Rassegna stampa 19 febbraio

 

Indulto: bilancio positivo dopo sei mesi, solo l’11% di recidivi

 

Aprile on-line, 19 febbraio 2007

 

Una ricerca condotta dall’università di Torino e presentata oggi dal sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi traccia un primo bilancio del provvedimento: su 25.694 indultati, solo 2.855 sono ritornati in carcere dopo aver beneficiato dell’estinzione della pena.

Sono stati presentati oggi in via Arenula, a Roma, i primi dati relativi al tanto discusso - e temuto - provvedimento di indulto, varato il 31 luglio scorso dal governo. A sei mesi da quella contestatissima scelta dell’esecutivo, infatti, una ricerca condotta dall’università di Torino ha ridimensionato l’allarme sociale che nell’estate scorsa aveva accompagnato l’iter di approvazione del provvedimento.

Presentata oggi dal sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, dal presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella e dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Ettore Ferrara, l’indagine evidenzia come dei 25.694 detenuti dimessi dal carcere ne siano rientrati soltanto 2.855, ossia l’11% dei cosiddetti "indultati". A questo, si accompagna anche la registrazione di un trend negativo per quel che riguarda il numero di soggetti che hanno usufruito del provvedimento, progressivamente diminuiti nel corso dei mesi successivi alla sua approvazione. Dati rassicuranti a cui si aggiunge anche quello relativo ai rientri carcerari di coloro che hanno beneficiato dell’indulto ma che scontavano la pena in misura alternativa alla prigione: soltanto 352 su 17.290 sono infatti rientrati in carcere, un numero pari ad una percentuale del 6%. Tra i recidivi che hanno dovuto varcare nuovamente le soglie degli istituti di pena, ci sono soprattutto giovani (19,96% tra i 18 e i 20 anni) e di nazionalità italiana. I nostri connazionali infatti sono tornati a delinquere maggiormente rispetto agli extracomunitari: il 12,28% contro il 10,59%, di cui 1 su 5 è rientrato in carcere per aver violato la legge Bossi-Fini.

Anche sul fronte dei reati la situazione appare positiva: dopo l’indulto infatti i reati sono rimasti stabili (1.308.113 denunce tra luglio-dicembre 2005 contro 1.310.888 nello stesso periodo del 2006), dimostrando l’infondatezza dell’allarme sociale sulla "criminalità degli indultati".

Tra tutte le regioni, è la Campania quella che dimostra il maggior tasso di recidività (15,38%), superiore di circa 3,5 punti rispetto alla mediazione nazionale. Seguono poi: Liguria (14,72%), Toscana (14,26%). Abbastanza alta rispetto alla media anche la percentuale in Emilia Romagna (13,23%), e Lazio (12,15%). Meno rilevanti invece quelle di Piemonte, Veneto, Umbria, Abruzzo, Basilicata e Calabria.

Diversi invece i numeri degli scarcerati grazie all’indulto: il numero maggiore di ha riguardato la Lombardia (3665 soggetti), poi la Campania (2893), la Sicilia (2664), e il Piemonte (2263). Il numero più esiguo è stato in valle d’Aosta (150).

Tra i reati che hanno causato il ritorno degli ex detenuti in carcere predominano quelli contro il patrimonio (circa il 46,86%), seguono poi i reati di droga (14,48%), contro la persona (10,14%), in violazione della legge sulle armi (7,55%), contro la fede pubblica (7,02%) e contro la pubblica amministrazione (4,54%).

"I dati del ministero sono tranquillizzanti e mettono in crisi le interpretazioni scontate secondo cui in Italia ci sarebbe stata un’emergenza sicurezza", ha dichiarato Gonnella, evidenziando inoltre come il provvedimento "ha fatto tornare le carceri nella legalità numerica", una condizione che "non accadeva da circa 20 anni". Dopo aver approvato l’indulto però, secondo il presidente di Antigone, si deve ora provvedere a "togliere di mezzo le cause che hanno prodotto il sovraffollamento (ex Cirielli, legge sulle droghe, legge sull’immigrazione), nonché organizzare la vita interna negli istituti penali nel rispetto della legge (applicazione del regolamento penitenziario, della riforma sanitaria e di quella sul lavoro)". Una prospettiva che trova d’accordo anche Manconi secondo cui "l’indulto da solo non può portare a una riforma del sistema penitenziario, senza di esso però questa non poteva neanche essere pensata".

Mentre per quel che riguarda la ricerca che ha compiuto il primo bilancio a sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento, il sottosegretario ha evidenziato come i dati siano "estremamente positivi e confortanti, soprattutto se paragonati a l’indulto del 1990: allora furono scarcerate 10 mila persone ma, dopo solo un anno, la popolazione penitenziaria era aumentata di altrettante unità". "Oggi, ha aggiunto Manconi, ci sono 39.827 detenuti, vale a dire 980 in più rispetto a quanti erano lo scorso agosto, appena dopo l’ approvazione della misura di clemenza che diede una ‘boccata di ossigenò alle sovraffollate carceri italiane (60mila detenuti per 42mila posti)". Anche per lui, adesso si apre la strada di una riforma carceraria che passi per l’abrogazione di quelle leggi che hanno prodotto l’affollamento degli istituti.

Indulto: più recidivi italiani degli stranieri, primi i campani

 

Redattore Sociale, 19 febbraio 2007

 

Il 61,86% delle persone che hanno beneficiato del provvedimento di clemenza è composta da italiani. La maggioranza degli indultati ha tra i 25 e i 44 anni.

Interessante la parte della ricerca (curata dai sociologi dell’Università di Torino, Claudio Sarzotti, Giovanni Torrente e Giovanni Jocteau) che riguarda sia le caratteristiche sociologiche delle persone che hanno beneficiato dell’indulto sia di quelle che hanno commesso nuovi reati dopo il provvedimento di clemenza. Prima di tutto c’è da dire che l’indulto ha riguardato nella grande maggioranza soggetti di età compresa tra i 25 e i 44 anni.

Cosa che, secondo i ricercatori conferma la tendenza a commettere reati in quella fascia di età. Ma ancora più interessante è il dato relativo al rapporto tra il numero dei "dimessi" dal carcere e dei rientrati in base all’età. La percentuale più alta delle persone che hanno commesso nuovi reati dopo aver beneficiato dell’indulto si riscontra tra i ragazzi tra i 18 e i 20 anni. Su 461 "dimessi" nel periodo agosto 2006-gennaio 2007, 92 persone sono rientrate, pari al 19,96%.

Poco più bassa la percentuale dei rientri tra le persone tra i 21 e i 24 anni (13,84%) e di quella delle persone tra i 25 e i 29 anni (13,72%). Ovviamente la percentuale dei rientri si abbassa poi progressivamente con l’aumento dell’età anagrafica dei detenuti scarcerati, fino a toccare il punto più basso tra le persone con più di 70 anni (2,60%). Si tratta di dati forse ovvii o comunque intuiti, ma che i ricercatori hanno voluto sottolineare perché "tale maggiore tendenza alla recidiva da parte dei soggetti più giovani conferma quanto già verificato da altre ricerche".

Ma questo dato, sempre secondo i curatori della ricerca, mette in luce anche uno dei limiti (o almeno delle debolezze) dell’indulto. "Ci si riferisce al fatto - scrivono i sociologi di Torino - che il provvedimento di indulto non è stato accompagnato dalla programmazione di articolati interventi volti al sostegno e all’accoglienza dei soggetti dimittendi".

Altro dato interessante riguarda l’analisi per nazionalità delle persone che hanno beneficiato dell’indulto da agosto a oggi. E in particolare è interessante il dato sul rapporto tra stranieri e italiani tra le persone che sono state arrestate di nuovo (i rientri di cui abbiamo parlato nel lancio precedente) dopo il provvedimento di clemenza. Il 61,86% delle persone che hanno beneficiato dell’indulto è composta da italiani, mentre il 38,14% da stranieri. I dati sui reingressi hanno sorpreso anche i ricercatori. Il 65,27% dei soggetti rientrati in carcere è composto infatti da italiani, mentre il 34,73% da stranieri. La percentuale di reingressi tra gli italiani e gli stranieri mostra dunque una tendenza (seppure "lieve" come viene definita nella ricerca) alla maggiore recidività da parte degli italiani. Complessivamente, sempre nel primo periodo di applicazione dell’indulto (agosto-gennaio), gli stranieri mostrano un tasso di recidiva più basso rispetto a quello degli italiani. Il tasso di recidiva (cioè la tendenza a commettere nuovi reati dopo la scarcerazione) si abbassa ulteriormente se lo si analizza dal punto di vista del genere: sono le donne le meno recidive. E - altra sorpresa - tra le donne, sono le donne straniere le meno recidive. La percentuale di recidiva è infatti così distribuita: 12,49% uomini italiani, 11,14% uomini stranieri, 7,35% donne italiane, 2,58% donne straniere.

Altri dati interessanti della ricerca riguardano l’analisi geografica del fenomeno dei rientri dopo l’indulto e le storie personali (dal punto di vista penitenziario, si intende) dei beneficiari del provvedimento di clemenza. I dati elaborati nella ricerca mostrano in modo inequivocabile il nesso tra i tassi di recidiva e il numero delle precedenti carcerazioni dei beneficiari dell’indulto. Il tasso di recidiva aumenta in progressione con l’aumentare del numero delle precedenti carcerazioni. Detto in parole semplici: più si è stati in carcere e più è facile tornarci.

"I dati sull’impatto dell’esperienza carceraria nei confronti della persona che la subisce - si legge nella ricerca - paiono mostrare ancora una volta l’inefficacia del sistema sanzionatorio nella realizzazione delle proprie funzioni manifeste". Emergono quindi dall’analisi incrociata dei dati due profili diversi del beneficiario dell’indulto 2006. Da una parte ci sono le persone plurirecidive, su cui il provvedimento (se non accompagnato da altri interventi collaterali) non ha effetti rilevanti. Dall’altra ci sono le persone che sono prive di precedenti penali e che quindi - al momento di beneficiare dell’indulto - non avevano ancora assunto completamente l’identità negativa prodotta dalle frequenti carcerazioni. "Per tali soggetti, dotati di una maggiore autonomia - dicono i sociologi di Torino - è possibile ipotizzare che il provvedimento di clemenza abbia svolto un ruolo attivo nel ricondurre la vita di tali persone all’interno dei percorsi non devianti".

Per quanto riguarda i reati che erano ascritti ai beneficiari dell’indulto si scopre un altro dato interessante sugli stranieri e in generale sugli effetti delle ultime leggi sull’immigrazione. Molti dei rientri (tra gli stranieri) dopo l’indulto sono stati infatti ascritti ai reati amministrativi legati alla legge Bossi-Fini: permessi scaduti, ecc., mentre tra le tipologie di reato più rappresentate ci sono quelle contro il patrimonio (38,63%,) la legge sulla droga (14,50%) e contro la persona (12,03%). Sempre in riferimento ai tassi di recidiva è interessante notare anche la distribuzione geografica.

Al primo posto per i rientri in carcere dopo l’indulto c’è la Campania (con il 15,38%) seguita dalla Lombardia (13,56%) e dal Lazio con il 12,15%. La Campania mostra un tasso di recidiva superiore di circa 3,5 punti rispetto alla media nazionale. Ma se questo dato può essere una semplice conferma di quella che è stata chiamata "l’emergenza Napoli", sembrano preoccupanti anche i dati relativi alla Toscana e all’Emilia Romagna dove i tassi di recidiva sono molto più alti di quello che ci si poteva aspettare.

Indulto: Manconi; ora nelle carceri soglia minima di vivibilità

 

Redattore Sociale, 19 febbraio 2007

 

Effetti positivi anche per misure in esecuzione esterna al carcere: prima della misura di clemenza erano 21.272 le persone in questa condizione, ora sono 2.963.

"Con l’indulto abbiamo riportato le carceri italiane sotto la soglia minima di vivibilità (circa 42 mila presenze), mentre a luglio la popolazione carceraria superava le 60 mila unità. Con la ricerca curata dall'Università di Torino si dimostra che l’indulto non ha provocato nessun allarme poiché pur in presenza di elementi controversi, il dato sulla recidiva è estremamente positivo e direi confortante". Lo ha dichiaro oggi il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, che è intervenuto alla presentazione della ricerca sugli effetti dell’indulto.

Il sottosegretario Manconi ha spiegato che il basso tasso di recidiva non potrà avvicinarsi a quello della normalità. Detto in altre parole: l’indulto non ha determinato una recrudescenza dei reati e le persone scarcerate con questo provvedimento hanno commesso molto meno reati di quelli commessi a suo tempo con il precedente indulto del 1990.

Il sottosegretario Manconi ha tenuto anche a sottolineare il fatto che molti luoghi comuni sono stati smentiti dai fatti. Uno di questi, per esempio, è quello che riguarda gli stranieri e gli immigrati. Come abbiamo visto dalle cifre (vedi lanci precedenti) il più basso tasso di recidiva si riscontra proprio tra gli immigrati e in particolare tra le donne straniere.

In sei mesi, poi, ha spiegato sempre Manconi, un quinto delle violazioni commesse da stranieri che sono stati scarcerati con l’indulto riguarda le materie (amministrative) attinenti alla legge Bossi-Fini. Manconi ha detto quindi che al di là dei giudizi tecnici sull’applicazione dell’indulto, ora tocca alla politica portare a termine i processi di riforma.

La riforma della giustizia non sarebbe stata possibile senza l’indulto, mentre l’indulto da solo non basta se non si metterà mano (come nel Programma dell’Unione) alla legge Bossi-Fini, alla Fini-Giovanardi sulle droghe e alla ex Cirielli. Manconi ha voluto avanzare anche una critica (seppure soft) ai media che sull’indulto hanno contribuito in qualche caso alla cattiva informazione. Nella cartellina preparata per la conferenza stampa sono stati riportati tre casi di cattiva informazione o di uso di stereotipi nella cronaca, tipo "faccia da indulto".

Il professor Claudio Sarzotti, uno dei curatori della ricerca, ha detto che l’intento dello studio è stato prima di tutto quello di inserire elementi di razionalità in una dibattito che spesso ha preso una piega troppo ideologica o di contrapposizione politica a prescindere dai fatti. Il sociologo ha sottolineato anche molto delle "felici sorprese" che si sono evidenziate nel corso del lavoro, come quelle relative alla basa propensione alla recidiva da parte degli stranieri (vedi lanci precedenti).

Anche il capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara, ha sottolineato l’importanza della ricerca presentata oggi, la prima del genere sull’applicazione dell’indulto 2006. Ferrara, oltre a commentare tutti i dati generali emersi, ha detto che l’indulto ha avuto effetti molto positivi anche a proposito delle misure in esecuzione esterna al carcere. Prima dell’indulto, infatti, c’erano 21.272 persone in questa condizione di esecuzione esterna delle pene. Con un rapporto tra assistenti sociali e condannati pari ma uno su 18,5 (ovvero un assistente ogni 18,5 condannati). Ora, dopo l’indulto ci sono 2.963 persone nella condizioni di esecuzioni di pena esterne al carcere. con un nuovo rapporto tra assistenti e condannati di uno a 2,6.

Questa nuova situazione, ha detto Ferrara, consente una gestione molto migliore della situazione. Quanto durerà tutto questo? Quanto durerà l’abbassamento vistoso del numero dei detenuti in carcere che ora, finalmente, sono sotto il livello massimo di vivibilità? Ferrara non sa rispondere a questa domanda, ma c’è da essere abbastanza ottimisti guardando i tassi di rientri in carcere e i nuovi ingressi che si mantengono per ora su una media bassa. I vantaggi ottenuti con l’indulto, sempre secondo il capo del Dap, sono comunque superiori ai costi. E uno dei costi sociali più allarmanti che era stato paventato (la recrudescenza dei reati) si è per ora dimostrato completamente infondato.

Dopo la conferenza stampa, anche le associazioni hanno commentato la ricerca sugli effetti dell’indulto. "I dati del Ministero sono tranquillizzanti - dichiara per esempio Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone - e mettono in crisi le interpretazioni scontate secondo cui in Italia ci sarebbe stata un’emergenza sicurezza. L’indulto è servito al suo scopo. Ha fatto tornare le carceri nella legalità numerica. Non accadeva da circa 20 anni che il numero dei detenuti fosse inferiore a quello dei posti letto regolamentari. Ora si tratta di mettere mano alle riforme penali e alle riforme penitenziarie. Si tratta di togliere di mezzo le cause che hanno prodotto il sovraffollamento (ex Cirielli, legge sulle droghe, legge sull’immigrazione), nonché organizzare la vita interna negli istituti penali nel rispetto della legge (applicazione del regolamento penitenziario, della riforma sanitaria e di quella sul lavoro)."

Giustizia: meno detenuti in 41-bis, erano 521 a fine gennaio

 

La Repubblica, 19 febbraio 2007

 

L’allarme lanciato giusto una settimana fa davanti alla Commissione antimafia dal procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, diventa ancora più attuale alla luce della notizia secondo cui sarebbe scaduto il regime carcerario "duro" applicato a Salvatore Biondo, Giuseppe Montalto e Lorenzo Tinnirello, condannati per l’attentato costato la vita a Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, e a Salvatore Benigno e Cosimo Lo Nigro, riconosciuti colpevoli della bomba di via dei Georgofili a Firenze.

Al 31 gennaio di quest’anno, i detenuti sottoposti al 41 bis erano 521 (di cui 445 presi in carico direttamente dall’amministrazione penitenziaria) ma il loro numero è andato progressivamente diminuendo negli ultimi anni: -60 nel 2003, -35 nel 2004, -45 nel 2005, -93 nel 2006 e già -12 nel primo mese di quest’anno.

Numerose le mancate proroghe di questo tipo di regime carcerario decise dai vari Tribunali di sorveglianza: nel solo 2006, 27 a Torino, 14 a l’Aquila e a Roma, 24 a Perugia. Appena martedì scorso, rispondendo alle domande dei commissari, Grasso aveva sottolineato come la legge 279 del 2002, che pure ha stabilizzato l’istituto, "non ha prodotto gli effetti sperati, anche perché una successiva sentenza della Corte Costituzionale ha sancito che il 41 bis può essere confermato solo laddove sia possibile provare l’attualità dei collegamenti del detenuto con l’esterno". Da qui l’opportunità di "intervenire sul piano legislativo, per rivitalizzare un istituto che continua a rappresentare uno strumento fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata".

Tra le possibili soluzioni alternative, l’affidamento dei ricorsi non più ai Tribunali di Sorveglianza ma ai Tribunali delle misure di prevenzione del luogo dove si manifesta la pericolosità del soggetto o la trasformazione del 41 bis in "una misura accessoria", non soggetta a revoche. "Una cosa è certa", aveva denunciato il procuratore, "molti dei boss in carcere continuano a tenere contatti con l’esterno ricorrendo agli stratagemmi più diversi".

Giustizia: Caruso; no al regime di 41-bis, è un "tortura bianca"

 

Apcom, 19 febbraio 2007

 

Basta con il regime del ‘carcere durò per i boss mafiosi: è "una tortura bianca", una "barbarie". Lo sostiene il deputato indipendente di Rifondazione comunista Francesco Caruso, anticipando una sua prossima proposta di legge per consentire ai detenuti sottoposti al 41 bis di "accarezzare" durante le visite mensili non solo i figli minori di 12 anni, ma "anche i nipotini" al di sotto di quell’età.

Caruso richiama la sua esperienza durante le ispezioni parlamentari effettuate nelle sezioni speciali del 41 bis dei carceri di Viterbo, Rebibbia, Secondigliano, L’Aquila: "Ho scoperto che dietro quelle mura insormontabili si celano condizioni indegne per un paese civile - riferisce -. Le privazioni sensoriali, i vetri, le restrizioni assurde rappresentano una mortificazione del nostro stato di diritto e del nostro senso di umanità".

"L’Unione Europea, in particolare il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, ha già condannato l’Italia - sottolinea - per la durezza del regime del 41 bis: è necessario recidere qualsiasi forma di contatto tra i detenuti sottoposti al 41 bis e gli affiliati alle organizzazioni criminali, tuttavia questo non può essere il pretesto per l’adozione di un vero e proprio regime di "tortura bianca". Anche dinanzi ai peggiori criminali efferati, uno Stato democratico non deve mai rincorrere la loro crudeltà, non può negare quei diritti umani fondamentali che loro hanno negato alle vittime innocenti della loro crudeltà".

"Qui - sostiene Caruso - non si tratta di essere più o meno amici dei mafiosi, mafiosi che io personalmente schifo più di Berlusconi, ma coerenti con i principi della democrazia e dello stato di diritto. Credo sia giunto il momento di affrontare politicamente il tema del superamento del regime speciale del 41 bis, perché alla barbarie non si risponde con la barbarie: se la finalità del ricorso al 41 bis è quella di recidere la comunicazione dei boss con l’esterno, allora basterebbe studiare un efficace ricorso alle attuali tecnologie che permettono di monitorare e controllare qualsiasi forma di comunicazione (figuriamoci poi quando questa avviene all’interno di un carcere), piuttosto che negare ai sepolti vivi del 41 bis - conclude - la possibilità di accarezzare un bambino".

Giustizia: Manconi; no nuove carceri, ristrutturare le esistenti

 

Ansa, 19 febbraio 2007

 

Non servono nuove carceri, se non per situazioni estreme che riguardano istituti fatiscenti". Meglio invece "provvedere alla manutenzione e ristrutturazione di quelle già esistenti", cosa che oggi "è possibile" fare mentre "prima dell’indulto non era possibile". Lo dice il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, oggi al ministero durante la presentazione di una ricerca sull’indulto. "Pur in presenza di una legge, questo obbrobrio si sarebbe potuto evitare". Lo afferma il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi commentando la vicenda dei bimbi costretti ad assistere dalla gabbia dei detenuti al processo della madre, davanti alla Corte d’appello di Napoli.

"Sarà il ministro Mastella - ha detto Manconi a margine della presentazione di uno studio sull’indulto - a decidere sulla questione dopo l’ispezione. Noi siamo garantisti e non ci accontentiamo della prima impressione. Ma in quella foto c’era una sorta di saggezza evangelica. Questo scandalo è utile, cioè, a far prendere coscienza di cosa siano le carceri a chi non le conosce, perché le carceri non sono hotel a quattro stelle".

Giustizia: sanitari del carcere in sciopero fame contro tagli

 

Asca, 19 febbraio 2007

 

I medici e gli infermieri penitenziari hanno iniziato stamani lo sciopero della fame per richiamare l’attenzione sulla "grave situazione che si sta verificando nelle carceri italiane dopo il taglio di ben 13 milioni di euro, sancito dalla Finanziaria 2007, che di fatto ha sancito lo smantellamento della Medicina Penitenziaria". A renderlo noto, un comunicato diffuso dall’Associazione Medici dell’Amministrazione Penitenziaria Italiana (Amapi).

Le risorse Finanziaria destinate alla medicina penitenziaria, spiega l’associazione, hanno subito "un taglio drastico che, oltre a ridurre lo staff sanitario, ha già prodotto risultati drammatici nell’approvvigionamento dei farmaci salvavita. Sono infatti previsti entro il primo semestre di quest’anno il licenziamento e/o non rinnovo di contratto per oltre 1.400 addetti, in gran parte infermieri e medici specialisti mentre mancano già alcuni medicinali per i malati cronici, ad es. antipertensivi, insuline, interferone, quest’ultimo molto usato nei pazienti con epatite C, di cui sono affetti praticamente le migliaia di detenuti tossicodipendenti, senza contare i cortisonici, gli anticoagulanti e quant’altro".

"C’è il rischio concreto - afferma l’Amapi - che si scateni una moria di detenuti o, una serie spropositata di ricoveri ospedalieri per soggetti che, come ben sappiamo, necessitano di vigilanza non stop da parte di almeno due guardie penitenziarie o più a seconda della gravità del reato commesso o di 41bis, che andrebbero a gravare anche sui già provati bilanci delle Asl locali".

La situazione è a tal punto insostenibile da portare alle dimissioni del presidente dell’Amapi, Francesco Ceraudo, che ha spiegato: ""Mi sono dimesso perché sono impotente di fronte all’indifferenza di Parlamento e Governo e al caos che ci sarà nelle carceri". "Abbiamo scritto anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ma finora nessuno ha dimostrato interesse verso questo problema", ha detto Ceraudo. Lo sciopero, annuncia la associazione, continuerà ad oltranza fino a quando non vi sarà una risposta e una volontà reale a risolvere la situazione.

Giustizia: Manconi; fondi tagliati a medicina saranno reintegrati

 

Apcom, 19 febbraio 2007

 

I "circa 12,5 milioni di euro" che per "un automatismo della Finanziaria" sono stati tagliati al comparto medico carcerario, causando lo sciopero della fame da oggi del personale sanitario delle carceri, "verranno recuperati attraverso la ripartizione del Fondo unico del ministero". Lo promette il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, a margine della presentazione di uno studio sull’indulto. "Ora che la platea dei reclusi si è ridotta per effetto dell’indulto - precisa Manconi - la situazione del comparto dovrebbe migliorare".

Milano: kit di "sopravvivenza" per i detenuti San Vittore

 

Apcom, 19 febbraio 2007

 

Varcata la soglia del carcere, l’uomo, prima ancora che detenuto, lascia fuori una vita, ma non la dignità. Nella cella si possono portare solo pochi oggetti personali, lo stretto indispensabile. Scontata la pena, l’ex detenuto ritroverà la libertà, ma non sempre tutto ciò che aveva abbandonato. In tanti, infatti, si ritrovano senza un riferimento. Il Comune di Roma prima, e quello di Milano poi, hanno pensato ad una sorta di kit di sopravvivenza.

Nella Capitale ti danno uno zainetto bianco, con dentro i biglietti dell’autobus, i buoni pasto, tutto l’occorrente per l’igiene personale e poi numeri, tanti numeri per sapere dove andare "dopo". L’estate scorsa anche l’amministrazione meneghina ha predisposto un kit analogo a quello delle "48 ore" capitolino. Chi esce da San Vittore sa cosa fare.

E ora chi varca quella soglia avrà a titolo gratuito anche gli oggetti di prima necessità. Il "kit d’ingresso" prevede un asciugamano, una maglietta, due slip uomo o donna, due paia di calze, un paio di ciabatte, un doccia shampoo, uno spazzolino, un dentifricio, un pacco di fazzoletti, una biro, tre buste da lettera, tre fogli A4 e tre francobolli. "La realizzazione di questo kit risponde ad una specifica richiesta della direttrice della casa circondariale di San Vittore - ha detto l’assessore alla Famiglia, Scuola e Politiche sociali del Comune di Milano, Mariolina Moioli - e fa parte di un percorso che mira a salvaguardare la dignità degli uomini e delle donne che entrano in carcere".

La detenzione pesa come un macigno sulle spalle di uomini e donne. Queste ultime devono abdicare al ruolo di madri e nei primi anni di vita dei loro bambini sono costrette a portarli dietro le sbarre, avulsi da una realtà familiare "normale". È in cantiere una casa di custodia attenuata, la prima in Italia, che presto accoglierà le mamme detenute con figli da 0 a 3 anni, per offrire "la possibilità ai bambini molto piccoli - ha affermato Mariolina Mioli - di vivere i primi anni della loro vita lontani dalle celle di una prigione". È un progetto che restituisce dignità alle mamme, nato dalla collaborazione tra gli istituti penitenziari milanesi, la Regione Lombardia, la Provincia e il Comune di Milano, che potrebbe rappresentare un esempio per il resto del Paese.

L’Amministrazione, come accade anche in altre città italiane, pensa a progetti per il reinserimento sociale e lavorativo successivi alla detenzione e ha intenzione di potenziare le attività già avviate come la produzione del pane nel carcere di Opera. Allo studio della direzione generale di Palazzo Marino c’è anche la possibilità di affidare ai detenuti la gestione e lo smistamento delle multe. Il governo cittadino si è "sostituito", così, alla direzione del carcere e ha provveduto a colmare quel vuoto nel processo di rieducazione di cui tanto si parla, ma che poco si pratica.

Roma: Ass. "Volontari in Carcere" apre nuova Casa Alloggio

 

Vita, 19 febbraio 2007

 

Si inaugura venerdì la nuova struttura in via C. Massini 62 a Roma. Un tetto ma non solo per chi esce in permesso premio e per i familiari che vengono a trovare i loro cari in carcere. Nelle Comunità Alloggio del VIC-Volontari in Carcere sono stati ospitati, fin dal 1990, più di millecinquecento persone. Anziani che hanno trovato assistenza, persone sole che hanno recuperato il sapore della famiglia, donne incinte che hanno fatto nascere il figlio con il calore e l’accompagnamento dei volontari.

Il nuovo appartamento-villetta, a due passi da Rebibbia, può ospitare fino a quattordici persone, un servizio per tutta la città dentro e fuori le mura, per favorire il reinserimento di chi sta pagando per i propri errori. Pochi metri quadri per riavvicinare al mondo libero i detenuti e le detenute durante i permessi premio. All’inaugurazione saranno presenti Magistrati di sorveglianza, direttori di istituti di pena, operatori penitenziari, rappresentanti degli enti locali e della Caritas, oltre naturalmente ai volontari e agli ospiti della Comunità Alloggio.

Roma: Previti affidato ai servizi sociali, andrà da don Picchi

 

L’Unità, 19 febbraio 2007

 

Il senatore di Forza Italia Cesare Previti, condannato a sei anni per lo scandalo Imi-Sir, è stato affidato ai servizi sociali. Lo ha deciso il tribunale di sorveglianza di Roma presieduto da Laura Longo che ha accolto un’istanza degli avvocati Alessandro Sammarco e Annaisa Garcea. Previti svolgerà l’attività presso la comunità Ceis di Castel Gandolfo, che fa riferimento a Don Picchi. Dovrebbe fare un lavoro socialmente utile dalle 8 alle 21 dei giorni lavorativi nella comunità di riabilitazione per ex tossicodipendenti.

Analogo provvedimento tempo a fu preso per Attilio Pacifico condannato per la stessa vicenda e il periodo a lui concesso va dalle 7 alle 23.Previti, ex legale di Silvio Berlusconi, ai domiciliari dal 10 maggio del 2006 in virtù della condanna definitiva a sei anni di reclusione (di cui tre condonati grazie all’indulto) per la vicenda Imi-Sir, si era inizialmente proposto come consulente legale di Operation Smile, una fondazione che organizza missioni umanitarie per aiutare i bambini di ogni parte del mondo, sottoposti a interventi di chirurgia plastica. .

Forlì: i volontari vanno alla scoperta della mediazione penale

 

Redattore Sociale, 19 febbraio 2007

 

A Forlì un percorso formativo di quattro incontri dedicati alla ricomposizione dei conflitti. In Italia questa esperienza è limitata al settore dei reati minorili.

Avvicinare nuovi volontari alla scoperta della mediazione penale: una pratica che consiste nel fare incontrare la vittima e l’autore di un reato, per permettere alla vittima di esprimere i propri sentimenti verso chi ha commesso il reato, e al colpevole di prendere coscienza del proprio gesto. Questo lo scopo del percorso "Terra di mezzo", avviato nei giorni scorsi nella sede di Forlì della Società consortile di formazione Techne: si tratta di quattro incontri alla ricerca di una possibile ricomposizione dei conflitti. A spiegare la proposta della mediazione penale, limitata per ora in Italia al solo settore dei reati minorili, sono le parole di Jacqueline Morineau, fondatrice della Scuola di mediazione di Parigi: "La mediazione potrebbe aiutarci a proporre una nuova visione dell’uomo e a promuovere una cultura di pace, a cominciare dai rapporti tra le persone".

"Il ciclo di incontri - specifica Barbara Bovelacci della Techne - rappresenta la fase conclusiva del progetto Anelli per la formazione al volontariato di giustizia. Il corso è finalizzato ad avvicinare tanti volontari che già operano nell’ambito della giustizia carceraria alla mediazione penale, con la possibilità che alcuni si interessino a tal punto all’argomento, da intraprendere corsi specifici per diventare mediatori". Relatrice dell’incontro introduttivo sul tema della mediazione penale è stata Maria Rosa Mondini, giudice esperto del Tribunale di sorveglianza di Bologna e fondatrice e presidente del Centro italiano di mediazione di Bologna. "L’attività di mediazione - continua Barbara Bovelacci - non è obbligatoria, è gratuita e confidenziale, e non sostituisce comunque il percorso giudiziario. Viene proposta dal Pubblico ministero o dal Giudice che informa le parti e i difensori e, successivamente, invia la proposta al Centro per la mediazione".

Centrale quindi il ruolo dei mediatori, persone con competenze in materia psicologica, pedagogica e giuridica, che comunque non giudicano e non impongono mai soluzioni definitive. "Terra di mezzo" proseguirà con altri tre incontri, nelle serate del 22 febbraio, 1 marzo e 8 marzo, con il coinvolgimento di esperti del settore: l’ultimo appuntamento dell’8 marzo sarà con Maria Pia Giuffrida, già dirigente generale del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. "L’obiettivo del percorso - conclude la Bovelacci - è anche quello di promuovere e favorire un centro di mediazione penale a Forlì". Informazioni: www.techne.org.

Napoli: bimbe nella gabbia del tribunale, Mastella manda ispettori

 

La Gazzetta del Sud, 19 febbraio 2007

 

È "una vicenda talmente inspiegabile" che il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ha immediatamente avviato, appena appresi i fatti, un’ispezione.

Il Guardasigilli vuol capire come sia stato possibile anche solo concepire che una donna portata in tribunale fosse lasciata, dietro le sbarre della gabbia per gli imputati, insieme con le due figlie di due e tre anni. La più piccola in braccio, l’altra con le manine a stringere le sbarre.

L’immagine-choc è stata ripresa, alcuni giorni fa, nell’aula della Corte d’appello di Napoli dove la donna, una nomade detenuta per furto, veniva giudicata per evasione dagli arresti domiciliari.

Gli "addetti ai lavori" si meravigliano: non è possibile, non è mai successo, deve essere stata una distrazione.

Il ministro Mastella ha definito l’accaduto "uno spettacolo ignobile. Chiederò una relazione al procuratore generale di Napoli e assumerò quindi le mie decisioni. L’immagine dei bambini nella gabbia di un’aula di tribunale conferma una volta di più quanto bisogno ci sia di umanizzare, e al più presto, la giustizia".

Il procuratore generale del Tribunale di Napoli, Vincenzo Galgano, invita a smorzare i toni: "È infatti un caso circoscritto che non potrà certamente ripetersi, è di modestissima entità, dovuto forse a distrazione - certo, deplorevole - da parte del personale".

"È stato un fatto davvero irrituale, credo sia stata una svista del giudice" dice Ettore Gassani, dell’Associazione avvocati per la famiglia e i minori. L’avvocato spiega che una donna ha diritto a stare con i propri figli ma non nella gabbia. In questi casi, il giudice affida i bambini temporaneamente ai servizi sociali, oppure a un parente entro il quarto grado ma mai si fanno venire in aula i minori.

"È davvero inspiegabile" anche per Melita Cavallo, capo del dipartimento della giustizia minorile,: "Non si è mai vista né sentita una cosa simile. Probabilmente non si è riusciti a staccare la donna dai suoi figli durante l’udienza". Secondo il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, "la legge, attualmente in discussione alla Camera, ha precisamente lo scopo di evitare l’obbrobrio che abbiamo visto fotografato nella gabbia del tribunale di Napoli". Si tratta - sostiene Patrizio Gonnella, presidente di "Antigone" - di un caso isolato da ricondurre a un inaccettabile, ma banale, voyerismo. Una simile mancanza di rispetto "non è certo frequente".

Mentre la parlamentare di An e presidente dell’associazione Solidarietà 2000, Daniela Santanché presenta un esposto alla Procura di Roma per accertare le responsabilità del magistrato, Telefono Azzurro segnala i rischi di "possibili traumi" per le bambine. "Va evitato in tutti i modi - dice il presidente Ernesto Caffo - che i bambini e gli adolescenti entrino in contatto con le sbarre. La tutela può e deve essere pretesa. Ogniqualvolta i genitori vivono in condizioni di fragilità e non sono in grado di dare sicurezza ai figli, siamo in presenza di potenziali rischi fortemente traumatici. Anche in questo caso il trauma non si può escludere. È per questo - conclude - che, pur nel rispetto delle regole, bisogna investire in risorse e servizi ed evitare nel modo più categorico simili situazioni".

Il leader del Movimento Diritti civili, Franco Corbelli, chiede che intervenga la Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo.

Corbelli denuncia la "vergogna" di questo caso, nonché il terribile "scandalo dimenticato" degli oltre trenta bambini in carcere con le loro madri detenute.

Il leader del Movimento Diritti civili s’appella alla Corte di Strasburgo per il "gravissimo episodio" di Napoli e per la "violazione della legge che tutela le donne detenute, madri di bambini da 0 a 3 anni, che pur avendo diritto a forme alternative al carcere continuano a restare, dimenticate in cella, insieme con i loro bimbi". Corbelli, inoltre, ricorda che "prima dell’indulto erano oltre 60 i bambini in cella con le loro mamme. Oggi ci sono ancora più di 30 bambini (quasi tutti figli di giovani donne Rom) che vivono in carcere con le loro madri. Una crudeltà inaudita - afferma Corbelli - contro la quale lottiamo dal lontano 1995".

Roma: tavola rotonda su "La Carta dei Diritti del detenuto"

 

Comunicato stampa, 19 febbraio 2007

 

Sulla "Carta dei Diritti del detenuto", che la Associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide sta promovendo a livello nazionale e internazionale, si confronteranno mercoledì 28 febbraio alle ore 17 nella Sala del Carroccio in Campidoglio, a Roma, il Sindaco di Roma Walter Veltroni, la Senatrice Angela Finocchiaro, il Senatore Alfredo Biondi e Il Garante per i Diritti dei detenuti del Comune di Roma Gianfranco Spadaccia.

Nell’occasione, saranno presentati gli Atti della Giornata di studi su "Diritti dietro le sbarre" organizzata dalla L.A.W. lo scorso 21 giugno nel carcere romano di Rebibbia. Per la L.A.W. interverranno il Dott. Pierluigi Natalia, giornalista e curatore degli Atti, l’Avv. Enzo Guarnera, l’Avv.Giorgio Robiony, la Dott.sa Maria Elena Arguello. Introduce l’Avv. Laura Guercio, presidente della LAW. La Carta dei Diritti del Detenuto e gli Atti della Giornata di studi sono consultabili e scaricabili sul sito dell’Associazione L.A.W. www.lawonlus.org.

 

Ufficio Stampa di L.A.W.

Via Bruxelles, 59 - 00198 Roma

Droghe: Cdl Umbria; con la legge Fini-Giovanardi meno reati 

 

Asca, 19 febbraio 2007

 

"Dalla relazione presentata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione emerge che dopo l’entrata in vigore della legge Fini-Giovanardi sul consumo delle sostanze stupefacenti, i reati sono diminuiti".

Pietro Laffranco, presidente del Gruppo Cdl per l’Umbria a palazzo Cesaroni ed Alfredo De Sio, consigliere regionale di Alleanza nazionale, hanno fatto riferimento ai dati presentati dal Presidente Gaetano Nicastro, sottolineando che "sono stati sbugiardati - hanno detto De Sio e Laffranco - tutti coloro che a sinistra parlavano di legge repressiva e persecutoria che avrebbe riempito le aule dei tribunali e spalancato perfino le porte del carcere ai piccoli consumatori.

Il Governo Prodi, che aveva iniziato la sua attività dichiarando di voler cambiare questa legge, dovrebbe prendere atto dei dati che dimostrano come questa sia stata invece efficace nel far diminuire i reati in materia.

In riferimento al totale della popolazione carceraria, nel periodo giugno 2005/luglio 2006, i reati in materia di stupefacenti ascritti ai detenuti hanno registrato un - 37.3%; con la diffusione di questi dati viene definitivamente smontato il castello di falsità che da sinistra avevano costruito per far passare il concetto che il semplice possesso di uno spinello potesse spalancare le porte del carcere a coloro che ne fanno uso.

L’obiettivo della normativa era ed è invece un altro: quello di introdurre il concetto per cui non esiste il diritto di drogarsi, perché chi assume delle sostanze stupefacenti crea dei danni a se stesso ed alla società in cui vive ed è giusto che lo Stato sanzioni, almeno amministrativamente, il consumo personale mentre è altrettanto giusto che la legge sia repressiva per ciò che concerne lo spaccio". "Per la prima volta - hanno concluso i due esponenti del centrodestra umbro - possiamo constatare che una legge in materia funziona da deterrente, riuscendo a far diminuire i reati e a scoraggiare tanti, soprattutto giovani, dal farsi il primo spinello, dall’assumere la prima pasticca, dall’inalare la prima striscia di cocaina, o dal farsi il primo buco".

Droghe: ricerca del C.N.R. di Pisa sulla popolazione veneta

 

Ansa, 19 febbraio 2007

 

L’Assessore Regionale Valdegamberi sulla ricerca Regione Veneto-CNR: "Aumentano cannabis e alcol, soprattutto tra ragazze; crescono poliabuso e patologie psichiatriche".

Il Veneto fa i conti con i consumi di droghe e alcol da parte della popolazione, soprattutto giovanile, per mettere a punto le risposte dei servizi e aggiornare le politiche per contrastare e prevenire le dipendenze. Questo, in estrema sintesi, il senso della ricerca svolta da C.N.R. di Pisa (Sezione di Epidemiologia e Ricerca sui Servizi Sanitari dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche), per conto dell’Assessorato regionale alle politiche sociali, presentata stamani a Verona, nella sede dell’Azienda Ulss n. 20 dall’Assessore regionale alle politiche sociali Stefano Valdegamberi e da Fabio Mariani, responsabile del progetto, Sabrina Molinaro, Marco Scalese e Roberta Potente del CNR, Lorenzo Rampazzo dirigente regionale dei servizi per le dipendenze.

I dati si riferiscono agli anni 2003 e 2004 e tra l’altro evidenziano che: la cannabis e i suoi derivati sono le sostanze illecite più consumate in un anno dai veneti tra i 15 e i 54 anni (circa l’8% contro un dato nazionale pari al 7%), in particolare dai maschi tra i 15 e i 24 anni; sorprendente la percentuale di uso in un anno tra le studentesse 19enni che, nel 34,3% hanno usato questa sostanza contro una media nazionale del 30%; da sottolineare che la sperimentazione di cannabis tra gli studenti di quindici anni raggiunge il 15% a fronte di 12,7% della media nazionale.

Il rapporto segnala che il 41,3% degli studenti quindicenni - al di sotto quindi dell’età legale - ha sperimentato almeno un’ubriacatura, in particolare tra le femmine; il 75% degli studenti veneti diciannovenni, ha sperimentato almeno un’ubriacatura, superando nettamente la media nazionale, mentre, tra i quindicenni, sono addirittura di più le ragazze ad abusare di alcol (32,9% del campione intervistato nelle scuole medie superiori del territorio regionale) che non i loro coetanei maschi (26%).

Anche l’uso di cocaina almeno una volta, pur inferiore alla media nazionale, è rilevante e in continua crescita dal 2001 al 2004 in particolare tra i soggetti con età tra i 25 e i 34 anni. Per quanto riguarda, gli oppiacei si stima che 2600 persone ogni anno inizino ad usare non occasionalmente l’eroina (anche se non più per via iniettabile). Non meno preoccupante è la crescita dell’abuso di più sostanze psicoattive contemporaneamente e di patologie psichiatriche favorite o aggravate da esse.

La ricerca - "Stima di prevalenza ed incidenza dell’uso e abuso di alcol e droghe illecite nella Regione Veneto" - è basata sulla popolazione generale (età compresa tra i 15 ed i 54 anni), sulla popolazione studentesca (15 ed i 19 anni) e su un database che incrocia i dati ministeriali su tossicodipendenza e alcologia, i flussi informativi relativi alla criminalità, i ricoveri e le dimissioni ospedaliere, e i dati dei 38 Servizi per le Tossicodipendenze e delle strutture del Privato Sociale nel Veneto e delle Prefetture.

Valdegamberi ha sottolineato alcuni altri aspetti della ricerca, relativi alla contiguità dei giovani alle droghe: fattori di rischio e di protezione: la maggior propensione all’utilizzo di sostanze psicoattive è direttamente correlato a una scarsa performance scolastica (la prevalenza di consumatori di sostanze illegali è doppia tra gli studenti con difficoltà scolastiche); avere fratelli o amici che assumono droghe aumenta il rischio di esposizione al loro consumo (il rischio è di tre volte superiore rispetto ai coetanei che hanno fratelli non consumatori); le relazioni positive e significative tra genitori e figli sono fattori protettivi e preventivi all’uso di droghe.

"Il Veneto - ha ricordato Valdegamberi - è stata la prima Regione ad affidare, già dal 2001, questa particolare ricerca al C.N.R. per poter disporre di dati scientifici sicuri sui quali basare le politiche di intervento regionale per renderle più efficaci nel contrasto e nella prevenzione dei fenomeni legati alle dipendenze, che hanno cambiato molto la loro fisionomia nel corso degli anni e che sono, purtroppo, largamente diffusi in particolare tra i giovani, e tra le ragazze di cui dobbiamo constatare una raggiunta parità negativa in questo settore".

Proprio a partire da questi dati, l’Assessore regionale ha richiamato "l’importanza per la Regione Veneto di proseguire azioni d’intervento a favore della famiglia, per rafforzarne il ruolo e per la trasmissione di modelli positivi ai giovani".

Dalla ricerca del C.N.R. risulta che nel 2004 nel Veneto 87.676 persone - di età tra i 15 e i 44 anni - pari al 45.1% della popolazione, risultano essersi ubriacate dieci o più volte nel corso dell’anno; 149.063 persone (della stessa fascia d’età) risultano avere fatto uso di cannabinoidi dieci o più volte nel corso dell’anno (76,7%); 26.297 persone (stessa fascia d’età considerata) hanno dichiarato di avere consumato cocaina 3 o più volte nel corso dell’anno (13,5% della popolazione).

Per quanto riguarda invece il settore degli oppiacei sono state 8528 persone che ne hanno consumato 3 o più volte (4,4% della popolazione) nel corso dell’anno. Secondo l’assessore veneto "i dati forniti dallo studio contribuiranno non poco a mettere a punto un modello regionale innovativo ed efficace per valutare il reale fenomeno del consumo da alcol e dalle sostanze psicoattive illecite".

Droghe: eroina, ma anche alcol e cocaina, possono uccidere

 

Varese News, 19 febbraio 2007

 

"Si muore di overdose perché si sono superate le dosi tollerate. Può accadere che un soggetto smetta di assumere droga per qualche settimana, magari dopo la carcerazione, e quindi perde la tolleranza alla sostanza e, quando ricomincia, il suo fisico non è più abituato". A parlare è Donatella Fiorentini, responsabile dell’Unità operativa territoriale dipendenze provincia sud.

 

Dottoressa Fiorentini, due morti in pochi giorni per eroina. È un segnale che in provincia è aumentato il consumo di questa droga?

"I dati ci dicono che non è un fenomeno in aumento, ma è rimasto abbastanza costante, con una leggera flessione negli ultimi anni (secondo i dati forniti dall’Asl, gli eroinomani che si rivolgevano al servizio erano 968 nel 2003 sono 766 nel 2006 n.d.r) . Tra i tossicodipendenti c’è molta cronicità. Infatti chi si rivolge al nostro servizio fa uso di eroina già da 4 o 5 anni. Spesso assumono più di una sostanza. Sono in aumento, invece, le persone dipendenti dall’alcol".

 

E il consumo di cocaina?

"È in aumento (i cocainomani sono passati dai 179 del 2003 ai 254 del 2006 n.d.r). È una droga socialmente accettata che non genera esclusione ma approvazione sociale e che non ha bisogno di nascondersi. È sottovalutata dagli stessi tossicodipendenti che la percepiscono con minore pericolosità. Spesso sento eroinomani affermare: "Ho preso la cocaina, ma non l’eroina".

 

I due morti avevano già una certa età. Anche questa è una costante del fenomeno?

"No, ce ne sono anche in fasce più giovanili, tra i 23 e i 25 anni. Mentre i cocainomani che arrivano da noi hanno già una storia lunga alle spalle. Fanno fatica a gestire la sostanza. Tra gli alcolizzati, molti assumono saltuariamente anche cocaina".

 

Come si fa ad evitare una morte per overdose?

"Sul nostro territorio sta partendo il progetto Mdma, che significa Monitoraggio droghe e manifestazioni d’abuso. Verrà creata una rete composta da tutti i soggetti che operano in questo settore a partire dalle forze dell’ordine, Ser.T., pronto soccorso, Unità mobile, laboratori tossicologici, per segnalare tempestivamente reazioni avverse dopo uso di sostanze o presenza di sostanze stupefacenti mal tagliate o più pure del solito".

 

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 3490788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva