Rassegna stampa 27 aprile

 

Giustizia; Rutelli; serve più attenzione su certezza della pena

 

Apcom, 27 aprile 2007

 

Il Governo deve essere più attento al tema della sicurezza in particolare riguardo alla certezza della pena. Lo dice il vicepremier Francesco Rutelli a "Radio anch’io" dove, rispondendo ad una domanda, ha detto: "Se mi chiede se sono soddisfatto dalle performance della nostra attività politica dico di no. Dobbiamo essere molto più attenti in particolare sulla certezza della pena" perché "chi viene arrestato ed è trovato colpevole viene messo in libertà con troppa facilità". Il leader della Margherita ammette che l’indulto è stato un provvedimento necessario per l’emergenza nelle carceri ma ribadisce che la scarcerazione dei colpevoli "è un male che va combattuto con più determinazione. Bisogna rendere certa la pena, perciò accetto le critiche su questo tema".

Giustizia: pene, sanzioni, rieducazione

di Desi Bruno (Garante dei diritti dei detenuti di Bologna)

 

Giuristi Democratici, 27 aprile 2007

 

Una riflessione sui temi della pena e della sanzione oggi non può prescindere dal considerare che è intervenuto, di recente, il tanto discusso provvedimento di indulto, non accompagnato, come nei precedenti, dalla previsione di amnistia per i reati minori, e che ha previsto per un numero rilevante di reati , anche gravissimi,come l’omicidio, una riduzione di pena nella misura di anni tre della pena inflitta.

Il provvedimento, votato con la maggioranza qualificata richiesta dall’art. 79 Cost. modificato, ha provocato, e continua a provocare, polemiche e critiche nei confronti di quello che viene considerato essere un inaccettabile attacco al principio della certezza della pena, invocato come unico argine al dilagare di fenomeni di criminalità, peraltro differenti per entità e tipologia a secondo del contesto sociale e territoriale in cui si verificano. In realtà, come è noto, l’indulto doveva intervenire, e così è stato, sulla inaccettabile sovraffollamento delle carceri italiane, con un numero di detenuti vicino alle 64.000 presenze contro le 38.000 regolamentari.

Va sempre ricordato che il sovraffollamento carcerario è definito trattamento inumano e degradante dal Comitato europeo contro la tortura e stessa definizione si trova nelle regole penitenziarie europee minime stabilite dal Consiglio d’Europa. Del resto appartiene ormai alla comune conoscenza che le condizioni di vita all’interno degli istituti avevano raggiunto un livello così degradante da compromettere l’integrità psico-fisica non solo dei detenuti, ma anche di molti operatori penitenziari, e che la mancanza di spazi e il compromesso rapporto numerico tra ristretti e personale del trattamento penitenziario aveva in concreto impedito alla pena di svolgere quella funzione rieducativa che la Costituzione continua ad attribuire alla permanenza in carcere.

A ciò si aggiunge il fatto che la popolazione carceraria oggi presenta criticità sconosciute in altri tempi, o non nella misura attualmente data, per la presenza di cittadini stranieri (in alcune carceri rappresentano oltre la metà della popolazione detenuta), di tossicodipendenti, nella percentuale di almeno un terzo, e in una fascia crescente di "semplici" disagiati sociali, persone con problemi di abbandono, disagio psichico, ecc.

Va riconosciuto che per effetto del provvedimento di indulto il clima che si respira è oggettivamente diverso, in ragione della storica circostanza che il numero attuale dei detenuti è inferiore alla capienza regolamentare degli istituti di pena italiani.

È evidente che tutto questo avrà una ricaduta positiva sulla funzione rieducativa della pena e sulle condizioni di vita delle persone recluse solo se la riduzione del sovraffollamento carcerario non sarà momentanea, ma riuscirà a tenere nel tempo. Questo sarà possibile solo se una serie di riforme in gestazione, alcune da decenni, avranno nei prossimi mesi effettiva attuazione, e precisamente le riforme del codice penale e del codice di procedura penale, le cui commissioni sono state da poco state insediate dal Ministro di giustizia, la riforma dell’ordinamento penitenziario e quella relativa alla riforma del testo unico in materia di immigrazione, che dovrebbe subire significative modifiche alla conclusione dei lavori della commissione ministeriale che sta, tra l’altro, visitando i Cpt presenti sul territorio.

Si segnala a questo proposito che è sempre alta la percentuale di stranieri che viene arrestato per non avere ottemperato all’ordine di allontanamento disposto dal Questore, reato punito gravemente dal testo unico e che prescinde da condotte tipicamente offensive e di cui si auspica la tempestiva abrogazione.

Non risultano invece nell’immediato futuro in esame modifiche alla restrittiva disciplina della recidiva della legge 251/2005 e della legge n. 46/ 2006 in materia di stupefacenti, che incidono sui processi di carcerizzazione (o che ritardano l’accesso alle misure alternative come per la prima).

Questioni tutte che il Parlamento è chiamato ad affrontare con urgenza, cogliendo l’opportunità rappresentata dagli effetti positivi della ridotta presenza di detenuti, e prima che le stesse leggi su cui deve intervenire non abbiano portato o riportato in carcere migliaia di persone, rendendo molto difficili futuri interventi normativi.

Ed anzi, la commissione di riforma del codice penale è necessario che si occupi anche della possibilità, in alcuni casi, di consentire l’applicazione di misure alternative già in sentenza, e di ridurre per molti reati i massimi di pena, consentendo poi in fase esecutiva un reale accesso alle misure alternative alla detenzione.

Questa è l’unica strada praticabile, se si crede che la detenzione carceraria debba rappresentare l’extrema ratio della sanzione penale, e che la pena debba essere in concreto rivalutata in ragione di una serie di mutamenti e di opportunità che si realizzano in corso di esecuzione. La pena certa imprigiona la persona al momento del commissi delicti, o del giudizio di merito, quella flessibile, come scrive Alessandro Margara nel progetto di riforma dell’ordinamento penitenziario presentato nel novembre 2006, consente di verificare in concreto il permanere dell’interesse punitivo dello Stato nei confronti di un condannato che a distanza di anni può essere socialmente recuperabile.

La certezza della pena, principio liberale contro l’arbitrio del sovrano, rischia oggi, nel senso comune in cui lo declina l’opinione pubblica e prima ancora il mondo dell’informazione, di trasformarsi in principio della immutabilità della sanzione, della separatezza dei colpevoli dal consesso civile, a cui si sottrae ogni responsabilità sulle condizioni sociali che hanno determinato il crimine e sulla necessità di una presa in carico di chi uscirà dal luogo di detenzione.

Del resto, la filosofia della nuova certezza della pena (che nulla ha a che fare con la legittima richiesta di trattamenti sanzionatori al momento della condanna commisurati alla gravità del reato commesso), è alla base della legge ex-Cirielli sulla recidiva, molto simile al modello americano, per effetto della quale il reiterare delle condotte criminose, a prescindere dal titolo del reato e dalla reale gravità delle condotte, impedisce o rende difficile accedere alle misure alternative alla detenzione.

Ma la prevenzione dal crimine, le condizioni di sicurezza sociale si assicurano attraverso le modifiche legislative inderogabili di cui si è già detto, e con la ricerca di un effettivo reinserimento delle persone che comunque saranno destinate al carcere, attraverso la formazione, il lavoro, la cura adeguata, con l’impiego di risorse, assicurando la territorialità della pena, e percorrendo la strada già intrapresa di una presa in carico da parte dei territori, nell’interesse dei singoli ma anche di una collettività capace di comprendere che il pericolo di recidiva non si sconfigge con la pena certa, ma con quella capace di reinserire.

Lettere: detenuti da vari istituti scrivono a "Radio carcere"

 

www.radiocarcere.com, 27 aprile 2007

 

Ugo dalla colonia agricola di Isili in Sardegna

"Cara Radio Carcere sono uno dei c.d. internati nella colonia agricola di Isili. Mi piacerebbe che dai vostri microfoni si spiegasse il senso della misura di sicurezza detentiva. Mi piacerebbe che qualcuno mi spiegasse che senso ha questa misura nei confronti di persone ultra settantenni, pensionati, con ovvi e gravi problemi di salute, che tra l’altro non si sono macchiati di reati di sangue. Che senso ha l’internamento nei confronti di una persona che lavora, che ha già scontato l’intera pena inflitta? Dicono che la misura di sicurezza detentiva non è carcere. Beh, chiedo: che significa stare chiusi in una cella per 20 ore al giorno? Che significa poter uscire da quella cella solo per fare l’ora d’aria? La verità è che io internato sono più ristretto di un carcerato, perché non ho liberazione anticipata, non ho un fine pena, non ho un domani. Il mio, come quello dei miei compagni, è un ergastolo in bianco. Perché nel corso della misura di sicurezza detentiva, non controllano se in concreto esiste la nostra, ipotetica pericolosità? Ora con me nella colonia agricola di Isili, sono arrivati altri 4 poveracci e nessuno, nessuno di loro è andato a finire sui giornali per avere fatto qualcosa di grave. Inizio a capire cosa significhi per lo Stato: persona socialmente pericolosa.

 

Giovanni dalla casa di reclusione Rebibbia di Roma

"Cara Radio Carcere, sono un detenuto che nella vita ha fatto molti sbagli, per questo la mia condanna è l’ergastolo. Sono in carcere da 16 anni, 16 anni senza mai poter uscire. In questi anni la mia famiglia mi è stata molto vicino, ma ormai vedo nei loro occhi sfiducia perché pensano che non uscirò mai da qui. Qui in carcere lavoro, faccio l’aiuto cuoco.

Nel frattempo i miei figli sono diventati grandi e i miei nipoti, ormai adolescenti, mi fanno capire che la mia vita è passata senza accorgermi di essere diventato nonno. Io vengo da Napoli, dai quartieri spagnoli dove vige la legge della forza e dove molti giovani iniziano a delinquere senza capire a cosa vanno incontro. È quello un mondo con le sue regole, e tra queste quella per cui o si ammazza o si finisce ammazzato. Un circolo vizioso difficile da spiegare, ma dove io non mi ci riconosco più. Vorrei essere un esempio per far comprendere a quei giovani che da quella vita si esce o sconfitti, ammazzati o alla meglio si finisce in carcere. Io non sono certo da emulare ma si può apprendere dai miei sbagli per non commettere gli stessi errori. La malavita a Napoli continuerà ad esistere e questo mio appello non servirà, ma se anche un solo giovane cambierà strada e sceglierà la via legale quello sarà un buon inizio. Dal canto mio, non so più cosa fare. Se devo rimanere in carcere per tutta la vita allora preferisco morire. Vorrei solo poter avere la possibilità di riscattare la mia vita nel rispetto della legge. Aiutatemi se potete grazie. Giovanni."

 

Gennaro dal carcere di Siena

"Egregio dottor Arena, le scrivo perché anche io sono uno dei tanti detenuti costretti a scontare la propria pena in un carcera lontano dalla propria famiglia. Prima ero detenuto nel carcere di Pavia e può immaginare le difficoltà per fare i colloqui che hanno affrontato i miei famigliari. Poi la mia compagna ha trovato un lavoro e si è trasferita a Bologna, insieme a nostro figlio. Così, per poterli vedere, due anni fa ho iniziato ha chiedere di essere trasferito nel carcere di Bologna. La risposta è stata negativa a causa del sovraffollamento che c’era prima dell’indulto. Fatto l’indulto, però, ho ripreso coraggio. Non ne potevo beneficiare direttamente ma indirettamente sì. Così ho presentato nuove istanze al Dap per poter essere trasferito nel carcere di Bologna. Ma nulla.. silenzio… Silenzio fino a quando, nell’aprile del 2006 mi trasferiscono, ma non a Bologna, bensì nel carcere di Siena. Da qual giorno non ha fine la mia pena. Le confesso, caro Arena, che sono stanco, veramente stanco, oltre alle sofferenze della detenzione dobbiamo subire questa pena in più che è la lontananza dalla nostra famiglia. Non chiedo la libertà, né benefici di legge, chiedo solo di scontare la mia pena in un carcere vicino alla mia compagna e a mio figlio. La saluto con grande rispetto".

 

Sonia dal carcere di Torino

"Caro Riccardo, sono in carcere da un anno e 10 mesi. Fino a tre mesi fa ero nel carcere La Giudecca di Venezia, mentre ora mi hanno trasferito qui nel carcere di Torino. Non vedo i miei figli da 2 anni e la mia salute lascia a desiderare. Io non ho beneficiato dell’indulto, e sto vivendo questa esperienza del carcere come un incubo, un vero incubo. Se qualcuno sapesse il motivo per cui sto in galera gli verrebbe da ridere… sa di incredibile!! Ma l’idea di un’amnistia che fine ha fatto? Caro Arena, ti ringrazio.

 

Nicola dal carcere di Taranto

"Caio Riccardo, qui nel carcere di Taranto anche dopo l’indulto nulla è cambiato. Anzi per alcuni aspetti stiamo anche peggio. Mancano i farmaci, anche i più banali, non c’è attività sportiva o lavorativa per noi detenuti.. non c’è niente, come prima dell’indulto stiamo in cella 22 ore al giorno. La nostra unica occupazione è guardare fuori dalla finestra della cella o vedere la tv. Educatori o simili qui nel carcere di Taranto te li puoi scordare.

Come se non bastasse quando andiamo a fare i colloqui con le nostre famiglie, ci troviamo a sbattere contro il vetro divisorio, appoggiato a un muretto… la legge lo vieta ma qui a Taranto c’è. In piccole celle stiamo in 4 detenuti…, ammucchiati come prima dell’indulto. Celle piccole e umide, dove ci piove dentro.. come prima dell’indulto… 20 giorni fa è morto un nostro compagno qui a Taranto…infarto.. nessuno ne ha parlato.

Caro Riccardo col 2007 tutto è rimasto come prima e così sarà con gli anni a venire. Per la cronaca sono 6 mesi che ho presentato istanza di indulto ma la Procura generale di Bari non mi ha ancora risposto… 10 istanze gli ho mandato eppure silenzio… Ma stà politica le riforme quando le farà? Da destra a sinistra sono tutti uguali, parlano solo per avere potere…. Ciao Riccardo, con affetto Nicola".

Giustizia: Dap; rinviato a maggio l'incontro sul "caso Uepe"

 

Adnkronos, 27 aprile 2007

 

È stato rinviato a maggio l’incontro tra il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e i sindacati in merito alla proposta di inserire la polizia penitenziaria negli Uffici per l’esecuzione penale esterna (Uepe). La tensione tra i vari sindacati resta comunque alta, tra chi è favorevole e chi contrario alla proposta. Intanto sul sito degli assistenti sociali si moltiplicano in un blog nazionale le dichiarazioni, i comunicati e le critiche contro il progetto del ministro della Giustizia Clemente Mastella.

Secondo la funzione pubblica della Cgil si tratta di una proposta "non praticabile" alla luce delle ingenti risorse che dovrebbero essere investite nell’operazione. Mentre il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria si dice favorevole e accusa chi è contro la proposta di essere "miope". La polizia penitenziaria secondo il Sappe andrà a svolgere le stesse funzioni che oggi svolgono polizia e carabinieri "che così possono essere restituiti ai loro compiti istituzionali". D’accordo con il Sappe anche la Uil penitenziari. Inoltre il Seac (Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario) ribadisce le proprie perplessità in merito alla sperimentazione dell’inserimento della polizia penitenziaria negli Uepe. Infine, il presidente della conferenza nazionale Volontariato giustizia, Claudio Messina, critica "il provvedimento che prevede di utilizzare agenti come controllori dei detenuti in semi libertà o affidamento".

Pedofilia: Fortunato Di Noto; perché la scuola non collabora?

 

Ansa, 27 aprile 2007

 

Nove scuole su dieci, analizzate per casi giudiziari in 10 città italiane, hanno mantenuto un atteggiamento di incomprensibile difesa ad oltranza di dipendenti accusati di molestie sessuali, che andava ben al di là della ragionevole prudenza e tutti i casi giudiziari analizzati si sono conclusi con condanne. Lo affermano in una nota congiunta Don Fortunato Di Noto, il Presidente di Meter, ed il giornalista Mario Campanella.

"Le città prese in esame - scrivono Di Noto e Campanella - sono Milano, Parma, La Spezia, Trieste, Firenze, Roma, Salerno, Bari, Cosenza e Palermo. L’unica città in cui si è registrato un comportamento equilibrato e collaborativo della scuola - scrivono Di Noto e Campanella - è stata Milano, con una sospensione cautelativa del docente ed un atteggiamento di grande equilibrio e prudenza, ma di nessun ostacolo nelle indagini". "A Cosenza addirittura - continuano Di Noto e Campanella - il dirigente scolastico della scuola elementare coinvolta (il bidello accusato di molestie è stato condannato a 3 anni di carcere sia in primo che in secondo grado) non solo non ha sospeso il dipendente, ma ha ‘ben pensato’ di rivolgere l’invito ai genitori della piccola molestata di "cambiare scuola". I fatti di questi giorni vanno analizzati con molta prudenza perché nulla è più infamante di un’accusa di violenza pedofilia falsa, ma la Scuola ha il dovere di collaborare".

Pedofilia: insegnante Marisa Pucci; ci hanno già tutti condannati

 

Repubblica, 27 aprile 2007

 

"La cosa che mi fa più rabbia è che ci hanno già condannato tutti, a cominciare dai giornali. Ma io sono innocente, e sono certa che lo dimostrerò". Marisa Pucci, insegnante della scuola di Rignano Flaminio, in carcere da lunedì, è apparsa "molto agitata, ma non disperata" a Giuseppe Celli, capogruppo regionale dello Sdi-Rosa nel Pugno che ieri ha visitato il carcere di Rebibbia, dove la donna è detenuta assieme alle 5 persone accusate delle violenze sui bambini della scuola Olga Rovere.

Tra gli arrestati di Rignano Celli ha visto, oltre alla Pucci, anche il benzinaio cingalese Kalim De Silva e l’autore televisivo Giancarlo Scancarello, a pochi giorni da un consiglio straordinario alla Regione sul tema delle carceri previsto per mercoledì. "Le altre detenute - ha detto a Celli Marisa Pucci, in pantaloni e maglietta subito fuori dalla propria cella - mi accusano e mi insultano. Ma io a Rignano ci sono nata e ho dato la mia vita al paese. Lì ho fatto per 27 anni l’insegnante: i bambini che oggi sono adulti hanno fatto la materna con me, e, per questo, sono sicura che da questa vicenda uscirò pulita. In paese tutti mi conoscono, sanno chi sono io: una brava donna, con due figlie che adesso stanno con il papà. Sì, ne uscirò pulita". I sei finiti a Rebibbia per i fatti di Rignano sono tutti in isolamento in celle singole per evitare che possano parlare tra loro e, soprattutto, per difenderli dagli altri ospiti del carcere.

"Nei penitenziari - ricorda il consigliere - la pedofilia è malvista, esiste un codice interno tra detenuti, e i pedofili, o presunti tali, sono considerati decisamente gli ospiti peggiori. In effetti mi ha colpito la grande freddezza che si respirava dalle altre celle verso queste persone appena arrivate".

Poi Celli, stavolta nel settore maschile di Rebibbia, ha parlato con Giancarlo Scancarello, marito di un’altra insegnante arrestata, Patrizia Del Meglio. "Sono un autore televisivo - ha detto l’uomo - e ho scritto i testi anche per Buona Domenica e Il Grande Fratello. Lo sa che ho 4 figli, il più grande ha 33 anni, e anche un nipote, che è nato a ottobre? Ora mi hanno costretto in una cella, ma io dimostrerò che sono innocente, perché ho sempre lavorato per i giovani. Cosa mi manca qui? Mi manca soltanto la libertà. Per il resto mi trattano bene".

Per Celli Scancarello, che lo ha accolto in jeans e camicia aperta, è un uomo "determinato e tranquillo, di cui colpisce la freddezza". Decisamente più enigmatico è apparso De Silva, che come Scancarello, non è voluto uscire dalla propria cella durante il colloquio: "Non parla nemmeno bene l’italiano - racconta l’esponente dello Sdi - e non mi è sembrato capisse ciò che dicevo: continuavo a ripetere le mie parole, ma senza riscontri. Mi ha detto soltanto che quando è arrivato in Italia lavorava in un albergo e che non ha fatto queste cose".

"La realtà - prosegue il consigliere regionale - è che a vederli si finisce quasi per credere che davvero l’ipotesi accusatoria possa essere una montatura, ma se le accuse si riveleranno veritiere siamo davanti a mostruosità inaccettabili". Mercoledì quindi il consiglio straordinario alla Pisana per una nuova legge sul carcere, "anche se - aggiunge l’ex presidente del municipio VIII di Roma - oggi, visitando anche altri detenuti di Rebibbia, ho visto una situazione positiva sotto certi aspetti, specie al femminile; mentre al maschile si parte da celle singole, impensabili prima dell’indulto che di fatto ha migliorato le condizioni dei detenuti, e si arriva a celle con 5 persone. Il tema del futuro è il reinserimento, trovando formule alternative al carcere: per questo mercoledì proporrò che, almeno nella nostra regione, le madri detenute con figli minori di 3 anni siano affidate a case famiglie". Anche le vittime delle violenze di Rignano sono bambini. "Sì - conclude Celli - e se in tribunale le accuse saranno dimostrate, sarà difficile dimenticare. Non soltanto a Rignano".

Ragusa: calcio solidale per i detenuti di Contrada Pendente

 

La Sicilia, 27 aprile 2007

 

Nella sala delle conferenze di palazzo di Viale del Fante a Ragusa, ieri pomeriggio, l’assessore provinciale Paolo Santoro ha presentato una iniziativa di solidarietà in favore dei detenuti del carcere di Ragusa. L’iniziativa, portata avanti da alcuni anni con successo, si chiama "Calcetto solidale", un momento di sport, di svago e di socializzazione per gli ospiti della casa circondariale di contrada Pendente. L’obiettivo di organizzare un torneo di calcetto, presso il campetto del carcere, è innanzitutto esprimere momenti di solidarietà per chi sta attraversando una fase difficile della propria esistenza ed al tempo stesso rimarcare il valore e l’importanza della famiglia. Le adesioni alla manifestazione non sono mancate, tante le squadre che animeranno questo momento di sport, a dimostrazione che l’essere solidali con i meno fortunati non è mai abbastanza. Tra le squadre in campo anche quella della polizia penitenziaria. Il torneo, ma soprattutto l’iniziativa solidale, presentata ieri, prenderà il via dopo il periodo estivo.

Teramo: oggi si è svolto un convegno sul sistema sanzionatorio

 

Il Tempo, 27 aprile 2007

 

"Per un nuovo sistema sanzionatorio. Il carcere e le alternative tra sicurezza e prevenzione". È questo il tema del convegno organizzato per questo pomeriggio alle 17.30, allo Sporting, dalla sezione dello Sdi di Teramo con l’obiettivo di avviare un dibattito sui temi della giustizia e della sicurezza. Tra i temi che saranno affrontati quelli relativi all’introduzione di nuovi strumenti sanzionatori penali alternativi alla pena carceraria, e quelli relativi alla problematica delle detenute madri.

"Il carcere dovrebbe rappresentare l’estrema ratio per i casi più gravi - sottolineano i promotori del convegno - soprattutto visti i suoi elevati costi gestionali a carico della collettività e i suoi effetti stigmatizzanti e desocializzanti, che mal si conciliano con la finalità rieducativa, cui le pene devono tendere per dettato costituzionale". Tra i relatori Enrico Buemi, componente della commissione giustizia, il professor Mauro Catenacci, il direttore della casa circondariale di Teramo Giovanni Battista Giammaria, il dirigente penitenziario dell’esecuzione penale esterna Mariantonietta Cerbo.

Immigrazione: in arrivo le guardie europee anti-clandestini

 

Redattore Sociale, 27 aprile 2007

 

Oggi il voto favorevole del Parlamento europeo. Saranno composte da 450 agenti e gestite dall’agenzia per il controllo delle frontiere europee (Frontex). A giugno toccherà ai 27 governi dare il sì definitivo.

In caso di flussi migratori eccezionali gli Stati membri dell’Ue che ne faranno richiesta potranno usufruire, forse già da quest’estate, di squadre europee di intervento rapido, denominate Rabit (Rapid Border Intervention Teams). Queste avranno a disposizione in totale circa 450 agenti provenienti da vari paesi europei e saranno gestite dall’agenzia per il controllo delle frontiere Frontex, con sede a Varsavia. Con 526 voti favorevoli, 63 contrari e 28 astensioni, l’Eurocamera ha infatti confermato oggi l’opinione positiva già espressa due settimane fa dalla Commissione parlamentare Libertà civili sulla relazione di Gerard Deprez, liberale belga. È stata invece respinta la proposta di bocciare il testo avanzata dal Gue (Sinistra unitaria). Il suo esponente Giusto Catania (Prc) ha dichiarato che si tratta "dell’ennesimo filo spinato che viene innalzato ai confini della fortezza Europa. Finalmente abbiamo capito - dice Catania - quale sarà il compito dell’agenzia Frontex: dovrà coordinare esclusivamente il respingimento delle imbarcazioni dei migranti che tenteranno di arrivare sulle nostre coste, senza preoccuparsi tanto di salvare le vite dei tanti naufraghi".

Il regolamento istituisce un meccanismo volto a fornire assistenza operativa rapida "per un periodo limitato" allo Stato membro che ne faccia richiesta e che si trovi a fare fronte a "sollecitazioni urgenti ed eccezionali", specie in caso di afflusso massiccio alle frontiere esterne di cittadini di paesi terzi che tentano di entrare illegalmente nel proprio territorio, attraverso la creazione di squadre di intervento rapido alle frontiere. Viene anche precisato che il regolamento si applica "fatti salvi i diritti dei rifugiati e delle persone che chiedono protezione internazionale, in particolare per quanto riguarda il non respingimento". Sul regolamento c’è già l’approvazione di massima dei governi dell’UE, che sono ancora senza accordo su un unico punto, ovvero l’obbligatorietà di partecipare con uomini e finanze alla costituzione delle Rabit. Ma il probabilissimo semaforo verde definitivo per le Rabit dovrebbe arrivare dal Summit UE di giugno. Per ora, solo la Germania ha garantito l’invio di 100 uomini, provenienti dal proprio copro di guardie di frontiera.

Le guardie tedesche, così come quelle degli altri Paesi europei, continueranno a vestire le proprie uniformi nazionali, corredate però da un distintivo blu dell’UE, ma saranno sottoposte alla supervisione e agli ordini delle forze di polizia dello Stato che li ospita, anche per quanto riguarda l’uso delle armi e in generale della forza. I provvedimenti di respingimento potranno però essere adottati solo dagli agenti del paese meta dei migranti. Un emendamento precisa che bisognerà dare la massima attenzione al rispetto della dignità umana durante queste operazioni comuni, non operare discriminazioni, e agire proporzionalmente al compito richiesto. L’invio di queste squadre sarà deciso da Frontex (per la maggioranza dei tre quarti del proprio consiglio direttivo) su richiesta dello Stato membro che si trova al limite delle proprie forze per controllare flussi migratori eccezionali, come avvenuto l’anno scorso per le Canarie. La Spagna si trovata infatti in forte difficoltà, avendo dovuto ricorrere a tutte le risorse disponibili della Marina.

Gli Stati membri saranno tenuti a comunicare entro cinque giorni, su richiesta di Frontex, il numero, i nomi e i profili delle guardie di frontiera del loro pool nazionale disponibili per istituire una squadra Rabit. Potranno sottrarsi a tale obbligo solamente i Paesi che devono far fronte ad una situazione eccezionale, che incide in misura sostanziale sull’adempimento dei compiti nazionali, come ad esempio un grande evento sportivo. Gli stipendi di questi agenti in trasferta continueranno a essere pagati dallo Stato di provenienza, mentre il resto delle spese (viaggio, alloggio, vitto, etc.) sarà sostenuto da Frontex. Visto però l’impegno straordinario che l’agenzia dovrà affrontare in futuro, il PE ha deciso di stanziare per il 2007 10 milioni di euro addizionali in favore dell’Agenzia di Varsavia.

Droghe: Ass. Itaca; quando il sociale… finanzia il sanitario!

 

Redattore Sociale, 27 aprile 2007

 

Il commento di Maurizio Coletti al testo approvato al Senato. "Una delle conseguenze di questo decreto è che si rende ancora più difficile la vita al già comatoso sistema di interventi sulle dipendenze patologiche".

Ancora polemiche, ancora prese di posizione dopo la votazione al Senato che ha consentito l’approvazione di un testo che dispone cospicui tagli a diversi settori del "sociale", il tutto per garantire la copertura di disavanzi pregressi del settore sanitario in diverse Regioni italiane. Negli ultimi giorni numerose sono state le prese di posizione. Stavolta tocca a Itaca, Associazione europea degli operatori professionali delle tossicodipendenze, facente parte tra l"altro della Consulta delle società scientifiche delle dipendenze patologiche.

Afferma il segretario di Itaca, Maurizio Coletti: "È ormai di dominio pubblico il caso del decreto per il ripiano dei debiti delle regioni sulla sanità: "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, recante disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario". Vi si legge che si risaneranno i debiti pregressi delle Asl. Ma il bello viene dopo: nell’allegato è scritto chiaramente che "per consentire il puntuale accertamento della massa passiva ... per un periodo di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive relativamente ai debiti sanitari di cui al presente articolo nei confronti dei soggetti debitori ed i pignoramenti eventualmente eseguiti non vincolano gli enti debitori ed i tesorieri, i quali possono disporre delle somme per i fini degli enti e le finalità di legge". Detto in altre parole, i creditori delle varie Asl non possono nemmeno intraprendere le classiche azioni legali per il recupero delle somme dovute a fronte delle loro prestazioni. Le quali sono di diverso tipo: forniture di apparecchi, di garze, di farmaci, di lampadine, di carta igienica e di molto altro. Ma, anche, di prestazioni di ricovero e di trattamento".

Quali le ricadute? Per Coletti, "una delle conseguenze di questo decreto è che si rende ancora più difficile la vita al già comatoso sistema di interventi sulle dipendenze patologiche. Stiamo riferendoci a Comunità terapeutiche, centri diurni, programmi di riduzione del danno ed altro. Questo pezzo del sistema è complementare e (quasi dappertutto e abbastanza bene) cooperante con i Ser.T.. È stato chiesto loro, negli ultimi dieci anni, di svecchiarsi, porsi all’altezza delle sfide attuali, abbandonare un approccio naif e basato su un volontariato che non garantiva (e non garantisce tuttora) la necessaria professionalità, di adeguare le strutture, il personale, i programmi. A fronte di questo sforzo, le rette giornaliere per programmi terapeutici concordati con i Ser.T. e con pazienti inviati dal Servizio Pubblico sono vergognose: si va dai 30€ ai 60€ al massimo. Tutto compreso: vitto, alloggio, terapia". Non solo, c’è anche la beffa: "Questo comparto di intervento, in momenti determinati, è posto in palmo di mano dai politici di turno: "Che brava gente!! Ammirevole! Grazie di esistere!". Poi, al momento di riconoscere professionalità, risultati e, conseguentemente, costi, iniziano i problemi. I vergognosi amministratori delle Asl tagliano, risparmiano, abbandonano".

Ora, con questo decreto, continua Coletti, "viene anche a rendersi più difficile un tentativo di recupero di crediti sacrosanto e, già di suo, fondato su ingiuste basi in quanto lo Stato dovrebbe onorare con puntualità i propri debiti, come fanno tutti. L’ammirazione prima citata scompare e chi volesse intraprendere azioni legali (le stesse che lo Stato mette in atto con chi è suo debitore:imposte, multe ed altro) non lo può fare. Ora, dal Governo il mondo degli operatori e delle strutture delle tossicodipendenze si aspettava altro.

Possiamo capire che non ci sono le condizioni nella stessa maggioranza per una legge avanzata sui diritti di consumatori di sostanze. Possiamo, anche, capire che non ci siano gli spazi per una qualche riformetta meno avanzata del settore. Possiamo capire che non sono tempi per un investimento straordinario del settore. Possiamo accettare, a denti stretti, che ci dicano che queste non sono priorità strette. Siamo stati (e siamo tuttora) in attesa di almeno qualche segnale incoraggiante, di tendenza, di indicazione, di sensibilità. Ma quelli che restano indigesti ed insopportabili, sono i passi indietro!".

E conclude: "Altre due chicche, per finire: dalle restrizioni per recuperare i crediti sono salvati gli operatori dei Servizi pubblici: precari o stabili, si aggiunge. E quelli che lavorano nelle strutture citate sopra? I sindacati non hanno niente da dire? Ultimo: da dove vengono i soldini per il ripianamento? 50 milioni di euro dalla cooperazione allo sviluppo, 50 milioni di euro dalla ricerca in sanità (giusto perché si accusava altri Governi non fare nulla per il settore ricerche), 30 milioni di euro ciascuno dal Fondo per la famiglia, da quello per le non autosufficienze, da quello per le politiche giovanili. Altri spicci dal Fondo per lo spettacolo (giusto per dire: evviva la cultura!). Così, il sociale... finanzia il sanitario".

Droghe: Asl di Como; 40% dei teenager fa uso di stupefacenti

 

Notiziario Aduc, 27 aprile 2007

 

Sempre più giovani comaschi consumano droga nella fascia di età tra i 15 e 19 anni: è il risultato di una ricerca effettuata dall’Asl di Como attraverso 560 questionari distribuiti nelle scuole superiori della città: il 40 per cento ha dichiarato di avere usato almeno una volta sostanze psicoattive. Le droghe maggiormente utilizzate sono la cannabis (37%), popper (13%) e cocaina (9%), questa sempre più in aumento. "Il problema è in crescita - ha spiegato Simona Mariani, direttrice generale dell’Asl - e la tendenza è la progressiva diminuzione dell’età dei consumatori. L’eroina è in calo, ma si registra l’aumento del consumo di cocaina e cannabis".

Dai questionari emerge che per i ragazzi è piuttosto facile acquistare cannabis e cocaina, quest’ultima disponibile anche a 20 euro a dose (sia pure con basso principio attivo): i canali di acquisto più diffusi sono gli amici (39%), discoteche (35%) e luoghi isolati (25%). Risulta inoltre che per 7 giovani su 10 il motivo dell’assunzione di droghe è la ricerca dello sballo o la necessità di dimenticare problemi.

I dati forniti dall’inchiesta trovano conferma nel numero di utenti del servizio tossicodipendenze dell’Asl, passati in tre anni da 1636 a 1805. Nel triennio, i consumatori di cocaina affetti da patologie gravi sono più che raddoppiati, aumentando dal 6,3 al 14 per cento. "Il consumo di cocaina - ha osservato Raffaella Olandese, responsabile del Sert di Como - è da correlarsi al contesto ricreazionale/ trasgressivo o all’esigenza di sentirsi sempre all’altezza della situazione in termini di prestazione".

Pena di morte: moratoria; l’Ue chiede una pronuncia dell’Onu

 

Redattore Sociale, 27 aprile 2007

 

Il rifiuto della pena di morte è uno dei requisiti fondamentali affinché un Paese entri a far parte del consiglio d’Europa. In tutte le nazioni Ue, eccetto che in Bielorussia, la pena capitale è illegale. Forte di questa posizione, il Parlamento europeo, il primo febbraio, ha votato con una risoluzione il sostegno senza riserva all’iniziativa italiana affinché sia applicata "immediatamente e senza condizioni una moratoria universale sulle esecuzioni, in vista dell’abolizione universale della pena di morte, attraverso una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite". Richiesta rinnovata il 3 febbraio 2007, dal segretario generale del Consiglio d’Europa, Terry Davis, in occasione della chiusura del terzo congresso mondiale contro la pena di morte.

 

Di seguito la risoluzione votata dal Parlamento europeo il primo febbraio.

Il Parlamento europeo:

viste le sue precedenti risoluzioni sulla moratoria universale in materia di pena di morte, in particolare quelle del 23 ottobre 2003, 6 maggio 1999 e 18 giugno 1998,

viste le risoluzioni sulla moratoria in materia di pena capitale adottate da vari organismi Onu, fra cui la Commissione Onu per i diritti dell’uomo,

viste le dichiarazioni Ue a sostegno della moratoria universale in materia di pena capitale, in particolare quella presentata lo scorso dicembre all’Assemblea generale ONU, che è stata firmata da 85 paesi di tutti i gruppi geografici,

visti gli orientamenti sulla politica Ue nei confronti dei paesi terzi in materia di pena capitale,

visto l’articolo 103, paragrafo 4, del suo regolamento,

A. considerando che la pena capitale è una punizione crudele e disumana nonché una violazione del diritto alla vita,

B. considerando che l’abolizione della pena di morte è un valore fondamentale dell’Unione europea e un requisito per i paesi che chiedono di aderire all’UE,

C. vivamente preoccupato del fatto che esistono tuttora o sono state reintrodotte legislazioni nazionali in decine di paesi del mondo che prevedono la pena capitale e comportano ogni anno l’esecuzione di migliaia di esseri umani,

D. considerando nel contempo che prosegue la tendenza verso l’abolizione della pena di morte a livello mondiale; compiacendosi al riguardo della completa abolizione della pena di morte negli anni scorsi in Liberia, Messico, nelle Filippine e nella Moldova e la reiezione da parte del Congresso peruviano del progetto di legge sull’introduzione nella legislazione della pena di morte per crimini di terrorismo,

E. considerando che l’Unione europea ha deciso, nel quadro degli "Orientamenti Ue sulla pena di morte", approvati a Lussemburgo il 6 giugno 1998, di operare all’interno degli organismi internazionali verso l’abolizione della pena di morte,

F. considerando che il 9 gennaio 2007 il governo italiano e il Consiglio d’Europa hanno deciso di collaborare per raccogliere il massimo sostegno possibile a favore dell’attuale iniziativa in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che prevede una moratoria globale sulle esecuzioni, in vista della piena abolizione della pena di morte,

G. considerando che il 27 luglio 2006 la Camera dei deputati italiana ha approvato all’unanimità una risoluzione che chiede al governo italiano di presentare alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite e dopo aver consultato i partner dell’Ue, ma senza passare attraverso la procedura di unanimità, una proposta di risoluzione per una moratoria universale in materia di pena di morte, al fine di abolire completamente la pena capitale nel mondo; che nella riunione del 22 gennaio 2007 il Consiglio Affari generali dell’Unione europea ha convenuto che a New York la Presidenza tedesca dell’Ue avrebbe verificato le possibilità e modalità per riaprire il dibattito e deliberare sulla proposta di moratoria universale in materia di pena capitale,

H. condannando l’esecuzione di Saddam Hussein e lo sfruttamento mediatico della sua impiccagione e deplorando il modo in cui è stata portata a termine.

1. ribadisce la sua antica posizione contro la pena di morte in tutti i casi e in tutte le circostanze ed esprime ancora una volta il proprio convincimento secondo il quale l’abolizione della pena di morte contribuisce a rafforzare la dignità dell’uomo e al progressivo sviluppo dei diritti dell’uomo;

2. chiede che sia applicata immediatamente e senza condizioni una moratoria universale sulle esecuzioni, in vista dell’abolizione universale della pena di morte, attraverso una risoluzione in questo senso dell’attuale

Assemblea generale delle Nazioni Unite, che il Segretario generale delle Nazioni Unite dovrebbe poter controllare nella sua applicazione effettiva;

3. sostiene fermamente l’iniziativa della Camera dei deputati e del governo italiani, sostenuta dal Consiglio e dalla Commissione Ue nonché dal Consiglio d’Europa;

4. invita la Presidenza Ue ad adottare con urgenza un’opportuna azione per garantire che tale risoluzione sia presentata in tempi brevi all’attuale Assemblea generale Onu; invita la Presidenza Ue e la Commissione a tenere il Parlamento europeo informato in merito ai risultati raggiunti nell’attuale Assemblea generale Onu sulla moratoria universale in materia di pena capitale;

5. sollecita le istituzioni e gli Stati membri UE a fare quanto possibile, politicamente e diplomaticamente, per garantire il successo di questa risoluzione in seno all’attuale Assemblea generale delle Nazioni Unite;

6. esorta vivamente tutti gli Stati membri Ue a ratificare senza indugio il secondo protocollo opzionale alla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, volto alla completa abolizione della pena di morte;

7. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al Segretario generale dell’Onu, al Presidente dell’Assemblea generale dell’Onu nonché a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite.

Pena di morte: tre giustiziati in Giappone, uno in Texas

 

Ansa, 27 aprile 2007

 

 

Nel carcere di Huntsville, in Texas, è stato giustiziato un trentenne condannato nel 1994 per duplice omicidio. L’uomo, Ryan Dickson, uccise un droghiere e la moglie durante una rapina per delle lattine di birra. Era appena diciottenne quando, con il fratellastro di 15 anni, entrò armato di una calibro 22 in una drogheria di Amarillo. È la quindicesima condanna a morte eseguita quest’anno negli Stati Uniti e la tredicesima nello Stato. Il condannato si è congedato chiedendo scusa ai familiari delle vittime e con un saluto alla sua famiglia.

Il ministero della Giustizia nipponico, come impone la procedura, non ha fornito particolari. Ma alcune fonti hanno rivelato che i giustiziati si chiamavano Yoshikatsu Oda, Masahiro Tanaka e Kosaku Nada e le sentenze sono state eseguite nei penitenziari di Tokyo, di Osaka e di Fukuoka. Sorprendono perché le esecuzioni capitali solitamente non avvengono quando il parlamento è riunito, per evitare che si creino discussioni sulla pena di morte. Infatti gli ultimi quattro condannati erano stati giustiziati il 25 dicembre, mettendo fine a una moratoria di oltre quindici mesi. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno più volte criticato le autorità giapponesi non soltanto per l’applicazione della pena capitale, ma anche per la segretezza con cui viene eseguita: i condannati ne sono informati all’ultimo momento affinché non possano presentare appello in extremis. La popolazione, secondo i sondaggi, è a favore della pena di morte per il recente incremento degli episodi di violenza. Nei bracci della morte giapponesi sono in attesa della forca circa un centinaio di condannati.

Pena morte: uno studio Usa; dolore atroce dietro le iniezioni

 

Ansa, 27 aprile 2007

 

Visto dall’esterno, il corpo di un detenuto che sta morendo per un’iniezione letale appare immobile, dando l’idea di un decesso sereno. Dentro l’organismo, però, lo scenario potrebbe essere ben diverso: secondo uno studio appena pubblicato negli Usa e destinato a riaprire il dibattito sulla pena di morte, tutti i ricettori del dolore nel sistema nervoso potrebbero essere attivi, dando al condannato la sensazione di star bruciando.

Lo studio ha analizzato il cocktail di veleni usato in tutti gli stati degli Usa che ricorrono alle iniezioni letali, ormai diventate praticamente l’unico metodo di esecuzione in vigore nel paese. Come era accaduto già due anni fa con una ricerca pubblicata sulla rivista medica Lancet, anche il nuovo studio ha concluso che ci sono serie possibilità che i detenuti siano coscienti a lungo dopo l’iniezione e che la loro sia una morte dolorosa, i cui effetti sarebbero mascherati all’esterno dagli effetti di una sostanza paralizzante iniettata nelle vene.

La Costituzione americana vieta metodi punitivi che siano "crudeli o inusuali" e proprio sulla base di questo divieto si è scatenato negli ultimi anni un dibattito sulle iniezioni letali che ha raggiunto nei mesi scorsi anche la Corte Suprema. Il massimo organo giudiziario d’America ha riconosciuto il diritto dei detenuti di sfidare fino all’ultimo momento la legittimità costituzionale delle iniezioni e alcuni stati, di fronte alle prospettive aperte dalla Corte, hanno preferito prendere una pausa di riflessione nelle esecuzioni.

Tra questi figurano California e Florida, due degli stati con i più grandi bracci della morte, dove il dibattito è intenso: in Florida, in particolare, la lunga e in apparenza dolorosa morte di un condannato alla fine del 2006 ha scosso molte coscienze. Un team guidato dal chirurgo Leonidas Koniaris, dell’Università di Miami, ha studiato gli effetti delle iniezioni analizzando i dati relativi a 33 esecuzioni in North Carolina e California, avvenute tra il 1984 e il 2006.

I ricercatori hanno studiato il protocollo previsto per la somministrazione delle sostanze letali e lo hanno confrontato con i dati personali sui singoli detenuti, come il loro peso o eventuali patologie. La procedura per l’iniezione letale prevede il ricorso a tre sostanze.

Prima viene somministrato il sodio tiopentale, un barbiturico che serve a far perdere conoscenza. Poi è la volta del bromuro di pancuronium, che paralizza i muscoli. Infine arriva il cloruro di potassio, che provoca l’arresto cardiaco. Ciascuna delle tre sostanze, in base al protocollo inventato nel 1977 in Oklahoma da Jay Chapman, va somministrata in dosi tali che da sola basterebbe a provocare la morte.

Lo studio però solleva dubbi sull’efficacia del metodo, ritenendo che i dati indichino la possibilità che l’anestesia non sia totale e che il detenuto possa soffrire in modo atroce - ma invisibile - quando riceve le sostanze successive. "È possibile - ha detto Koniaris al Washington Post - che queste persone siano torturate e che noi non possiamo vederlo, perché sono paralizzate. Non sono sicuro che una società civile debba fare una cosa del genere".

Le conclusioni "sono state per noi sconvolgenti", ha aggiunto Teresa Zimmers, un altro membro del team: "Ci sono limitate ricerche scientifiche dietro questo protocollo e l’immagine dell’iniezione letale come di un metodo umano di giustiziare qualcuno, è completamente sbagliata". I risultati della ricerca saranno pubblicati sulla rivista medica online Plos Medicine, insieme a un editoriale nel quale i responsabili della rivista spiegano che non è loro intento quello di migliorare il protocollo, bensì suggerire la necessità di abolire del tutto la pena di morte. Le esecuzioni intanto vanno avanti negli Usa. L’Ohio ha appena messo a morte con un’iniezione letale James Filiaggi, 41 anni, condannato per un delitto del 1994. È la 14ma esecuzione dell’anno negli Stati Uniti.

 

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