Rassegna stampa 19 aprile

 

Giustizia: Censis; rapporto 2006 su sicurezza e partecipazione

 

Ansa, 19 aprile 2007

 

Indulto: che cosa è stato fatto, che cosa si poteva fare. Al 31 luglio 2006 risultavano presenti nelle carceri 60.710 detenuti, a fronte di una capienza massima di 43.233 unità. Di questi 38.134, pari al 62,8% risultavano condannati. Gli stranieri erano 20.088, pari al 33,1% della popolazione carceraria. Al primo marzo 2006 i tossicodipendenti presenti in carcere erano 16.185 (pari al 27 % del totale dei detenuti) e si contavano 11.800 detenuti affetti da patologie del sistema nervoso o da disturbi mentali. In aumento i suicidi, passati dai 52 del 2004 ai 57 del 2005. Il 30 settembre del 2006, a due mesi dall’indulto, le carceri italiane avevano una popolazione complessiva di 38.326 detenuti, al di sotto della soglia della capienza massima.

La criminalità al passo coi tempi. Tra il 1998 e il 2004, il numero di articoli contraffatti sequestrati alle frontiere della Ue è aumentato di oltre il 1.000%, passando dai 10 milioni del 1998 agli oltre 103 milioni del 2004. In Italia, le stime indicano, nel 2003, un volume di merci contraffatte pari ad un valore di circa 1,5 miliardi di euro. Tra il 2003 e il 2004, la Guardia di Finanza ha sequestrato in tutto il territorio italiano oltre 129 milioni di pezzi tra abbigliamento (19,4%), elettronica (7,9%), beni di consumo (36,9%) e giocattoli (35,8%). Complessivamente le truffe e le frodi informatiche denunciate all’Autorità Giudiziaria dalle Forze di Polizia sono cresciute del 36,5% nell’ultimo anno, passando da 66.294 a 90.523.

In prossimità dei cittadini. Il servizio di prossimità più innovativo è rappresentato senza dubbio dal Commissariato on-line (www.commissariatodips.it), inaugurato il 15 febbraio di quest’anno. Si tratta del primo e unico tentativo al mondo di attivare un commissariato virtuale. Dal 15 febbraio al 30 settembre 2006 il sito ha avuto 258.709 visitatori; e di questi 17.574 per più di una volta, per una durata media delle visite di 4 minuti circa. Per quanto riguarda la tipologia degli interventi richiesti, vi sono state 4.822 richieste di informazioni; le segnalazioni sono state 2.203; le denunce sono state 1.968.

L’immigrazione al Sud tra stabilizzazione delle presenze e difetto di programmazione. Ciò che emerge dall’analisi dei contesti migratori delle grandi città del Sud è un lento ma progressivo mutamento del fenomeno, animato da tendenze comuni: il consolidamento delle presenze per cui in tutte le città si registra una crescita importante che, seppur inferiore a quella media italiana, raggiunge punte alte soprattutto a Reggio Calabria (+157,4%) e a Napoli (+116,9%); la femminilizzazione dei flussi, evidente in particolare a Napoli ove la popolazione femminile sfiora il 65% del totale; una spiccata multietnicità, per cui nelle città analizzate sono presenti, in larga parte, stranieri originari di paesi orientali (dell’Europa dell’Est e dei Paesi affacciati sull’oceano indiano) e, in misura minore, dell’Africa e dell’America Latina; la distribuzione polarizzata dei migranti, concentrati nella zona centrale e in quelle della periferia estrema del territorio comunale.

Verso un modello italiano di accoglienza e integrazione per richiedenti asilo e rifugiati. Nel 2005 nel nostro Paese sono state presentate 9.350 domande di asilo, appena il 4% delle 237.840 richieste complessivamente inoltrate negli Stati dell’Unione Europea. Anche per numero e incidenza di rifugiati l’Italia non è tra i primi Paesi in Europa: i 20.675 rifugiati al 2005, pari ad un’incidenza di 0,4 per 1.000 residenti, non sono in alcun modo comparabili a quelli presenti in Germania o in Francia.

Giustizia: Censis; dal 1995 al 2005 reati aumentati del 14%

 

Famiglia Cristiana, 19 aprile 2007

 

I predoni del deserto metropolitano fanno sempre più paura. Scippi, rapine, furti, atti di violenza, spaccio di droga e prostituzione: le città italiane, soprattutto al Nord, devono fare i conti con la crescita costante della criminalità. Secondo l’ultimo Rapporto Censis, a livello nazionale, si constata una crescita del 12,1 per cento dei reati. Si è infatti passati dai 2.267.488 denunce del 1995 ai 2.579.124 del 2006. Numeri che occorre analizzare nel dettaglio, perché si registrano aumenti e riduzioni.

Non solo ombre dunque, ma la percezione della sicurezza da parte dei cittadini è sempre negativa, pure in presenza di una vistosa diminuzione degli omicidi: nel 1995 c’erano stati 1.000 morti ammazzati, nel 2005 "solo" 601. Tuttavia, sempre nello stesso periodo sono cresciute del 45,9 per cento le rapine, così pure i furti, soprattutto negli ultimi anni, con un discreto incremento dell’attività dei topi d’appartamento. Si può stare più tranquilli invece per quanto riguarda i furti delle auto, non ritenuti più convenienti se non per le autovetture di lusso.

Le statistiche, che sempre nascondono qualche ambiguità aritmetica, segnalano un’impennata dei reati nelle grandi città, dove i predoni spesso agiscono indisturbati nei quartieri che sfuggono al controllo dello Stato, anche se molte attività criminali tendono a spostarsi verso i centri minori. Da sottolineare che ben il 44,9 per cento del totale dei delitti denunciati si concentra in 10 province, dove vive un terzo degli italiani. Così, la provincia più colpita risulta essere quella di Milano, segue Roma, mentre un discreto terzo posto spetta a Torino. Molti i reati che rimangono impuniti: a fronte degli oltre due milioni e mezzo di delitti denunciati, sono solo 145.429 gli arrestati: circa la metà, purtroppo, è rappresentata da stranieri.

Sicché il tema della sicurezza è ormai una preoccupazione costante per gli italiani, come segnalano i tanti sondaggi d’opinione e le manifestazioni di piazza. Ernesto U. Savona, docente di Criminologia all’Università Cattolica di Milano, nel saggio La sicurezza urbana (Il Mulino, 355 pagine, 24 euro) afferma che la paura nasce pure da "una maggiore vulnerabilità psicologica risultato della perdita di molte sicurezze". Ma pesa anche la consapevolezza che molti "reati non vengono denunciati e quando lo sono, gli autori restano molto spesso ignoti".

Ad aggravare lo stato d’animo dei cittadini ha contribuito, in una certa misura, l’indulto. "Un provvedimento che è stato percepito come un chiaro esempio di liberazione dei criminali", spiega Marzio Barbagli, docente di Sociologia all’Università di Bologna. "Del resto, la politica ha intrapreso questa strada per ragioni che poco hanno a che vedere con l’appello che era stato rivolto da Giovanni Paolo II", aggiunge il sociologo. "L’aumento della criminalità dagli anni ‘60 in poi è un fatto reale. I cittadini, quando manifestano la loro paura, non esagerano affatto: l’andamento della criminalità in Italia è simile a quello degli altri Paesi europei, ma colpisce l’andamento delle rapine, con un tasso otto volte superiore rispetto a quello di altri Paesi occidentali".

Ad appesantire il quadro generale contribuisce in misura notevole, il fenomeno dell’immigrazione clandestina. "Nelle grandi città del Nord", spiega Barbagli, "interi quartieri sembrano fuori controllo: risse notturne, spaccio di sostanze stupefacenti, prostituzione alimentano l’idea che ci siano zone franche, dove lo Stato non interviene. L’insicurezza e la paura è ormai endemica", puntualizza il ricercatore. Ma i cittadini esagerano o hanno ragione quando manifestano il loro disagio? "Direi che è giustificato in presenza di alti tassi di criminalità", aggiunge Barbagli.

Che cosa fare per ridurre il numero dei delitti? "Certamente serve una più efficace lotta all’immigrazione clandestina. Poi occorre un sistema penale che funzioni, e azioni di polizia più mirate. Molto, tuttavia, si può fare grazie alla prevenzione. Un esempio: le rapine in banca sono numerose, perché convengono. Nel nostro Paese c’è ancora un uso eccessivo del denaro contante; basterebbe favorire l’utilizzo delle carte di credito, come è stato fatto all’estero, per rendere meno attraente questo reato".

Giustizia: Scajola; Br detenuti sono troppo liberi di comunicare

 

Apcom, 19 aprile 2007

 

Dall’interno e all’esterno delle carceri italiane "c’è una fitta rete di comunicazioni, legittime e non". Lo ha detto il presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi di informazione e sicurezza, Claudio Scajola, al termine dell’audizione del capo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), Ettore Ferrara. Un fenomeno che secondo Scajola viene confermato dalla stessa audizione avvenuta oggi del responsabile della sicurezza negli istituti penitenziari del Paese. "Lo dimostra, tra l’altro - prosegue Scajola - anche la recente pubblicazione sul web di lettere ed e-mail inviate da brigatisti detenuti".

Secondo Scajola, "gran parte dei contatti con l’esterno riescono, comunque, ad essere monitorati e, in taluni casi, opportunamente filtrati. Resta in ogni caso una parte non trascurabile che sfugge al controllo dell’amministrazione penitenziaria". "Vista la considerevole mole di preziose informazioni che è possibile attingere dal mondo carcerario, sono convinto - ha sottolineato Scajola - che occorra potenziare l’attività di intelligence all’interno degli istituti di pena, prevedendo a tal fine una più stretta collaborazione tra il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ed i Servizi di informazione e sicurezza".

Giustizia: Ferrara; stiamo indagando sulle lettere di D’Avanzo

 

Apcom, 19 aprile 2007

 

Sulle modalità con le quali il Br Alfredo D’Avanzo, detenuto attualmente nel carcere di Opera, sia riuscito ad inviare una lettera pubblicata sul sito "Soccorso rosso internazionale" è ancora in corso un’indagine del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Lo ha detto il direttore del Dap, Ettore Ferrara, parlando con i cronisti al termine dell’audizione davanti al Copaco. "Se ci sono vie illegittime - ha detto Ferrara - sono vie che configurano ipotesi di reato e quindi come tali affidate all’accertamento dell’attività giudiziaria".

"C’è stata una attività ispettiva che non può dirsi ancora conclusa e i cui esiti dovranno essere valutati nelle sedi competenti". Alla domanda se vi sia un monitoraggio sulle corrispondenze dei brigatisti detenuti in carcere, Ferrara ha risposto così: "La corrispondenza dei brigatisti è monitorata nei limiti in cui l’autorità ci consente di monitorarla. La normativa - ha sottolineato Ferrara (che è stato tra l’altro componente del Csm nella precedente consiliatura) - prevede che la si può svolgere nei limiti e nelle forme consentiti dalla stessa autorità giudiziaria.

Quindi non possiamo gestire autonomamente questo controllo della corrispondenza e delle telefonate fatte dai detenuti, anche se brigatisti". La vicenda della lettera inviata dal brigatista D’Avanzo dal carcere di Opera al sito web (Secourse Rouge International) aveva provocato forti polemiche. Il brigatista è stato arrestato lo scorso 12 febbraio nell’ambito dell’operazione sulle Br del gruppo "Seconda posizione".

Giustizia: assistenti sociali; no agli agenti penitenziari negli Uepe

 

Uepe di Milano e Lodi, 19 aprile 2007

 

Al ministro della Giustizia On. Mastella

Al sottosegretario della Giustizia - On. Manconi

Al capo dipartimento - Dr. Ferrara

Al direttore generale D.G.E.P.E.- dr. Turrini Vita

Al direttore generale del personale Dr. De Pascalis

Al responsabile dell’ufficio per le relazioni sindacali Dr.ssa Conte

Al provveditore regionale - Dr. Pagano

All’ordine Nazionale Assistenti Sociali - Dr.ssa Cava

Ordine regionale assistenti sociali Lombardia Dr.ssa Ghisalberti

Al coordinamento nazionale assistenti sociali giustizia

Alle OO.SS. Settore Penitenziario

 

Siamo venuti a conoscenza della convocazione delle organizzazioni sindacali da parte del capo del Dap per presentare il decreto di avvio della sperimentazione sull’inserimento della polizia penitenziaria negli Uepe. Poiché non è possibile prendere simili decisioni, che avranno una ricaduta notevole sull’attività degli Uepe e sulla professionalità degli assistenti sociali senza che ci sia stato un benché minimo confronto con tali operatori, chiediamo di sospendere l’avvio della sperimentazione (non c’è alcuna urgenza reale che la giustifichi) per aprire un confronto serio anche all’interno del sindacato sui contenuti di tale sperimentazione, sugli obiettivi e sull’efficacia. I sottoscritti nel momento in cui non si vedranno rappresentati dalle proprie organizzazioni sindacali, trarranno quanto prima le dovute conseguenze.

 

Gli Assistenti Sociali dell’Uepe di Milano e Lodi

 

Nel 2005 è stata approvata una legge, la cosiddetta "legge Meduri" n° 154/2006, che ha segnato un passaggio storico all’interno del mondo penitenziario e del servizio sociale penitenziario. In particolare è stato modificato l’art. 72 della legge 354/75 che istituiva il servizio allora denominato Centro Servizio Sociale Adulti (Cssa); oggi il nome è stato modificato in Ufficio Esecuzione Penale Esterna (Uepe) e come avevamo abbondantemente previsto questo fatto ha sicuramente segnato l’inizio di un cambiamento sostanziale della natura di tali uffici.

Ritenevamo e oggi abbiamo, purtroppo, la piena conferma che avevamo ragione! È stato estremamente grave far sparire dall’ordinamento penitenziario ogni riferimento al servizio sociale. Cambiamento che oggi si sta già delineando con più chiarezza tanto che l’attuale Ministro Mastella, in occasione dell’ultima festa del corpo della polizia penitenziaria il 4 ottobre scorso, ha annunciato la opportunità di rafforzare l’area penale esterna con l’utilizzo nel controllo delle misure alternative alla detenzione della polizia penitenziaria e la costituzione di commissariati della polizia penitenziaria sul territorio, non accennando minimamente all’esistenza di operatori professionisti: gli assistenti sociali, che quell’area penale esterna hanno costruito e gestito per trent’anni con poche risorse umane e materiali, raggiungendo anche buoni risultati come tutte le statistiche confermano.

Il Casg aveva fortemente contrastato l’approvazione di quella legge e aveva trovato il pieno appoggio dell’Ordine nazionale e in particolare dell’allora presidente P. Rossi, che aveva ben intuito i rischi che si correvano. Le azioni all’epoca tentate dall’Ordine nazionale furono diverse e forti, tra le altre, un’audizione presso la commissione parlamentare che discuteva il provvedimento, anche se purtroppo non servirono a centrare l’obiettivo di evitare la modifica dell’art. 72.

C’è da dire che la cosa più inquietante è che lo stesso Consiglio nazionale dovette subire una forte opposizione all’interno della professione da parte di un piccolo gruppo di assistenti sociali della giustizia che aspiravano con quella stessa legge a diventare dirigenti. Cosa che nei fatti si è realizzata, lasciandoci però anche un servizio: l’Uepe, che sta perdendo la caratterizzazione di un servizio sociale (riteniamo, infatti, che non era un caso se si chiamava Cssa).

 

In data 17 aprile 2007, presso l’Uepe di Milano e Lodi, si è tenuta una partecipata assemblea del personale tutto indetta dalle OO.SS Cgil- Cisl-Uil.

 

L’assemblea, sollecitata dai lavoratori, è stata indetta per favorire una riflessione su quanto sta accadendo nel sistema penitenziario a seguito delle modifiche determinate dalla legge Meduri, dalla proposta del Ministro della Giustizia, da parte della stessa Amministrazione Penitenziaria, nonché dalle diverse sigle sindacali, relativamente all’inserimento del Personale di Polizia Penitenziaria negli Uepe.

La proposta verso una riorganizzazione degli Uepe, che prevede l’introduzione del personale di Polizia Penitenziaria per il controllo delle misure alternative alla detenzione, benché da anni paventata, il 16 aprile 2007 è diventata una realtà (Bozza Decreto Ministeriale concernente l’intervento del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’Esecuzione Penale Esterna).

L’aspetto paradossale che emerge, dalla lettura dei documenti, rispetto a tali proposte, è che ancora oggi l’Amministrazione Penitenziaria, pur prevedendo imminenti sperimentazioni, non ha concretamente coinvolto il personale di servizio sociale, rispetto alla elaborazione del progetto stesso, nella sua struttura, negli obiettivi e nella sua modalità di attuazione, al fine di rendere possibile ai lavoratori di valutarne, di concerto, sia gli aspetti positivi che negativi trasversali alle diverse professionalità.

Nel dibattito attuale sconcerta che i risultati positivi, prodotti dalle misure alternative, oggetto di convegni, comunicati stampa, autorevoli ricerche sulla recidiva, non facciano trapelare nulla rispetto all’operato del Servizio Sociale Penitenziario che ha raggiunto tali risultati, utilizzando i propri strumenti professionali, nonostante le limitate risorse sia di personale che strutturali (Sembra che i risultati ottenuti, rispetto all’esecuzione penale esterna, si siano stati prodotti per miracolo!). In questi mesi è prevalsa un’analisi semplicistica, anche sul tema delle misure alternative e della loro gestione in rapporto alla sicurezza.

Riteniamo, invece, fondamentale una riflessione seria su come migliorare gli attuali Uepe, attraverso un più proficuo utilizzo degli strumenti professionali del Servizio Sociale, superando il modello "carcere", per una gestione meno autoreferenziale che tenda verso una gestione efficace ed efficiente delle misure alternative.

Riteniamo ancor più fondamentale l’ attenzione alla verifica dei risultati, pensando ad un servizio che sia in grado di affrontare i cambiamenti che si prospettano passando da un sistema sanzionatorio, dove assume centralità la pena, anziché il carcere e dove l’esperienza maturata dal servizio sociale penitenziario nel corso di 30 anni di attività, diventi il punto di partenza per una migliore operatività e applicazione delle misure alternative.

Si evidenzia come in realtà la proposta del Ministro della Giustizia, in occasione della Festa del Corpo 2006, che prevedeva l’istituzione di autonomi Commissariati di Polizia Penitenziari, si sia in realtà trasformata in una proposta "ibrida", certamente più celere nella sua realizzazione, creando una prospettiva di fusione tra servizi e funzioni differenti facenti capo al Dirigente dell’Uepe; si accorpano così in un’unica figura istituzionale funzioni di governo del Servizio Sociale e della Polizia Penitenziaria.

 

chiediamo

 

Alle autorità competenti di bloccare l’avvio della sperimentazione per favorire un aperto confronto tra tutto il personale coinvolto. Si chiede inoltre di consultare l’Ordine Professionale degli Assistenti Sociali rispetto ai risvolti professionali, etici e deontologici insiti nel ruolo del personale di Servizio Sociale in tutti i suoi livelli di responsabilità, su quanto oggi attribuito a queste figure dalla Bozza del Decreto Ministeriale.

 

Gli Assistenti Sociali dell’Uepe di Milano e Lodi

Giustizia: assistenti sociali; scrivere a Mastella per sostenerli

 

Uepe di Milano e Lodi, 19 aprile 2007

 

Gli assistenti sociali chiedono ai cittadini di sostenerli in questa loro lotta inviando una lettera al Ministro della Giustizia ed ai Parlamentari: di seguito le bozze delle lettere da inviare.

 

Bozza 1

 

Egregio Ministro, pongo alla Sua attenzione perplessità e preoccupazione sull’istituzione dei commissariati territoriali di polizia penitenziaria per il controllo dei condannati in misura alternativa. Come cittadino chiedo: Ma sono stati fatti bene i conti? Quanto costerebbe allo Stato, cioè a noi cittadini, l’istituzione di tali "commissariati", che per coprire tutto il territorio nazionale necessiterebbero di numerosissimi uomini e mezzi?

Considerato il numero di persone in misura alternativa, oltre 40.000 (prima dell’indulto), quanti poliziotti penitenziari occorrerebbero per turno (mattina, pomeriggio, notte) per poter effettuare almeno un controllo settimanale? Quante auto di servizio servirebbero per controllare tutto il territorio nazionale, compresi i paesini più sperduti? Perché inserire sul territorio un altro corpo di polizia, quando già esistono: carabinieri, polizia di stato, polizia locale, guardia di finanza ecc.

L’indulto non ha determinato un esubero di polizia penitenziaria. Questo lo dimostra il fatto che in questo periodo è stato assunto nuovo personale di polizia penitenziaria (circa 500 unità). Perché si parla di esubero, facendo semplicemente il rapporto tra organico di polizia penitenziaria e detenuti, mentre questo personale viene utilizzati per funzioni di supplenza del personale amministrativo, con costi ben superiori a quelli che servirebbero, utilizzando personale civile? Perché si debbono utilizzare i poliziotti penitenziari per svolgere mansioni di segreteria, contabilità, informatica, guida automezzi, etc., all’interno degli istituti penitenziari, del Dap, dei Provveditorati regionali, delle scuole di formazione, degli Uffici esecuzione penale esterna? Perché si costringono i poliziotti penitenziari all’interno degli Istituti penitenziari a fare doppi turni e straordinari? Perché a seguito dell’indulto, con un minore numero di detenuti presenti, non si può finalmente mettere gli operatori nelle condizioni di svolgere al meglio la loro attività e professionalità come previsto dalla legge.

 

Bozza 2

 

Onorevole, pongo alla Vostra attenzione perplessità e preoccupazione sull’istituzione dei commissariati territoriali di polizia penitenziaria per il controllo dei condannati in misura alternativa, perché: richiederebbero l’utilizzo di ingenti risorse economiche senza tenere conto che con l’investimento di meno risorse si potrebbero incrementare i servizi di controllo e sicurezza già presenti sul territorio; sul territorio oggi esistono già diverse agenzie che effettuano un controllo generale per la prevenzione dei reati, attività che non può essere disgiunta da quella del controllo sui condannati sottoposti a misura alternativa; il controllo della polizia penitenziaria andrebbe a sommarsi e a sovrapporsi a quello delle forze dell’ordine già operanti e distribuiti in modo capillare sul territorio e che è invece importante ed efficace coordinare; il controllo di polizia penitenziaria così come previsto: effettuato da nuclei centralizzati nei capoluoghi di provincia e non radicati nel territorio risulterebbero meno efficace di quello dei Carabinieri, i quali essendo dislocati anche nei piccoli centri urbani, conoscono molto bene i luoghi di devianza, le persone, i contesti.

Per contrastare i fenomeni criminali e dare più sicurezza sociale, (non sempre serve) reprimere e isolare ma a volte può risultare più efficace includere e aiutare. Politiche sociali, finalizzate a migliorare la realtà, la vivibilità del territorio e la qualità di vita di ciascuno, come in più occasioni esplicitato nel programma elettorale dalle forze politiche dell’attuale maggioranza di governo, possono fare molto di più per la sicurezza dei cittadini delle politiche di controllo e repressione, che rincorrono facili consensi, ma confermano impotenza, fragilità, paura e incapacità di governare i fenomeni di devianza.

 

Bozza 3

 

Onorevole, pongo alla Vostra attenzione perplessità e preoccupazione sull’istituzione dei commissariati territoriali di polizia penitenziaria per il controllo dei condannati in misura alternativa. Se attraverso l’esecuzione penale esterna si è potuto seguire, con varie modalità, fino a 40.000 soggetti, con revoche estremamente limitate, è bene che si sappia che questo risultato è stato possibile solo grazie al lavoro di assistenti sociali operanti negli Uepe.

Pensare di affidare i compiti di controllo delle misure alternative alla polizia penitenziaria è non solo sbagliato, ma temo anche, inefficace. Perché fondamentale sarebbe il potenziamento delle possibilità di costruzione e sostegno di progetti personalizzati e sociali per un effettivo recupero della legalità, e poter così contrastare il rischio della recidiva e avere un effetto positivo a garanzia della sicurezza dei cittadini. Gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna (ex Cssa), insieme ai servizi territoriali sociali e di controllo, per 30 anni hanno dimostrato di saper lavorare, anche con limitate risorse e umane e materiali, nella costruzione di percorsi di inclusione sociale per ridurre la recidiva, come le recenti ricerche sociologiche in materia dimostrano.

Giustizia: Opg; allo studio un piano per far uscire 400 internati

 

Corriere della Sera, 19 aprile 2007

 

Gli ospedali psichiatrici giudiziari vanno aboliti? I cinque morti in pochi mesi nell’Opg di Aversa, come riportato ieri dal Corriere della Sera, ripropongono con forza la domanda. Gli Opg sono in realtà dei lager, dicono tutti. Lo psichiatra Franco Rotelli ne chiede la chiusura. E pensa ad un tavolo tra ministero della Salute e Regioni.

"Il tavolo c’è già - replica il dottor Marco D’Alema, fratello di Massimo, psichiatra e consigliere del ministro Livia Turco per la psichiatria -. Esiste un comitato tecnico delle Regioni, che insieme con noi sta ragionando su come decongestionare gli ospedali psichiatrici giudiziari". Chiuderli o no? "Superarli in tre fasi - spiega D’Alema -. Noi dobbiamo attivare la prima fase e attuare un programma di uscita dei detenuti negli ospedali psichiatrici giudiziari che sono lì da tanto tempo e senza più una valida ragione".

Come si procederà? "Il ministero della Salute sosterrà economicamente questa prima fase, prevediamo di inserire la copertura nella prossima Finanziaria. L’uscita di queste persone dagli Opg ridurrà i 1.200 detenuti negli ospedali giudiziari di un terzo".

La seconda fase prevede "la piena attuazione del decreto legislativo del ‘99 sul riordino della medicina penitenziaria che prevede il progressivo e finora non attuato affidamento al Servizio Sanitario Nazionale della tutela della salute dei detenuti. In questo modo i casi più lievi di persone che si ammalano in carcere o sono in attesa di giudizio non verranno più dirottati agli Opg. Si tratta di un altro quarto del totale".

C’è poi la terza fase. "Si tratta della regionalizzazione degli Opg, che devono diventare strutture piccole a carattere prettamente sanitario, dove l’elemento penitenziario viene ridotto al minimo, e dove saranno ricoverati solo i casi più gravi. La chiusura definitiva sarà però possibile solo modificando il codice penale". Proprio a questa modifica ha lavorato la commissione presieduta da Giuliano Pisapia presso il ministero della Giustizia.

Giustizia: la normativa sulle intercettazioni difende il cittadino

di Pino Pisicchio (Presidente della Commissione Giustizia della Camera)

 

Il Campanile, 19 aprile 2007

 

Quando un provvedimento legislativo raccoglie il voto unanime dei deputati vuol dire che, evidentemente, si sono verificate condizioni di equilibrio eccezionali, sul piano della struttura normativa e sul piano delle esigenze della politica, che poi dovrebbero sempre corrispondere alle esigenze dei cittadini.

Col provvedimento che regola lo strumento delle intercettazioni telefoniche, votato alla Camera con 447 voti a favore e nessuno contrario, abbiamo costruito un risultato legislativo di grande qualità, che rappresenta il punto di equilibrio possibile tra tre esigenze costituzionalmente tutelate: il diritto dell’informazione ad esplicare pienamente e liberamente le sue prerogative,così come previste dall’art. 21 della Costituzione: il diritto del cittadino, sancito da molte norme, a cominciare dall’art. 2 e dall’art. 15, a vedere preservata la sua privacy, intesa come elemento costitutivo della sua personalità; il diritto-dovere del magistrato, tutelato dall’intero titolo IV della Costituzione, ad esercitare la propria funzione in nome dell’interesse superiore dello Stato.

Diritti e prerogative, come si comprende, non facilmente componibili: il privilegiamento di un aspetto porta come necessaria implicazione, l’impoverimento di un altro. La nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche non avrebbe avuto un impatto così forte in termini di pubblica opinione se non fosse stata preceduta da una sequenza inquietante di episodi di vera e propria "gogna mediatica", che hanno visto finire nelle prime pagine dei giornali e delle tv persone anche del tutto estranee alle situazioni assai specifiche per cui i codici penale e di procedura penale prevedono l’uso "legale", vale a dire predisposto a certe particolari condizioni dal magistrato, dello strumento di "captazione"di conversazioni private.

Certo, del "gossip" si è nutrita da sempre un certo tipo di stampa italiana ed estera che ha amato guardare dal buco della serratura e con una dose aggiuntiva di prurigine i vizi privati di chi celebra le pubbliche virtù. Solo che da qualche tempo a questa parte il gossip si è mangiato anche la sostanza delle cose e non ha avuto più riguardo alla gente, alla verità essenziale rappresentata dal fatto che dietro ogni fuga dì notizie che fa aumentare l’audience e la tiratura dei giornali, c’è una persona con i suoi diritti e le sue umane fragilità.

La normativa che la Camera ha approvato tende a tutelare il cittadino dalle incursioni illegittime e insopportabili di media poco scrupolosi: non è, come pure si è sentito in queste ore, un provvedimento "punitivo" nei confronti della stampa, ma rappresenta la costruzione di più efficaci cautele per impedire che segreti istruttori di documenti delicati possano diventare impunemente materiale di speculazione.

Ricordo un bellissimo film degli anni ‘80 di Francis Ford Coppola, "la conversazione", che aveva per protagonista il grandissimo Gene Hackmann in veste di agente segreto incaricato dai capi al servizio di "captazione" di telefonate di gente importante, a fini ricattatori, perché si sa, nei film americani i servizi segreti sono spesso un po’ deviati. Dopo ore e ore di insopportabili sedute di "ascolto" delle conversazioni relative ad adulteri ed altre pruriginose amenità, l’agente ebbe, finalmente. il suo materiale per il ricatto finale. Non mi sembra, però, che il grande Hackmann sia riuscito a godersi il frutto del suo ricatto.

Milano: in Viale Piceno c’è un nuovo carcere, ma senza sbarre

 

Il Meridiano, 19 aprile 2007

 

A Milano, in Viale Piceno, ha aperto qualche giorno fa, la prima casa-famiglia in Italia per detenute con figli al di sotto dei tre anni. L’appartamento di proprietà della Provincia, di oltre 500 mq, è una struttura sperimentale a custodia attenuata che dispone quindi di stanze luminose e colorate senza sbarre, di un cortile per giocare, di una grande cucina dove sarà possibile alle mamme preparare i pasti per i bambini. Tra gli spazi comuni anche una ludoteca e una biblioteca. A ricordare che si tratta comunque di una struttura detentiva, 12 in totale i posti disponibili, ci saranno solo due agenti in borghese (per non turbare i piccoli) e le grate alle finestre poste all’esterno dell’edificio.

Il Comune e la Regione penseranno, poi, ai servizi utili alla crescita armonica dei pargoli: dalla presenza giornaliera di educatori, alle visite pediatriche, dall’accompagnamento dei bambini in asili nido comunali esterni alla formazione pedagogica e all’assistenza psicologica delle mamme. Strumenti innovativi poi, anche i percorsi di istruzione pensati per un futuro inserimento lavorativo delle madri.

"Questo progetto pilota, che spero venga applicato anche in altre città italiane, rappresenta un gesto di grande civiltà da parte della comunità" commenta Gloria Manzelli direttrice del carcere di San Vittore, l’istituto da dove provengono le prime due detenute con bambini a carico ospitati nella casa-famiglia "avevamo allestito, infatti, un asilo nido interno al carcere, ma l’impatto del luogo e dei suoi ritmi risultava comunque traumatico per i bambini".

"Siamo arrivati a questo risultato" continua la Manzelli "grazie alla sinergia degli enti locali (regione, comune e provincia) e dei due ministri competenti (giustizia e istruzione), in carica nel governo precedente, ma soprattutto grazie al lavoro di Luigi Pagano, provveditore regionale delle carceri. Il problema dei bambini in istituti correzionali non poteva, infatti, essere demandato solo all’amministrazione penitenziaria, ma occorreva che tutto il territorio se ne facesse carico". Ma San Vittore non si ferma qui, in cantiere, ci sono altri progetti, come la costruzione di un centro diurno, interno al carcere, per assistere adeguatamente le persone con problemi psichici.

Intanto fervono i preparativi per la sfilata di moda prevista il 10 maggio, che vedrà le detenute nel duplice ruolo di modelle e stiliste e della terza edizione della kermesse di musica e cabaret, il Festival del Sing Sing, in programma per il 4 giugno, che prevede l’esibizione di artisti nazionali a fianco delle band musicali che si sono formate a San Vittore.

Pisa: nominato il Garante comunale dei diritti dei detenuti

 

Toscana In, 19 aprile 2007

 

Il sindaco Fontanelli ha scelto Andrea Callaioli, avvocato, docente in materia di legislazione sull’immigrazione al Master promosso dall’Università di Pisa.

È Andrea Callaioli il garante per i diritti dei detenuti del Comune di Pisa, nominato dal sindaco Paolo Fontanelli. Nei giorni scorsi infatti si è concluso l’iter previsto dal consiglio comunale per la nomina, avviato il 23 Gennaio scorso quando il Comune ha reso pubblico il bando per la raccolta delle candidature, così come previsto dalle delibera approvata n. 62 del 21/09/2006 approvata dal consiglio comunale.

Le candidature pervenute sono state 13, tutte giudicate ammissibili in sede istruttoria dalla Segreteria Generale: da queste il Sindaco - dopo aver sentito la Conferenza dei capigruppo consiliari - ne ha prese in considerazione 4, giudicandole più aderenti allo spirito e alla lettera del bando. A seguito dei colloqui avuti con i 4 candidati, incentrati sulla ricerca di una figura che, più degli altri, possedesse anche comprovate esperienze nel campo delle scienze giuridiche e delle attività legate ai luoghi di prevenzione e pena, il Sindaco ha scelto l’avvocato Andrea Callaioli.

Nato a Pisa il 1 Giugno 1962, Callaioli si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Pisa con una tesi su "Carceri di massima sicurezza e regime di sorveglianza particolare". Ha redatto per il Dizionario "Stato e Società" (La Nuova Italia) la voce "Magistratura", il volume "Le competenze degli enti locali in materia di tossicodipendenze", e numerosi altri saggi e scritti, tra cui "Un nuovo equilibrio tra tutela penale e solidarietà sociale".

Procuratore legale e poi avvocato, Callaioli ha svolto lezioni di diritto penale nella Scuola Forense di Pisa e docenze in numerosi corsi di formazione per operatori pubblici. Negli ultimi tre anni accademici ha svolto lezioni in materia di legislazione sull’immigrazione nell’ambito del Master Universitario organizzato dal Dipartimento di Scienze della politica dell’Università degli Studi di Pisa. Il garante del Comune di Pisa si aggiunge così a quello attivo a Firenze dal 2004.

Torino: quando i detenuti producono caffè, cioccolato e birra

 

La Stampa, 19 aprile 2007

 

L’ultimo traguardo è stato illustrato durante la firma del protocollo d’intesa che - grazie all’impegno della Provincia - prevede l’apertura di un centro per l’impiego nel carcere Lorusso e Cotugno. Obiettivo dell’iniziativa, a carattere sperimentale e senza precedenti in Italia: favorire il reinserimento dei detenuti.

In realtà aumenta il numero di quelli che per trovare un mestiere non hanno bisogno di chiudersi alle spalle i cancelli della casa circondariale, dove è un fiorire continuo di attività messe in piedi da cooperative con il sostegno degli enti locali e del personale della struttura. Dalla torrefazione al capannone in cui vengono ricondizionati i ricambi per i mezzi pubblici, ogni idea trova spazi e supporto logistico. Il tutto sulla base di una filosofia precisa ribadita da Pietro Buffa, il direttore del carcere: portare il mondo, sotto forma di attività ma anche di uffici pubblici, all’interno delle Vallette, senza venir meno alla loro funzione detentiva.

Un unicum nel panorama carcerario italiano? Buffa, che non vuol fare il primo della classe, declina il riconoscimento. Una cosa è certa: di questo passo le chance di trovare lavoro all’interno della casa circondariale - 1.189 detenuti (il 50% stranieri), 250 condannati in via definitiva - promettono di essere superiori rispetto a quelle di chi ha saldato il conto con la Giustizia. Anche il giro di affari non è male.

Quello della torrefazione, gestita dalla cooperativa "Pausa Cafè", viaggia sui 250 mila euro l’anno: 9 le persone coinvolte fra detenuti, ex-detenuti e soci esterni; nel 2006 sono stati tostati 11 mila chili di prelibato caffè di Huehuetenango (in Guatemala). Il prossimo traguardo, con l’assunzione di altre due persone, è la lavorazione del cacao affidata alla cooperativa "Pausa cacao". "Abbiamo già fatto le prove per i macchinari che ci permetteranno di produrre il liquore di cacao - spiega Marco Ferrero, presidente di "Pausa Cafè" -. La prima partita è prevista sotto Natale". Un altro progetto ambizioso. Talmente ambizioso da poter contare su un partner tecnico del calibro di Guido Gobino.

Non è finita. Recentemente nel perimetro del carcere è sorto un capannone-officina dove quattro detenuti, a regime saranno 12, riparano e ricollaudano i componenti degli autobus e dei tram del Gruppo Torinese Trasporti. In questo caso la partita è affidata alla cooperativa "Ergonauti" del Consorzio Kairos, lo stesso che con 22 persone gestisce la mensa (2.600 pasti al giorno). Guido Geminatti, presidente del Consorzio, conferma: "Abbiamo già fatto il corso di formazione per 10 lavoratori.

La commessa di Gtt è di 100 mila euro ma contiamo di sviluppare altre attività. Un’ipotesi è quella di puntare sulle energie rinnovabili, con la produzione di pannelli solari". Buone prospettive anche per la falegnameria che produce arredo urbano (panchine e fioriere), forte di 14 addetti (cooperativa "Punto a capo").

Ma non ci sono limiti alle potenzialità della premiata "ditta-Vallette" alla quale la Provincia, per dire, ha affidato la riconversione dei "banner" olimpici in borse di rappresentanza. La direzione del carcere ha già sottoposto al Ministero il progetto di una panetteria e di una lavanderia industriale: sono altri 25 posti di lavoro. Ci sarà spazio anche per un vivaio, pure questo interno al carcere: si parte dai 100 mila euro già stanziati dalla Regione, più altri 40 mila messi dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (10 posti). Alla voce "progetti in corso" risponde la trattativa con Poste Italiane per realizzare un ufficio interno, mentre l’esperienza maturata con la torrefazione potrebbe essere replicata per la produzione di birra. Insomma: di tutto e di più. In quest’ottica rientra anche il centro per l’impiego presentato dal presidente Saitta con gli assessori Condello (Lavoro) e Artesio (Solidarietà sociale). Lo sportello collaborerà, d’intesa con la casa circondariale, nella preselezione dei detenuti interessati al reinserimento e favorirà l’incontro fra domanda e offerta tramite le proprie banche-dati. Secondo Buffa, un contributo importante anche sul fronte della sicurezza: prevenire è meglio.

Ascoli: nel dopo-indulto un piano per l’integrazione sociale

 

Corriere Adriatico, 19 aprile 2007

 

La terza edizione del seminario formativo ed informativo (domani, ore 9, Aula Multimediale dell’Oratorio San Rocco di Fermo) affronterà il problema di come posizionarsi dopo l’indulto e vedere quali sono i percorsi e le prospettive d’integrazione sociale degli ex detenuti, ma sarà posta attenzione anche alle forme di microcriminalità che non sono bene individuate dai giovani (bullismo, soprusi sessuali).

Dobbiamo lavorare preventivamente - ha detto Daniela Alessandrini, coordinatrice dell’Ambito territoriale XIX - per evitare che, certi fenomeni che riempiono quasi quotidianamente le cronache locali, degenerino in situazioni personali e di vita che vanno verso direzioni sbagliate.

Su quest’argomento il Sindaco Di Ruscio ha detto che: Da un versante sono i modelli che vengono presentati da televisione, famiglia e scuola, ma dall’altro evidente che i giovani sono in possesso d’una energia creativa che in qualche modo debbono sfogare. Il nostro compito è quello d’indirizzare quest’energia in senso positivo.

Quindi il seminario vuole prendere in esame che cosa è successo nel mondo carcerario dopo l’indulto dello scorso anno. Per quello che riguarda la popolazione carceraria dell’Istituto Penitenziario di Fermo è possibile rilevare come i detenuti a seguito dell’indulto si siano ridotti di molto (dai 63 del 2006 ai 19 del 2007) - ha detto il direttore, Eleonora Consoli -questo ci ha dato la possibilità di portare a termine alcuni progetti all’interno dell’Istituto.

Si può dire che l’indulto abbia aperto uno squarcio all’interno della realtà penitenziaria sia per quanto riguarda l’esterno che per quanto riguarda noi. Anche Mariantonietta Cerbo, direttore dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Macerata ed Ascoli Piceno ha visto ridurre notevolmente (circa il 77% in meno), a seguito dell’indulto, delle misure alternative alla detenzione.

Il Sistema penale minorile ragione in particolare in termini di prevenzione, sono pochissimi i ragazzi che arrivano ad avere i 3 gradi di processo (nell’Ambito XIX attorno ai 25) e, quindi, pene detentive. Il progetto che intendiamo realizzare, che va dalla prevenzione, dalla devianza minorile ad al reinserimento sociale e lavorativo del detenuto ed ex detenuto -ha detto Patrizia Giunto, direttore del Centro servizi sociali per minorenni di Ancona -deve essere anche più vicino ai cittadini. In questo senso apriremo, appena terminate le procedure burocratiche, una sede-recapito anche a Fermo.

Rovigo: apre il cantiere per la costruzione del nuovo carcere

 

Il Gazzettino, 19 aprile 2007

 

Il primo stralcio della struttura potrà ospitare 200 detenuti e avrà 150 alloggi per la polizia penitenziaria. I ministeri della Giustizia e delle Infrastrutture, ma prima ancora il Magistrato alle acque di Venezia, procedono a spron battuto per la realizzazione del nuovo carcere.

E senza farsi tanto intimorire dal ricorso presentato dalla ditta Mattioli di Padova per chiedere la sospensione del procedimento in contestazione con la gara vinta invece dalla Sacaim di Mestre, hanno deciso di proseguire l’iter e di firmare, a giorni, il contratto con l’impresa.

A giugno (ma al Magistrato delle acque, braccio operativo per conto del ministero, ritengono anche prima) sarà posata la prima pietra per l’opera più imponente degli ultimi anni mai realizzata a Rovigo. Sembra, infatti, che il ricorso sia stato respinto e pertanto che nulla più possa ostacolare l’avvio dei lavori. L’impresa, quindi, partirà con il primo stralcio esecutivo di 21 milioni di euro che prevede le opere strutturali, ossia il carcere da 200 posti per soli uomini e i 150 alloggi per la polizia penitenziaria.

Subito dopo, tra circa due anni se il Governo deciderà di finanziarlo, si passerà al secondo stralcio che prevede la parte "riabilitativa", quegli spazi sociali che consentiranno ai detenuti di interagire con l’esterno e di praticare attività sportiva, laboratori, coltivazioni all’aperto e luoghi per i colloqui con i familiari. Sorgerà dietro alla cittadella sanitaria di viale Tre Martiri, ma più a nord, a ridosso di via Calatafimi e la tangenziale, dove transiterà pure il passante nord in via di realizzazione.

La nuova struttura si estenderà su un’area di 9,5 ettari con una superficie di 26mila metri quadri, per un volume complessivo di 88mila metri cubi. Cura particolare da parte dei progettisti è stata data all’impatto sul territorio che è stato ridotto al minimo. Al suo interno l’area del carcere comprenderà una parte detentiva chiusa da un muro in calcestruzzo alto sette metri e mezzo.

Ora, però, la palla passa alle istituzioni e al ministero per decidere la destinazione dell’attuale carcere di via Verdi, in pieno centro storico. Sulla scelta dovranno essere necessariamente d’accordo l’Agenzia del demanio e il ministero della Giustizia, anche se dovrà poi essere il Comune ad accogliere la variante. L’idea della precedente amministrazione era quella di realizzare un parcheggio per il tribunale e un parco attrezzato per la città, ma non è detto che coincida con la posizione dell’attuale giunta di centrosinistra.

Catania: recuperare i detenuti, anche per trasmettere valori

 

La Sicilia, 19 aprile 2007

 

"Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", recita l’articolo 27 della Costituzione Italiana. Ed è questo il principio che sta certamente alla base del seminario tenutosi ieri al Monastero dei Benedettini, dal titolo "Cultura umanistica e legalità", promosso dalla facoltà di Lettere e dall’Università di Catania, su iniziativa del Ministero di Grazia e Giustizia.

Una giornata di dibattito sui temi caldi che gravitano intorno al sistema carcerario e alla tanto invocata rieducazione e riabilitazione del detenuto. Ne hanno discusso numerosi esponenti tra cui docenti universitari, responsabili educativi e psicologi del carcere di massima sicurezza di Bicocca - diretto dal dott. Giovanni Rizza - che vanta al suo interno la presenza della scuola e di progetti di recupero di alto livello. La vita dei detenuti è stata raccontata attraverso le immagini di due documentari girati dal dott. Alessandro De Filippo, ex professore di lettere all’interno del penitenziario.

Sono due pugni nello stomaco "Cattura" e "Isola", questi i titoli dei documentari, dinanzi ai quali si sospende ogni forma di giudizio ed è possibile entrare in contatto con una realtà lontana e sconosciuta. Una realtà che rappresenta un microcosmo che solo attraverso la diffusione della cultura può entrare in contatto con "l’altro da sé", inseguendo una speranza di rinnovamento. È questo il centro nevralgico intorno al quale si è dibattuto. Che ruolo possono giocare le agenzie educative come l’università e la scuola?

La tanto disprezzata scuola - ultimamente agli onori delle cronache soltanto per essere denunciata e strumentalizzata - resta, sempre e comunque, la sola istituzione in grado di farsi carico di trasmettere valori in un mondo, quello tra le sbarre, segnato dai disvalori. E così anche l’università.

"Il mondo accademico è indietro rispetto alla domanda di cultura che viene dalla realtà carceraria - ha detto il preside della facoltà di Lettere, Enrico Iachello - la cultura umanistica può ancora fare molto e rendersi protagonista del processo di rieducazione". "Il problema del carcere è innanzitutto un problema sociale", fa eco il responsabile dell’area pedagogica di Bicocca, Maurizio Battaglia. Sono argomenti di impatto notevole e che hanno aperto più di uno spiraglio da parte della società civile e delle istituzioni che iniziano a interrogarsi sulla possibilità di "non chiudere le porte".

Svizzera: polemiche sul carcere ginevrino di Champ-Dollon

 

Swiss Info, 19 aprile 2007

 

La giustizia ginevrina ricorre troppo facilmente e troppo a lungo alla detenzione preventiva. Lo dicono degli esperti che hanno studiato il caso del problematico carcere di Champ-Dollon. Il nuovo rapporto era stato richiesto dal parlamento cantonale a causa del cronico sovraffollamento della prigione. La lentezza della magistratura ginevrina, nonché l’eccessiva durata delle detenzioni preventive sono state nuovamente stigmatizzate da un rapporto sul carcere di Champ-Dollon, stilato anche in seguito alle lamentele dei prigionieri.

Alcuni giorni fa, la Lega svizzera dei diritti umani (Lsdu) aveva pubblicato un suo rapporto in cui affermava che i diritti fondamentali dei detenuti non sono sempre rispettati nel carcere preventivo, da svariati anni in stato di sovraffollamento cronico. Fra le ragioni che spiegano questa situazione, la Lsdu citava in particolare la lentezza delle procedure giudiziarie e la lunghezza delle detenzioni preventive, la cui durata supera spesso l’entità delle condanne definitive.

 

Identiche conclusioni

 

Mercoledì, i tre esperti designati dal Gran Consiglio ginevrino per analizzare la situazione dello stabilimento carcerario hanno comunicato di essere giunti a conclusioni identiche: il numero insufficiente dei giudici istruttori rallenta l’andamento delle procedure giudiziarie. Ne deriva una durata eccessiva delle detenzioni preventive. Gli esperti - un medico, un giurista e un’esperta dell’Associazione di prevenzione contro la tortura - sottolineano peraltro la tendenza dei giudici a "incarcerare troppo facilmente".

 

Polizia violenta

 

Il rapporto denuncia inoltre il ricorso "inappropriato" alla violenza in occasione degli arresti e degli interrogatori da parte della polizia. Dei 125 detenuti interrogati, il 30% ha riferito di maltrattamenti fisici. Questo tasso "molto elevato" ha sorpreso uno degli esperti, l’ex medico cantonale Jean-Pierre Restellini, che opera quale esperto per il Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Oltre a raccomandare un’istanza di sorveglianza della polizia, gli esperti auspicano pure una riforma a livello giudiziario. Viene messa particolarmente in causa la Camera d’accusa - incaricata di pronunciarsi sulla proroga delle detenzioni preventive - le cui udienze non sono pubbliche e dove, a detta degli esperti, il diritto degli indiziati ad essere ascoltato non è spesso rispettato.

 

Il contesto

 

L’articolo 48 della Costituzione federale stabilisce che i cantoni possono concludere trattati intercantonali (o concordati) nei settori di loro competenza. I cantoni si avvalgono ad esempio di questa possibilità per coordinare il sistema penitenziario. A livello nazionale, esistono tre concordati che definiscono le linee direttive dell’esecuzione delle pene, uno per ogni regione: Svizzera orientale, Svizzera centrale e settentrionale, Romandia e Ticino. Nella Confederazione ci sono 9 stabilimenti chiusi, 10 penitenziari semiaperti e numerose prigioni regionali e centri di detenzione preventiva. In totale esistono 122 stabilimenti.

 

Le cifre

 

Il 6 settembre del 2006 (data dell’ultimo censimento) nelle carceri svizzere vi erano 5.888 detenuti. 1.808 di loro si trovavano in detenzione preventiva. La percentuale di stranieri era del 69%. Quella di donne del 5,7%. L’80% delle persone in carcere preventiva era di origine straniera, la metà dei quali sprovvista di permesso di soggiorno. Il tasso d’occupazione era dell’87%.

Gran Bretagna: il "record" di tossicodipendenti e di overdose

 

Notiziario Aduc, 19 aprile 2007

 

Malgrado i miliardi di sterline spesi negli ultimi anni per la battaglia contro le tossicodipendenze, il Regno Unito è il Paese con il maggiore consumo di droga in Europa e di morti legate agli stupefacenti. Il duro atto di accusa contro il governo è della Commissione britannica per la politica per la droga, che nel suo ultimo rapporto denuncia che le campagne di prevenzione e di recupero dei tossicodipendenti hanno avuto un impatto "minimo" sul consumo di sostanze proibite.

La signora Ruth Runciman, presidente della Commissione, ha ammesso che ci sono segni di progresso ma ancora non è stato fatto abbastanza per verificare quali sono stati i programmi efficaci e quali invece non hanno prodotto alcun effetto. Dallo studio è emerso, tra l’altro, la scarsa utilità sia dell’inasprimento della attività repressive con condanne più dure e più arresti, sia dell’aumento di attività di recupero dei drogati.

In forte crescita il numero dei consumatori di eroina, passati dai 5.000 del 1975 ai 281.000 del 2005, che rappresentano anche un quinto di tutte le persone fermate. Un quarto dei nati tra il 1976 e il 1980 hanno provato le droghe più pesanti e circa metà dei giovani hanno fumato almeno una volta la cannabis.

A peggiorare la situazione c’è stato anche il crollo del prezzo degli stupefacenti malgrado l’aumento degli arresti e della confisca di droga: un grammo di eroina che nel 2000 costava 70 sterline ora si trova a 50 sterline.

Nel 2005 ci sono state 1.644 vittime causate dal consumo di droga e circa il 40% delle persone che si iniettano eroina o oltre sostanze soffre di epatite C.

Da Downing Street il premier Tony Blair non ha concordato con l’analisi impietosa della Commissione e ha rivendicato il raddoppio dei finanziamenti per il trattamento dei tossicodipendenti e un calo del 16 per cento nei consumi di sostanze stupefacenti a partire dal 1998. Una cifra che il ministero dell’Interno aveva portato al 21 per cento grazie ai 7,5 miliardi di sterline spesi negli ultimi nove anni.

 

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