Rassegna stampa 1 febbraio

 

Giustizia: Ferrara (Dap); riformare il carcere, adesso o mai più

 

Famiglia Cristiana, 1 febbraio 2007

 

"È un’occasione irripetibile, ma anche la politica deve darci una mano". Ettore Ferrara, che dopo aver ricoperto l’incarico di capo gabinetto del ministro della Giustizia, dal 5 dicembre è direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è convinto che "il carcere debba restare l’estrema soluzione per chi delinque e che debbano essere pensate sanzioni alternative alla detenzione. Misure che servano a favorire un effettivo impegno per il recupero di chi ha commesso reati". "La libertà", dice Ferrara, "è un bene troppo prezioso e la sua privazione deve essere limitata solo ai casi in cui ciò sia assolutamente indispensabile".

 

In che senso dice che siamo in una situazione irripetibile?

"Prima dell’indulto avevamo una popolazione carceraria di circa 65 mila persone. Questa presenza rendeva il carcere ingestibile, sia per i rischi connessi a questo affollamento, sia perché il numero eccessivo di detenuti diventava un ostacolo insuperabile all’applicazione di una pena che si ispirasse ai principi di umanità, come vuole la nostra Costituzione. Con l’indulto il numero è sceso al di sotto delle 40 mila unità. Lo svuotamento delle carceri ci fornisce un’occasione irripetibile per cercare di recuperare quel progetto di rieducazione della pena sancito dall’art. 27 della Costituzione".

 

In che modo pensate di sfruttare questa occasione?

"Nel momento in cui la popolazione carceraria non è più esorbitante ci sono già di per sé delle condizioni di maggior rispetto della dignità della persona. Ma non ci fermiamo qui. Stiamo cercando di incrementare, in sinergia con le realtà che già operano sul territorio e con gli enti locali, i progetti orientati al sostegno, all’orientamento professionale e all’inserimento lavorativo. Vorrei ricordare che il lavoro fa parte del cosiddetto "trattamento" ed è un obbligo per l’amministrazione penitenziaria. Fra l’altro, è proprio l’inserimento lavorativo che può evitare le recidive. Il lavoro, sia perché sottrae il detenuto all’ozio e ai rischi connessi, sia perché lo prepara a un’attività nuova, alternativa al delinquere, è di importanza fondamentale. E poi vanno recuperate le relazioni, soprattutto con la famiglia; va favorito lo studio, il rapporto con la religione. Il condannato non può essere considerato un rifiuto della società. Ce lo impone la morale e ce lo impone la Costituzione. Il condannato è come un malato che si porta in un istituto perché sia oggetto di una particolare "terapia" che deve tendere a recuperare la sua umanità e a reinserirlo nella convivenza civile. Certezza della pena non vuol dire una pena che non sia umana".

 

Con quali fondi e con quale sostegno portare avanti questi progetti?

"Per quanto riguarda il reinserimento lavorativo, questo Dipartimento ha stanziato, all’indomani dell’indulto, circa 3 milioni di euro prelevandoli dalla Cassa delle ammende, cioè la Cassa dove confluiscono talune sanzioni pecuniarie. Dal canto suo, il ministero del Lavoro ha stanziato 10 milioni di euro. I finanziamenti sono stati erogati al 31 dicembre dello scorso anno in relazione ai progetti che abbiamo sollecitato ai nostri provveditorati regionali. Anche in questa occasione contiamo molto sull’apporto del volontariato, delle cooperative sociali, delle associazioni. Nonché sull’aiuto e il sostegno, che abbiamo sempre avuto, dei cappellani penitenziari. Attualmente nelle carceri italiane sono impegnati 1.811 assistenti volontari e altri 5.400 operatori a titolo gratuito. Le associazioni che operano in ambito carcerario sono 513. Questi numeri stanno a significare l’importanza che tali realtà rappresentano per il sistema penitenziario. È innegabile che esse siano una risorsa imprescindibile sia per le attività di risocializzazione che per quelle di sostegno materiale e spirituale. Il nostro interesse è volto a stimolare e valorizzare ancora di più questa risorsa, con la stipula di convenzioni e protocolli d’intesa con le associazioni di volontariato".

 

Sull’indulto c’è stato un qualche allarme sociale. Avete pensato di affrontare la questione "opinione pubblica"?

"Ci vorrebbe una maggiore conoscenza della realtà carceraria e anche una informazione corretta sull’indulto. Anche noi avremmo dovuto, forse, comunicare meglio. I detenuti usciti che sono tornati a delinquere sono molto pochi rispetto al totale di chi ha beneficiato del provvedimento, siamo rimasti in una misura fisiologica. L’allarme sociale che si è ingenerato non era giustificato dai numeri. Non voglio comunque sottovalutare la paura e il timore dei cittadini rispetto a questo. Penso però che i benefici che derivano dall’applicazione dell’indulto siano così importanti da giustificare pienamente il provvedimento di clemenza adottato dal Parlamento".

Giustizia: Garante dei detenuti, svegliamoci dal torpore

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Fuoriluogo, 1 febbraio 2007

 

Ci avevano detto che dopo l’indulto ci sarebbero state le riforme strutturali per evitare nuove ondate progressive di affollamento penitenziario. Al momento abbiamo la promessa di nuove norme penali sui temi più disparati, ma di deflazionare il sistema dei reati ancora non se ne parla. Fortunatamente è però approdato in aula a Montecitorio il progetto di legge che istituisce la Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

L’istituzione del Garante delle persone private della libertà è regolamentata quale sezione specializzata della Commissione nazionale sui diritti umani. Esso ha il compito di monitorare il rispetto dei diritti umani nei luoghi di detenzione (carceri, caserme, commissariati, ospedali psichiatrici giudiziari, istituti penali per minorenni, centri di permanenza e assistenza per stranieri) ove può accedervi senza obbligo di preavviso né restrizioni di sorta.

Era il 1997 quando in un convegno a Padova si parlò per la prima volta in Italia di Prison Ombudsman. Si prendeva atto del venir meno nella prassi del ruolo di controllore della legalità intra-muraria della magistratura di sorveglianza, si ragionava introno alle esperienze di altri paesi europei, si auspicava la nascita di figure indipendenti di controllo della vita interna ai luoghi di reclusione allo scopo di assicurare il rispetto della legge e la tutela dei diritti fondamentali delle persone a qualsiasi titolo detenute. Nel frattempo sono passati dieci anni e il centro-sinistra è tornato al governo del Paese e della giustizia, dopo un quinquennio dove il sistema penitenziario ha vissuto anni bui e pericolosi, rischiando il collasso. In questi dieci anni sono successe almeno tre cose significative dal punto di vista politico: l’Italia ha firmato nel 2003, seppur non ha ancora ratificato, il protocollo alla Convenzione Onu contro la tortura che obbliga tutti gli Stati a istituire organismi nazionali indipendenti di controllo dei luoghi detentivi; a partire dal Comune di Roma sono nate, in giro per l’Italia, figure di garanzia delle persone private della libertà, istituite da comuni, province, regioni; sono state approvate nel gennaio del 2006 le Regole penitenziarie europee che fanno esplicito riferimento alla necessità di prevedere organismi di ispezione e monitoraggio delle carceri. Sembra che ora siamo arrivati alla soglia della approvazione della proposta di legge da parte della Camera. A seguire bisognerà superare le forche caudine del Senato. Speriamo che ciò accada in tempi ragionevoli. L’Italia ha bisogno di uscire dal torpore normativo sui diritti umani che l’ha caratterizzata negli ultimi anni. Ma ha anche bisogno di superare l’idea che solo nelle aule di tribunale e con giudici e avvocati si difendono i diritti.

Giustizia: medici e sindacati; nelle carceri è emergenza sanitaria

 

L’Unità, 1 febbraio 2007

 

Tredici milioni in meno per far funzionare le carceri dove cresce il numero di tossicodipendenti, sofferenti psichici, cardiopatici e sieropositivi. E mentre il governo vara la riforma della sanità dietro le sbarre scoppia la protesta dei sindacati che chiedono strutture alternative per "quelli che devono stare altrove". Sono i nuovi problemi con cui devono fare i conti, ogni giorno, i volontari delle associazioni che prestano assistenza in carcere ma anche il personale che in carcere lavora ogni giorno.

A sollevare il problema rimarcando la "necessità di interventi strutturali e finanziari per rendere le carceri comunque più vivibili" è Fabrizio Rossetti, della segreteria nazionale della Funzione pubblica della Cgil. "La nuova finanziaria prevede un taglio di tredici milioni di euro per il sistema carcerario - spiega- e questo vuol dire riduzione dei servizi di assistenza e tagli al personale". Poco importa poi se con l’entrata in vigore dell’indulto dalle carceri sono uscite quasi ventimila persone e,oggi, dietro le sbarre non ci sia popolazione in sovraffollamento come un anno fa. "È vero che l’indulto ha fatto uscire parecchie persone e quindi ha risolto alcuni casi al limite della sopportazione - aggiunge - ma è anche vero che chi sta dentro deve comunque fare i conti con i disagi e quello che comporta stare dentro una prigione".

Una posizione condivisa anche dall’associazione medici dell’amministrazione penitenziaria che proprio i giorni scorsi ha inviato una lettera al presidente della repubblica Giorgio Napolitano. "La situazione nelle carceri Italiane con i tossicodipendenti, sofferenti psichici sieropositivi, cardiopatici e con varie patologie respiratorie (buona parte degli extracomunitari reclusi sono affetti da Tbc) o peggio oncologiche - scrive l’associazione dei medici - di giorno in giorno si fa sempre più critica". Il taglio delle risorse poi avrà una ripercussione e conseguenze anche nell’organico. A sentire i medici dell’associazione ma anche i sindacati, rischiano di trovarsi senza lavoro 1400 persone divise tra medici, infermieri, educatori e ausiliari. Personale che in carcere ha lavorato sino a oggi con contratti a tempo determinato.

"Questo taglio, assurdo, - scrivono ancora i medici - ha già prodotto risultati drammatici nell’approvvigionamento dei farmaci salvavita". Che sono poi gli anti ipertensivi, insuline, interferone, usato nei pazienti con epatite C, malattia "di cui sono affetti praticamente le migliaia di detenuti tossicodipendenti". Senza dimenticare poi le risorse per i "pezzi di ricambio" per i macchinari sanitari. Basti l’esempio del defibrillatore "indispensabile per le rianimazioni" soprattutto quando ci sono tentativi di suicidio da parte di detenuti.

A provocare nuove proteste, soprattutto tra le organizzazioni sindacali, la riforma sanitaria dietro le sbarre. Per la precisione, Una situazione che i sindacati hanno da tempo segnalato sia al ministro della Giustizia sia al ministro della Salute. Non è certo un caso che, proprio qualche giorno fa dalla Cgil sia partita una nuova lettera al ministro della Salute Livia Turco. "L’applicazione della riforma della medicina penitenziaria e del doveroso trasferimento delle funzioni di assistenza dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale, così come disposto dal decreto legislativo - scrive Rossana Dettori della segreteria nazionale della Funzione pubblica Cgil - stanno per produrre una ipotesi di percorso che giudichiamo riduttiva, confusa ed assolutamente non rispondente ai principi ispiratori della legge 419/98". Che tradotto, come spiega poi la sindacalista vuol dire una cosa: trasferimento delle funzioni relative alla medicina specialistica al sistema sanitario nazionale, lasciando nelle responsabilità della Giustizia tutta la medicina di base.

Giustizia: storia di Eduard, che si è cucito la bocca a Rebibbia

 

L’Unità, 1 febbraio 2007

 

In carcere non ci voleva stare, sarebbe voluto rientrare nel suo paese, e per questo motivo chiedeva di poter avere colloqui con la sua ambasciata e il suo giudice di sorveglianza. I colloqui, come ha poi spiegato all’ospedale, "non ci sono stati" e allora per protesta si è conficcato un paio di forbici nel collo, un chiodo sulla fronte e si è cucito la bocca con cinque giri di filo di rame. Un gesto disperato e drammatico non nuovo per Eduard, romeno di 29 anni che stava scontando una condanna a 10 mesi di reclusione al carcere Regina Coeli di Roma.

Dietro le sbarre ci era finito nel 2005 per un furto. Scarcerato il 15 gennaio 2006 era stato riarrestato e condannato a dieci mesi di reclusione il 7 agosto sempre per un furto. In carcere però non ci voleva stare. E, come hanno poi spiegato anche i rappresentanti delle associazioni di volontariato giudiziario e lo stesso garante per i diritti dei detenuti "non ci doveva stare". Per questo motivo, il giovane detenuto aveva chiesto, come ha poi detto, di avere un colloquio con il rappresentante della sua ambasciata e con il magistrato di sorveglianza.

Richieste, a suo dire, rimaste senza risposta che però hanno fatto precipitare la situazione dentro il carcere. Anche se alla fine della pena mancavano solamente quattro mesi. centoventi giorni da passare dietro le sbarre. Troppo per Eduard che, nella cella di Regina Coeli mostrava segni di insofferenza e rabbia. Immediata la reazione del giovane che ha deciso quindi di cucirsi la bocca e sistemarsi i chiodi e le forbici nella pelle. A nulla sono serviti i tentativi degli uomini della polizia penitenziaria che hanno cercato di evitare che l’uomo continuasse a farsi male con i ferri.

Eduard, come ha poi denunciato Angiolo Marroni, garante regionale dei diritti dei detenuti, "in carcere non ci sarebbe dovuto stare - ha denunciato -è drammaticamente chiaro che Eduard avrebbe dovuto scontare la pena lontano dal carcere". Non fosse altro perché, come prosegue la denuncia del garante "anche in passato aveva compiuto altri atti di autolesionismo". Violenze cui ha poi aggiunto lo sciopero della fame. Un tentativo disperato per far sentire la sua voce, finito poi all’ospedale.

Palermo: progetto inserimento lavorativo per 60 ex detenuti

 

Redattore Sociale, 1 febbraio 2007

 

A Palermo potranno farlo con il sostegno economico dell’amministrazione penitenziaria: progetto finanziato con 270 mila euro dalla Cassa delle ammende del Ministero. E presto corsi di formazione per le professioni del mare.

Sessanta ex detenuti di Palermo usciti dal carcere con l’indulto potranno avviare un’attività lavorativa. Potranno farlo con il sostegno economico che verrà dato loro dall’amministrazione penitenziaria regionale. Il progetto è già stato approvato ed è finanziato per una cifra di 270 mila euro dalla Cassa delle ammende del Ministero della Giustizia. L’obiettivo è quello di reinserire socialmente coloro che da poco hanno lasciato il carcere ed evitare che, per mancanza di lavoro, possano commettere altri reati.

"L’iniziativa - ha dichiarato ai microfoni di una radio locale, Orazio Faramo, provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Sicilia, - si inserisce nell’ambito della nostra funzione principale, quella di ricondurre ai canoni della società i soggetti che si trovano nelle nostre strutture". Spetterà poi ai servizi sociali territoriali dell’amministrazione penitenziaria sia raccogliere le proposte degli interessati che destinare i fondi alle attività lavorative ritenute più adatte, dopo avere analizzato le situazioni dei richiedenti.

I sessanta ex detenuti riceveranno un contributo per pagare le spese di affitto ed acquistare le attrezzature necessarie all’avvio dell’attività lavorativa. Inoltre saranno snellite le normali procedure finalizzate a poter ottenere le licenze lavorative. Sempre nell’ambito dei percorsi per la rieducazione dei carcerati attraverso il lavoro, il 9 marzo sarà previsto un convegno a Palermo presso il Castello Utveggio avente come tema i mestieri del mare. Per l’occasione, saranno presenti esperti del settore, docenti universitari, esponenti politici e rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria.

Secondo quanto ha reso noto Orazio Faramo, da questo incontro dovrebbe scaturire l’idea di fare partire al più presto dei corsi di formazione per le professioni del mare a favore di detenuti che si trovano reclusi in carceri di località marittime, come l’isola di Favignana, Sciacca e Trapani.

Roma: il Prefetto; aumenta l'insofferenza verso gli immigrati

 

Il Giornale, 1 febbraio 2007

 

"In una città accogliente come la nostra sta crescendo sempre di più l’insofferenza verso gli immigrati e tra breve si finirà per fare di tutta l’erba un fascio. Ho paura che se la situazione dovesse rimanere inalterata, col tempo assisteremo alla creazione di vere e proprie ronde, gruppi di cittadini armati di bastoni con la seria intenzione di farsi giustizia da soli". È questo l’allarme lanciato ieri pomeriggio dal prefetto Achille Serra nel corso di una lezione tenuta davanti ai praticanti della Scuola superiore di giornalismo della Luiss.

"La mia preoccupazione sale - ha detto Serra - ora che sono state aperte le frontiere di Romania e Bulgaria. Così il tasso di criminalità salirà ancora perché questa gente arriva a Roma senza nemmeno un soldo in tasca e va a rubare. Già oggi su 1.000 detenuti a Regina Coeli 600 sono stranieri di cui 400 clandestini. L’insicurezza della gente non fa che crescere".

In particolare Serra si è voluto soffermare a lungo sui comportamenti da lui definiti "antisociali" tenuti dagli zingari e sul modello di vita che essi conducono: "I campi in cui i rom alloggiano - ha spiegato il Prefetto - sono depositi di autovetture rubate dove si consumano forme di riciclaggio di ogni genere. Quando una mattina mi è capitato di andare a visitarli ho trovato ragazzini che giocavano a calcio anziché essere a scuola.

E quando chiedevo spiegazioni di questo atteggiamento all’unica donna che mi era venuta incontro, questa si giustificava dicendo che tutti avevano il morbillo o altre malattie". Giusto ieri, per 37 genitori di bimbi nomadi che risiedono nel campo di Tor dè Cenci è scattata una denuncia per inosservanza all’obbligo dell’istruzione elementare di minori, in seguito al lavoro degli agenti del commissariato Spinaceto. "Il punto - ha affermato Serra - è che non c’è nessuno che si preoccupi di controllarli: a quell’ora le madri sono impegnate in metropolitana con le borse delle signore.

E non è tutto: queste persone rischiano di tagliare l’Italia in due. Tra breve, a causa dei furti di rame sui binari, un treno diretto a Napoli per entrare a Roma dovrà fare il giro lungo, arrivare prima in periferia e poi ritornare indietro. Un sabato di poche settimane fa un gruppo di carabinieri, dopo un appostamento di tre giorni e tre notti, ha sorpreso dodici persone intente a rubare quel prezioso metallo lungo una linea ferroviaria.

Anziché arrestarli li hanno seguiti fino a un deposito dove ne nascondevano ben venticinque tonnellate. Ebbene, li hanno arrestati e lunedì erano già liberi. Il motivo del loro rilascio? Non c’è alcun pericolo che scappino. Lo credo bene, tanto un Paese come il nostro non lo troveranno mai". Un altro dettaglio inquietante rivelato da Serra è quello dei poliziotti e carabinieri che vengono sottratti alla lotta alla criminalità: "Il problema del numero delle scorte - ha precisato - non è migliorato con il cambio di governo, anzi è peggiorato, perché alle nuove si sommano le vecchie, concesse a chi non vuole rinunciare all’autista e all’auto blu. Tra posti fissi e scorte, sono impegnati tremila uomini".

Per risolvere quest’emergenza proprio ieri il senatore Domenico Gramazio di An ha presentato un’interrogazione al ministro Amato affinché vengano potenziati i servizi di polizia e carabinieri e ha chiesto l’intervento anche del Prefetto: "Sale l’allarme - ha detto Gramazio - sulla crescita di furti e rapine evidenziando un aumento della microcriminalità nei confronti dei cittadini e delle attività commerciali. È ora che il prefetto Serra, sempre attivo, convochi un comitato per la sicurezza allargato ai rappresentanti politici della Capitale per mobilitare le risorse utili per combattere la criminalità in ascesa".

Immigrazione: "Commissione Amato"; Cpt devono essere svuotati

 

Redattore Sociale, 1 febbraio 2007

 

Verso lo svuotamento graduale dei Centri di permanenza temporanea. Le valutazioni della commissione voluta da Amato, che dice: "Sono solo una parte del problema clandestini". Intanto i romeni (un terzo dei presenti) sono già usciti.

Svuotamento graduale dei Cpta (centri di permanenza temporanea e assistita), modificazione degli elementi negativi più macroscopici in vista di una nuova legge, incentivazione della collaborazione tra gli immigrati irregolari e lo Stato, coinvolgimento della società civile. Il presidente Staffan De Mistura ha sintetizzato oggi le proposte elaborate dalla Commissione incaricata di redigere il rapporto sui Cpta e tutti gli altri centri presenti in Italia e ha consegnato il rapporto stesso al ministro dell’Interno, Giuliano Amato.

De Mistura ha precisato che il compito della Commissione - che ha potuto visitare tutti i centri e parlare con tutti - era quello di fornire un quadro completo della situazione attuale, individuando le criticità più importanti e avanzare le proposte di cambiamento al governo. La palla passa ora alla politica, anche se l’indagine svolta dalla Commissione permette di avere il primo vero quadro di questi centri e di tutte le loro assurdità e paradossi. De Mistura ha detto per esempio che molte delle persone che sono transitate per i centri non avrebbero proprio dovute esserci, mentre si verificano casi paradossali di persone immigrate che pure essendo state in carcere, prima di essere portate nei Cpta non sono state identificate.

Il ministro Amato ha detto che se chiudere i Cpt facesse "scomparire l’asprezza dell’immigrazione clandestina li chiuderei tutti. Ma i centri di permanenza temporanea sono solo parte di un problema più ampio". Il ministro non si è sbilanciato sui tempi delle modificazioni legislative, ma ha anche detto che le proposte contenute nel rapporto potrebbero intanto contribuire a ridurre "il girone dei dannati, ovvero di tutte quelle persone (che aumentano ogni anno) che girano a vuoto tra le carceri e i centri di permanenza temporanea in tutta l’Europa". I Cpta - comunque, ha evidenziato De Mistura - non funzionano e non hanno alcun senso. Basti vedere le cifre. I questori italiani decretano infatti l’espulsione di circa 60 mila persone all’anno, mentre la popolazione media dei Cpta oscilla intorno alle 22 mila persone.

Il ministro Amato, rispondendo alle domande dei giornalisti durante la conferenza stampa al Viminale, ha anche spiegato che la politica sui centri di accoglienza e permanenza non può essere estrapolata e separata dal resto delle politiche sull’immigrazione. Bisogna però avere pazienza nel trovare le soluzioni e cominciare a studiare il problema in modo serio, così come ha fatto la Commissione presieduta da De Mistura. Una delle scoperte che sono emerse per esempio dal lavoro della Commissione è relativa alla presenza in questi centri di immigrati romeni irregolari. Ebbene, ha detto Amato, con l’allargamento dell’Europa abbiamo risolto un terzo del problema, visto che la Commissione De Mistura ha scoperto che un terzo degli immigrati detenuti nei Cpta era composta proprio da romeni che ora quindi usciranno essendo diventati cittadini europei.

Immigrazione: Ferrero; i Cpt hanno fallito, dobbiamo superarli

 

Redattore Sociale, 1 febbraio 2007

 

Il ministro della Solidarietà sociale commenta le conclusioni di De Mistura. "I Cpt possono essere svuotati da subito riorganizzando il sistema delle identificazioni, a partire dal carcere, e superati con l’abrogazione della Bossi-Fini".

Ieri il presidente Staffan De Mistura ha sintetizzato le proposte elaborate dalla Commissione incaricata di redigere il rapporto sui Cpta e tutti gli altri centri presenti in Italia. Lo stesso De Mistura ha consegnato il rapporto al ministro dell’Interno, Giuliano Amato.

Sull’esito della relazione della Commissione ha espresso considerazioni anche il Ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero. Che ha affermato: "In primo luogo voglio ringraziare la ‘Commissione per le verifiche e le strategie dei centri’, presieduta da Stefan De Mistura per l’enorme ed importantissimo lavoro fatto.

I risultati a cui arriva la Commissione mi paiono inequivocabili in quanto la Commissione "ritiene che il sistema attuale di trattenimento: non risponde alle complesse problematiche del fenomeno; non consente una gestione efficace dell’immigrazione irregolare; richiede alcuni miglioramenti nel caso dei diritti dei migranti; comporta gravi disagi alle forze dell’ordine, nonché disagi alle persone trattenute; comporta costi elevatissimi con risultati non commisurati". Non a caso De Mistura aggiunge: "se fossimo una azienda privata avremmo dovuto dichiarare fallimento".

Continua Ferrero: "A questo commento è bene affiancare gli importantissimi elementi analitici che la commissione ci presenta, quando ci dice che: nonostante i dati incompleti che la commissione ha avuto a disposizione, si evince che una percentuale poco inferiore al 50% di chi è stato trattenuto in un Cpt arriva dal carcere; il 30% dei trattenuti nei Cpt erano già identificati; il 31% dei trattenuti è composto da cittadini rumeni, oggi comunitari; il 4% dei trattenuti è composto da richiedenti asilo".

"Questi dati - conclude Ferrero -, che sul piano matematico non sono ovviamente sommabili, ci dicono però con chiarezza che il sistema dei Cpt oltre a non essere rispettoso delle regole democratiche del nostro paese non è per nulla necessario. È infatti evidente che gli stranieri che finiscono in carcere possono essere tranquillamente identificati in carcere e che per i rimanenti cittadini stranieri da identificare non è necessaria una struttura costosa e inefficace quale quella dei Cpt. Il compito dell’identificazione degli stranieri può cioè essere assai più efficacemente svolto senza i costosissimi Cpt. I Cpt possono quindi essere svuotati da subito con una riorganizzazione del sistema delle identificazioni - a partire dal carcere - e definitivamente superati con l’abrogazione della Bossi-Fini".

Immigrazione: Acli; su Cpt recepire indicazioni Commissione

 

Redattore Sociale, 1 febbraio 2007

 

Il presidente Olivero: "Ci sono situazioni di ingiustizia e sofferenza. Non è necessario attendere l’approvazione di una nuova legge per iniziare lo svuotamento dei Centri di permanenza".

Apprezzamento da parte delle Acli per il lavoro svolto dalla Commissione di indagine sui Centri di permanenza temporanea (Cpt) guidata dall’ambasciatore De Mistura e istituita dal ministro dell’Interno Amato. Le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani condividono nella sostanza i risultati presentati ieri pomeriggio al Viminale ed auspicano "che le indicazioni emerse siano recepite al più presto dal Governo, sia nei termini di una modifica della legge sull’immigrazione, sia sul piano dei provvedimenti che possono immediatamente essere presi a livello amministrativo".

"Ci sono situazioni di ingiustizia e di sofferenza - afferma il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero - cui si può e si deve porre rimedio in tempi rapidi. Non è necessario attendere l’approvazione di una nuova legge per iniziare lo svuotamento dei Centri di permanenza. Alcuni possono essere ‘chiusi’ già da subito, come quello di Torino. Si inizi intanto col riconsiderare le norme che regolano sia l’accesso ai Cpt, che vanno aperti alla collaborazione delle istituzioni territoriali e delle associazioni, sia la vita all’interno delle strutture".

L’attività della Commissione - spiegano le Acli - ha permesso per la prima volta di monitorare in tempo relativamente breve la reale situazione di tali strutture, nonché le problematiche umane, giuridiche e sociali ad esse connesse. "Il rapporto finale, redatto in maniera unanime da un insieme di soggetti autorevoli ed eterogenei, è il risultato di uno sforzo forte e di un lavoro serio ed autonomo, di cui va dato atto al presidente De Mistura ed al ministro che questa Commissione ha istituito".

Immigrazione: Arci; condividiamo le "linee guida" del governo

 

Redattore Sociale, 1 febbraio 2007

 

Il presidente nazionale, Paolo Beni: "Si tratta di una svolta, che tiene conto delle nostre sollecitazioni. Restiamo convinti che la detenzione nei Cpt rappresenti un illecito giuridico".

"Sulle linee per una nuova politica sull’immigrazione che i ministri Amato e Ferrero hanno esposto nell’assemblea convocata dal Tavolo Immigrazione e sul rapporto della Commissione De Mistura sui Cpt presentato ieri alla stampa, crediamo vada fatta una valutazione di metodo, oltre che di merito". Così Paolo Beni, presidente nazionale dell’Arci, che continua: "Sul metodo. Siamo convinti che già di per sé rappresenti una svolta e risponda alle sollecitazioni che tante organizzazioni, tra cui la nostra, avevano fatto perché il governo si aprisse all’ascolto e al confronto su una materia come l’immigrazione troppo spesso trattata in maniera ideologica e superficiale.

Il nuovo disegno di legge delega sulla materia, anticipato nelle sue linee generali - continua -, vede la luce dopo un fitto giro di incontri dei ministri con associazioni, sindacati, cittadine e cittadini immigrati. La stessa scelta di anticiparne i contenuti in un’affollata assemblea accettando il confronto con i cittadini è un passo significativo nella direzione di quel rapporto diverso tra governanti e governati che da tempo chiediamo. Le proposte presentate segnano, anche nel merito, quella svolta che auspicavamo: l’immigrazione non è più affrontata come un problema principalmente di ordine pubblico, ma come un fenomeno del nostro tempo, che riguarda la vita di centinaia di migliaia donne e uomini, persone con una storia, una cultura e un bagaglio di diritti che vanno rispettati".

"Anche il percorso con cui si è giunti alla redazione del rapporto De Mistura sui Cpt ci è sembrato condivisibile - continua Beni -. Si è scelto un metodo che portasse al superamento delle diversità - che pure ci sono - sul destino dei centri di permanenza attraverso l’inchiesta sul campo. Il rapporto offre per la prima volta un utile materiale di conoscenza, sulla cui base fondare opinioni e giudizi, magari non coincidenti ma sicuramente non ideologici".

E conclude: "Nel merito, riteniamo importante che la Commissione abbia raccolto molte delle nostre osservazioni, alcune delle quali si sono tradotte in ‘raccomandazioni’ al governo. Vogliamo sottolineare però la nostra insoddisfazione per il mantenimento, sia pure molto ridimensionato, della detenzione amministrativa. Restiamo convinti che la detenzione nei Cpt rappresenti un illecito giuridico, una misura che sottende l’esistenza di quel "diritto speciale" per i migranti di cui anche il ministro Amato ieri dichiarava l’illegittimità. Continueremo quindi a ribadire in tutte le sedi, nelle piazze come negli incontri istituzionali, che i Cpt vanno chiusi. È una battaglia di civiltà a cui non intendiamo sottrarci".

Immigrazione: tra le priorità c'è il rimpatrio volontario assistito

 

Redattore Sociale, 1 febbraio 2007

 

La Commissione De Mistura pensa ad un potenziamento dei Cpa ed auspica un unico sistema nazionale di accoglienza e protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

Una delle proposte emerse dal lavoro della Commissione De Mistura riguarda il rimpatrio volontario assistito, che oggi il ministro Amato, presente alla conferenza stampa di presentazione del rapporto sui centri di permanenza e di accoglienza, ha recepito come una delle linee guida della riforma dell’immigrazione che il governo sta preparando per sostituire la Bossi-Fini. La Commissione ha elaborato una serie di proposte che saranno utilizzate appunto nel processo di riforma legislativa. Prima di tutto la Commissione auspica appunto una riforma normativa che preveda un unico sistema nazionale di accoglienza e protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Si tratta di far evolvere il sistema di protezione attuale (Sprar).

La Commissione auspica inoltre che vi sia una graduale sostituzione dell’attuale sistema dei centri di identificazione e che per quanto riguarda i centri di permanenza si debba attuare il più presto possibile un’operazione trasparenza. Nel rapporto si propone infatti l’accesso ai centri per gli enti, le associazioni, gli enti locali e la stampa. Si propone anche - sempre in vista di un superamento definitivo di questo tipo di strutture - l’istituzione di un difensore dei diritti delle persone private della libertà personale. La Commissione ritiene che il sistema attuale di trattenimento degli immigrati irregolari non risponde alle complesse problematiche del fenomeno, non consente una gestione efficace dell’immigrazione irregolare stessa, comporta disagi alle forze dell’ordine, nonché disagi e frustrazioni alle persone trattenute, comporta costi elevatissimi con risultati non commisurati. È necessario quindi cominciare a diversificare le risposte per categorie di persone, graduare e rendere proporzionali le misure di intervento previste e attuate, incentivare al massimo la collaborazione tra l’immigrato e l’autorità, coinvolgere la società civile alla gestione del fenomeno.

In sostanza si propone il superamento dei Cpta attraverso un processo di svuotamento graduale dei centri di tutte le categorie di persone per le quali non c’è nessuna necessità, né utilità del trattenimento. Il presidente De Mistura, durante la sua presentazione in conferenza stampa al Viminale, ha fatto anche un elenco delle persone che non devono assolutamente stare nei Cpta. In particolare De Mistura ha parlato degli ex detenuti che dovrebbero essere identificati e, se espulsi, rimpatriati a fine pena direttamente dalle carceri. Nei Cpta non dovrebbero neppure starci tutte le potenziali vittime di tratta o di grave sfruttamento del lavoro che dovrebbero essere orientati verso la protezione sociale con rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo.

Nei Cpta non dovrebbero neppure transitare - si legge nel rapporto - cittadini non comunitari irregolari "di ritorno" (overstayers) che dovrebbero poter ottenere un soggiorno per ricerca di lavoro e quindi una opportunità di tornare alla regolarità, o qualora questo non sia possibile, aderire a un programma di rimpatrio concordato ed assistito. Infine una categoria che non deve stare nei Cpta è quella dei cittadini non comunitari, entrati irregolarmente nel territorio, che collaborano per la loro identificazione e aderiscono al programma di rimpatrio concordato. Al contrario dei Cpta, che in prospettiva vanno superati definitivamente (il governo non parla ancora esplicitamente di chiusura, ma si è avviato un processo in quel senso), secondo il presidente della Commissione De Mistura, andrebbero potenziati i Cpa, i centri di accoglienza.

Immigrazione: Verdi; gli ex detenuti non andranno più nei Cpt

 

Equologia, 1 febbraio 2007

 

"Finalmente si punta a superare l’approccio punitivo verso gli immigrati bisognosi per trasformare i Cpt in reali centri di accoglienza". Lo ha dichiarato la deputata Verde Tana de Zulueta, a proposito del verdetto dato dalla commissione De Mistura, istituito dal ministro Amato, di chiudere i Centri di identificazione e di disporre il progressivo svuotamento dei Cpt.

" I Verdi - spiega de Zulueta - da sempre si battono per la chiusura di questi che sono in realtà centri di detenzione senza il livello minimo di vivibilità e tutela legale. Io stessa ho segnalato più volte la inaccettabile presenza in questi luoghi di donne con bambini e richiedenti asilo. Non più dunque strutture semicarcerarie e bene l’impegno a non trattenere i richiedenti asilo e nemmeno i lavoratori in possesso di permesso di soggiorno, per quanto scaduto. Non dovranno più inoltre essere trattenuti gli ex detenuti, attualmente sottoposti a una inaccettabile seconda, quanto ingiusta, detenzione. "Il Governo - conclude de Zulueta - accolga in pieno le proposte nate dalla conoscenza diretta dei centri e metta finalmente in pratica gli impegni sottoscritti nel programma dell’Unione".

Droghe: Franco Corleone digiuna a sostegno progetto riforma

 

Ansa, 1 febbraio 2007

 

Venerdì 2 febbraio Franco Corleone inizierà un digiuno di dialogo con il Parlamento per sollecitare l’immediato incardinamento della proposta di legge Boato sul tema delle droghe e delle tossicodipendenze (A.C. n. 34) e la nomina dei relatori nelle due Commissioni congiunte alla Camera, Giustizia e Affari Sociali.

La proposta Boato è stata presentata alla Camera dei Deputati all’inizio della legislatura ed è stata assegnata in sede congiunta alla Commissione Giustizia e alla Commissione Affari Sociali il 20 settembre 2006. Da allora però è rimasta chiusa in un cassetto.

La proposta, che è in linea con il programma dell’Unione sul tema, ha raccolto le firme di parlamentari di tutto il centro-sinistra e sta tuttora raccogliendo numerose adesioni tra i parlamentari. Il 23 gennaio scorso si è tenuta a Roma, presso la sala stampa della Camera, una conferenza stampa alla quale hanno partecipato vari parlamentari firmatari della proposta - tra cui Marco Boato, Carlo Leoni, Ruggero Ruggeri, Daniele Farina, Cinzia Dato - ed altrettanti esponenti della società civile e delle associazioni, operatori pubblici, consumatori ed altri soggetti che hanno dato vita in questi anni al movimento per l’abrogazione della legge Fini-Giovanardi e per la riforma della politica delle droghe.

In questa sede Franco Corleone aveva chiesto la decisione dell’incardinamento della proposta Boato con la nomina dei relatori e tutte le procedure per garantire un esame approfondito del testo ed una discussione nel Parlamento e nel Paese, entro una settimana. "Finora - spiega però Corleone - il presidente della Commissione Giustizia e il presidente della Commissione Affari Sociali non ci hanno dato una risposta. A questo punto ho deciso di iniziare da venerdì 2 febbraio un digiuno".

Per Corleone l’incardinamento della legge e la nomina dei relatori è un obiettivo minimo ma in difesa della possibilità di discussione e dibattito per le decisioni che il Parlamento deve assumere. L’iniziativa di digiuno è iniziata da Franco Corleone ma successivamente sarà sostenuta da altri esponenti del movimento che in questi anni ha contestato il colpo di mano con cui è stata votata la Fini-Giovanardi.

Droghe: il Codacons ricorre al Tar contro decreto legge "Turco"

 

Adnkronos, 1 febbraio 2007

 

Un "segnale forte" al ministro della Salute Livia Turco. Il Codacons commenta così la decisione del Tar del Lazio che, in un’ordinanza, "ha accolto" i rilievi dell’associazione a tutela dei consumatori e di "Articolo 32-Associazione per i diritti del malato" contro il decreto ministeriale che ha raddoppiato il quantitativo massimo legale di cannabis per uso personale. Il giudice amministrativo ha rinviato la decisione nel merito, come pure la richiesta di sospensiva, al prossimo 14 marzo chiedendo però al ministro della Salute di fornire adeguata documentazione a sostegno della sua decisione.

"Il ministro ha solo 45 giorni di tempo per spiegare al Tar su quali basi abbia adottato, all’interno del decreto dell’agosto scorso, il moltiplicatore 40 per fissare la dose massima a mille milligrammi anziché 500", spiega il Codacons in una nota. E dovrà "spiegare in giudizio i presupposti e le valutazioni sanitarie effettuate in sede tecnica per pervenire a tale raddoppio. I giudici della III sezione del Tar hanno inoltre ordinato alla Turco di depositare in giudizio, nello stesso termine, i documenti di riferimento assunti in materia dall’Unione europea".

Gli avvocati difensori del Codacons, Gino Giuliano e Carlo Rienzi, si dichiarano soddisfatti anche in ragione "degli ultimi dati sul consumo di sostanze stupefacenti in Italia dal 2001 a oggi, da cui emerge che i giovani fumatori di spinelli sono passati da 1 milione e 900 mila a 3 milioni 800 mila. Solo nel 2005 sono stati 500 mila i fumatori di cannabis tra i 19 e i 21 anni; nella fascia tra i 15 e i 24 anni, l’Italia con il 12% sarebbe al quarto posto in Europa tra i consumatori di spinelli", concludono.

Droghe: Boato; da Giovanardi falsificazioni in difesa sua legge

 

Adnkronos, 1 febbraio 2007

 

"Giovanardi è affezionato alla legge che è riuscito a far approvare alla fine della precedente legislatura con un vero e proprio golpe contro il Parlamento. Può essere comprensibile da parte sua la difesa di una legge punitiva e repressiva sulla droga come nessun’altra in Europa, ma ciò che non è tollerabile è la falsificazione di proposte che peraltro furono presentate prima della legge del governo Berlusconi".

Lo afferma Marco Boato, deputato dei Verdi e primo firmatario della proposta di legge in materia di depenalizzazione del consumo di sostanza stupefacenti e di misure alternative alla detenzione per i tossicodipendenti. "In particolare - aggiunge - l’eliminazione delle sanzioni amministrative per il consumo di sostanze stupefacenti fu deciso dal popolo italiano con un referendum nel 1993 e tali sanzioni sono state reintrodotte con la nefasta legge Fini-Giovanardi.

D’altra parte, sono già sufficienti le norme del codice della strada per il ritiro della patente e il sequestro dell’auto nei confronti di chi guida in stato di ubriachezza da alcool o di intossicazione da sostanze stupefacenti". "Le sanzioni amministrative che piacciono a Giovanardi conclude Boato - sono invece una applicazione di misure poliziesche e una criminalizzazione dei giovani per uno spinello".

Droghe: Lazio boccia proposta di legge su cannabis terapeutica

 

Notiziario Aduc, 1 febbraio 2007

 

In commissione Servizi sociali della Regione Lazio, con il voto trasversale di alcune forze politiche di maggioranza e opposizione (4 voti a favore e 4 contrari), è stata bocciata la proposta di legge presentata da Rifondazione comunista sull’utilizzo dei derivati della canapa indiana quale metodo di cura per determinate patologie. A darne notizia è il consigliere regionale di Alleanza nazionale nel Lazio (e membro della commissione), Francesco Lollobrigida.

"È bene ricordare che della cannabis va combattuto il consumo e la produzione, e non incentivato, come intende fare qualcuno, il libero commercio. Per queste ragioni, non possiamo che non essere d’accordo su quanto maturato stamani alla Pisana. L’utilizzo dei cannabinoidi destinati all’uso farmaceutico, del resto, almeno da parte nostra, è sempre stato respinto al mittente. Siamo convinti che, con queste proposte avanzate da una ben connotata parte politica, si voglia far percepire la cannabis come fosse una qualsiasi sostanza curativa e non, al contrario, come una devastante droga che va combattuta con ogni mezzo".

"Inoltre la maggior parte della comunità scientifica non ha ancora attribuito alcun effetto curativo particolare a questa sostanza che non si possa ottenere mediante l’utilizzo di farmaci già in commercio. Siamo lieti che, a fianco dei consiglieri di opposizione, quest’oggi siano state poste analoghe istanze da alcuni rappresentanti dell’attuale maggioranza che hanno avuto la coerenza, e il coraggio, di discernere su una materia, allo stato, ancora in fase confusionale. A questo punto, dopo il passaggio obbligatorio in commissione Sanità, riproporremo la battaglia anche in Consiglio regionale convinti di non poter abbassare la guardia rispetto a questi reiterati tentativi di rendere compatibile l’uso delle droghe con una società sana".

Droghe: intesa Arci - Forum Droghe sulla proposta di riforma

 

Notiziario Aduc, 1 febbraio 2007

 

Dopo le numerose occasioni che ci hanno visti negli anni vicini e alleati in battaglie comuni per politiche sociali e legislative che riportassero il tema droghe nel campo civile del sociale, sottraendole al linguaggio repressivo del codice penale, del carcere, della patologizzazione a tutti i costi, oggi le nostre Associazioni si riconoscono nella necessità non solo di portare a compimento questa battaglia, in un quadro politico mutato, ma anche di lavorare insieme alzando lo sguardo, verso la promozione di una diversa cultura sociale, di un diverso discorso comune sulle droghe.

La legislatura di centrodestra, infatti, non solo ha fatto della criminalizzazione dei consumatori la sua bandiera, varando una pessima legge che sta riempiendo le carceri di giovani trovati con qualche spinello in tasca, ma ha segnato anche ideologicamente la percezione sociale, riportando il consumo di droghe - un fenomeno sociale e culturale che tocca nel nostro paese milioni di persone di ogni età, ceto e cultura, solo un decimo delle quali affette da problemi sociali o sanitari a causa del consumo - dentro le categorie della devianza, del reato, della malattia.

Siamo tuttavia consapevoli che l’immagine del consumatore come deviante o malato - e dunque la questione droghe come "emergenza" e non come fenomeno sociale e culturale di massa - viene da lontano, ed è diffusa e spesso radicata nel senso comune di molti. Questa immagine ha permeato nel tempo in modo ambivalente persone, pezzi di società, culture diverse, anche a noi vicine, ha frenato amministratori locali e governi nella potenziale spinta innovativa, li ha non raramente ancorati a pratiche di controllo, securitarie, stigmatizzanti.

Nonostante le politiche proibizioniste abbiano, a livello globale come a livello locale, da decenni mostrato i loro esiti fallimentari fatti di consumi crescenti, narcomafie imperanti, spreco di risorse pubbliche e aumento di sofferenze e danni individuali e sociali, la retorica proibizionista continua a proporsi - all’Onu come nelle nostre città - contro ogni evidenza come soluzione al "problema". Quando ne è, invece, con-causa e moltiplicatore.

Ma in ogni angolo del mondo - e in Europa soprattutto - esperti, movimenti, associazioni, amministrazioni locali hanno dato vita, in forte controtendenza, a movimenti e pratiche alternative, critiche, ragionevoli. Nei Paesi ricchi, consumatori di droghe, e nei Paesi poveri, produttori di droghe, molti non si riconoscono più nella guerra alla droga dell’Onu, e si muovono per un’alternativa globale. In questo mondo, in questa Europa, noi ci riconosciamo.

Noi scegliamo oggi insieme di agire per togliere il velo alla retorica e per riportare le politiche sulle droghe alla ragionevolezza. Noi scegliamo di civilizzare le droghe, innanzitutto, sottraendole alla retorica della war on drugs, e restituendole alla società, a noi tutti, alla nostra capacità di convivere con le culture diverse, alle nostre competenze di prevenzione, autocontrollo, mediazione, ai nostri atteggiamenti e alle nostre pratiche di rispetto dei diritti e di tolleranza.

Noi scegliamo oggi insieme di lavorare insieme per portare a compimento - del resto in sintonia con gli intenti programmatici della nuova legislatura - l’uscita dal penale e il ritorno al sociale delle politiche sulle droghe, la depenalizzazione piena, l’uscita dal codice penale e dalle sanzioni amministrative dei comportamenti di consumo individuale. Abrogazione della legge Fini-Giovanardi, rapida convocazione di una nuova Conferenza Nazionale sulle droghe, varo di un nuovo testo di legge che superi limiti e ambiguità della stessa legge Jervolino-Vassalli sono un imprescindibile e immediato obiettivo politico, che include anche la difesa di un sistema di welfare adeguato, innovato e misurato alle rapide trasformazioni dei consumi e delle problematiche correlate. Riconosciamo, in questo senso, la priorità del rilancio urgente e dello sviluppo delle politiche della prevenzione e della riduzione del danno.

Noi scegliamo al contempo di promuovere, nelle città, nei contesti e nelle razioni sociali che le nostre Associazioni attraversano, un approccio culturale, sociale e politico sulle droghe che informi correttamente, dia strumenti di conoscenza, faciliti scambi e confronto per una percezione critica e ragionevole del fenomeno-droghe e dei suoi protagonisti, basata su una lettura consapevole della realtà, su uno sguardo pragmatico, sull’attenzione e il rispetto dei singoli e dei loro diritti. In questa dimensione le Regioni e la loro autonoma iniziativa legislativa diventano preziosi punti di riferimento anche per la costruzione di percorsi innovativi e nuove sperimentazioni.

Noi scegliamo di lavorare con quanti - giovani, adulti, educatori, cittadini - sperimentano, incontrano o sono variamente toccati e interrogati dal consumo di sostanze, per fare con loro informazione e prevenzione, per ridurre i danni e i rischi, per aiutare e sostenere chi ne ha bisogno.

In questo senso sarà possibile immaginare un complesso lavoro che veda coinvolto il corpo associativo Arci, le sue Case del Popolo, le sue articolate proiezioni sul territorio, luoghi di cittadinanza e partecipazione dei cittadini.

Droghe: Ostia; ecco l’ospedale che salva la vita ai "corrieri"

 

Notiziario Aduc, 1 febbraio 2007

 

È tornato alla ribalta delle cronache dopo il caso della donna venezuelana che aveva ingerito 150 ovuli per oltre due chili di cocaina. Stiamo parlando dell’ospedale Grassi di Ostia, che al suo interno ha un gruppo di dottori che negli anni si sono specializzati nel trattare i cosiddetti body packers, persone che fanno del proprio corpo un contenitore per trasportare droga.

Vent’anni di operatività e circa 1000 casi trattati, ma come ci tiene a sottolineare il dottor Remo De Bartolomeo, responsabile dell’equipe, "non esiste una vera e propria unità operativa, semplicemente un gruppo di lavoro con specializzazione all’interno della chirurgia generale e d’urgenza dell’ospedale Grassi di Ostia, che negli anni si è specializzata in body packers".

Esperienza che ha costretto i medici del Grassi a mettere a punto un vero e proprio protocollo di intervento. I corrieri vengono prima di tutto sottoposti a radiografie per accertare e conoscere la vera entità degli ovuli, numero e tipologia di droga. Dopo aver accertato che il paziente non sia un consumatore di droga, viene monitorato con le analisi delle urine per constatare l’integrità degli ovuli. Solo nel caso in cui ci fosse l’allarme di rottura i medici interverranno chirurgicamente. Normalmente il paziente, infatti, elimina gli ovuli in modo naturale, senza trattamenti invasivi.

"Il corriere viene tenuto a letto senza nessuno stimolo farmacologico che potrebbe essere dannoso. Facciamo, invece, dei controlli per verificare l’eventuale presenza di patologie che potrebbero complicare la situazione. Con questo sistema siamo riusciti a operare un numero molto basso di persone, meno del 10% tra tutti gli assistiti".

Il protocollo dell’ospedale ha, infatti, registrato in 20 anni un solo decesso per overdose di cocaina che, come spiega il medico, "provoca convulsioni molto violente, fino a disturbi del ritmo cardiaco e la fibrillazione ventricolare e anche la morte" a differenza dell’overdose di eroina che ha più possibilità di essere curata.

Sicuramente lo stimolo per gli operatori e i dottori del Grassi a crearsi una specializzazione è la vicinanza allo scalo romano di Fiumicino, dove la maggior parte dei corrieri della droga vengono fermati. Una fonte inesauribile, ci dice il dottor De Bartolomeo, "che negli anni ci ha anche permesso di fare una sorta di identikit del trafficante".

Su 1000 casi trattati, infatti, il 70% è di sesso maschile, di età compresa tra i 17 e 67 anni, per quanto riguarda la nazionalità la maggior parte è nigeriana e sud-americana, e, continua De Bartolomeo, "sono tutti ‘contenitori’ per denaro, pochissimo se si calcola il rischio, e non consumatori, spesso sottoposti a intervento chirurgico a causa complicanza legata a patologie preesistenti".

Il responsabile del gruppo di lavoro del Grassi ci parla proprio di un caso, oggetto di studio e di molte pubblicazioni, avvenuto nel 1995, "un caso che ha visto un body packers rischiare la vita perché gli ovuli di cocaina erano andati a finire in un’ernia di cui il paziente non era a conoscenza. L’intervento è stato necessario e delicatissimo e per fortuna non è costato la vita al trafficante".

Cosa c’è nel futuro di questa unità operativa non riconosciuta? De Bartolomeo risponde auspicando che "si costituisca al più presto un gruppo di competenza che, in collaborazione con le forze dell’ordine, possa tutelare la salute di quelle che per noi sono vittime del traffico di droga. Ovviamente senza ospedalizzazione, ma attraverso la creazione o l’utilizzo di strutture di osservazione e controllo sanitario".

Droghe: inchiesta di "Panorama", cocaina più usata dell'eroina

 

Adnkronos, 1 febbraio 2007

 

I cocainomani hanno superato gli eroinomani. È quanto emerge dall’inchiesta pubblicata da Panorama nel numero in edicola domani che cita i dati 2006 dei Ser.T. di Milano, i centri specializzati cui si possono rivolgere i tossicodipendenti. Il settimanale è partito dal libro dello psichiatra e psicoterapeuta Furio Ravera "Un mare di cocaina" (Rizzoli, in libreria dal 7 marzo) per studiare l’evoluzione di questa droga che, dice Ravera, "sta diventando un’epidemia".

Secondo i dati del Consiglio nazionale per le ricerche gli italiani che hanno provato almeno una volta nella vita la cocaina sono 2 milioni, mentre quelli che nel 2005 ne hanno consumato almeno una volta sono 700mila e spendono 4,2 miliardi di euro per la "polvere bianca". Per l’Istituto superiore di sanità, negli ultimi 8 anni, i consumatori sono aumentati dell’11,9% (del 17 in Lombardia, la regione leader del mercato con quasi il 39% degli utilizzatori).

Ma la crescita è sempre più forte. Il dottor Riccardo Gatti, direttore di Prevo Lab, osservatorio lombardo sulle dipendenze, ha anticipato: "Nel 2009 i consumatori italiani aumenteranno del 40-50%". Secondo gli esperti intervistati da "Panorama" questa società "cocainizzata" porta con sé almeno altri due problemi: la ricattabilità di parte della classe dirigente da parte delle organizzazioni criminali e le future, inimmaginabili, ricadute di questa epidemia sul sistema sanitario. Senza contare i danni sociali ed economici che una simile classe dirigente potrebbe arrecare al Paese.

Perù: sommossa in carcere, due detenuti uccisi e nove feriti

 

Ansa, 1 febbraio 2007

 

Due detenuti sono stati uccisi e altri nove sono rimasti feriti durante una rivolta carceraria scoppiata nel penitenziario di Tacna, a circa mille chilometri a sud di Lima. La sommossa è stata repressa dagli agenti della sicurezza. I reclusi avevano chiesto un incontro con un procuratore per denunciare i maltrattamenti subiti dalle guardie e la mancanza di generi alimentari. Il rifiuto dell’incontro ha creato disordini durati oltre sei ore.

Australia: ex detenuto di Guantanamo si candida a elezioni

 

Ansa, 1 febbraio 2007

 

L’ex detenuto di Guantanamo Mamdouh Habib ha annunciato la sua candidatura alle elezioni per la guida del governo della provincia australiana del South Wales. Habib, che è di origini egiziane, è disoccupato, ex uomo delle pulizie di un ufficio, e ha lasciato il carcere speciale militare americano nel 2005, ha precisato che il suo mandato sarà dedicato a "difendere il diritto a combattere il razzismo, la fine dell’utilizzo degli aborigeni, dei musulmani e degli immigrati, come capri espiatori". Habib era stato sospettato, ma mai incriminato formalmente come la quasi totalità delle centinaia di detenuti di Guantanamo, di essere stato addestrato a condurre attività terroristiche in Afghanistan e in Pakistan in campi di al Qaeda. Il premier uscente, candidato alle elezioni del prossimo marzo, Morris Iemma, ha denunciato che Habib deve ancora chiarire le ragioni del suo soggiorno in Afghanistan.

 

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