Rassegna stampa 13 aprile

 

Modena: detenuto muore sniffando gas, suicidio o "incidente"?

 

La Gazzetta di Modena, 13 aprile 2007

 

È morto sniffando gas con la testa chiusa in un sacchetto di plastica. Questa la fine di un giovane nordafricano detenuto al Sant’Anna da qualche mese per furto. Forse un suicidio o, forse, il gas ha intorpidito l’uomo a tal punto che non è riuscito a togliersi la busta dalla testa prima di morire, perché quella dello sniffo dalle bombolette sembra una prassi consolidata all’interno del carcere.

Si infilano una busta in testa e fanno uscire il gas dalla bomboletta in modo che riempia la busta e così si sballano. Sembra essere questa la prassi consolidata tra numerosi detenuti del Sant’Anna, in particolar modo tra i tossicodipendenti. Questa tecnica autolesionista venerdì è stata fatale ad un nordafricano di circa 25 anni, arrestato per furto e detenuto da qualche mese. Il fatto è accaduto durante l’ora d’aria, che va dall’una alle due e trenta, durante la quale i detenuti possono uscire nel cortile del carcere o decidere di rimanere in cella.

Pare che il giovane - alcolista in cura per disintossicarsi - abbia chiesto di rimanere in cella e che, una volta solo, abbia cominciato la pratica di sniffo, forse abituale. Non si sa, infatti, se l’accaduto sia stato un tentativo di suicidio o se la dose di gas fuoriuscita dalla bomboletta sia stata eccessiva solo per caso, ma certamente pochi minuti sono stati fatali al giovane nord-africano che è morto, rovesciandosi a terra con la busta ancora stretta intorno al collo. Gli agenti in servizio sono immediatamente intervenuti tentando di rianimarlo e chiamando contemporaneamente i soccorsi.

Il giovane, però, era già morto e non c’è stato modo di salvarlo nemmeno con le tecniche di rianimazione. Al carcere, immediatamente allertate, sono arrivate, poco dopo le 14, le ambulanze che non hanno potuto fare altro che constatare il decesso. La prassi dello sniffo con il gas sembra essere, all’interno del Sant’Anna, solo una delle modalità con cui i detenuti riescono a "drogarsi" e a compiere atti di autolesionismo o tentato suicidio.

Per drogarsi, infatti, sembra che i detenuti utilizzino anche cocktail di farmaci, tagliati e mescolati tra loro come "droga fatta in casa", mentre per l’autolesionismo ci sono le lamette da barba con le quali, pare quasi quotidianamente, molti detenuti in particolar modo stranieri, si feriscono tagliandosi volontariamente le braccia e la pancia, e questo oltre i tentativi di suicidio per impiccagione.

Quella della bomboletta di gas, però, sembra essere tra tutte la più pericolosa. Le bombolette del gas nelle celle, infatti, oltre ad essere usate in questo modo improprio potrebbero facilmente diventare armi offensive di considerevole portata, anche contro gli agenti di guardia. Sembra che episodi simili, in altre carceri italiane siano già accaduti: bomboltette usate come lanciafiamme o fatte scoppiare come bombe.

 

Gli agenti: in carcere situazione ad alto rischio

 

Che il Sant’Anna soffra da tempo di gravi carenze di organico è cosa nota, ma l’episodio del nordafricano morto nelle celle del carcere modenese sniffando gas da una bomboletta ha aperto, però, crudamente uno squarcio più ampio sulla situazione che quotidianamente vige all’interno della struttura di via Sant’Anna.

Pare, infatti, che la carenza del personale sia talmente cronica da rendere praticamente inefficaci alcuni sistemi di sicurezza e che da tempo permangano situazioni che mettono potenzialmente a rischio i pochi agenti di polizia penitenziaria presenti: Le bombolette di gas all’interno delle celle sono pericolosissime - ci racconta un gruppo di agenti che operano al Sant’Anna - sia per i detenuti sia per noi agenti. La pratica dello sniffo del gas è ormai consolidata, sono molti i carcerati tossicodipendenti che la praticano. Ovviamente, è molto più facile per chi vuole "sniffare" eludere i controlli quando, in certe situazioni, c’è un solo uomo per cinquanta detenuti.

Pare che la situazione sia stata più volte segnalata alla direzione dagli agenti, anche attraverso i rappresentanti ufficiali, senza però ottenere alcun provvedimento che modificasse la situazione: "Ci sentiamo in pericolo - ci spiegano - per questa ed altre potenziali armi che vengono lasciate in mano ai detenuti. Una bomboletta del gas diventa senza difficoltà un lanciafiamme fatto in casa, una bomba se lanciato con violenza".

Un altro problema sentito da chi lavora all’interno del carcere sarebbe quello delle lamette da barba lasciate in cella ai detenuti per radersi, anche questa potenziale arma da rivolgere contro gli agenti, o contro sé stessi.

"Gli episodi di autolesionismo tra i detenuti che si tagliano la pelle delle braccia e della pancia sono davvero quotidiani - continuano - la situazione è già molto difficile se si contano gli agenti in rapporto ai detenuti, se non vengono rispettate nemmeno le norme più intuitive di sicurezza, per noi agenti è un vero incubo".

E, a proposito di incubi, pare che al Sant’Anna diventi difficile oggi per chi ci lavora svolgere anche la semplice attività di sbarramento. Si dice sbarramento quella serie di passaggi controllati ai quali i detenuti dovrebbero attenersi per uscire durante l’ora d’aria o le attività programmate.

I passaggi da effettuare sono molti: nomi sui registri, ritiro dei cartellini, controllo su chi rientra e il numero minimo di addetti a questo servizio dovrebbe essere di tre persone. Sembra invece che al Sant’Anna sia un solo agente a doversi occupare spesso di tutti i compiti contemporaneamente, cosa, anche questa, che creerebbe spesso situazioni potenzialmente pericolose.

Aversa: internato dell’Opg si impicca, è il quinto morto in 6 mesi

 

Antigone Napoli, 13 aprile 2007

 

Un internato di 50 anni, Salvatore F., si è suicidato questa notte nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. Ne da notizia Dario Stefano Dell’Aquila, presidente dell’Associazione Antigone Napoli. Salvatore F. era detenuto per oltraggio a pubblico ufficiale e da poco gli era stata prorogata la misura di sicurezza. L’uomo si è impiccato ed è arrivato al pronto soccorso quando ormai non si poteva far altro che costatarne il decesso.

“Questa morte, la quinta dell’ultimo semestre - ha detto Dario Stefano Dell’Aquila -, tre suicidi e due morti per malattia, genera un profondo senso di amarezza e impotenza. Appena una settimana fa abbiamo dato notizia di un internato affetto da Hiv deceduto che già ci troviamo a rinnovare questa triste contabilità. Sappiamo che questo nostra amarezza è condivisa da molti operatori sociali, da esponenti del mondo delle associazioni e del volontariato e da quella parte di operatori penitenziari che trova ogni giorno più difficile lavorare negli Opg visto lo stato di generale disattenzione in cui stanno scivolando queste strutture.

Basti pensare che la quota retta che si spende per un internato è di un euro e sessantanove centesimi (1,69 sic!) al giorno. Riteniamo - ha proseguito Dell’Aquila - che vadano chiarite le ragioni di questa morte, ma riteniamo indispensabile e non più rinviabile una iniziativa politico-istituzionale per la chiusura e il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Il meccanismo della proroga della misura di sicurezza, l’incompiuta riforma della sanità penitenziaria e l’esiguità delle risorse disponibili rendono critico l’intero sistema Opg. Un sistema che a nostro avviso va profondamente modificato e superato per giungere ad una rapida chiusura di queste strutture. È questa una esigenza comune che deve però trovare concretezza in sede parlamentare.

Valuteremo in questi giorni le iniziative da intraprendere. Noi dal canto nostro - ha aggiunto Susanna Marietti, coordinatrice dell’Osservatorio Nazionale sulla detenzione di Antigone, il 4 maggio cominceremo la nostra attività effettuando visite in tutti e sei gli Ospedali psichiatrici giudiziari di Italia per monitorare le condizioni di detenzione dei circa 1.200 internati, perché la tematica degli Opg costituisce uno dei temi centrali del nostro lavoro di questo anno”. 

Salute: 4mila detenuti cardiopatici; un progetto di prevenzione

 

Ansa, 13 aprile 2007

 

Sono circa quattro mila (vale a dire il 9% del totale) i detenuti che soffrono di patologie cardiovascolari. Per prevenire gli infarti e le malattie del cuore, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha stipulato un accordo con l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco): domani sarà la giornata della prevenzione in sei carceri italiane (Roma Regina Coeli, Torino, Trieste, Cagliari, Catanzaro e Catania), dove si terranno corsi, incontri con il personale penitenziario ed elettrocardiogrammi per i detenuti.

"Questa iniziativa non nasce dal nulla - spiega Sebastiano Ardita, responsabile della direzione generale detenuti del Dap. Già dal 2005 le 215 carceri italiane sono dotate di defibrillatori semiautomatici. Sono stati, inoltre, avviati in questi due anni corsi di formazione per 1.400 persone tra poliziotti penitenziari, personale sanitario e civile.

Proprio grazie di defibrillatori è stato possibile salvare 27 persone nell’ultimo anno con interventi d’urgenza". L’accordo stipulato tra il Dap e l’Anmco, presieduta dal prof. Francesco Chiarella, coinvolgerà successivamente altri istituti penitenziari: una seconda giornata della prevenzione per le malattie del cuore si terrà infatti il prossimo 18 maggio nelle carceri di Ascoli, Bologna, Firenze, Genova, Napoli e Roma Rebibbia.

"Si tratta di passi avanti per la sanità penitenziaria, anche se - aggiunge Ardita - indubbiamente ne vanno fatti altri. È importante, però, che le tematiche del pronto intervento, anche dal punto di vista diagnostico, si diffondano in luoghi come le carceri, sono comunità pubbliche. E, secondo una direttiva dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tutte le comunità pubbliche dovrebbero essere dotate di defibrillatore. Le carceri italiane, sotto questo punto di vista, sono in regola".

Lazio: Laurelli (Ds); possiamo curare detenuti regioni limitrofe

 

Asca, 13 aprile 2007

 

Estendere ai detenuti delle regioni limitrofe al Lazio la possibilità di ricovero presso le strutture ospedaliere attrezzate del "Pertini" di Roma e del "Belcolle" di Viterbo. Questa la proposta lanciata dalla Presidente della commissione "Sicurezza e lotta alla criminalità" della Regione Lazio, Luisa Laurelli (Ds), a margine della visita presso il reparto di medicina penitenziaria protetta dell’ospedale Sandro Pertini di Roma.

Il reparto, dotato di 22 posti letto e attrezzato per curare malati che presentano patologie anche gravi, è attualmente utilizzato per metà della sua potenzialità effettiva. Nel Lazio esiste una struttura analoga presso l’ospedale "Belcolle" di Viterbo che può ospitare fino a 10 posti letto, che sommati a quelli del Pertini offrono la possibilità di ricoverare fino a 32 malati.

"Quando trattiamo di sanità - ha detto Laurelli - è nostro dovere ottimizzare i costi rispetto al servizio che viene offerto. Attrezzare un reparto sanitario adatto a ricoverare e curare persone detenute rappresenta un impegno organizzativo notevole con conseguente impiego di ingenti risorse finanziarie.

Per la cura dei soli detenuti di Rebibbia - ha spiegato Laurelli - l’Asl Rmb spende 4 milioni di euro l’anno. Soldi che gravano sul bilancio dell’Azienda sanitaria e che non vengono ripianati da nessuno. Per questo, proporrò in Consiglio regionale che la Regione faccia pressione sul Ministero della Giustizia affinché vengano erogati i fondi necessari a coprire le spese per le cure dei detenuti, in via diretta, o attraverso la Regione.

Ad ogni modo - ha sottolineato Laurelli - dal momento che le strutture avviate funzionano e sono sott’utilizzate, potremmo estendere, in sintonia con lo stesso Ministero, la possibilità di cura presso le nostre strutture attrezzate, ai detenuti nelle carceri delle regioni limitrofe al Lazio".

Arezzo: un convegno sulle misure alternative al carcere

 

Adnkronos, 13 aprile 2007

 

Mentre si discute della soppressione della pena di morte e dopo le recenti polemiche sull’indulto, a Cortona, magistrati ed esperti si riuniranno domani e sabato 14 aprile presso il centro convegno Sant’Agostino per discutere delle alternative al sistema penale fondato sul carcere. L’incontro patrocinato dal ministero della Giustizia, dalla Regione Toscana e dagli Enti locali è stato organizzato dal centro studi "Lapis".

Tra i relatori ci sarà l’olandese Louk Hulsman, autore di "Pene perdute" e l’americano Gary Hill che presenterà una relazione sulle alternative alla detenzione in rapporto alla capacità di proteggere la società dal crimine. Il magistrato Giuseppe Di Gennaro parlerà invece della riforma penitenziaria nel contesto dei diritti umani.

Al termine dei lavori seguirà una tavola rotonda dove il giudice antimafia Gaetano Paci, tra gli altri, parlerà del tema carcerario in rapporto al contrasto alla criminalità organizzata. Esiste un’alternativa al sistema penale fondato sul carcere? È la domanda alla quale sono chiamati a rispondere gli specialisti che il 13 e 14 aprile si riuniranno a Cortona (Centro Convegni S. Agostino).

Organizzato dal Centro Studi Lapis (Libera associazione per il progresso dell’istruzione) e patrocinato dal ministero della Giustizia, dalla Regione Toscana e dagli Enti locali, il convegno ha appunto per tema "Sistema carcerario e possibili alternative". Vi partecipano giuristi, operatori sociali, funzionari dell’amministrazione penitenziaria. L’argomento è legato all’attualità dopo le recenti polemiche sull’indulto e l’iniziativa del governo italiano per la soppressione della pena di morte nel mondo.

Fra i relatori l’olandese Louk Hulsman, autore di "Pene perdute" e teorico dell’abolizionismo, l’americano Gary Hill, che parlerà delle alternative alla detenzione in rapporto alla loro capacità di proteggere la società dal crimine, e il magistrato Giuseppe Di Gennaro, che illustrerà la riforma penitenziaria nel contesto dei diritti umani.

Numerosi gli spunti tematici, che al termine dei lavori saranno ripresi e confrontati in una tavola rotonda. Per esempio il giudice antimafia Gaetano Paci affronterà il tema carcerario in rapporto al contrasto alla criminalità organizzata, mentre Giuseppe Mosconi dell’università di Padova parlerà di reinserimento e recidiva e Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti, della riconciliazione come passo successivo all’indulto.

Genova: la scrittrice Annamaria Fassio a tu per tu con i detenuti

 

Apcom, 13 aprile 2007

 

La scrittrice Annamaria Fassio ha incontrato i carcerati. Ha parlato del suo libro e ha risposto alle loro domande. C’eravamo anche noi.

Se saggezza e felicità sono identificabili in A, allora A = x + y + z, dove x = professione soddisfacente, y = sapersi divertire, z = sapere quando tenere la bocca chiusa.

Questa semplice equazione campeggia sulla lavagna di una classe molto speciale. Gli allievi sono infatti i detenuti del carcere di Marassi, che fuori dalle loro celle studiano, leggono, imparano. Io, invece, in un carcere non c’ero mai stata. Strano a dirsi, ma entrare nella casa temporanea di persone che pagano per uno sbaglio commesso, provoca emozioni inaspettate. Entro in classe e loro, i carcerati, sono già lì, seduti e trepidanti.

Oggi per loro è un giorno speciale: incontreranno la scrittrice Annamaria Fassio, che parlerà del suo libro Una città in gabbia - già uscito per Mondadori e oggi ristampato da Fratelli Frilli Editori - e racconterà qualcosa di sé. L’incontro fa parte di Giallo alle case rosse, l’iniziativa promossa dai Frilli che offre ai detenuti l’occasione di conoscere i più noti giallisti liguri e leggere i loro libri.

Attenti, silenziosi, gentili. La più emozionata sembra proprio Annamaria Fassio, "e si vede", commenta uno dei detenuti. All’inizio pochi hanno il coraggio di prendere la parola, poi però la scrittrice mette tutti a loro agio raccontando di quando era maestra in una scuola: "quest’aula è molto più bella di quelle dove ho insegnato".

È vero, anche le cartine appese al muro bianco sono aggiornatissime. I detenuti non hanno peli sulla lingua e le loro domande sono tanto taglienti quanto sincere: alcuni di loro hanno già letto il libro, che è stato donato alla biblioteca del carcere: "non l’ho trovato molto scorrevole", commenta il più estroverso, "e poi perché nel libro ha citato Albert Camus senza ricordare di quando lo scrittore si è fermato a Genova ed è rimasto affascinato dalla bellezza delle genovesi?". "Non lo sapevo", risponde Fassio sempre più affascinata.

"Lei è nata a Genova, perché in Una città in gabbia ha scelto di occuparsi di camorra?", chiede un altro carcerato. "Quando scrivo ho in mente una storia, ma non so mai dall’inizio quali saranno i suoi risvolti. Quando ho deciso di occuparmi di questo tema mi sono informata molto, perché i lettori sono smaliziati su questi argomenti". Una città in gabbia vede ancora protagonisti i due personaggi più amati dall’autrice, i poliziotti genovesi Erica e Maffina, pronti ad affrontare un’indagine complessa nella Genova del G8.

Poi un altro detenuto solleva una richiesta: "faccio fatica a leggere perché ho tanti pensieri per la testa, ma anche perché qui non ci sono gli spazi giusti per farlo. Mi piacerebbe che avessimo a disposizione una sala di lettura". Una delle insegnanti interviene: "c’è già una piccola biblioteca e tre aule scolastiche, ma sarebbe bello trovare uno spazio più idoneo e magari creare dei gruppi di lettura". L’incontro termina con un applauso dedicato ad Annamaria Fassio. Quando la avvicino lei è ancora confusa: "è stata un’esperienza forte e molto positiva", commenta, "non mi aspettavo tanto interesse".

Durante il dibattito mi sono seduta accanto ai detenuti. Ho scherzato con alcuni di loro e tutti erano incuriositi dal mio ruolo di giornalista; ma più che la penna e il taccuino è stata la mia macchina fotografica ad attrarre la loro attenzione. "Vorremmo fare una foto tutti insieme, solo per noi. Qui non capita mai di essere fotografati. A parte le foto segnaletiche, intendo". Sorrido con loro e lo scatto che faccio al gruppetto, in posa davanti a me, assomiglia a quelle che si fanno al liceo l’ultimo giorno di scuola. "Mi raccomando, fammela avere. Ci tengo", ribadisce uno dei detenuti prima di salutarmi.

Droghe: Roma; An chiede test a consiglieri e assessori comunali

 

Notiziario Aduc, 13 aprile 2007

 

Test antidroga per assessori e consiglieri del XX Municipio capitolino. A proporlo è il capogruppo di An Ludovico Todini, che ha presentato una risoluzione al Consiglio municipale. "Dopo l’iniziativa de Le Iene - prosegue Todini - giudicata scomposta in quanto intrapresa ad insaputa dei deputati, giace in Parlamento una proposta di legge firmata da circa 100 deputati di tutti gli schieramenti. Visto che l’iter parlamentare non ha tempi brevi, abbiamo pensato di volerci attivare in questa direzione perché per il Municipio può essere tutto più semplice". "La ratio della proposta è da ravvisare nel fatto che chi ricopre incarichi pubblici dovrebbe sentire l’obbligo morale, civile ed etico di palesarsi ai cittadini circa l’uso o meno di sostanze stupefacenti, attesa la forte responsabilità ed il pregnante senso civico di ogni carica pubblica. L’eventuale uso di droga è stridente con l’esercizio di ruoli in assemblee pubbliche". "È chiaro che il test non potrà rappresentare una coercizione per gli eletti del Municipio, ma sarà su base volontaria senza discriminazione alcuna per chi avrà intendimenti diversi. La prossima settimana si voterà il documento".

Droghe: sulle bottiglie di vino si leggerà "danneggia la salute"

 

La Stampa, 13 aprile 2007

 

"Danneggia la salute", "provoca 25 mila morti l’anno". Dietro l’elegante etichetta di un pregiato Barolo d’annata potrete trovare anche questo avvertimento dal tono minaccioso. La proposta è del ministro per la Solidarietà Sociale Paolo Ferrerò che, a dispetto del suo curriculum di "rifondarolo" doc, dopo l’annuncio si è visto anche etichettare come proibizionista.

Il ministro sta preparando un disegno di legge per porre limiti precisi alla pubblicità sugli alcolici. Il provvedimento verrà presentato nelle prossime settimane in Consiglio dei ministri. Se approvato, riguarderà vino, birra, whisky, e qualsiasi altra bevanda con contenuto alcolico superiore a 1,2 gradi percentuali. E prevedere regole ben precise per la pubblicità in televisione, sui giornali destinati ai giovani, nei locali per teenager e anche sulle etichette, come avviene per i pacchetti di sigarette.

La pubblicità - ha spiegato il ministro - deve diventare "meramente informativa, spiegando al consumatore le caratteristiche del prodotto e nulla più". La nuova battaglia di Ferrero è contro "le pubblicità che rappresentano il consumo di alcol come un mezzo per ottenere successo. Occorre rompere questo legame presente nell’immaginario giovanile ed estremamente dannoso per la salute dei ragazzi".

La strada da seguire - prosegue il ministro è "la prevenzione", non è il proibizionismo "che non è servito per altri prodotto o sostanze illegali". Ferrerò non si nasconde le difficoltà di una simile proposta lanciata nel Paese del vino. Il ddl "farà sicuramente discutere, ma speriamo che alla discussione faccia seguito un ampio dibattito in tutto il Paese".

Infine, Ferrerò lancia una stoccata al centrodestra che "ha accomunato tutte le sostanze stupefacenti", ma "non è mai stato accertato che qualcuno sia morto per cannabis, mentre l’alcol provoca 25 mila morti l’anno".

Il ministro incassa il via libera dall’Istituto Superiore di Sanità. "L’autoregolamentazione non funziona, ha fallito il suo obiettivo. Ben venga, dunque, il ddl del ministro Ferrero", commenta Emanuele Scafato, direttore del centro Oms per la ricerca sull’alcol e dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto superiore di sanità.

Ma piovono soprattutto critiche. Si ribellano produttori ed enti locali. "Va bene proibire la pubblicità per limitare gli eccessi di consumo di alcolici tra i giovani, ma il vino va tenuto fuori da questa campagna proibizionista, che rischia di trasformarsi in un’azione che danneggia le imprese e il territorio", afferma l’associazione delle Città del Vino.

La Coldiretti invita a non generalizzare: "Occorre distinguere l’abuso di alcol dal consumo ragionato di vino che in quantità moderate va sostenuto". Le perplessità non mancano anche nel centrosinistra. Per Silvana Mura, dell’Italia dei Valori "per i minorenni si deve fare molto di più", ovvero il divieto di vendita e somministrazione di alcolici. E, secondo Donatella Poretti della Rosa nel Pugno, l’idea di Ferrero non è che un "nuovo e assurdo divieto che nulla farà per una concreta soluzione del problema".

Il centrodestra non ci sta. Per Isabella Bertolini di Fi si tratta di "semplici palliativi". Riccardo Pedrizzi di An: "Ferrero non ha capito che a dover essere contrastato, non è l’uso di alcool ma l’abuso. E invece, per quanto riguarda la droga, a fare male è il semplice uso".

Bocciatura piena anche dall’Associazione Consumatori Aduc. "Inutile e dannosa" è il giudizio sulla proposta. Persino gli Alcolisti Anonimi reagiscono con "realistico pessimismo". Maurizio M., presidente dell’Associazione, sarebbe anche d’accordo con la proposta, ma ricorda che "provvedimenti così non sono mai passati" e "non passeranno mai".

Immigrazione: è pronta la nuova legge, ma la Cdl è contraria

 

La Stampa, 13 aprile 2007

 

Il disegno di legge delega sull’immigrazione, che modifica radicalmente la legge Bossi-Fini dovrebbe arrivare presto in Consiglio dei Ministri. Lo ha annunciato il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero a margine del convegno "l’integrazione possibile: "La situazione creata agli immigrati dalla Bossi-Fini è talmente oltre limite della civiltà che è un miracolo la situazione non sia ancora esplosa", ha detto. E la reazione dai banchi dell’opposizione è stata immediata. Jole Santelli di Forza Italia ha bollato il disegno di legge come "una vera e propria follia, un semaforo verde a chiunque voglia entrare in Italia a qualunque condizione. È l’inizio dell’anarchia".

Dubbi sempre dell’opposizione, ma con toni più pacati, sono stati espressi dall’ex ministro degli esteri e ora vice presidente della commissione Europea Franco Frattini che ha partecipato al convegno. "Ho molte perplessità sul cosiddetto auto-sponsor. L’aspirante immigrato che si sponsorizza da solo non da alcuna garanzia di non essere preda di trafficanti di manodopera illegale. Meglio puntare sul ruolo delle associazioni imprenditoriali che sanno di quanto lavoratori c’è bisogno a Varese oppure a Gorizia".

E di lavoratori dall’estero, dice Frattini, il nostro paese avrà necessità concreta visto che è stato calcolato che "l’Europa nei prossimi 50 anni avrà bisogno di almeno 50 milioni di immigrati per il calo delle nascite", mentre il presidente Napolitano a Riga ha sottolineato la necessità di regole comuni europee per fermare le ondate di clandestini.

La situazione nel 2006, dicono i più recenti dati Istat presentati al convegno, era di2 milioni 767 stranieri regolarmente presenti in Italia. Due milioni in più rispetto a dieci anni fa. Le comunità più numerose l’anno scorso erano i rumeni, 271mila - ora in Europa -, albanesi, 256mila, marocchini 239mila. I permessi registrano una crescita di ben il 16,4 % nel nord est, del 5,6% nel nord ovest mentre al centro e al sud calano rispettivamente del 4,6 e del 14,6. Al nord il maggior incremento dovuto a permessi per motivi di famiglia: più 33%.

Il ddl, che prevede un ridimensionato nel ricordo ai Cpt, impegna il governo a "promuovere l’immigrazione regolare, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro di cittadini stranieri". A tal fine, verrà rivisto "il meccanismo di determinazione dei flussi d’ingresso, prevedendo in particolare una programmazione triennale delle quote massime di cittadini stranieri da ammettere ogni anno sul territorio nazionale".

Ogni anno sarà possibile, inoltre, adeguare le quote "ad ulteriori e nuove esigenze del mercato del lavoro". Ingressi "fuori quota" potranno essere autorizzati per alcune categorie di lavoratori. Mentre per colf e badanti la quota stabilita potrà essere superata in una misura prefissata, in presenza di un numero di richieste di nulla osta superiore.

Immigrazione: Padoa-Schioppa; la legge c’è... ma non i soldi

 

La Stampa, 13 aprile 2007

 

Nonostante le speranze del ministro Paolo Ferrero, la nuova legge sull’immigrazione non sarà presentata al Consiglio dei ministri di oggi. I tempi slittano. Ufficialmente, per la complessità di mettere in calce al testo le firme dei tanti ministri interessati (il "concerto") a una legge che tocca trasversalmente molti dicasteri.

E poi, si aggiunge sottovoce, siccome il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa non può essere presente a Palazzo Chigi, è più corretto rinviare la discussione a un prossimo appuntamento. C’è però un aspetto che forse è sgradevole da discutere in pubblico, ma cruciale: la legge portata avanti dai ministri Ferrero e Giuliano Amato costa cara. Molto cara. E al ministero dell’Economia hanno alzato le antenne.

"Si può fare, purché le spese ricadano sul bilancio del 2008", è l’ordine che viene da chi tiene i cordoni della spesa. L’accordo politico ormai c’è. I cardini della legge non sono più in discussione. Anche la necessità di investire soldi pubblici sull’immigrazione è un’idea condivisa. Di più: è considerato un dovere. Come Ferrero ha spiegato in più occasioni: "Dal 1995 a oggi, sono arrivati in Italia circa 2 milioni di lavoratori di età compresa fra i 20 e 40 anni. Rappresentano un’importante forza lavoro che il sistema Italia si trova a poter sfruttare, senza avere investito nulla nella loro crescita e formazione".

Restano in sospeso però alcuni dettagli non da poco: quanto costa prevedere, come ha annunciato Ferrero in estrema sintesi, un piano di edilizia popolare per gli immigrati? Oppure l’adeguamento del sistema scolastico? O la rete di uffici di collocamento e laboratori di formazione da sistemare presso i consolati all’estero?

Le voci di spesa sono tante e nemmeno gli addetti ai lavori sono in grado di quantificare i numeri. Di qui, necessariamente, un ulteriore slittamento. Spiega chi è stato messo al corrente solo di alcuni problemi: "Un capitolo di nuove spese riguarda, ad esempio, l’assistenza sociale. Secondo le regole attuali, l’immigrato ha diritto a un’assistenza economica dopo cinque anni di regolare permanenza sul territorio italiano".

Da notare l’accento sul "regolare". Ovviamente i clandestini non esistono per la spesa assistenziale dello Stato. Ma la Ferrero-Amato, tesa nello sforzo di facilitare l’integrazione degli immigrati, abbassa da cinque a tre gli anni per maturare il diritto all’assistenza sociale. Dunque, più aventi diritto: nuove spese crescono. E poi ci sarà finalmente una certa attenzione verso i minorenni stranieri che arrivano in Italia senza accompagnamento. Un fenomeno che sta esplodendo negli ultimi tempi. L’idea è di creare un "Fondo nazionale di accoglienza e tutela a favore di minori stranieri non accompagnati" presso il ministero della Solidarietà sociale. Ma l’entità non è ancora stata definita.

Il ministro Ferrero stesso, nel presentare la nuova legge, l’altro giorno aveva ammesso che la spesa prevista sarà "consistente" e che l’iter non sarà facile. Un pezzo consistente dell’opposizione ha già messo nel mirino i cardini della riforma: le nuove regole per i Cpt che non scompaiono ma cambiano radicalmente, la semplificazione dei permessi di soggiorno e la promozione degli ingressi regolari attraverso il lavoro (con soluzioni innovative come l’auto-sponsor). Secondo la forzista Jole Santelli, molto brutalmente, la legge "è una vera e propria follia: se il ministro Ferrero dice che questo ddl è solo l’inizio, vorremmo capire di che cosa. Per quanto è dato capire, è l’inizio della anarchia completa in tema di immigrazione".

Immigrazione: Cpt Bologna; no a ingresso di consigliere Prc

 

Apcom, 13 aprile 2007

 

Presidio e richiesta, la seconda, di entrare a visitare il Cpt di Bologna inutile per il consigliere regionale di Rifondazione Comunista Leonardo Masella, che già tre settimana fa aveva domandato al Ministero dell’Interno e alla Prefettura di poter visitare il Centro di permanenza temporanea di via Mattei, e che questa mattina ha tentato nuovamente di ottenere il permesso, tornando a chiederlo proprio davanti alle sbarre del Centro di permanenza. Per la richiesta scritta e formale dal Ministero era arrivata una risposta negativa, risposta che è stata confermata di nuovo in tarda mattinata dalla prefettura della città felsinea al consigliere, che attendeva insieme ad un presidio, una ventina di militanti, dei Giovani comunisti e del Circolo migranti di Bologna, davanti al centro di via Mattei.

"In passato sono entrato più volte nel Cpt, sia in questo che in quello di Modena - ha spiegato Masella - prima che una circolare Pisanu negasse questo diritto ai consiglieri regionali, che - ha ricordato il consigliere di Rifondazione - invece, possono entrare, a qualsiasi ora e anche senza preavviso nei carceri on negli ospedali".

"Spero che il Governo, di cui Rifondazione fa parte, rimuova al più presto questo blocco. È sconcertante che permangano strutture come queste in cui vengono detenute anche persone che non hanno commesso alcun reato. E che si impedisca si un rappresentante delle istituzioni di entrarvi".

"Inoltre - ha tenuto a sottolineare Masella - una legge regionale, la 5 del 2004, delega alla Regione il compito di svolgere osservazione e monitoraggio dei Cpt. Come si può svolgere questo ruolo se non è possibile entrare? Mi appello al Presidente della Regione Vasco Errani e a quello dell’Assemblea legislativa Monica Donini per un pronunciamento pubblico e immediato che miri difendere le prerogative proprie dei consiglieri regionali".

A comporre il piccolo presidio oltre i militanti anche il Presidente del Gruppo di Rifondazione in Provincia, Sergio Spina, e il segretario provinciale del Prc Tiziano Loreti, che il Cpt cercò, insieme ad un gruppo di disobbedienti, di smontarlo nel gennaio del 2002. "Quella dei Cpt - sono state le parole di Spina -è un’esperienza fallita, così come è fallita la Bossi-Fini una legge che non ha saputo venire incontro agli immigrati né tanto meno a quel bisogno di sicurezza rivendicato dai cittadini".

Dello stesso avviso Loreti: "in una città come questa, dove spesso si è affrontata la questione della legalità non si può pensare che continui ad esserci un centro come questo, in cui le condizioni di vita sono del tutto inumane".

Usa: su Guantanamo una nuova condanna di Amnesty

 

Vita, 13 aprile 2007

 

Amnesty International ha diffuso il 5 aprile un nuovo rapporto in cui denuncia che la grande maggioranza di coloro che si trovano ancora a Guantanamo è detenuta in condizioni d’isolamento crudeli, che violano gli standard internazionali. La maggior parte dei prigionieri è stata sottoposta a un trattamento duro per tutta la durata della detenzione, trascorsa in gabbie metalliche o celle di massima sicurezza. Per di più, una nuova struttura aperta lo scorso dicembre, conosciuta come Campo 6, ha determinato condizioni ancora più rigide e durature d’isolamento estremo e deprivazione sensoriale.

I prigionieri sono reclusi per 22 ore al giorno in celle d’acciaio isolate e recintate, tagliati quasi completamente fuori da ogni contatto umano. Le celle non hanno aperture sull’esterno o accesso a luce e aria naturale. I detenuti non possono svolgere alcuna attività, sono sottoposti a illuminazione costante, 24 ore su 24, e sorvegliati regolarmente dal personale del centro, attraverso spioncini collocati sulla porta della cella. Possono svolgere esercizio fisico uno per volta, in un cortile circondato da alte mura perimetrali che lasciano filtrare poca luce naturale. Poiché spesso vengono portati fuori dalle celle di notte, essi rischiano di non vedere la luce del sole per giorni e giorni.

Le autorità statunitensi hanno descritto il Campo 6 come una "struttura moderna e all’avanguardia", più sicura per il personale e più confortevole per i detenuti. Tuttavia, Amnesty International ritiene che le condizioni, come rilevato da immagini fotografiche e dalle testimonianze dei prigionieri e dei loro avvocati, violino gli standard internazionali sul trattamento umano. Per certi aspetti, queste condizioni appaiono maggiormente severe anche dei più restrittivi livelli di custodia in "super massima sicurezza" applicati in territorio statunitense, criticati da organi internazionali come incompatibili con gli standard e i trattati internazionali sui diritti umani.

Secondo quanto risulta ad Amnesty International, intorno all’80% dei circa 385 uomini che si trovano a Guantanamo sono detenuti in isolamento: si tratta di un passo indietro rispetto a decisioni precedenti, tese a migliorare le condizioni di detenzione e a favorire maggiore socializzazione tra i prigionieri. Il Pentagono ha comunicato che, intorno alla metà di gennaio, 165 detenuti sono stati trasferiti nel Campo 6.

Altri 100 sono in isolamento nel Campo 5, un’altra struttura di massima sicurezza di Guantanamo. Un’ulteriore ventina di prigionieri si troverebbe in isolamento nel Campo Echo, una struttura separata dalle altre, dove le condizioni di detenzione sono state definite dal Comitato internazionale della Croce rossa estremamente dure.

Shaker Aamer, residente nel Regno Unito ed ex mediatore tra i detenuti e il personale del centro, è in isolamento totale a Camp Echo dal settembre2005. Nella stessa struttura si trova anche, da 10 mesi, Saber Lahmer, un algerino catturato in Bosnia. Entrambi gli uomini sono reclusi in celle piccole, prive di finestra, con poche possibilità di fare esercizio fisico e nessun oggetto personale, fatta eccezione per una copia del Corano. A marzo Lahmer avrebbe rifiutato di lasciare la propria cella per un colloquio, già concordato da tempo, col proprio avvocato e ciò ha sollevato forti preoccupazioni per la sua salute mentale.

Le misure di sicurezza pare siano significativamente aumentate a seguito di un prolungato sciopero della fame e della morte di tre prigionieri,suicidatisi nel giugno scorso. Molte delle persone trasferite al Campo 6 provengono dal Campo 4, dove erano detenute in gruppi all’interno di baracche e avevano la possibilità di svolgere una serie di attività ricreative. La popolazione carceraria del Campo 4 è scesa da 180 prigionieri nel maggio 2006, agli attuali 35. Tra i detenuti dei Campi 5 e 6 figurano persone di cui è stato già stabilito il rilascio o il trasferimento, tra cui alcuni uiguri, cinesi di religione musulmana, i quali tuttavia non possono tornare in Cina a causa del rischio di persecuzione.

Amnesty International teme che le condizioni detentive, oltre a essere inumane, possano avere un effetto fortemente negativo sulla salute psicologica e fisica di molti prigionieri, acuendo lo stress provocato dalla detenzione a tempo indeterminato, senza accusa né contatti coi propri familiari. Avvocati che hanno recentemente visitato i prigionieri del Campo 6, hanno espresso preoccupazione per l’impatto delle condizioni detentive sulla salute mentale di diversi dei loro clienti. L’organizzazione per i diritti umani chiede che Guantanamo sia chiusa e che i detenuti siano incriminati e processati secondo gli standard internazionali sui processi equi oppure rilasciati. Nel frattempo, gli Usa dovranno prendere immediate misure per alleviare le condizioni detentive e assicurare che tutti i prigionieri siano trattati secondo gli standard e i trattati internazionali.

Le misure sollecitate da Amnesty International comprendono la fine dell’isolamento prolungato e in condizioni di limitata stimolazione sensoriale, un aumento delle attività e delle opportunità di associazione tra i detenuti, contatti regolari con le proprie famiglie e possibilità di fare telefonate e ricevere visite.

Amnesty International, infine, chiede al governo statunitense di consentire l’ingresso a Guantanamo di organizzazioni indipendenti e di esperti Onu sui diritti umani, nonché di un team indipendente di medici che possa visitare i detenuti in privato e accertarne le condizioni di salute.

 

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 3490788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva