettere un reato il 19% degli ammessi alle misure alternative, contro il 40% di chi ha usufruito della misura concessa dopo la detenzione e del 68% dei detenuti che hanno scontato la pena.

La storia. Le misure alternative sono state introdotte dall’ordinamento penitenziario del 1975 come modalità di esecuzione della pena diverse da quella detentiva. A leggere i grafici della sequenza storica, tuttavia, è dal 1991 che esse hanno subito una brusca accelerazione, contestualmente al netto aumento del numero dei detenuti condannati presenti in carcere. In realtà le due misurazioni non sarebbero direttamente equiparabili (il numero dei detenuti è riferito al 31 dicembre di ogni anno, mentre le misure alternative sono considerate nel numero complessivo di tutto l’anno e ricomprendono anche i casi già aperti in precedenza). Tuttavia, notevole è la crescita dell’esecuzione all’esterno rispetto a quella nelle strutture di reclusione. Nel 2005 l’indice dell’esecuzione penale esterna è più che decuplicato, mentre quello per l’esecuzione infrastrutturale è solo triplicato. La crescita, oltre che dall’aumento delle detenzioni, è stata favorita anche e soprattutto dagli interventi legislativi, come la legge Gozzini del 1986 o la legge Simeone-Saraceni del 1998, che hanno agevolato l’esecuzione della pena in misura alternativa alla detenzione.

Dati generali. Per Fabrizio Leonardi, direttore dell’Osservatorio delle misure alternative presso la Direzione generale dell’esecuzione penale esterna, "ancora oggi mancano dati certi e osservazioni sufficientemente prolungate nel tempo sulla commissione di reati da parte di coloro che hanno fruito delle misure premiali e di decarcerizzazione".

Un aspetto rilevante riguarda però le revoche degli affidamenti in prova al servizio sociale. I dati sulle revoche delle misure alternative sono disponibili a partire dal 1999. E fino al 2005, le percentuali dei casi di affidamento in prova al servizio sociale revocati oscillavano attorno al 5%, con un minimo del 4,32% del 1999 a un massimo del 5,33% del 2005. E il motivo che più di frequente ha comportato la revoca è stato l’andamento negativo, vale a dire la tenuta di una condotta che viola i vincoli prescritti per la concessione della misura alternativa al carcere. Scarsissimi i casi di irreperibilità del soggetto ammesso alla misura e quelli relativi alla commissione di reati durante la misura stessa. Un fatto che spinge Leonardi ad affermare che "l’eventualità della commissione di reati durante la misura presenta valori che non giustificano l’allarme sociale che a volte viene creato sui singoli casi di cronaca".

La ricerca. In Italia sono poche le ricerche sull’analisi del "recidivismo". Una ricerca condotta dall’Osservatorio delle misure alternative su casi del 1998 (e presentata nei mesi scorsi), tuttavia, ha cercato di individuare almeno quantitativamente quei soggetti per il quale il trattamento extra-murale, nella misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, non ha raggiunto lo scopo del reinserimento sociale.

L’indagine ha avuto per oggetto gli affidati in prova al servizio sociale con affidamento ordinario, militare e in casi particolari, vale a dire alcoldipendenti e tossicodipendenti. Sono stati esaminati i casi di affidamento archiviati nel 1998 e sono stati considerati recidivi coloro che entro il 2005 hanno subito una nuova condanna.

Bene, nel 1998 gli affidamenti in prova al servizio sociale rappresentavano il 78,23% dei casi di misure alternative alla detenzione seguiti dai Centri di servizio sociale per adulti. Dei 27.651 casi seguiti nel 1998, 15.711 cioè più della metà, sono stati presi in carico nel corso dell’anno, mentre per i restanti 11.940 si trattava della prosecuzione di una misura che ha avuto inizio negli anni precedenti.

Le posizioni esaminate nel corso della ricerca sono state 8.817. Sono risultati recidivi 1.677 soggetti, pari al 19% del campione, di essi 94 sono donne. Analizzando le diverse tipologie di affidamento, si possono evidenziare i casi in cui la misura interviene dopo un periodo di detenzione. La percentuale di recidivi è superiore alla media negli affidamenti in casi particolari, cioè per gli alcoldipendenti e tossicodipendenti. Ciò si verifica soprattutto quando la misura viene concessa dopo la reclusione: in questo caso, infatti si supera il 40%. Anche gli affidati ordinari sono meno recidivi quando vengono ammessi alla misura alternativa direttamente dalla libertà.

I dati più alti per i tossicodipendenti sono da legare ovviamente alla situazione più "delicata" vissuta da questa parte di detenuti, che rappresentano tuttavia solo un quarto degli ammessi alle misure alternative. E tuttavia, anche tra gli altri tre-quarti sono presenti spesso casi di insuccesso legati all’uso di sostanze. Nella classe 26-40 anni l’incidenza della recidiva sia maggiore di quella rilevata sull’intero campione. La recidiva per questa classe di età è del 25,1%, quindi di ben 6 punti percentuali superiore al valore generale del 19%. La recidiva, inoltre, ha avuto un’incidenza decisamente inferiore per le donne (12,6% dei casi).

Un parametro interessante per valutare la recidiva è il numero di mesi che intercorrono tra la fine della misura e la data di commissione di un nuovo reato. L’intervallo temporale va da 0 a 81 mesi, ma già dopo 54 mesi il 90% dei recidivi ha commesso almeno un nuovo reato. In media i soggetti in esame hanno commesso un nuovo reato dopo 25 mesi. Quasi un terzo dei recidivi, ha subito più condanne relative a reati commessi successivamente al 1998, per un totale di 534 pluri-recidivi.

Infine possiamo confrontare la recidiva degli affidati con quella dei detenuti. Nel 1998 sono stati scarcerati 5.772 condannati, 3.951 di questi, quasi 7 su 10, corrispondenti al 68,45%, hanno fatto rientro in carcere una o più volte e hanno avuto una sentenza di condanna definitiva per nuovi reati, indipendentemente dall’applicazione dell’articolo 99 del codice penale. Li possiamo indicare come recidivi in senso "penitenziario".

Un’altra indagine, sempre condotta dall’ufficio statistico del Dap sui detenuti italiani presenti in carcere alla data del 19 aprile 2006 aveva per oggetto le carcerazioni precedenti motivate da una sentenza di condanna irrevocabile. Su 27.585 detenuti circa il 48% risulta avere sofferto precedenti carcerazioni per condanne passate in giudicato.

Nella ricerca sugli affidati in prova al servizio sociale il concetto di recidiva è più ampio perché non è limitato all’esecuzione penale, sia infra che extra-murale, ma vengono considerate tutte le condanne iscritte al Casellario giudiziale. Nonostante ciò la percentuale di recidivi che provengono da una misura alternativa, che in base alle modalità di rilevazione ci si aspetterebbe più ampia, è notevolmente inferiore: non si arriva a 2 casi su 10.

Giustizia: tribunali militari; 103 giudici per 338 procedimenti

 

Il Giornale di Vicenza, 9 febbraio 2007

 

Cause fortemente ridotte con la fine dell’esercito di leva e la diminuzione delle caserme. Un enorme spreco di risorse umane e finanziarie. La rabbia del pm di Padova Roberti: "Rubo legalmente lo stipendio dello Stato". In Italia diminuite le cause: nel 2006 erano appena 338 per 103 giudici togati contro i 75 del 1988. Lo Stato paga anche 590 addetti, più di 300 cellulari e 160 auto blu. Rimane aperto un unico carcere militare, quello di Santa Maria Capua Vetere, e non ospita neanche un detenuto. Gli ultimi sono usciti con l’indulto.

 

"Devo riconoscerlo: rubo legalmente lo stipendio dell’amministrazione". Parole impossibili da passare inosservate, soprattutto, se a pronunciarle è un pubblico ministero militare. Eppure frasi così "impegnative" appaiono proprio oggi sul numero dell’Espresso e sono pronunciate dal pm militare Benedetto Manlio Roberti di Padova.

L’eco delle sue parole non potevano non avere effetto anche a Verona, sede di un’importante procura della repubblica in prima linea in inchieste molto spinose e importanti, non ultima quella a carico del boia nazista Misha Seifert ancora in attesa di estradizione in Canada.

Al 30 settembre 2006 i procedimenti pendenti davanti ai nove tribunali delle Penisola erano appena 338, un minimo storico. Nel 1988 si viaggiava su numeri nove volte superiori: 2.880. "Di contro", osserva Roberti, "il numero di magistrati e di personale militare e civile è aumentato. I togati sono passati da 75 del 1988 ai 103 attuali. Gli addetti erano 180 e oggi sono 590. Lo Stato paga 300 telefonini e 160 auto blu che un tempo non c’ erano. Nel 1988 il costo di gestione della giustizia militare era stato stimato in 16,2 miliardi di lire, cioè 8,5 milioni di euro circa. Oggi e più del doppio. Eppure restano in piedi, oltre ai nove tribunali, le tre corti d’appello a Roma, Napoli e Verona, una Procura generale presso la Cassazione e pure un Tribunale di sorveglianza dove lavorano 35 persone che dovrebbero decidere le sorti di detenuti che non ci sono. Perché l’ unico carcere militare d’ Italia, quello di Santa Maria Capua Vetere, non ospita neppure un detenuto per reati militari. Gli ultimi sono usciti con l’indulto".

A Verona, con il procuratore capo Bartolomeo Costantini si rischia di sfondare una porta aperta: "È il solito problema che denunciamo da tempo", attacca il capo dei pubblici ministeri militari. Ma proprio tre giorni fa se ne è parlato a Roma: "In occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, è emersa la questione del sotto utilizzo del personale impiegato nei tribunali militari in tutto il paese". Ma sembrano parole destinate al vento: "I politici", aggiunge ancora Costantini, "non sono riusciti ancora a dare mano alla riforma". Insomma, un black out completo su uno dei tanti versanti cruciali della giustizia. "Come presidente dell’Associazione dei magistrati militari", continua il procuratore militare, "ho incontrato il presidente della commissione difesa della Camera, Roberta Pinotti e ho rimesso il problema sul tavolo". Ma, fino ad oggi, le soluzioni non sembrano apparire all’orizzonte.

Il procuratore, però, sembra avere le idee chiare su chi è responsabile di questa grave disfunzione nel sistema giudiziario del nostro Paese: "La colpa è di chi non provvede a quelle riforme che consentono una maggior distribuzione del lavoro tra magistrati militari ed ordinari".

Il lavoro, comunque, non manca: "Sono diminuiti decisamente", afferma ancora Costantini, "i reati più diffusi e meno gravi come le mancate consegne mentre sono aumentate le violazioni dei "colletti bianchi" a partire dalle truffe per continuare con il peculato e la corruzione".

E pensare che le soluzioni non mancherebbero: "Potrebbero aumentare le competenze dei giudici militari così da sgravare i colleghi della giustizia ordinaria" azzarda Costantini, "ma questa ipotesi è contestata dalla sinistra radicale. O altrimenti, potrebbero abolire definitivamente i tribunali delle Forze armate e trasferire tutte le competenze al giudice ordinario".

Giustizia: nel 2006 la Consulta dimezza i tempi delle sentenze

 

Apcom, 9 febbraio 2007

 

La Corte Costituzionale nel 2006 ha "quasi dimezzato" i tempi di definizione delle questioni rispetto all’anno precedente. Tempi medi "stimati in circa un anno". Una "indubbia celerità" del contenzioso che è "motivo di vanto" per la Consulta. A sottolinearlo è il presidente della Corte, Franco Bile, nella conferenza stampa con la quale stamane ha dato l’avvio all’anno giudiziario. I giudici costituzionali, durante l’anno che si è appena concluso, riferisce, hanno adottato 463 decisioni, dato che "si pone in diretta continuità con gli anni 2004 e 2005".

"È un andamento virtuoso - sottolinea Bile - che ha consentito mantenere l’arretrato entro limiti assolutamente fisiologici". L’aumento della pendenza dei giudizi "in via incidentale", spiega, va considerato "in termini meramente numerici" perché riguarda "un gran numero di ordinanze seriali, che pongono le stesse questioni": circa 200, riferisce ancora Bile, sono le ordinanze sull’inappellabilità delle sentenze penali di proscioglimento da parte del Pm (la cosiddetta legge Pecorella), 30 i nuovi termini di prescrizione dei reati (introdotti dalla ex-Cirielli), 40 la confisca obbligatoria dei veicoli. Bile coglie l’occasione anche per elencare alcune delle decisioni più importanti adottate dalla Corte Costituzionale: dalle sentenze sul principio di parità tra i coniugi a quelle relative al lavoro dei detenuti, alle deroghe al principio di retroattività della norma penale più favorevole al reo, a quelle in materia di immigrazione.

Piacenza: informazione ai detenuti per la sicurezza sul lavoro

 

Libertà, 9 febbraio 2007

 

Lavoro nero e sicurezza contro gli infortuni: la Casa circondariale delle Novate, da oggi, avrà ospiti tre esperti di vari ambiti per quattro incontri con i detenuti, soprattutto di provenienza straniera. Il progetto, alla sua prima assoluta per Piacenza, è messo in pista dal Centro territoriale permanente (Ctp) della scuola Genocchi-Calvino, presente già da anni nel carcere piacentino per tenere corsi di alfabetizzazione rivolti ad ospiti comuni e protetti.

Motore dell’iniziativa, le due docenti del Ctp, Rosella Pizzi e Giuseppina Montanari, entrambe insegnanti della scuola diretta da Rino Curtoni. A parlare di lavoro nero e della materia di sicurezza contro gli infortuni - purtroppo una piaga mai sufficientemente azzerata, che ogni anno in Italia miete vittime come un’autentica guerra - tre esperti: Bruno Galvani, presidente dell’Anmil di Piacenza e autore della recente campagna anti infortuni con i manifesti shock che hanno fatto il giro d’Italia, l’avvocato Mauro Pontini ed il referente sindacale della Camera del Lavoro El Mehdi Sohuami.

All’incontro di oggi alla Casa circondariale delle Novate ne seguirà un secondo domani; altri due appuntamenti avranno luogo il 15 e il 22 febbraio. "All’interno del carcere - ha detto la professoressa Rosella Pizzi nell’illustrare le ragioni che hanno condotto all’iniziativa - sono presenti persone la cui maggioranza ha alle spalle percorsi di vita assai problematici. Molti di questi sono infatti immigrati, che dopo una fase di clandestinità in cui hanno conosciuto soltanto il lavoro nero, operando da piastrellisti, imbianchini o muratori, questi i mestieri più praticati, sono finiti in carcere".

Da parte di queste persone, quindi - provenienti da Paesi anche molto diversi, dall’Algeria al Marocco, e poi la Grecia, la Cina, la Romania - c’è stato già un contatto con il lavoro in Italia, ma quasi mai con i crismi della regolarità. "Col progetto - prosegue l’insegnante - alla sua prima edizione, intendiamo fornire strumenti conoscitivi utili all’argomento del lavoro".

Già in passato, in carcere, il Centro territoriale permanente aveva introdotto progetti su salute e prevenzione (in particolare le malattie infettive), l’educazione stradale e l’ambiente. All’iniziativa al via oggi, cui seguiranno gli altri tre incontri, sempre alle Novate, prenderanno parte complessivamente una quarantina di ospiti della casa circondariale piacentina diretta da Caterina Zurlo. "Sarà - ha concluso la Pizzi - un’esperienza che crediamo sicuramente positiva".

Ascoli: lettera alla Procura "carcere in condizioni disastrose"

 

Corriere Adriatico, 9 febbraio 2007

 

Un detenuto sottoposto al regime del 41 bis nel supercarcere di Marino del Tronto, Enzo Mangione, ha inviato una lettera di reclamo alle autorità - anche a nome degli altri detenuti - lamentando "condizioni disastrose", soprattutto per mancanza d’igiene, all’interno del carcere, dove mancano persino gli stracci per pulire. Mangione ha scritto al Dap, alla Procura di Ascoli e al magistrato di sorveglianza e, tramite l’avv. Roberta Alessandrini, ha chiesto che la lettera venisse divulgata agli organi di stampa.

"Mangione - riferisce il legale - ha pagato anche di tasca sua per procurarsi stracci e detergenti, essendo addetto alla pulizia della sezione. La direzione si dichiara sprovvista di fondi, e anche per la pulizia delle celle i prodotti non vengono forniti come si dovrebbe". Inoltre, "non c’è acqua calda. Il riscaldamento viene acceso al minimo per pochissimo tempo.

A dire degli addetti c’è una caldaia che si rompe di continuo e i detenuti si ritrovano al freddo". "I prezzi dei beni che si possono acquistare all’esterno - continua Alessandrini - sono esagerati e non corrispondono certamente ai prezzi di mercato"."Io stessa - conclude Alessandrini - constato ogni volta le condizioni indecenti sia della stanza dove familiari e avvocati devono attendere per accedere ai colloqui".

Verona: due detenute processate per scambio di "tenerezze"

 

L’Arena di Verona, 9 febbraio 2007

 

Quell’atteggiamento "tenero" tra due detenute nell’estate del 2005 non fu notato dalle altre donne che con loro erano nella saletta ricreativa della sezione femminile del carcere di Montorio. Intente a leggere o a lavorare a maglia o a chiacchierare nessuna si accorse che le labbra di una trentenne di origine tunisina erano appoggiate sul seno, scoperto, di una giovane europea.

Le altre non se ne accorsero ma quell’atteggiamento non violento e probabilmente anche gradito non sfuggì all’occhio attento dell’agente di polizia penitenziaria. Che fece rapporto e denunciò le due giovani per atti osceni in luogo aperto al pubblico.

Una definizione che si fatica a collegare ad una stanza posta all’interno di un carcere ma in effetti la struttura non è frequentata solo dai detenuti ma anche dal personale della polizia giudiziaria. Sufficiente per dargli quella connotazione (che peraltro investe anche la cella). Tornando alle "tenere detenute" furono sentite e colei che aveva la maglietta sollevate spiegò che stava giocando con la compagna e sempre per scherzo la stava "convincendo" a baciare il crocefisso che penzolava nell’impegnativa scollatura.

Poiché stavano giocando, si giustificò, e c’era caldo non escluse che la canottiera potesse aver lasciato scoperto un seno. Nulla. La segnalazione ha proseguito il suo corso ed entrambe (una di loro è difesa dall’avvocato Davide Sentieri), compariranno davanti al giudice. Per rispondere di quello scherzo "troppo tenero".

Civitavecchia: grande successo della mostra "Oltre il muro"

 

Asca, 9 febbraio 2007

 

I tanti visitatori presenti alla Rocca fino a tarda sera, ben oltre l’orario di chiusura previsto per le 19:00, hanno sancito domenica sera il termine della mostra "Immagini da oltre il muro", promossa dall’associazione Infocarcere di Roma in collaborazione con la Pro Loco Civitavecchia. Tele e opere di numerosi detenuti di strutture carcerarie della città e di Roma che hanno dato libero sfogo alla propria creatività e fantasia raccontando con i pennelli le emozioni, le angosce ma anche le speranze di un mondo visto da dietro le sbarre, per l’appunto dietro un muro che si frappone tra due realtà senza privare però l’uomo della sua immaginazione.

La mostra ha rappresentato solo un aspetto dell’ampio progetto denominato "Carcere, se lo conosci lo eviti". Un progetto rivolto soprattutto ai giovani, che devono diventare parte attiva della società, imparando a discernere il bene dal male e comprendendo che una scelta deviata arreca danni al singolo ed all’intera collettività. Numerose le autorità che con la loro presenza hanno riconosciuto l’alto valore dell’iniziativa. Oltre alla direttrice Silvana Sergi della Casa di Reclusione di via Tarquinia e la preside dell’Istituto d’istruzione superiore di viale Adige di Civitavecchia, Giuseppa Maniglia, le quali sono state le maggiori sostenitrici dell’iniziativa, la giornata di sabato ha visto la presenza del Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni, del Comandante della Capitaneria di Porto Antonio Basile e del Comandante della Guardia di Finanza Errigo.

Non potendo essere presenti, per inderogabili impegni istituzionali, hanno tenuto a inviare il loro saluto gli Assessori alla Cultura e alle Politiche della Scuola della Regione Lazio, Giulia Rodano e Silvia Costa, seguiti dagli Assessori alle Politiche Sociali e alla Scuola della Provincia di Roma, Claudio Cecchini e Daniela Monteforte.

La partecipazione di "autorità" ha completato il mosaico di gratificazioni offerto a quanti hanno contribuito alla riuscita della manifestazione da parte del numeroso pubblico, con particolare riferimento ai giovani. Ad ammirare i numerosi dipinti e gli oggetti artigianali, tutti opera dei detenuti si sono succeduti cittadini delle più variegate categorie, che hanno dimostrato il loro interesse anche nell’osservare e commentare, sempre all’interno della Mostra, una serie di fotografie della realtà penitenziaria ed alcune pubblicazioni della "Herald Editore" di Roma, che da anni collabora con l’Infocarcere per un reale reinserimento dei detenuti. Non è questo di Civitavecchia un episodio isolato nella vita della casa editrice romana.

La "H.E. - Herald Editore", infatti, è impegnata da anni nella realizzazione sia di prodotti editoriali relativi a progetti, manifestazioni ed eventi di carattere socio-culturale, sia in ricerche e studi di carattere scientifico, al fine di diffondere cultura e conoscenza. Particolarmente attenta ed impegnata nel sociale, promuove, insieme con la cooperativa sociale "Infocarcere" e l’associazione G.I.S.CA. (Gruppo Italiano Scuola Carceraria), il recupero e il reinserimento di individui socialmente deboli e di soggetti appartenenti alle cosiddette categorie svantaggiate, quali detenuti, ex-detenuti, donne sole con bambini a carico, donne che hanno subito violenze.

Treviso: don Luigi Ciotti visita i detenuti del carcere minorile

 

Vita, 9 febbraio 2007

 

Don Luigi Ciotti stamattina ha varcato la soglia dell’Istituto penale minorile di Treviso per far visita ai giovani detenuti nella struttura. Il fondatore del Gruppo Abele è stato accolto dai 17 ragazzi reclusi, da alcuni studenti dell’Istituto Martini di Castelfranco, dal presidente del Coordinamento delle associazioni di volontariato Giovanni Grillo, dal vicesindaco di Padova Claudio Sinigaglia, da Fabrizio Uliana in rappresentanza del Centro per la Giustizia Minorile del Triveneto, dagli educatori del carcere e dal direttore Alfonso Paggiarino. Quest’ultimo ha ringraziato il Centro di servizio per il volontariato e il Coordinamento, organizzatore della visita, per il coinvolgimento dei giovani carcerati in progetti rieducativi. "Mi vengono i brividi nel sentire il direttore ringraziare queste persone per una cosa che si dovrebbe avere per diritto", ha commentato Ciotti.

Il sacerdote aveva già visitato l’Istituto penale minorile di Treviso nel 2005 e, in quell’occasione, aveva commentato: "È una vergogna che i ragazzi del carcere minorile di Treviso, gli operatori e i volontari siano costretti ad operare in questa struttura". E oggi ha constatato: "Nulla è cambiato rispetto a due anni fa, solo la tinta del muro esterno e la maggiore pulizia, ma queste sono cose che si devono alla cura delle persone che vi lavorano ogni giorno".

Durante il dibattito sulla questione "Come i giovani possono essere promotori di legalità?", avvenuto nella palestra del carcere, seduti tutti in cerchio, gli educatori hanno espresso il loro disagio e la loro rabbia nel lavorare in condizioni tanto precarie. "Anch’io sono arrabbiato,- ha risposto Ciotti - il diritto alla rabbia è un atto d’amore, ci si arrabbia per le cose che si amano. Avete ragione, qui una struttura decente è una priorità, basterebbe limitare i tanti sprechi che ci sono in Italia! Sogno un minorile nuovo per Treviso e spero che lo Stato se ne faccia al più presto carico". L’incontro si è concluso con il pranzo in Ipm, preparato dagli studenti dell’istituto alberghiero "Maffioli" di Possano.

Venezia: incontro-dibattito "Il dopo indulto: bilanci e riflessioni"

 

Comunicato stampa, 9 febbraio 2007

 

Il dopo indulto: bilanci e riflessioni

Venerdì 16 febbraio 2007

Ore 17.30 Sala Laurentianum, Mestre

 

A sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento di indulto, l’Associazione di Volontariato Penitenziario "Il Granello di Senape" organizza venerdì 16 febbraio 2007 alle ore 17.30 a Mestre, presso l’Istituto di Cultura Laurentianum - P.Zza Ferretto 121, un incontro aperto al pubblico per approfondire il tema dell’indulto che, ancora oggi, suscita nell’opinione pubblica - e non solo - qualche perplessità. Le notizie e le informazioni, infatti, non sempre hanno contribuito a chiarire il senso e le conseguenze del provvedimento, riflettendo un’immagine falsata rispetto alla realtà dei fatti.

L’incontro "Il dopo indulto: bilanci e riflessioni" vuole essere un invito alla riflessione e un’occasione per fare un bilancio delle problematiche emerse dopo l’indulto con l’aiuto di alcuni esperti. I relatori, infatti, sono profondi conoscitori delle tematiche proposte: Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti della città di Firenze e segretario dell’associazione di promozione sociale Forum Droghe; Giorgio Bertazzini, garante dei diritti delle persone limitate nella libertà della provincia di Milano e componente del direttivo nazionale dell’associazione Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale; Alessio Scandurra, assegnista di ricerca presso l’Università di Firenze e membro di Altro Diritto e Vittorio Tonolli, rappresentante dell’Associazione Carcere e Territorio di Brescia. L’incontro sarà introdotto da Maria Teresa Menotto, presidente dell’associazione Il Granello di Senape e coordinato da Angelo Pozzan avvocato veneziano e Difensore Civico dell’Amministrazione Comunale di Venezia dal 2002 al 2005.

Franco Corleone è da sempre presente nel dibattito per la difesa dei diritti dei detenuti e ha contribuito alla realizzazione di numerose riforme in ambito penitenziario (la legge Gozzini, quelle riguardanti l’incompatibilità della detenzione per i malati di Aids, la condizione delle madri-detenute, la Legge Smuraglia e la sanità penitenziaria) ed è stato sottosegretario al Ministero della Giustizia dal 1996 al 2001.

Giorgio Bertazzini, docente di discipline giuridiche, opera dal 1980 nell’ambito del mondo penitenziario promuovendo numerose iniziative volte a valorizzare l’insegnamento e l’istruzione in carcere. Alessio Scandurra, docente e ricercatore presso il Dipartimento di Teoria e Storia del Diritto di Firenze, ha compiuto studi e ricerche sulla situazione attuale dei detenuti stranieri in Italia. Vittorio Tonolli ha seguito la realizzazione dello Sportello di Segretariato Sociale avviato dopo l’indulto ed è agente di rete presso la Casa Circondariale di Canton Mombello.

Il Granello di Senape invita all’incontro tutti coloro che hanno la curiosità e il desiderio di approfondire la conoscenza di un intervento legislativo che pone in primo piano il senso della pena e le problematiche relative all’inserimento nella società.

 

Il Granello di Senape, San Marco 1579

30124 Venezia. Tel. 041.2771127

Minori: devianza in aumento ed è sempre più "di gruppo"

 

Redattore Sociale, 9 febbraio 2007

 

Intervista alla nuova direttrice del Dipartimento giustizia minorile Melita Cavallo. Cresce devianza minorile ed è sempre più "di gruppo". "Le cause? Non tanto socio-economiche quanto relazionale". Verso una tribunale unico per la famiglia? Mastella avvia una commissione con la Bindi.

La devianza giovanile è un fenomeno in aumento e il governo si interroga sulle misure e le strategie più efficaci, in grado, da un lato, di dare risposte concrete e coerenti al disagio dei minori e, dall’altro, di contenere il crescente allarme sociale. Lo fa attraverso un Tavolo di confronto e studio, intorno a cui sono già al lavoro tutti i ministri competenti e che sta varando un pacchetto di interventi, ma, allo stesso tempo, ripensando l’assetto dell’attuale sistema giudiziario.

Insieme al dicastero retto da Rosy Bindi il ministro Mastella infatti sta per avviare un commissione interministeriale che dovrà lavorare sull’ipotesi di un tribunale unico per la famiglia e i minori e su normative più snelle che mettano al centro gli interessi dei ragazzi. Ne abbiamo parlato con Melita Cavallo, già presidente della Commissione adozioni Internazionali, e da gennaio nuovo Direttore del Dipartimento della Giustizia Minorile.

"Il disagio e la devianza non fermati in tempo possono degenerare in delinquenza - esordisce - Dobbiamo fermare le possibili carriere criminali, contenere il disagio e frenare la devianza, perché è un fenomeno in aumento. È in aumento l’incapacità dei ragazzi di prevedere le conseguenze dei loro atti: c’è un impulso ad agire, ma non viene mentalizzato nelle sue conseguenze. Dobbiamo prenderli in tempo, quando danno segnali di grosso disagio e cercare di frenarli attraverso operatori in grado di entrare in relazione con loro, figure adulte in grado di porsi come modello di rispetto degli altri e di se stessi".

 

Come si può intervenire?

Il ministro ha voluto un tavolo su come contenere questi fenomeni di devianza e su come riportare questi ragazzi in quadro di rispetto della legalità. Il governo si rende conto che bisogna intervenire a sostegno della famiglia, in una direzione che dia risposte ai ragazzi difficili, risposte corrette in tempo utile. Sono emersi già molti input e il prodotto finale del tavolo è in lavorazione. L’allarme sociale sale perché questi ragazzi anche piccolissimi commettono reati anche gravissimi e perché c’è un’esposizione mediatica molto forte. Occorre dare una risposta per tranquillizzare la collettività, ma soprattutto un aiuto a questi ragazzi e le risposte devono essere molteplici. Più risposte abbiamo più possiamo trovare quella adeguata per quel ragazzo, che ha commesso qual particolare fatto, rilevatore di problematiche gravi, in quel contesto familiare, che molto spesso è tutt’altro che svantaggiato, anzi socialmente elevato. Ormai la devianza taglia tutte le fasce sociali".

 

Cosa sta cambiando?

È una devianza che affonda radici non in una carenza di tipo socio-economico, ma nello svantaggio relazionale. Si tratta di ragazzi soli, che non hanno relazioni corrette con gli adulti. Accanto a queste distorsioni relazionali e alla mancata comprensione delle conseguenze del proprio agire, c’è poi una certa fragilità. Il reato si commette in gruppo; da dieci anni ormai il gruppo connota l’azione deviante. Ognuno da solo non si sarebbe motivato a delinquere, ma in gruppo si delinque. Ed è un modo per scaricare la violenza che si è introitata, perché i ragazzi sono sottoposti a messaggi carichi di violenza da quando sono nati e questo genera abitudine all’atto violento. Ci si abitua.

 

Questa la situazione dei minori italiani. Gli stranieri?

Gi italiani che delinquono non sono in aumento, i minori stranieri denunciati negli ultimi anni sì. C’è poi un numero oscuro che ci sfugge; tra gli ignoti, soprattutto nei reati di scippo, furto e rapina, ci sono molti minorenni. Lo sappiamo perché è la vittima che li descrive così. Per quanto riguarda i reati lo spaccio è in aumento per i nostri ragazzi e non solo e per gli stranieri crescono i reati a sfondo sessuale: minori in danno di minori. Ad esempio ci sono stati dei casi anche in Campania di ragazze minorenni rom denunciate per sfruttamento della prostituzione.

 

Dopo la proposta del ministro Castelli non si è più parlato di riforma dei tribunali per i minorenni. Quali sono a sua avviso le priorità?

Oggi credo ci sia, da parte dei giudici minorili e dei giudici per la famiglia, la volontà di arrivare ad un tribunale unico. Ma come farlo e come organizzarlo viene visto diversamente. Il ministro della Giustizia sta per istituire una commissione interministeriale di studio che dovrebbe lavorare in modo serrato su questo tribunale per la famiglia, insieme al ministro Rosy Bindi. Lavoreranno insieme per ottenere un risultato condiviso e per avere in tempi rapidi una normativa snella, che tenga conto delle esigenze del bambino e che veda garantiti i suoi diritti anche dentro la famiglia. Il ministro intende intervenire anche sul penale sostanziale: forse è giusto che i minori vengano puniti con pene specifiche, forse c’è bisogno di più sanzioni magari non penali o che siano puniti anche i genitori responsabili del comportamento dei figli come è già accaduto, forse si deve puntare di più sulla mediazione perché un ragazzo comprenda il danno che ha prodotto e arrivi a chiede perdono a chi ha danneggiato. Insomma c’è molto da fare. Bisogna disegnare percorsi di recupero, strategie di intervento che permettano loro di prendere coscienza che la loro vita si sta perdendo. Non possiamo pensare che esistano ragazzi che non possiamo recuperare, bisogna arrivare in tempo e dare loro risposte accettabili e percorsi condivisibili.

 

Come vive oggi un ragazzo che finisce in carcere? Quali sono le condizioni degli istituti minorili?

Ho già visitato tre istituti minorili, quello di Napoli, Bari e Roma. Sono strutture in cui i ragazzi ritrovano se stessi, sono impegnati in tutte le ore del giorno a capire che hanno potenzialità e che queste, domani, potranno dare loro da vivere come lavoro. Sono strutture non solo molto dignitose ma che permettono al ragazzo di personalizzare il proprio ambiente di vita, con poster con immagini della famiglia o sacre, con le loro opere realizzate su creta o disegni. La dimensione è completamente cambiata rispetto a quella che io, che ho cominciato a lavorare negli anni Settanta, posso ricordare: ragazzi considerati come numero, rapporti con la famiglia discontinui che ora invece sono favoriti. Oggi è tutto molto diverso, al ragazzo che entra in carcere si offrono opportunità e molti di loro, tragicamente, queste opportunità le hanno solo in carcere.

 

Di fronte a fatti di cronaca che coinvolgono minorenni in reati molto gravi si torna a chiedere punizioni esemplari, maggiore fermezza. È ancora forte oggetto di dibattito il discorso della punibilità…

Molto spesso questa voce ci viene da città che non sono per i ragazzi. Ci si vuole difendere dai minorenni senza aver fatto nulla per loro: spazi verdi, palestre, luoghi di aggregazione e d’incontro guidati da un referente adulto. L’allarme arriva da città dove non c’è nulla; chiediamoci piuttosto se è una città che partecipa con i ragazzi e per i ragazzi a creare per loro opportunità. Per me è molto triste vedere che ci sono ragazzi che per la prima volta in carcere hanno attenzione alla loro persona.. Al di là dello zoccolo duro che esiste, i ragazzi della criminalità, la maggior parte dei minori oggi in carcere ci interroga su cosa abbiamo fatto perché non arrivassero lì".

Minori: 457 detenuti; italiani per furto, stranieri per spaccio

 

Redattore Sociale, 9 febbraio 2007

 

Sono 457 i minorenni detenuti, la maggior parte in attesa di primo giudizio. Crescono i romeni. Oltre 960 quelli collocati in comunità, più della metà italiani, mentre ci sono soprattutto stranieri nei Cpa.

Furti e rapine per gli italiani; violazione delle legge sugli stupefacenti per gli stranieri: i minorenni in carcere sono in grande maggioranza maschi e i più hanno un’età compresa tra i 16 ed i 17 anni. Sono meno di 500 in tutto, di più gli stranieri soprattutto romeni, che continuano a crescere, e marocchini. Il ministero della Giustizia ha fornito i dati aggiornati al giugno 2006.

Gli istituti penali minorili - Il numero di minori detenuti in carcere alla metà del 2006 non supera le 500 unità; sono 457 al 30 giugno, erano 477 alla fine del 2005. Sono 215 gli italiani e 242 gli stranieri, la maggior parte dai paesi dell’Est (138), anche se il dato è in flessione già da 2004 (168) e 2005 (162). In un dato complessivamente in calo, continuano ad aumentare i minori romeni detenuti: 71 nel 2004, 80 nel 2005, ancora 80 già alla metà del 2006. Numerosi anche i detenuti africani (83), in particolare quelli che provengono dal Marocco (68). La componente maschile è ancora largamente maggioritaria, tra le detenute straniere le più numerose provengono dai paesi dell’Est Europa, in particolare da Romania e Serbia Montenegro. In carcere soprattutto ragazzi tra i 16 e 17 anni (224) e i cosiddetti "giovani adulti" (173), maggiorenni che hanno compiuto un reato da minorenni, seguiti dai servizi sociali fino ai 21 anni. Rispetto agli italiani gli stranieri sono un po’ più giovani: detenuti 18 italiani tra i 14-15 anni rispetto ai 42 stranieri e 92 tra i 16 e 17 rispetto ai 131 stranieri.

La maggior parte è in attesa di primo giudizio (260), 54 di appello, mentre 133 hanno una condanna definitiva. Prevalgono (reato più grave) i crimini contro il patrimonio (297) in particolare rapina e furto, compiuti in prevalenza dagli italiani, seguono le violazioni alla legge sugli stupefacenti (91), reato questo che riguarda invece in numero maggiore gli stranieri. Più basso il numero dei minori detenuti per reati contro la persona (69); anche in questo caso prevalgono - anche se di poco - gli italiani: 29 i detenuti per tentato omicidio, 17 per omicidio volontario. Sono entrati in carcere alla metà del 2006 745 minori, 420 gli stranieri. Si tratta in maggioranza di ragazzi che entrano in carcere per la prima volta o che sono stati trasferiti da carceri per adulti. La maggior parte proviene dai centri di prima accoglienza (314).

In comunità - Alla metà del 2006 sono 969 i minori sottoposti a procedimento penale collocati in comunità (oggetto di rilevazioni sia le strutture ministeriali che quelle private convenzionate). Il provvedimento riguarda soprattutto gli italiani (545) oltre la metà sul totale, mentre per i nomadi (81) e gli stranieri (343) si registrano percentuali inferiori. Maggiormente interessata la fascia di età tra i 16 ed i 17 anni e i maschi. In comunità anche 8 ragazzini (5 stranieri e 2 nomadi) con meno di 14 anni. La maggior parte dei collocamenti è come misura cautelare; 141 i ragazzi interessati dalla "messa alla prova". Motivi di uscita invece la fine della misura (177) o il trasferimento ad altra struttura (100), ma complessivamente pesano anche le uscite per decorrenza dei termini della misura cautelare e per revoca (complessivamente 98). Inoltre, dato il carattere non restrittivo proprio della comunità, 291 ragazzi sono scappati (178 tra stranieri e nomadi); di questi solo 64 sono rientrati spontaneamente, quasi tutti italiani (50).

Dei 696 minori in comunità 209 sono in strutture ministeriali, gestite cioè direttamente dall’Amministrazione della Giustizia minorile. La comunità con il maggior numero di ingressi (44) è quella di Bologna, seguono Lecce (26) e Caltanissetta e Il Ponte di Nisida (25). Nelle comunità ministeriale si osserva lo steso andamento di quelle convenzionate; i motivi di uscita prevalentemente riguardano la trasformazione della misura cautelare in permanenza in casa (30) o atre comunità (32). Trenta i ragazzi che sono scappati, solo 8 i rientri volontari.

Centri di prima accoglienza - Sono 1782 gli ingressi registrati a metà del 2006 nei centri di prima accoglienza, 759 gli italiani, poco più di 1000 gli stranieri. La gran parte dei minori stranieri proviene dai paesi dell’Est Europa (771) in particolare da Romania (433), Serbia Montenegro (132) e Bosnia Erzegovina (118). Numerosi anche i minorenni marocchini (156). Prevalgono i ragazzi sul totale, ma la forbice è minore tra gli stranieri (282 le ragazze sul totale degli immigrati). Nei Cpa prevalgono i sedicenni (461) e i diciassettenni (601), meno numerosi i minori di 14 anni che sono per lo più ragazze (105 sui 199 under14). L’utenza italiana si concentra nella fascia di età compresa tra i 16 e 17 anni (574). Il maggior numero dei ragazzi è condotto nei Cpa con un provvedimento di arresto, che alla metà del 2006 ha colpito 1654 ragazzi di cui 942 stranieri. Il numero di transiti maggiore si registra nella struttura di Roma (543), seguono Napoli (214), Milano (170) e Torino (160). Dal punto di vista territoriale invece si registra che i Cpa del Centro-Nord hanno un’etenza prevalentemente straniera, mentre nel Sud e nelle Isole è decisamente predominante la componente italiana.

Minorenni e droga - Nel primo semestre del 2006 sono diminuiti del 9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente i minori che fanno uso di stupefacenti venuti in contatto con i servizi della Giustizia minorile (482). La maggior parte è di nazionalità italiana, tra gli stranieri predominano i nord africani - marocchini in particolare (12% sul totale) - e dell’Est Europa (10%) che crescono del 3% rispetto al primo semestre del 2005. Il 98% è costituito da ragazzi tra i 16 ed i 17 anni (69% del totale, ma in calo di 2% rispetto allo stesso periodo del 2005); il reato più frequente detenzione e spaccio (56%), seguono reati contro il patrimonio (39%).

I cannabinoidi restano le sostanze maggiormente assunte (74%) seguite da cocaina (12%) e oppiacei (8%); tra gli stranieri è più elevato il consumo di eroina, 4% in più rispetto agli italiani, che invece primeggiano per uso di cannabinoidi. La coca, sul totale delle sostanze assunte, è consumata dal 13% dagli over18 e dei minorenni tra i 16 e i 17 anni e dal 6% dei ragazzi tra i 14 e i 15. I cannobinoidi conquistano invece le fasce di età più basse: li consuma il 76% dei minori tra i 14-15 anni e il 75% di quelli che hanno tra i 16 e i 17.

Inoltre l’1% degli ultradiciottenni e il 5% delle altre classi di età consuma alcol. Il 31% assume droghe tutti i giorni (-2,5% rispetto allo stesso periodo del 2005), il 24% occasionalmente (-2%) e il 45% consuma settimanalmente (+4,5%). Inoltre il 31% assume sostanze da meno di 6 mesi, il 34% da 7 a 12 mesi, mentre il 35% ha dipendenza da più di un anno. Non cambiano molto le modalità di assunzione, inalati i cannabinoidi, mentre è possibile fumare oppiacei, coca e crack.

Droghe: ddl governo; consumo punito solo se danneggia terzi

 

Redattore Sociale, 9 febbraio 2007

 

Il ministro Ferrero espone in commissione Sanità al Senato le linee guida del ddl governativo per la riforma della legge sulle droghe. Operatori "alla pari" per informare gli studenti. Per il testo "è questione di settimane".

Nuove norme in tema di distinzione tra spaccio e consumo, modificazione delle sanzioni per il consumo personale, che dovranno essere usate solo nel caso si mettano a rischio terze persone con il proprio comportamento, distinzioni ulteriori tra grandi spacciatori e piccolo spaccio. Queste ed altre sono state le indicazioni che il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, ha dato oggi nella sua audizione alla commissione Sanità del Senato, a proposito delle linee guida del disegno di legge che cambierà la Fini-Giovanardi sulle droghe.

Il ministro, parlando con i giornalisti dopo l’audizione, ha anche confermato il suo lavoro di intesa con gli altri ministeri, prima di tutti quello della Giustizia, e ha detto che i tempi per la presentazione del testo finale non dovrebbero essere lunghi. Quanto tempo ci vorrà? gli è stato chiesto. "Non certo un anno, forse è questione di settimane", ha risposto. Ma vediamo i punti salienti del documento che farà da base all’articolato di legge vero e proprio.

Spaccio e grande traffico di droghe. Il primo elemento che il ministro Ferrero ha voluto sottolineare riguarda la necessità di cominciare a distinguere molto bene il piccolo spaccio dal grande traffico, visto che le stesse forze dell’ordine sono spesso distratte dalle questioni più importanti e quindi le risorse della sicurezza non sono ben utilizzate e distribuite. Sarebbe necessario aumentare le risorse per il contenimento della domanda, oltre che sulla repressione. Esiste poi la questione delicata dei paesi produttori di oppio. L’Afghanistan per esempio, deve quasi la metà del suo Pil alla coltivazione dell’oppio. Sarebbe impossibile, ha detto Ferrero, proporre la distruzione di tutte le piantagioni, si distruggerebbe un’intera economia. La via possibile non è quindi quella praticata dall’Onu da anni, ma quella indicata anche in alcuni documenti dell’Oms, l’organizzazione mondiale della sanità, che propone l’acquisto di oppio per la produzione di morfina a scopi terapeutici.

Consumo personale e prevenzione. L’altro punto affrontato oggi dal ministro in commissione riguarda il consumo e le tecniche di prevenzione che si dovranno mettere in atto. Il primo elemento riguarda il ritardo evidente nel varo del piano triennale sulla prevenzione, piani che esistono in tutti paesi, fatte sole due eccezioni: l’Italia e Malta. Ferrero ha detto che bisogna presto recuperare il ritardo e che il suo ministero ha già avviato i lavori per il varo del piano triennale con le regioni.

In questo contesto il ministro ha dato anche notizia di un accordo con il ministero dell’Istruzione per il finanziamento di progetti per la formazione di educatori/operatori alla pari, ovvero della stessa età degli studenti con i quali dovranno interloquire. Si tratta di un piano per 400 mila euro che è stato già concordato con il ministro Fioroni, per un sistema di informazione-formazione che venga filtrato appunto da giovani della stessa età, che usino linguaggi e concetti che i giovani interlocutori possano capire al volo. Il ministro ha spiegato anche le linee su tutti gli altri punti scottanti della riforma della legislazione sulle droghe.

Droghe: le "tabelle" da 2 a 8; sulla quantità decide il giudice

 

Redattore Sociale, 9 febbraio 2007

 

Il ddl governativo illustrato da Ferrero: "Le sanzioni amministrative del tutto inefficaci". Stretta sulla pubblicità degli alcolici. Certificazione di tossicodipendenza solo dai servizi pubblici.

Nell’illustrazione dello schema del prossimo disegno di legge sulle droghe (si parla di poche settimane per la presentazione al consiglio dei ministri), il ministro Ferrero non ha tralasciato nessun aspetto della materia. Continuiamo qui l’illustrazione dei punti principali.

Le sanzioni. Si tratta di uno dei temi più delicati. Il ministro Ferrero ha ricordato che prima dell’indulto circa il 50% della popolazione carceraria italiana era costituita da persone in qualche modo coinvolte con le droghe. Una percentuale che equivale a circa 30 mila persone.

Inoltre, mentre dalla legge 309 del 1990 alla Fini-Giovanardi la gestione delle sanzioni amministrative spettava solo alle Prefetture, dopo la Fini-Giovanardi anche queste sanzioni possono entrare nel circuito penale; infine "il corto circuito con la legge Cirielli ha creato un aumento delle carcerazioni, che non solo hanno riempito le carceri, ma hanno creato uno stigma a centinaia di persone". Le sanzioni, sempre secondo Ferrero, non incidono sui consumi, né sono incentivi che spingono le persone a rivolgersi ai servizi per curarsi.

Secondo quanto riferito da Ferrero, il consumo di stupefacenti rimane illecito, ma le sanzioni amministrative saranno previste solo in quei casi in cui si verifichi danno o responsabilità verso terzi. Esempi: guida in stato di alterazione, iniettarsi droga in luogo pubblico, abbandonare siringhe usate, coinvolgere minori nel consumo. Per la guida in stato alterato, Ferrero ha poi ipotizzato l’aumento delle sanzioni in caso di lesioni colpose: "Bisogna prevedere un continuum di sanzioni che vanno dalle multe alla riduzione dei punti sulla patente al ritiro della patente".

Quello che va evitato è "l’automatismo delle sanzioni". Riguardo le condanne penali, decisivo per il ministro sarà anche il ricorso a pene alternative. "Le misure alternative - e questo è un discorso valido per tutti i reati - sono molto più efficaci del carcere, basta ricordare che le recidive sono del 50% per chi è detenuto in carcere e del 20% in caso di applicazione delle pene alternative.

Sostanze legali e pubblicità. Parlando davanti ai senatori della commissione Sanità, oggi il ministro Ferrero ha detto che si dovrà lavorare anche sulla pubblicità. Ci sono pubblicità che possono essere considerate molto dannose per una determinata fascia di utenti, soprattutto per i minorenni. Si tratta per esempio di quelle pubblicità che presentano con valori positivi prodotti alcolici e che spesso utilizzano l’elemento sessuale come attrazione accattivante. Si tratterebbe quindi, secondo Ferrero, di spostare queste pubblicità in fasce orarie diverse o comunque di cominciarle a trattare come quelle sul tabacco. Anche sul gioco d’azzardo il discorso è analogo e investe il piano decisivo della prevenzione.

Più tabelle per le diverse sostanze. Uno dei punti centrali della nuova legge sarà la modificazione delle tabelle. Si tratta infatti di tornare alla situazione precedente alla Fini-Giovanardi. Oggi tutte le sostanze stupefacenti sono catalogate in un’unica tabella, più una seconda che raggruppa psicofarmaci, barbiturici ecc. Si tratta invece di distinguere per sostanza o per generi. Parlando con i giornalisti dopo l’audizione, il ministro ha detto che le tabelle potrebbero essere otto, ma su questo punto la discussione tra gli esperti che stanno lavorando al nuovo schema di legge è ancora aperta. Non dovrà comunque essere più indicata la quantità. Spetta al giudice decidere distinguendo quindi tra uso personale e spaccio.

Certificazione di tossicodipendenza. Si tenterà di innovare molto sul piano della cura e della riabilitazione. A questo proposito il ministro ha confermato che verrà cambiata la norma della Fini-Giovanardi che prevede oggi la possibilità della certificazione delle tossicodipendenze anche a comunità o soggetti privati. Con la riforma la certificazione potrà essere fatta solo dalle strutture pubbliche. Il ministro ha anche spiegato che si sta lavorando per inserire parti specifiche nella nuova legge sulle politiche di riduzione del danno, mentre si tenterà anche una sperimentazione sul fronte dell’allerta rapida, che funziona in altri paesi (analizzare subito in caso di ricovero per overdose le sostanze utilizzate).

Droghe: Mantovano (An); da irresponsabili non punire consumo

 

Redattore Sociale, 9 febbraio 2007

 

Dibattito relativamente tranquillo al Senato alla presentazione del ddl governativo sulle droghe da parte di Ferrero. Gramazio (An) abbandona l’aula. Binetti (Dl): pensare ai quarantenni in crisi esistenziale.

L’audizione del ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero al Senato è stata oggi più tranquilla di quello che ci si poteva attendere. Gli interventi anche dei senatori dei partiti di opposizione sono stati all’insegna di un tono dialogante, anche se a un certo punto un episodio ha riscaldato il clima. Il senatore di An, Gramazio, è uscito per protesta dalla sala della Commissione Sanità, sostenendo di non voler ascoltare un ministro che dice palesemente il falso.

Si riferiva al fatto che Ferrero avrebbe detto che Susanna Ronconi, ex brigatista rossa, oggi membro della consulta sulle droghe si sarebbe pentita. Il ministro, dopo l’uscita del senatore, ha spiegato di un aver mai parlato di pentimento giudiziario, ma di modificazione dello stile di vita da parte della Ronconi, che "è stata proposta per la consulta dalle associazioni del settore e che è stata scelta per le sue conoscenze scientifiche".

Dopo l’audizione, un altro attacco è arrivato dal senatore Alfredo Mantovano (An) che accusa Ferrero di "irresponsabilità". "Per il ministro della Solidarietà sociale - dice Mantovano - la sanzione al comportamento di chi, assumendo droga, rischia di fare male a terzi deve scattare solo quando le lesioni si producono concretamente. Se valesse l’identico principio a proposito dell’ambiente o dei luoghi di lavoro, bisognerebbe attendere i disastri ecologici o le "morti bianche" per applicare le sanzioni, dovendosi invece fermare se ci si limita a realizzare discariche abusive o a non dotare i cantieri di misure di sicurezza".

Durante l’audizione sono state poste alte critiche, sempre comunque con un tono abbastanza tranquillo, al ministro. La senatrice Binetti, per esempio, ha detto che è giusto distinguere tra il grande traffico di droga e il piccolo spacciatore, ma bisogna anche considerare che spesso l’assuntore di droghe è anche microspacciatore, come dimostrano le inchieste giornalistiche di questi giorni sulla cocaina. La senatrice Binetti ha anche ricordato che per la cocaina bisogna tener presente un target particolare, che è quello dei quarantenni in crisi esistenziale.

Anche a loro bisogna rivolgersi direttamente. Un altro accenno di polemica è relativo all’immigrazione. Molti degli spacciatori - ha detto Binetti - sono anche immigrati. Ma su questo il ministro Ferrero ha voluto rispondere prontamente. Le nuove norme sulle doghe dovranno marciare di pari passo con la modifica delle leggi sull’immigrazione: il tentativo è proprio quello di ridurre le entrare illegali e quindi isolare la quota di criminalità presente oggi tra gli immigrati.

Molti degli interventi hanno fatto poi riferimento ai luoghi in cui le droghe circolano più facilmente. E Ferrero ha confermato che su questo tema si dovrà lavorare con una certa sapienza. Le proposte vanno dal monitoraggio, alle forme di comunicazione, fino all’applicazione degli esperimenti di formatori-informatori alla pari, ovvero della stessa età. Ferrero, rispondendo alle domande e agli interventi dei senatori, ha anche confermato che negli ultimi tempi si è registrato un aumento dell’uso della cocaina soprattutto a causa della riduzione dei prezzi.

Droghe: Toscana; assessore Rossi contrario a "stanze del buco"

 

Redattore Sociale, 9 febbraio 2007

 

"Sono sempre ben disposto a discutere, a confrontarmi, a cercare di capire le diverse esperienze e soluzioni, soprattutto in una materia complessa e delicata quale quella della lotta alle dipendenze. Ma per quanto riguarda il merito non posso che confermare la valutazione negativa che ho già espresso a suo tempo". Questo il commento dell’assessore per il diritto alla salute Enrico Rossi intorno all’esperienza delle cosiddette "stanze del buco".

L’argomento è stato nuovamente portato alla ribalta dai consiglieri regionali della Commissione sanità, Fabio Roggiolani, Filippo Fossati e Luca Ciabatti, che hanno compiuto una visita al centro Baluart di Barcellona, dove sono attive da anni le "safe injection rooms". Già nei mesi scorsi l’assessore Rossi aveva espresso le sue riserve in merito.

"Non vedo oggi motivo per cambiare quella valutazione. Verificare e approfondire è necessario, ma continuare a tenere la discussione bloccata su questo aspetto del problema rischia di produrre solo tensioni e divisioni, che poi inevitabilmente si ripercuotono su chi sta male e ha problemi di cura, attenzione, ascolto, assistenza.

Mi sembra tra l’altro che uno dei temi più urgenti da affrontare sia quello di come far fronte alle nuove dipendenze, a quei fenomeni emergenti che gli osservatori più attenti denunciano con crescente allarme. Mi riferisco, ad esempio, a quanto affermato proprio nei giorni scorsi dal ministro dell’interno Giuliano Amato sulla diffusione crescente dell’abuso di cocaina, e anche sul fenomeno davvero preoccupante dell’abuso di alcol, che coinvolge sempre più precocemente i giovani. A problemi nuovi dobbiamo contrapporre soluzioni nuove, secondo un modello toscano di lotta alle dipendenze che da sempre parla di prevenzione, integrazione, di inclusione, di presa in carico, che moltiplica gli strumenti di intervento e li rende adatti alle varie esigenze e al mutare dei comportamenti a rischio."

 

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