Rassegna stampa 17 dicembre

 

Giustizia: decreto sicurezza; il governo non vuole modifiche

 

Dire, 17 dicembre 2007

 

Il governo intende approvare il decreto sicurezza senza modifiche. Lo ha detto il ministro dell’Interno Giuliano Amato ai componenti delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera, dopo un incontro per fare il punto sul provvedimento che domani andrà all’esame dell’aula di Montecitorio. Mentre le commissioni riunite continuano l’iter restano diverse le ipotesi di soluzione del rebus che si è creato attorno al provvedimento sulle espulsioni, grazie anche al nodo che riguarda le nuove misure di contrasto all’omofobia. Tra le possibili soluzioni vi è quella di rinviare al decreto mille proroghe la correzione della parte che riguarda l’omofobia oppure il governo potrebbe ricorrere ad un decreto ad hoc per non dover così tornare al Senato dove i numeri e i tempi stretti (il dl scade il 1 gennaio) sconsigliano un ulteriore passaggio. Sullo sfondo i processi avviati con la legge Mancino che verrebbero inficiati dall’entrata in vigore del dl così come è uscito da palazzo Madama. E c’è chi, come i socialisti, chiede di far "decadere il decreto" e riparlarne a gennaio: "Mi sembra la cosa più ragionevole", chiosa Franco Grillini.

Giustizia: Corleone; senza indulto avremmo 80mila detenuti

 

Agi, 17 dicembre 2007

 

"Se non ci fosse stato l’indulto oggi saremmo a 80 mila detenuti e forse ci sarebbe stata una sollevazione per una situazione intollerabile". Questo quanto detto dal Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, a margine della presentazione della nuova edizione dell’Osservatorio sulla situazione delle carceri in Toscana curato dalla Fondazione Michelucci. "La percentuale di rientro - ha detto ancora Corleone - degli indultati è circa del 20%. La percentuale di recidiva di coloro che scontano la pena fino all’ultimo giorno è di oltre il 60%, mentre di quelli che vanno in misura alternativa sono il 17%. Sono stati smentiti - ha concluso - quelli che sostenevano che dopo l’indulto tutti sarebbero rientrati immediatamente. Le speranze nate dopo l’indulto si sono dimostrate fallaci, non per colpa del provvedimento. La campagna mediatica di criminalizzazione all’indulto ha avuto un grosso peso nell’impedire le riforme necessarie".

Giustizia: Opg; i manicomi sopravvissuti alla Legge Basaglia

di Dario Stefano Dell’Aquila (Presidente Antigone Campania)

e Beppe Battaglia (Gruppo Carcere Federazione Napoli Città Sociale)

 

Liberazione, 17 dicembre 2007

 

Caro direttore, l’ospedale psichiatrico giudiziario di Sant’Eframo di Napoli è stato chiuso dalla Procura di Napoli, il suo direttore il dottor De Feo iscritto nel registro degli indagati. Direzione, personale, agenti, i circa 100 internati verranno trasferiti, temporaneamente, nell’Area verde del carcere di Secondigliano, ad un paio di chilometri di distanza. Non è un scelta politica. Una relazione tecnica di ingegneri del ministero della Giustizia ha stabilito che si tratta di una struttura pericolante che mette a rischio internati e chi ci lavora.

Del resto parliamo di un vecchio convento costruito nel ‘600. Poco da discutere quindi, almeno all’apparenza. Accade invece che si accenda la protesta di agenti e personale civile. Una protesta che vede assieme sindacati di destra e finanche i sindacati di base. Perché, sostengono, in un’altra struttura si vanificherebbe il grande lavoro svolto nei confronti degli internati.

La lettera di alcuni lavoratori pubblicata su "Liberazione" (venerdì 7 dicembre, ndr) - in risposta ad un articolo di Francesco Caruso - ribadiva tale punto. Scrivono tra l’altro gli operatori dell’Opg di Napoli: "il "puzzo di piscio" è una delle tante connotazioni della malattia, non diverso da quello che si sente nelle altre strutture manicomiali ed è sintomatico dell’incapacità di autogestione, del prendersi cura di sé".

Questa frase, lo confessiamo, è profondamente inquietante. Lo diciamo con chiarezza, a scanso di equivoci. Noi non dubitiamo che quegli operatori svolgano con professionalità e passione il loro lavoro. Ma siamo altrettanto certi, anche perché testimoni, che le condizione degli internati di Sant’Eframo siano inumane e degradanti. È difficile infatti difendere una struttura dove mancano le docce, in cella quanto sui piani, in cui in alcune celle mancano i vetri alle finestre, dove le condizioni delle celle sono al di là di ogni immaginazione, piene di liquame e con cessi allagati. È sempre difficile difendere una struttura dove in un tanfo di escrementi uomini seminudi giacciono in celle completamente vuote.

"Il puzzo di piscio" che impregna gli abiti e le celle degli internati è il simbolo del degrado di queste strutture che dovrebbero garantire condizioni di detenzione dignitose, così come previsto dalla Costituzione e dall’ordinamento penitenziario. Ci meraviglia anche che la riflessione sulla pratica della coercizione (cioè quella di legare ad un letto un uomo seminudo con un solo buco per le feci) sia così poco problematizzata.

Lo consente una norma, scrivono. Certo, ma i registri ci dicono che è non è affatto una pratica che dura poche ore ma ci sono casi di internati allettati per molti giorni di seguito. Tale pratica è usata anche per fini disciplinari e in assenza di procedure di controllo e trasparenza. Questa difesa dell’esistente, pur dietro proclamazioni a favore di una futura chiusura degli Opg, non giova a nessuno, né a chi lavora né agli internati.

L’esperienza della legge 180 ci insegna che furono proprio gli operatori della psichiatria, in una progressiva presa di coscienza, ad avviare una critica verso il proprio ruolo e quello delle strutture manicomiali. I manicomi giudiziari (perché tali sono gli Opg) vanno chiusi e superati. Va modificato il meccanismo della proroga della misura di sicurezza che crea sproporzione tra il reato commesso e la pena scontata, vanno chiusi e superati questi sei manicomi sopravvissuti alla legge Basaglia.

Affidamento ai servizi socio sanitari, strutture residenziali protette, case alloggio, sono tante le soluzioni possibili, alcune già praticate da pochi dipartimenti di salute mentale gestiti da persone intelligenti e coraggiose. Ma non basta lo sforzo dei singoli. Il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale è un tassello, ma bisogna avere il coraggio di progetti ambiziosi. Contestualmente è necessario svelare quello che avviene nei manicomi, perché su queste strutture regna un silenzio che non fa bene a nessuno.

Registriamo nel nostro Paese casi estremi, di internati coerciti anche per due anni di seguito, senza che nessuno responsabile ne sia chiamato a rispondere. In questo senso possiamo solo apprezzare il lavoro di Francesco Caruso che ha scoperchiato la pentola. Questa battaglia va continuata e bisogna essere in tanti. Bisogna chiudere i manicomi non a partire da domani ma da oggi. Perché essere lavoratori, essere di sinistra, a nostro modesto avviso, significa innanzitutto questo, non abituarsi mai alla violenza e al dominio del potere su corpi indifesi e prigionieri.

Giustizia: allarme criminalità? fa più paura il futuro dei figli

 

Redattore Sociale, 17 dicembre 2007

 

La distruzione dell’ambiente resta l’angoscia maggiore (58,3%), al terzo posto l’ansia per gli atti terroristici (39,3%). Ma i crimini sono cresciuti per 9 italiani su 10. Indagine di Demos per Fondazione Unipolis. Insicurezza globale, poi economica e infine paura per l’incolumità fisica. Sono queste le tipologie di paura che rendono gli italiani più insicuri secondo l"ultima "Indagine sul sentimento e sul significato di sicurezza in Italia", condotta da Demos per conto della Fondazione Unipolis (Gruppo Unipol) e presentata oggi a Bologna nel corso di una conferenza stampa. Entrando nel dettaglio delle preoccupazioni e mettendole in relazione con altri fattori che creano insicurezza si scopre che, se la distruzione dell’ambiente e della natura resta l’angoscia maggiore per il 58,3% degli italiani (in testa alla classifica di tutte le paure), al secondo posto si trova l’ansia per i futuro dei propri figli (con il 46,4%, voce assente nell’indagine sulla sicurezza in Italia del 2005) mentre sul terzo gradino del podio sale la paura degli atti terroristici (39,3%).

La ricerca, realizzata in ottobre, ha coinvolto un campione di 1.200 persone, sia uomini sia donne, sparse un po’ su tutta le Penisola e appartenenti a diverse fasce d’età. Ed è proprio distinguendo tra giovani e anziani che si notano le differenze maggiori: tra i 25 e i 34 anni, ad esempio, il timore di non avere la pensione occupa addirittura il secondo posto in classifica, mentre le paure per scippi, borseggi e furti compaiono solo dopo i 45 anni. Tra le altre preoccupazioni degli italiani troviamo il non avere abbastanza soldi per vivere (al quinto posto, con il 38,4%) e avere problemi di salute (per il 36,3% degli intervistati).

E la paura della criminalità? Non è scomparsa, anzi. Infatti, negli ultimi due anni, il timore di essere vittima di un furto in casa è cresciuto: è passato dal 18 al 23%. "Sono però stati presi in considerazione anche altri parametri", precisa nell’introduzione Ilvo Diamanti, direttore del Laboratorio di studi politici e sociali dell’Università di Urbino. Così che "le preoccupazioni che riguardano il tema della sicurezza, una volta messe in relazione con altre fonti di insicurezza, sono scivolate in secondo piano", si legge nell’analisi fatta dal direttore di Demos Fabio Bordignon.

Ma 9 persone su 10 pensano che la criminalità in Italia sia aumentata. Cinque su dieci che ciò sia avvenuto pure a livello locale. Suscita preoccupazione anche la minaccia di venire derubati dell’auto o dello scooter (22%) oppure di essere vittime di uno scippo o di un borseggio (21%, contro il 17% del 2005). Il 20% degli intervistati, inoltre, ha paura per le cosiddette truffe "elettroniche" (fatte attraverso il bancomat o le carte di credito), mentre il 19% teme di subire un’aggressione oppure di essere coinvolto in una rapina.

Dalle conclusioni dell’indagine si evince quindi che le paure di tipo globale, più lontane dal controllo dell’individuo e del governo, tendono ad assillare con maggiore frequenza gli intervistati: tre persone su quattro (il 75% circa del campione). Al secondo posto troviamo invece le paure di tipo economico, che comunque investono il 63% degli italiani. Infine, le preoccupazioni legate alla criminalità, che coinvolgono circa il 43% delle persone prese in esame. Inoltre è possibile tracciare un identikit delle persone "spaventate".

La criminalità fa più paura al Sud (dove l’indice raggiunge il 46%), alle donne, alla fascia d’età compresa fra i 54 e i 64 anni, alle persone meno istruite e a quelle che vivono nei centri che superano i 50 mila abitanti. Anche l’insicurezza economica colpisce maggiormente il Mezzogiorno (70%) e la popolazione femminile, ma spaventa molto anche i giovani e i professionisti. Le preoccupazioni legate alla dimensione globale, invece, appaiono molto più trasversali a tutti i diversi settori sociali; i meno colpiti gli studenti.

E l’orientamento politico di chi ha risposto alle domande quanto influisce? Di illegalità e difficoltà economiche hanno più paura gli elettori di centrodestra, mentre le tematiche legate alla globalizzazione preoccupano maggiormente le persone che hanno destinato il proprio voto ai partiti dell’Unione.

Giustizia: telecamere in strade e piazze, è d'accordo l’86%

 

Redattore Sociale, 17 dicembre 2007

 

Uno su tre, tra gli intervistati da Demos per la Fondazione Unipolis, ha installato un sistema antifurto a casa. Il 44% ha già blindato porte e finestre. Ma solo il 33% è d’accordo con i controlli bancari. Siamo un popolo sempre più chiuso in casa e "blindato". Lo rivela la ricerca condotta da Demos per la Fondazione Unipolis, che sottolinea come "la domanda di sicurezza ci isola e ci rende soli". Una persona su tre, tra gli intervistati, ha installato un sistema antifurto nella propria abitazione e un altro 14% medita di farlo presto.

Il 44% ha già provveduto a blindare porte e finestre, un altro 10% sta pensando di farlo. Alla percezione di insicurezza corrisponde una corsa degli italiani all’autodifesa che significa soprattutto barriere e allarmi. Resta relativamente limitata la diffusione delle armi: l’8% dichiara di possederne una, un altro 4% pensa di acquistarla. Dati, comunque, non trascurabili.

Un altro dato significativo: per avere più sicurezza gli italiani sono disposti a "sacrificare" dimensioni e spazi pubblici, molto meno la sfera del privato. In tema di controlli e vigilanza anti-crimine, infatti, l’89% degli intervistati sarebbe d’accordo ad "aumentare la presenza della polizia nelle strade e nei quartieri". L’86% è favorevole "all’aumento di sorveglianza degli spazi pubblici attraverso telecamere", che risultano essere lo strumento di controllo più apprezzato.

Il presidio del territorio, dunque, rassicura: ma altre forme di vigilanza sono molto meno apprezzate. Solo il 19% degli intervistati, ad esempio, dice sì a controlli sulle comunicazioni personali - intercettazioni postali, telematiche, telefoniche - anche se a fini di sicurezza pubblica. Non molti di più, il 33%, si dicono d’accordo sul controllo di movimenti bancari e acquisti tramite carte di credito. Anzi: negli ultimi 5 anni la percentuale di chi chiede telecamere in vie e piazze è salita di 7 punti, mentre è calata sempre di 7 punti la percentuale di chi accetta monitoraggi sulle transazioni bancarie. Insomma: quando i controlli per garantire sicurezza investono lo spazio privato, "lo sguardo dello Stato - conclude la ricerca - non è più gradito né invocato".

Giustizia: gli immigrati, un "pericolo" per il 47% degli italiani

 

Redattore Sociale, 17 dicembre 2007

 

È il dato più alto degli ultimi dieci anni: il 55% degli intervistati da Demos per la Fondazione Unipolis è a favore delle ordinanze prese dai sindaci contro lavavetri e venditori abusivi. Il 26% è per lo sgombero dei campi nomadi. Torna a salire un’onda di generica paura degli stranieri. Il 47% degli italiani, secondo la ricerca di Fondazione Unipolis e Demos, pensa che gli immigrati siano indistintamente "un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone". È il dato più alto degli ultimi dieci anni, e rivela che il binomio immigrazione-criminalità è tornato a farsi forte nella percezione dei cittadini.

Nel 1999, infatti, era il 46% a sostenere l’associazione "immigrati uguale pericolo per la sicurezza": ma questa percentuale si era poi progressivamente ridotta fino al 33% nel 2003, anno in cui, tra l’altro, Gianfranco Fini propose di consentire il voto amministrativo agli immigrati regolari. Da allora, però, la percentuale di chi associa gli stranieri ad un "rischio" è di nuovo progressivamente aumentata: 37% nel 2004, 39-42% nel 2005, 42-43% nel 2006, fino al 47% di oggi. Coerenti con queste premesse sono le risposte a un’altra domanda: il 55% degli intervistati da Demos-Unipolis si dichiara a favore delle varie ordinanze e misure prese dai sindaci delle città italiane contro lavavetri e venditori abusivi. Lavavetri che sono spesso stranieri, e quindi percepiti comunque come una "minaccia". Stessa musica per i nomadi.

Aumentano tra i cittadini coloro che pensano che i campi vadano "sgomberati e basta", dal 18% del 2005 al 26% del 2007 (dati dell’Osservatorio sul capitale sociale degli italiani). E diminuiscono, in parallelo, coloro che pensano sia opportuno cercare una nuova sistemazione prima di procedere agli sgomberi dai campi: erano il 59% nel 2005, sono scesi al 53% nel 2007.

Giustizia: processi sono troppo lenti, risarcimenti in aumento

di Mario Sensini

 

Corriere della Sera, 17 dicembre 2007

 

Al Tesoro fino a ieri la chiamavano "operazione aringa", perché ricontrollando da capo a fondo la loro spesa pubblica, i tedeschi avevano scoperto, scandalizzandosi alquanto, che lo Stato ancora dava i contributi decisi da Otto Von Bismarck ai pescatori di aringhe nel Mare del Nord. Adesso a Via XX Settembre hanno deciso di chiamarla semplicemente "revisione della spesa": c’è poco da scherzare, perché da noi, da quando è cominciata, più" che aringhe saltano fuori bombe a orologeria.

Prassi, abitudini e leggi, qualche volta dimenticate, che producono o sono in grado di produrre sul bilancio pubblico effetti semplicemente "raccapriccianti" per dirla con il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Meccanismi perversi tipicamente italiani, come la legge Pinto varata nel 2001 dal Parlamento che per accelerare i tempi della giustizia, ed evitare che la Corte di Strasburgo fosse sommersa di ricorsi da parte dei cittadini italiani, riconosceva "un’equa riparazione" a chi subisce i tempi "non ragionevoli" di un processo.

La legge rispondeva alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che dà diritto a ogni cittadino ad "un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole davanti a un tribunale indipendente". Nell’impianto originario della legge Pinto c’erano anche delle regole che andavano alla radice del problema, cioè accelerare le procedure della macchina giudiziaria.

Nel corso della lunga discussione parlamentare, però, vennero cancellate. Ed è rimasto solo il deterrente, cioè l’istituto del risarcimento. Con il risultato che negli ultimi sei anni i tempi della giustizia sono diventati ancora più lunghi, mentre i risarcimenti della legge Pinto sono diventati sempre più numerosi e costosi. Al punto da rappresentare un altro pesante aggravio di lavoro per la già stracarica e lenta giustizia italiana, e soprattutto un serio rischio per l’intera finanza pubblica italiana.

Una "bolla" da mezzo miliardo di euro l’anno, pronta a scoppiare. Basta fare due conti, come ha fatto la Commissione Tecnica per la Spesa Pubblica, per rendersene conto. Allo stato la quasi totalità dei circa 50 mila ricorsi civili che giungono annualmente in Cassazione ha superato i cinque anni di pendenza complessiva. E questo significa che almeno 100 mila soggetti l’anno (perché il risarcimento riguarda tutte le parti in causa, quindi almeno due) hanno potenzialmente diritto all’indennizzo.

Calcolando un risarcimento medio di 4 mila euro a testa e altri mille per il rimborso delle spese di difesa, "le sole cause introdotte in un anno potrebbero determinare - scrive la Commissione - una spesa di 500 milioni di euro". Mille miliardi di vecchie lire, ed è un calcolo abbondantemente per difetto, perché anche una parte significativa dei 150 mila procedimenti che ogni anno vengono introdotti in appello scivola oltre i cinque anni.

Che non è il limite della "ragionevolezza", perché la legge non lo stabilisce con precisione, ma pare che così venga interpretato dagli stessi giudici. Secondo il Tesoro si tratta di un "onere latente", ma a guardar bene mica tanto. Anche perché lo stesso Tesoro non è in grado di dire effettivamente quanto si spende già oggi per la legge Pinto.

Nel 2003 i procedimenti per l’equa riparazione furono poco più di 5 mila con una spesa di 5 milioni. Poi c’è stata una crescita rapidissima, 8.907 nel 2004, 12.130 nel 2005, 20.560 nel 2006. Il carico di lavoro della magistratura è cresciuto e le risorse stanziate in bilancio per coprire le spese di riparazione si sono rivelate insufficienti.

Ogni anno gli esborsi hanno superato di gran lunga gli stanziamenti di bilancio (10 milioni nel 2005, 18 nel 2006), con il risultato che "i risarcimenti che non hanno trovato copertura sono andati ad alimentare il debito sommerso" del ministero della Giustizia, scrive la Commissione sulla spesa pubblica. A quanto ammonti la spesa reale nessuno lo sa: "Importi - si dice - di difficile quantificazione". Comunque abbastanza per convincere la Commissione sulla spesa pubblica e il ministro Padoa-Schioppa che occorra far qualcosa.

Ma cosa? "La riduzione della durata dei processi è un obiettivo indeclinabile per migliorare le dinamiche della spesa" dice la Commissione. Ma pur essendo "obiettivo prioritario" da tempo i risultati scarseggiano. Negli ultimi vent’anni lo stock delle cause civili arretrate è triplicato e nel 2004, tra primo e secondo grado, superava i 3 milioni di procedimenti. Nello stesso periodo i processi penali sono raddoppiati, e così la durata media: dal 1975 al 2004 la lunghezza delle cause civili è cresciuta del 90%, e per quelle di contenuto economico, addirittura, del 97% (la media attuale è di circa 2.700 giorni di durata).

In Corte d’Appello, il carico di lavoro dei magistrati ha segnato solo una marginale flessione nel 2004, ma nel 2005 la crescita dell’arretrato è ripresa superando ogni record. E sarebbe continuata inesorabilmente anche nel 2006 e nell’anno in corso.

Del resto, finora nessuno ha mai messo le mani sui veri fattori che determinano le lentezze della macchina giudiziaria, alcuni dei quali sono stati messi a nudo dalla stessa Commissione sulla spesa pubblica, come la remunerazione degli avvocati (che dovrebbe essere basata su formule di forfettizzazione, invece che a prestazione) 0 il sottodimensionamento degli uffici giudiziari. Oggi, comunque, l’unica soluzione a portata di mano per mettere al sicuro la finanza pubblica dai danni del "processo irragionevole" sembra essere quella di riconsiderare la legge. Disinnescare la bomba, quindi. "È opportuno e urgente una rivisitazione della legge" dice la Commissione. Perché "persistendo l’attuale situazione esiste un rischio di generalizzata duplicazione dei giudizi di merito di durata "irragionevole" con giudizi di equa riparazione, con costi elevatissimi e indebolimento ulteriore della capacità del sistema di rispondere alla domanda di giustizia".

Giustizia: Bossi; su tema sicurezza Prodi non tocchi i sindaci

 

Adnkronos, 17 dicembre 2007

 

Il Senatur alla manifestazione della Lega a Milano: "Il Paese è stufo di illegalità e la gente è con loro. I prefetti di Roma non riusciranno a fermarli, l’obiettivo resta conquistare la libertà della Padania". Calderoli: "Oggi siamo trecentomila".

"Prodi non tocchi i sindaci che sono gli unici che difendono la sicurezza dei cittadini, il Paese è stufo dell’illegalità". Così Umberto Bossi ha difeso le ordinanze dei sindaci leghisti sulla sicurezza ‘intimandò al presidente del Consiglio di non "provare a cancellare i sindaci, sarebbe una scelta sbagliata e perdente, una scelta contro i cittadini".

L’occasione dell’altolà al premier è stata la tradizionale manifestazione di dicembre della Lega a Milano, alla quale, secondo Roberto Calderoli, hanno preso parte in "trecentomila". Tra questi per motivi familiari non c’era il sindaco di Milano, Letizia Moratti. In testa uno striscione tenuto da alcuni sindaci leghisti dal titolo "Liberiamo la Padania, da Prodi, dal suo indulto, dalle sue tasse, dalla schiavitù romana". I partecipanti hanno osservato un minuto di silenzio per ricordare le vittime sul lavoro e in particolare l’operaio della Thyssen Krupp deceduto oggi.

Dal comizio in piazza Duomo (che lo ha visto protagonista anche di un fuori programma quando si è messo a cantare "Oh mia Bela Madunina") il Senatur ha mandato un messaggio inequivocabile all’esecutivo e al Professore: "La gente sta con i sindaci e se ci sarà bisogno di difenderli sarò in prima fila per la guerra di liberazione perché l’obiettivo è sempre quello di conquistare la libertà della Padania. I prefetti di Roma non riusciranno a fermarci, a fermare i nostri sindaci, perché i cittadini del Nord vogliono il federalismo e sostengono le decisioni dei sindaci".

Quindi ha apostrofato il premier come "un vecchio democristiano attaccato alla poltrona" che "non va a casa neanche con il fucile", ed ha lanciato bordate contro il governo. "Ne combina di tutti i colori - ha scandito - è una vergogna che in un Paese democratico chi non è d’accordo venga defenestrato come avvenuto per il generale della Finanza".

Quanto alle riforme, parlando con i giornalisti al termine della manifestazione, il leader del Carroccio ha detto che "Berlusconi ci ha provato ma adesso tutto è fermo. La verità è che bisogna cambiare la legge elettorale per evitare il referendum perché con il referendum la legge è già fatta". Poi, a chi gli chiedeva dello stato dei suoi rapporti con il Cavaliere, Bossi ha risposto: "Con Berlusconi abbiamo sempre cercato di andare d’accordo". E il ruolo della Lega? "In passato io ci andavo giù pesante, adesso sono proprio mediatore".

Toscana: Fondazione Michelucci; cresce detenzione sociale

 

Agenzia Regione Toscana, 17 dicembre 2007

 

La Fondazione Michelucci presenta i nuovi dati dell’Osservatorio. Esaurito "l’effetto indulto". Salvadori: "Stiamo lavorando per aumentare il numero di operatori negli istituti e creare percorsi di lavoro per chi esce".

A circa un anno dall’approvazione dell’indulto, il 19 settembre 2007, dagli istituti penitenziari toscani erano uscite 1.636 persone, 877 italiani (53,6%) e 759 stranieri (46,4%). Rispetto al dato nazionale (26.756 le persone uscite di cui il 61,6% italiani e il 38,4% stranieri) la quota di detenuti stranieri che hanno beneficiato dell’indulto è stata superiore di 8 punti percentuali, a testimonianza di una maggior presenza di immigrati nelle carceri toscane.

"La presenza in carcere è di nuovo a livelli elevati - ha dichiarato l’assessore alle politiche sociali Gianni Salvadori - e se ciò sta accadendo lo dobbiamo soprattutto a due leggi, la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze. I dati che abbiamo a disposizione grazie alla Fondazione sono preoccupanti. Dobbiamo attivarci al più presto per consentire a chi entra in carcere di essere accolto in maniera dignitosa e per chi ne esce di potersi totalmente reinserire nella società.

Stiamo lavorando a due progetti che dovrebbero partire all’inizio del 2008: uno per aumentare il numero di operatori all’interno degli istituti e l’altro per creare percorsi concreti di lavoro per chi esce. In totale metteremo a disposizione 370mila euro, 120mila per il primo progetto e 250mila per il secondo. Un altro impegno che abbiamo preso riguarda un progetto avviato nel carcere di Porto Azzurro destinato agli ipovedenti. Piccoli sforzi - ha concluso l’assessore - che puntano ad aprire nuove strade in un universo complicatissimo".

Al 30 giugno 2006 la popolazione detenuta toscana ammontava a 4.106 persone (210 le donne, 5,1% del totale). Già nel 2000 i detenuti toscani avevano toccato quota 3.900 per superare i 4.000 a partire dal 2003. Sempre a metà 2006 i detenuti di origine straniera erano 1.660 (93 le donne) pari al 40% del totale (contro il 33% a livello nazionale).

I detenuti tossicodipendenti erano il 30% circa, gli alcol-dipendenti il 3%, quelli affetti da Hiv il 2% circa. Questo conferma anche in Toscana la tendenza nazionale al ricorso alla cosiddetta detenzione sociale: aumenta cioè la presenza nelle strutture detentive di persone che vivono in uno stato di svantaggio, disagio o marginalità per le quali, più che una risposta penale o carceraria, sarebbero più opportune politiche di prevenzione e sociali appropriate.

Dopo l’indulto l’assetto e l’organizzazione delle strutture penitenziarie italiane e toscane è mutata profondamente, ma è poi emersa una dinamica che ha confermato quello che era già chiaro prima dell’indulto: senza cambiamenti normativi che favoriscano la depenalizzazione dei reati minori, il potenziamento delle misure alternative, l’introduzione di misure sostitutive e la modifica delle recenti disposizioni in materia di immigrazione, tossicodipendenza e recidiva, la popolazione detenuta sarebbe cresciuta in modo spedito, riproponendo in breve tempo la situazione di sovraffollamento pre-indulto.

Ad inizio 2007 la presenza straniera era salita al 43,3% del totale, più del 3% rispetto a sei mesi prima: su 2.864 detenuti gli stranieri erano 1.241 (54 le donne). Confrontando la composizione della popolazione detenuta nell’arco di un anno (31 luglio 2006 - 31 luglio 2007), si è evidenziato in vari casi il ritorno ad una situazione di sovraffollamento, simile a quella pre-indulto, e l’incremento della componente straniera.

Il fenomeno è abbastanza chiaro ad esempio ad Arezzo, Livorno, Pisa, Pistoia e Prato. A Sollicciano si è riusciti a restare sotto le 800 unità, grazie al ricorso a periodici sfollamenti verso altre strutture. La popolazione complessiva a metà settembre 2007 aveva già superato la capienza regolamentare (fissata allora dall’amministrazione penitenziaria in 2.848 posti) di circa 380 unità. I detenuti stranieri sono aumentati in tutte le case circondariali: ad Arezzo, a Sollicciano, a Livorno, a Lucca, a Pisa, Pistoia, Prato e Siena. Analoga situazione anche in altre strutture (Firenze Mario Gozzini, Empoli, Grosseto, Massa Marittima, Pontremoli) dove la popolazione detenuta è piuttosto bassa. Nella casa di reclusione di Massa si è passati dal 30 al 47%. In un anno anche l’OPG di Montelupo ha registrato un incremento della popolazione internata malgrado la capacità ricettiva. Attualmente gli Istituti penitenziari per adulti in Toscana sono 18 (19 se consideriamo la struttura di Pontremoli, sezione distaccata femminile della Casa Circondariale di Massa).

La Toscana è tra le regioni a più alta concentrazione di Istituti ed accoglie tutte le tipologie di penitenziari: ci sono 12 case circondariali (Arezzo, Empoli, Firenze Mario Gozzini, Firenze Sollicciano, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa Marittima, Pisa, Pistoia, Prato, Siena, di cui Empoli, Firenze Mario Gozzini e Massa Marittima a custodia attenuata), 5 case di reclusione (Gorgona, Massa, Porto Azzurro, San Gimignano, Volterra), 1 Ospedale Psichiatrico Giudiziario (Montelupo Fiorentino) e l’Istituto femminile di Pontremoli che dipende dalla direzione di Massa.

Milano: tagli ai fondi per ex detenuti, il Comune sotto accusa

 

Redattore Sociale, 17 dicembre 2007

 

Un documento siglato dal 23 associazioni e enti non profit associazioni. Mandreoli: "Nel 2007 le cooperative sociali hanno lavorato senza ricevere un soldo". L’assessore Moioli: "Non è vero, i fondi li abbiamo stanziati".

In calce il documento riporta l’adesione di quasi tutte le associazioni, enti e cooperative che si occupano di carcere a Milano: sono ben 23. Fra queste spiccano i nomi di Caritas Ambrosiana, Sesta Opera San Fedele (legata ai gesuiti), Agesol, Gruppo Abele di Milano e Cgil. Criticano il Comune di Milano perché ha di fatto tagliato i fondi a due progetti a favore di ex detenuti: "Un tetto per tutti", che offre un alloggio a chi esce dal carcere e non sa dove andare, e "Puntoacapo", che quando ancora stanno scontando la pena in cella li aiuta orientandoli nella ricerca di un lavoro.

"Si tratta di due servizi del Comune dati in appalto alle cooperative - spiega Corrado Mandreoli, responsabile del dipartimento politiche sociali della Cgil -. Nel 2007 però non sono stati pubblicati i bandi di gara e quindi le cooperative hanno dovuto portare avanti i servizi da sole, senza ricevere un soldo. Lo hanno fatto perché chi esce dal carcere ha bisogno di aiuto e non si può negarglielo".

Il servizio "Puntoacapo" è gestito dalla cooperativa A&I, che quest’anno ha dovuto sborsare di tasca propria 150mila euro. In due anni di attività sono stati seguiti mille detenuti. "Un tetto per tutti", realizzato da una cordata di associazioni con capofila Caritas Ambrosiana, fino alla fine del 2006 offriva 52 posti letto in appartamenti in cui gli ex detenuti venivano seguiti da educatori: ora, dopo i tagli del Comune (il progetto è sostenuto anche dalla Regione; ndr), i posti letto garantiti sono solo 38. "Per gli altri dobbiamo metterci nostri fondi - spiega Luca Massari, responsabile area carcere di Caritas Ambrosiana -. Ogni posto letto costa 8 euro al giorno, contro i circa 300 in carcere".

Le 23 associazioni fanno parte dell’Osservatorio carcere e territorio di Milano, nato nel 1993 e presieduto dal Comune. "Con la giunta Moratti l’Osservatorio è stato convocato solo una volta -spiega Corrado Mandreoli-. Di fatto il Comune si sta tirando indietro. È criminale il fatto che non senta il bisogno di confrontarsi con le associazioni che da anni si occupano di carcere e di lavorare con loro per portare avanti i progetti di inserimento sociale".

Secondo le associazioni, fra gli ex detenuti aiutati a trovare una casa e un lavoro, la recidiva è molto bassa. "La risposta alla richiesta di sicurezza dei cittadini può venire da questi progetti, non dai proclami - afferma don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana -. Qui ci troviamo di fronte ad un tipico caso in cui il mondo non profit toglie le castagne dal fuoco al Comune che non fa il suo dovere, ma ci sentiamo anche in diritto di alzare il dito per richiamarlo ai suoi compiti".

"Non è vero niente - replica Mariolina Moioli, assessore alle politiche sociali -. Per il 2007 abbiamo confermato i fondi dell’anno precedente". L’assessore è sorpresa del documento sottoscritto dalle 23 associazioni. "Prima di criticarmi potevano consultarmi per chiarire la situazione", afferma. "Abbiamo chiesto più volte un incontro - precisa Luisa Della Morte, della cooperativa Alice -. Ma non ci ha mai risposto".

Cagliari: appello; rientrino in Sardegna tutti i detenuti sardi

 

Comunicato stampa, 17 dicembre 2007

 

A seguito della vicenda di Antonino Loddo, detenuto sardo a Rebibbia, affetto da una grave patologia, incurabile e degenerativa che lo costringe all’immobilità, da cui le sue condizioni sono ulteriormente aggravate per gli effetti devastanti provocati dallo sciopero della fame e della sete effettuato per essere trasferito nel centro clinico del carcere di Buoncammino.

Come Associazione "5 Novembre Per i Diritti Civili" vogliamo denunciare una grave e costante discriminazione anticostituzionale ai danni dei detenuti sardi. Sono numerosi i detenuti sardi, in esecuzione di pena e in attesa di giudizio, rinchiusi nelle Carceri della Penisola. La detenzione nella Penisola crea pesanti disagi ai reclusi ed ai loro familiari, che per le visite e i colloqui impiegano diversi giorni di viaggio con spese gravanti su situazioni economiche sempre molto difficili, e ripercussioni psicologiche per i limiti ai rapporti affettivi nei riguardi dei familiari, soprattutto bambini e anziani.

Questa situazione aggrava l’aumento delle diseguaglianze dentro il mondo del carcere, nonostante il nostro impianto costituzionale sia incentrato sul principio di eguaglianza e di legalità, crediamo che in assenza di un serio intervento sociale da parte della Regione Autonoma della Sardegna e del Ministero della Giustizia a favore della territorializzazione delle pene, non potremmo mai più parlare di rispetto dei diritti umani.

L’Associazione "5 Novembre Per i Diritti Civili" chiede al Ministero della Giustizia e alla Regione Autonoma della Sardegna: il rispetto della legge sull’ordinamento penitenziario, e la concreta attuazione del protocollo d’intesa tra il Ministro della giustizia e la Regione sul principio di territorializzazione delle pene; sapere per quali motivi Antonino Loddo non possa essere trasferito nel carcere Buoncammino a Cagliari; conoscere il numero dei detenuti sardi, in esecuzione di pena o in attesa di giudizio, rinchiusi nelle Carceri della Penisola.

 

Roberto Loddo

Associazione "5 Novembre Per i Diritti Civili"

Lucca: Dindo Sanin, un detenuto modello espulso per forza

 

La Repubblica, 17 dicembre 2007

 

La storia di Dindo Sanin è come quella di un ammalato grave che, dopo essersi completamente ristabilito dopo un lungo ricovero, venga dimesso dall’ospedale e obbligato a trascorrere le notti al freddo. Per Dindo Sanin l’ospedale è stato il carcere, la terapia è stata lo studio dietro le sbarre. Le notti al freddo saranno, se non si troverà una soluzione, l’allontanamento dall’Italia, dal lavoro, dagli affetti.

È una vicenda davvero triste quella di Dindo Sanin. S’intravvede una strana forma di autolesionismo, un autolesionismo istituzionale. Una volta tanto che la pena esercita la sua funzione, i meccanismi della legge prevedono una nuova emarginazione del condannato solo perché è un cittadino extracomunitario. Un insensato spreco di tempo e di risorse.

Dindo Sanin, che ha la cittadinanza bosniaca, è stato uno dei giovani devianti che contribuiscono a incrementare le statistiche della criminalità. Ha commesso reati gravi: furti e anche rapine finché, nel marzo del 2003, è stato arrestato e recluso nel carcere di Pisa. Poi a Livorno e a Porto Azzurro. Il seguito l’ha scritto lui in una lettera al suo avvocato, Tiziana Pedonese del foro di Lucca: "Un cambio di rotta che ha di fatto segnato il mio ritorno alle origini, a quel ragazzo generoso e onesto che, prima dell’inizio della guerra, era sempre tra i primi della classe: a scuola, in famiglia, tra gli amici. Da allora sono passati quasi cinque anni... Oggi mi sento un uomo fortunato. Se potessi ringrazierei il destino e le coincidenza della vita che mi hanno salvato conducendomi in carcere".

Durante la detenzione Dindo Sanin ha conseguito il diploma di scuola media, poi si è iscritto al liceo scientifico, quindi, dopo la scarcerazione, è passato a studiare economia aziendale in un istituto economico turistico di Lucca e ha trovato un lavoro come operaio specializzato nella falegnameria sulle imbarcazioni da diporto. I giudizi degli insegnanti, del datore di lavoro, tutti positivi, sono documentati in una serie di relazioni e di dichiarazioni scritte.

Paradossalmente è il successo del percorso riabilitativo a mettere in discussione il futuro di Dindo Sanin. Scarcerato nel gennaio del 2007 in applicazione dell’indulto, è stato sottoposto per un anno alla sorveglianza speciale. Ed è stata proprio questa misura di sicurezza a legittimare la sua permanenza in Italia. Scadrà il 2 gennaio e difficilmente sarà prorogata o trasformata, per esempio, in libertà vigilata. Dunque quello stesso giorno, in base alla legge Bossi Fini, il pregiudicato Dindo Sanin sarà espulso.

Della possibilità che ottenga un permesso di soggiorno, non se ne parla proprio. E le ragioni sono, in generale, perfettamente comprensibili: se infatti lo si accordasse a un soggetto con quella fedina penale, si creerebbe un precedente pericoloso. Il fatto è che esistono delle eccezioni. E il caso di Dindo Sanin, come sottolinea il suo avvocato, rientra in questa categoria.

Occuparsene potrebbe apparire, nel crescente clima xenofobo dell’Italia calderoliana, una esercitazione di "buonismo". Ma, a pensarci bene, ci sono anche delle ragioni molto concrete e molto banali. Se allo straniero detenuto si preclude in assoluto la possibilità di rifarsi una vita, gli si sta indicando come unico percorso possibile quello della devianza. Con gli effetti facilmente immaginabili.

Roma: Rebibbia; più semplice rilascio delle carte d'identità

 

Apcom, 17 dicembre 2007

 

In base al nuovo iter studiato per abbreviare i tempi, l’Ufficio del Garante fornirà i moduli ai detenuti che li richiedono e li consegnerà, compilati, al V Municipio per il rilascio del documento.

Parte la procedura di snellimento delle procedure burocratiche che consentirà il celere rilascio delle carte d’identità ai reclusi del carcere di Rebibbia. Nei giorni scorsi la Direzione del Carcere ha, infatti, richiesto al Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni la fornitura dei primi dieci moduli di richiesta del documento di identità da mettere a disposizione dei reclusi che ne facciano richiesta.

La novità è frutto di un Protocollo d’intesa siglato, nei mesi scorsi, tra il presidente del V Municipio di Roma Ivano Caradonna e il Garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni - con il beneplacito della direzione del carcere - dopo che lo stesso Marroni aveva sollevato il problema delle difficoltà dei detenuti ad ottenere i documenti di identità, evidenziando il fatto che la mancanza del documento impedisse loro di esercitare i diritti più elementari come quello al voto, o l’accesso ai benefici di pensioni sociali o di invalidità o alternativi alla detenzione.

Lo snellimento dell’iter concordato con il Protocollo d’Intesa passa attraverso una procedura sperimentale: gli operatori del Garante consegneranno i moduli di richiesta ai detenuti, che dovranno compilarli. Le richieste saranno poi consegnate agli Uffici del V Municipio. Una volta lavorata la pratica, la carta d’identità sarà consegnata al detenuto richiedente dall’ufficiale dell’Anagrafe, attuando un decentramento che il V Municipio sta già sperimentando nel mercato di San Romano.

"Siamo molto soddisfatti che sia finalmente passato alla fase operativa questo progetto sperimentale - ha detto il Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - Carta d’identità e Residenza anagrafica sono requisiti fondamentali per consentire ai detenuti di godere dei loro diritti civili che non vengono persi durante la detenzione. Grazie alla collaborazione tra istituzioni arriviamo a sanare una situazione che, fino ad oggi, ha penalizzato tanti detenuti, impossibilitati a fruire di tanti servizi proprio a causa della mancanza di questi preziosi e fondamentali documenti".

Verona: la Provincia dà lavoro alle persone svantaggiate

 

Comunicato stampa, 17 dicembre 2007

 

Il 18 dicembre alle 9,30 la presentazione del progetto al Centro Polifunzionale Don Calabria. "Data la realtà molto problematica per l’inserimento nel mondo del lavoro di particolari fasce di persone (in base all’età, al genere, alla scolarità)" - spiega l’operatrice del Centro Impiego della Provincia Lina Negrini - "ci siamo chiesti come aiutare chi ha persino ulteriori difficoltà: le persone svantaggiate che rientrano nella legge 381/99 per le Cooperative sociali".

Nasce così "Percorsi per la persona: La rete come strumento di sussidiarietà orizzontale nei percorsi di riqualificazione di persone svantaggiate", un progetto finanziato d alla Fondazione Cariverona, la cui presentazione operativa e informativa si terrà nella mattina del 18 dicembre al Centro Polifunzionale Don Calabria di via San Marco, 121. Il progetto, attuato dal Comune di Verona, Provincia, Ulss 20, 21, 22 con la collaborazione dell’Associazione La Fraternità ed altri partner, è finalizzato all’inserimento lavorativo di 120 disabili, 45 persone con problemi di dipendenze, 20 detenuti ammessi alle misure alternative alla detenzione ed ex detenuti. La promozione, il sostegno e lo sviluppo del sistema delle Cooperative di tipo b, da sempre artefici di inclusione sociale, sono altre specifiche azioni del progetto che saranno illustrate nel corso della mattinata. Operatori dei Servizi pubblici e soggetti privati, sono tutti invitati a partecipare all’incontro.

 

Ufficio Stampa Associazione "La Fraternità"

Agrigento: lavori pubblica utilità a detenuti ed ex detenuti

 

La Sicilia, 17 dicembre 2007

 

L’Amministrazione di Canicattì, ha dato il via ad un progetto di pubblica utilità che coinvolge soggetti che in passato hanno avuto problemi con la giustizia. Il progetto, portato avanti dall’assessore alla Solidarietà sociale, Daniela Marchese Ragona, prevede il coinvolgimento di soggetti in stato di libertà per fine detenzione o anche soggetto sottoposti a pena alternativa alla detenzione o alla misura di sicurezza e beneficiari dell’indulto.

I prescelti saranno impiegati in lavori che prevedono la cura e la custodia del Cimitero comunale di Via Nazionale, pulizia del centro urbano e del Centro anziani di Via Milano. In totale sono 16 i soggetti che hanno presentato richiesta negli uffici dell’assessorato alla Solidarietà sociale siti in via Battisti. Adesso gli impiegati comunali, dovranno accertare il possesso dei requisiti richiesti per stilare una graduatoria. I prescelti percepiranno un contributo che dovrebbe aggirarsi intorno ai 400 euro mensili.

"Siamo il secondo Comune della provincia di Agrigento ad attuare questo genere di iniziative - commenta l’assessore Marchese Ragona - si tratta di progetti che hanno una valenza sociale significativa poiché servono a rivalutare categorie di persone che spesso agli occhi dell’opinione pubblica sono etichettate come delinquenti e dunque come persone da evitare. Vogliamo invece che questa gente abbia la possibilità di riscattarsi dimostrando che ha voglia di lavorare".

Terni: un corso di formazione professionale per detenuti

 

Asca, 17 dicembre 2007

 

Unisce formazione professionale e sensibilizzazione sulle tematiche ambientali il corso per installatori di pannelli solari che è stato avviato nella Casa Circondariale di Terni. Il corso sarà completato dall’installazione di pannelli solari nell’istituto penitenziario, nell’ambito di un progetto del ministero di Grazia e giustizia. Finalità e modalità del corso - è detto in una nota - verranno illustrati domani, martedì 18 dicembre, a Perugia nel corso di una conferenza stampa che si terrà alle 12 al Salone d’Onore di Palazzo Donini. Vi prenderanno parte l’assessore regionale alla Formazione professionale Maria Prodi e il direttore della casa circondariale di Terni Francesco Dell’Aira.

Ascoli: per Natale le scuole di danza di scena in carcere

 

Corriere Adriatico, 17 dicembre 2007

 

Anche l’Amministrazione comunale di Ascoli si è messa pienamente all’opera per offrire un Natale sereno a tutti i cittadini (bisognosi e non) della nostra città. È l’assessore ai Servizi sociali, Achille Marcucci a presentare il quadro delle iniziative che l’Arengo conta di mettere in campo in occasione delle festività natalizie. "Martedì prossimo il gruppo teatrale "Il sentiero" del Dipartimento di salute mentale della Zona 13 di Ascoli, promuoverà una rappresentazione teatrale all’interno della Casa Circondariale di Marino del Tronto".

Ospiti del penitenziario del Marino saranno anche le scuole di danza associate della nostra città che, come ha anticipato lo stesso assessore ai servizi sociali, "si esibiranno, entro la fine dell’anno, tra le pareti della casa circondariale per offrire ai detenuti un momento di svago e di intrattenimento in vista dell’avvento del Santo Natale".

Droghe: Ferrero; riforma della "Fini-Giovanardi" è bloccata

 

Notiziario Aduc, 17 dicembre 2007

 

La politica sta facendo molto meno di quello che dovrebbe per combattere la diffusione della droga e la tossicodipendenza. Ne è convinto il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, che oggi a Forlì è intervenuto ad un convegno su droghe e mass media.

"La politica dovrebbe fare molto di più, stiamo facendo molto meno di quello che dovremmo, intanto dovremmo modificare la legge e lo Stato dovrebbe lavorare sulla prevenzione, punire pesantemente gli spacciatori, ma non punire i consumatori". "La politica dovrebbe avere coerenza nel fare prevenzione sia sulle sostanze illegali ma anche su quelle legali, perché il consumo dei superalcolici non fa meglio della cannabis".

Ferrero ha poi lamentato il blocco del disegno di legge, suo e del ministro Turco, sulle droghe, fermo da sei mesi e di cui il Consiglio dei Ministri "non riesce a discutere", e anche dell’incapacità di affrontare un disegno di legge in cui si proponeva il divieto della pubblicità degli alcolici in Tv. "I mass media dovrebbero informare sugli effetti delle sostanze sia legali che illegali, in maniera più razionale possibile. È un fenomeno, quello delle tossicodipendenze, che tocca solo per le sostanza illegali 10 milioni di persone, un fenomeno sociale enorme di cui bisogna discutere seriamente".

 

Discutiamo subito la modifica della legge Fini-Giovanardi...

 

Il disegno di legge per modificare la Fini-Giovanardi potrebbe essere discusso entro la fine dell’anno. Questo, almeno, se verrà accolta la richiesta a Romano Prodi fatta dal ministro alla Solidarietà sociale, Paolo Ferrero. "Il provvedimento concordato con Livia Turco è fermo da sei mesi, non si riesce nemmeno a discuterlo in Consiglio dei ministri", dice Ferrero nel corso del suo intervento al convegno "Droghe e mass-media. Quali politiche socio-sanitarie?" in corso a Forlì. Il "blocco", per il ministro, è indice della "mancanza di quel minimo salto culturale necessario per affrontare scientificamente il tema", che in altri Paesi europei trova soluzione "a prescindere dal governo".

Tre i punti del ddl: presa in carico da parte del servizio senza sanzioni amministrative, che "puniscono i consumatori vanificando l’aspetto della prevenzione; la reintroduzione delle tabelle che distinguono fra droghe pesanti e droghe leggere e tengano conto della pericolosità delle sostanze ("attualmente nella Fini-Giovanardi - dice il Ministro - nel determinare le quantità per distinguere fra consumo personale e spaccio sono stati usati dei moltiplicatori diversi", che finiscono per "premiare" la cocaina rispetto a sostanze meno pericolose); la messa a punto di politiche di riduzione del danno, come, ad esempio, la somministrazione controllata, che oltre ad avere effetti positivi in termini di riduzione della microcriminalità e spaccio "medicalizzerebbe il problema", evidenziandone la natura di "malattia".

 

Lobby produttori alcolici blocca la nuova legge...

 

L’alcol tira il mercato e allora... il ministro Paolo Ferrero, nel corso del suo intervento al convegno sulle droghe in corso a Forlì, parla anche delle difficoltà a discutere in Consiglio dei ministri del ddl di sua iniziativa, che vieta la pubblicità degli alcolici in tv.

La ragione delle difficoltà di cui riferisce Ferrero è che la nuova normativa "incide negativamente su uno dei nostri settori di esportazione". Non solo, per il ministro c’è anche un problema di lobby, lo dimostra il fatto che "siamo riusciti a vietare il fumo nei locali pubblici perché in Italia ci sono pochi produttori di sigarette".

Droghe: Torino; la petizione popolare per una narco-sala

 

Notiziario Aduc, 17 dicembre 2007

 

Questa mattina alle ore 11 nella Sala Capigruppo al secondo piano di Palazzo Civico, è stata presentata la petizione popolare per l’istituzione di almeno una sala del consumo a Torino. I presentatori della petizione (Domenico Massano, dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta, Alessandro Orsi, di Malega 9 e Franco Cantù di Forum Droghe) hanno dichiarato:"Finalmente all’interno del Palazzo civico si tornerà a parlare di sale del consumo, dopo i teatrini politici che ne hanno impedito la discussione per quasi due mesi.

Forse l’argomento crea disagio a qualcuno e forse non è funzionale a strategie di partito o ad alleanze politiche. Questo non ci interessa, ma ci interessano sicuramente i diritti e la dignità dei molti cittadini tossicodipendenti che continuano a rischiare quotidianamente la vita in situazioni di degrado e marginalità.

Le narco-sale sono una risposta a questo bisogno, sono un servizio socio-sanitario di riduzione del danno che in Europa dimostra da circa vent’anni la sua efficacia ed importanza. Efficacia ed importanza che si misurano in termini di vite salvate, salute preservata e dignità restituita. Il dibattito che le riguarda avrebbe meritato maggiore attenzione e responsabilità.

Caro sindaco e cari consiglieri, noi sosteniamo l’importanza che anche a Torino si sperimenti questo tipo di servizio, fornendo dati, esperienze ed evidenze scientifiche, che ci auguriamo possano aiutarvi a superare prese di posizione pregiudiziali ed ideologiche nell’affrontare l’argomento. Domani pomeriggio, infatti, dovrete votare la mozione Grimaldi che riguarda lo stesso argomento: assumetevi le vostre responsabilità e votatela per parti separate. Basta con i teatrini".

Estero: approvato "numero verde" per i detenuti italiani

 

Agi, 17 dicembre 2007

 

Gli italiani che dovessero trovarsi in difficoltà giudiziarie all’estero potranno avvalersi di un numero verde di emergenza. Il governo ha accolto l’ordine del giorno alla Finanziaria proposto da Marco Zacchera (An), che consentirà ai nostri connazionali di contattare da ogni parte del mondo il numero per avere un adeguato supporto dagli uffici preposti dalla Farnesina ed evitare così vere e proprie odissee giudiziarie.

"Ricordo - rileva Zacchera - che attualmente abbiamo circa 3 mila detenuti italiani nelle prigioni all’estero, circa la metà sono ancora in attesa di giudizio; e molte di queste detenzioni si sarebbero potute evitare qualora i nostri connazionali al momento del fermo avessero potuto avvalersi della salvaguardia dei propri diritti sanciti dalla Convenzione dei diritti umani e dagli accordi bilaterali. La battaglia prosegue ora per arrivare a garantire anche ai nostri connazionali all’estero il gratuito patrocinio".

Iraq: governo pensa a un condono di massa per i detenuti

 

Reuters, 17 dicembre 2007

 

Il governo dell’Iraq sta progettando il rilascio di migliaia di detenuti come parte di un piano di riconciliazione nazionale tra sciiti e sunniti. Lo ha detto oggi un alto funzionario. Mowaffaq al-Rubaie, consigliere nazionale per la sicurezza, ha affermato che il piano del primo ministro Nuri al-Maliki "Perdono e sicurezza" dovrebbe "consentire il rilascio di migliaia di detenuti nelle prigioni governative dell’Iraq".

"Crediamo che questo darà un grosso contributo a migliorare la situazione della sicurezza nel Paese", ha detto Rubaie a Bassora, dopo che la Gran Bretagna ha formalmente ceduto la responsabilità di controllare la sicurezza nella seconda più grande città dell’Iraq. Il tema del rilascio dei detenuti dalle prigioni irachene e da quelle americane è uno dei temi più delicati, specie da quando le detenzioni sono fortemente aumentate in seguito alle operazioni militari di quest’anno.

Usa: gli negano la condanna a morte, un 26enne si suicida

 

Ansa, 17 dicembre 2007

 

Un giovane reo confesso di assassinio si è suicidato perché il giudice nicchiava sulla sua richiesta di essere consegnato al boia. Nell’America che si interroga sulla pena capitale, dove il New Jersey ha appena approvato il bando delle esecuzioni per legge e dove l’Onu si appresta a varare la moratoria universale, Robert Rejda, 26 anni di Chicago, che aveva chiesto al giudice l’iniezione letale e non era sotto sorveglianza speciale per rischio suicidio, è stato trovato morto in cella.

Usa: un detenuto su venti è stato vittima di abusi sessuali

 

Ansa, 17 dicembre 2007

 

Un detenuto americano su 20 ha detto di essere stato vittima in carcere di violenza o aggressione sessuale nel corso degli ultimi dodici mesi. Il dato é emerso da una ricerca del ministero della giustizia, i cui risultati sono stati resi noti ieri dall’Organizzazione Human Rights Watch (Hrw). "Nuove statistiche del ministero della giustizia hanno appurato che lo stupro e le aggressioni sessuali di detenuti ad opera di altri detenuti o di guardie carcerarie sono un flagello che colpisce le prigioni americane", ha detto Hrw in un comunicato. "Su una popolazione carceraria totale di 1.570.861 detenuti, il ministero della giustizia sostiene che in un anno più di 70 mila detenuti sono stati vittima di abusi sessuali", vale a dire più di uno su venti, ha osservato Hrw che ha criticato le autorità carcerarie per lo scarso impegno per cercare di evitare tali crimini.

 

 

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