Rassegna stampa 11 aprile

 

Giustizia: in calo i suicidi nelle carceri, è "l’effetto indulto"

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2007

 

Nei primi 100 giorni del 2007 sono morti 10 detenuti, di cui "solo" 2 suicidi: un calo del 60%. Il report di "Ristretti Orizzonti".

Nei primi cento giorni del 2006 nelle carceri italiane sono morti 24 detenuti, di cui 16 per suicidio. Mentre nei primi cento giorni del 2007, sono stati 10 i decessi, di cui 2 suicidi. A fornire questi dati è "Ristretti Orizzonti", attraverso il dossier "Morire di carcere".

"Tra i dati del 2006 e quelli del 2007 - scrive la redazione - c’è di mezzo l’indulto, che ha fatto uscire dalle carceri più di un terzo dei reclusi. Però il dato sulle morti ha fatto registrare un calo ben più vistoso (emblematici i "soli" 2 suicidi avvenuti nei primi mesi del 2007, a fronte dei 16 avvenuti nello stesso periodo del 2006).

Almeno tre i motivi - tutti in qualche modo legati all’indulto - che, secondo noi, hanno consentito questa diminuzione nelle morti all’interno dei penitenziari.

I detenuti liberati con l’indulto erano per la maggior parte condannati a pene brevi, quei "poveri cristi" che riempiono le carceri (i tossicodipendenti, gli immigrati, i malati mentali, insomma gli emarginati di vario tipo) e che più frequentemente muoiono per malattia, o decidono di suicidarsi.

L’indulto ha ridato un po’ di speranza anche a tutti i detenuti che sono rimasti dentro: a chi ha una pena lunga, abbreviandola; a chi è entrato in carcere dopo il provvedimento e non ne ha potuto fruire, perché ha dimostrato che lo Stato è capace non solo di punire ma anche di perdonare, di "incoraggiare" il recupero.

Grazie al fatto che i detenuti sono di meno, in molti più casi gli agenti di polizia penitenziaria riescono a intervenire e a salvare in extremis i detenuti che accusano dei malori, o che cercano di uccidersi".

Roma: una detenuta di 33 anni muore suicida a Rebibbia

 

Comunicato stampa, 11 aprile 2007

 

Il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi si è recato oggi al carcere femminile di Rebibbia a Roma dopo aver avuto notizia di un suicidio avvenuto nella giornata di ieri. Si è appreso che a suicidarsi è stata una giovane tossicodipendente di meno di 33 anni, detenuta per fatti di minima gravità, e in carcere da circa tre mesi.

"Si tratta del secondo suicidio dall’inizio dell’anno negli istituti di pena italiani. Un numero - dichiara Luigi Manconi - sensibilmente più basso rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, che conferma una tendenza alla riduzione dei suicidi dell’ultimo periodo e, in particolare, dopo l’approvazione dell’indulto e la conseguente riduzione dell’affollamento penitenziario.

Il caso della donna suicidatasi a Rebibbia ci pone di fronte comunque alla necessità di affrontare con decisione almeno due ordini di questioni: innanzitutto la criminalizzazione dei tossicodipendenti e, quindi, la necessità di una radicale riforma delle leggi in materia; e il tema del disagio psicologico e della difficoltà ad affrontare la detenzione, in modo particolare nella prima fase.

Per questo l’amministrazione penitenziaria ha deciso di avviare un percorso di riforma del trattamento dei nuovi giunti. La fase di ingresso in carcere è quella più delicata. Durante la quale va assicurata la massima accoglienza e una grande attenzione ai problemi individuali. In questo modo sarà possibile ridurre ulteriormente gli episodi suicidari. Insieme agli enti territoriali e ai presidi Asl vanno assicurati trattamenti da parte di equipe polifunzionali specializzate nella prevenzione di eventi critici. L’ennesima e irreparabile sconfitta che un suicidio, tanto più in stato di reclusione, rappresenta dovrà essere una ragione di più per mobilitare il massimo possibile di energie e risorse."

 

Dante Pomponi (Assessore del Comune di Roma): ricostruire diritti e dignità in carcere

 

"Apprendo con forte dispiacere la notizia del suicidio di una detenuta del carcere di Rebibbia che si è verificato questa notte. Credo sia necessario ripensare alle forme di detenzione in particolare nei casi di tossicodipendenza: come amministrazione proseguiamo il nostro lavoro per una detenzione" giusta", che non consideri il carcere solo come sistema punitivo ma ricominci a costruire anche dietro le sbarre un luogo di tutela dei diritti e della dignità umana, oltre che di opportunità per il reinserimento sociale e lavorativo.

Proprio per questo abbiamo appena pubblicato un bando di agevolazioni alle imprese che assumono detenuti ed ex-detenuti. Ma oltre allo sforzo dell’Amministrazione, credo occorra una rivisitazione di carattere legislativo che affronti non solo il disagio psicologico di chi entra in carcere, ma anche la depenalizzazione dei reati minori, a partire da quelli legati alla tossicodipendenza".

 

Comune di Roma

Assessorato alle Politiche per le Periferie, lo Sviluppo Locale, il Lavoro

Friuli: progetto prevenzione cardiovascolare per 500 detenuti

 

Il Gazzettino, 11 aprile 2007

 

I circa 500 reclusi nelle carceri del Friuli Venezia Giulia necessitano di prevenzione cardiovascolare. Per questo motivo partirà il 13 aprile presso la Casa Circondariale di Trieste, la fase pilota della prima Campagna nazionale di prevenzione ed educazione cardiovascolare negli istituti penitenziari, organizzata dall’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco).

"Avere stime precise su quanti detenuti ogni anno muoiono in carcere per cause cardiovascolari, ad esempio un arresto cardiaco - ha detto Daniela Pavan, presidente regionale Anmco e direttore dell’Unità operativa di cardiologia dell’Ospedale Civile di San Vito al Tagliamento - è molto difficile, ma tutte le Unità di terapia intensiva coronarica possono raccontare di aver assistito un detenuto colpito da infarto".

L’iniziativa Anmco prevede una stretta collaborazione fra i cardiologi dell’Associazione, l’Amministrazione penitenziaria, i sanitari e il personale che operano nelle carceri. Scopo della Campagna è fornire ai detenuti elementi e supporto per prevenire e curare le malattie cardiovascolari ed addestrare il personale di Polizia Penitenziaria alla gestione delle emergenze cardiovascolari. La giornata del 13 sarà scandita da due momenti distinti, ha spiegato Serena Rakar, coordinatore regionale dell’iniziativa per il Friuli Venezia Giulia e cardiologo della Struttura complessa di cardiologia dell’Ospedale di Cattinara di Trieste.

Al mattino, dalle 10 alle 13, i cardiologi tratteranno i temi relativi ai fattori di rischio cardiocircolatorio e illustreranno le manovre di primo soccorso, spiegando come attivare il sistema di emergenza in modo corretto. All’incontro parteciperanno i detenuti e il personale di polizia penitenziaria. Seguirà una tavola rotonda, cui prenderanno parte anche personalità del ministero della Giustizia, esperti della sanità cittadina e Associazioni di tutela. Nel pomeriggio, istruttori Anmco terranno corsi teorico-pratici di gestione dell’emergenza e uso dei defibrillatori per il personale di polizia penitenziaria che, dopo una valutazione finale, otterrà un certificato di qualificazione.

Calabria: parte un progetto di prevenzione del rischio cardiaco

 

Quotidiano di Calabria, 11 aprile 2007

 

I circa 1500 reclusi nelle carceri calabresi necessitano di prevenzione cardiovascolare. Proprio pensando a loro l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco) promuove la prima campagna nazionale di prevenzione ed educazione cardiovascolare negli istituti penitenziari del nostro Paese. In Calabria la fase pilota del progetto partirà venerdì, con una giornata di incontri e corsi tenuti dai cardiologi ospedalieri nella Casa Circondariale di Catanzaro. Ogni anno numerosi detenuti muoiono in carcere e alcuni di questi decessi sono dovuti a cause cardiovascolari, ad esempio un arresto cardiaco.

"Avere stime precise è molto difficile, ma tutte le Unità di Terapia Intensiva Coronarica possono raccontare di aver assistito un detenuto colpito da infarto", racconta Antonio Butera, Presidente Regionale Anmco e Direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia con Utic di Lamezia Terme. "In carcere convivono diverse etnie e culture, per questo risulta difficile stimare il rischio cardiovascolare dei detenuti.

Negli istituti di pena è arduo correggere lo stile di vita: l’attività fisica non è incoraggiata, la dieta può non essere adeguata, il fumo è diffusissimo. Se a questo aggiungiamo i fattori di rischio individuali, il carico di stress che i detenuti sostengono ogni giorno e il fatto che in molti casi si tratta di soggetti che provengono da un forte disagio sociale con una condotta di vita disastrata, si comprende quanto sia opportuno intervenire con un progetto educativo per la salute del cuore dei carcerati".

Scopo della campagna è fornire ai detenuti elementi e supporto per prevenire e curare le malattie cardiovascolari ed addestrare il personale di Polizia Penitenziaria alla gestione delle emergenze. "La giornata sarà scandita da due momenti distinti", spiega Eliseo Ciccone, coordinatore regionale dell’iniziativa.

Scopo della Campagna è fornire ai detenuti elementi e supporto per prevenire e curare le malattie cardiovascolari ed addestrare il personale di Polizia Penitenziaria alla gestione delle emergenze cardiovascolari. "La giornata sarà scandita da due momenti distinti", spiega Eliseo Ciccone, coordinatore regionale dell’iniziativa per la Calabria. Al mattino i cardiologi tratteranno i temi relativi ai fattori di rischio e illustreranno le manovre di primo soccorso. All’incontro parteciperanno i detenuti e il personale di polizia penitenziaria; seguirà una tavola rotonda. Nel pomeriggio ci saranno corsi teorico-pratici di gestione dell’emergenza e uso dei defibrillatori per il personale di polizia penitenziaria.

Milano: minori fuori dal carcere, due mini-alloggi per ospitarli

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2007

 

Provincia e Centro giustizia minorile firmeranno domani un protocollo d’intesa per coordinare i progetti di reinserimento sociale e lavorativo. L’Assessore Corso: "Dobbiamo fare in modo che possano costruirsi una vita autonoma".

Escono dal carcere e non hanno nessuno che li aiuti: succede ai minori che escono dal Beccaria, soprattutto se sono stranieri e in Italia non hanno alcun appoggio. Per cercare di dare una mano a questi adolescenti, Provincia di Milano e Centro giustizia minorile firmeranno domani un protocollo d’intesa che ha l’obiettivo di coordinare progetti di reinserimento sociale. Due mini alloggi per ospitarli, un aiuto a trovare un lavoro e sostegno psicologico è quello che verrà loro offerto. "In questi piccoli appartamenti imparano a condurre una vita autonoma -spiega Francesca Corso, assessore all’integrazione delle persone in carcere della Provincia di Milano -. Hanno poi bisogno di trovare un lavoro o di finire gli studi". Alcuni dei ragazzi che escono dal carcere minorile hanno vissuto esperienze traumatiche. "Si stima che a Milano e provincia siano circa 2.000 i minori ridotti quasi in schiavitù e mandati a chiedere l’elemosina o a spacciare - spiega l’Assessore provinciale -. C’è chi poi finisce in carcere e ha quindi bisogno di un sostegno di tipo psicologico per ricostruirsi un’esistenza spezzata".

La provincia di Milano da alcuni anni finanzia corsi di formazione all’interno del carcere Beccaria. "Sia le attività all’interno del carcere che quelle all’esterno sono svolte in collaborazione con le associazioni di volontariato - aggiunge Francesca Corso -. L’accordo che sigleremo domani migliorerà il coordinamento di tutte queste attività". Un articolo dell’accordo è dedicato anche ai rapporti con i paesi d’origine dei minori stranieri che finiscono in carcere.

"Il governo e il Centro di Giustizia minorile si impegnano a rafforzare la collaborazione con paesi come la Romania, affinché siano migliorati i servizi a favore dei minori - conclude l’Assessore provinciale-. È meglio che siano seguiti fin dall’inizio nel loro paese piuttosto che finire nella mani della criminalità e poi ritrovarsi rinchiusi in un carcere italiano".

Como: altro che telecamere; più sicuri aiutando gli ex detenuti

 

Corriere di Como, 11 aprile 2007

 

Le telecamere non significano sicurezza. Parola del consigliere comunale e, soprattutto, ex carabiniere Carmine Forcella, che interviene sulla questione. "Si fa un gran parlare di telecamere, se sono a norma, se devono essere tenute accese o spente deviando così l’attenzione dal vero problema sicurezza che non si fa con le telecamere perché esse possono essere un deterrente, ma non possono fare prevenzione e non possono neppure fare appieno repressione al di là della semplice contravvenzione per infrazione strada o qualche danneggiamento.

Ma non è questo che preoccupa e allarma il cittadino". "Innanzitutto la prevenzione vera la si fa stando fisicamente sulla strada, nella piazza, nei vicoli, davanti ai negozi, nei giardini, insomma facendo sentire la presenza delle forze di polizia ivi compresa la polizia locale che ha prerogative e compiti simili a quelle delle forze di Polizia tradizionali. Chi ha intenzione di delinquere o di arrecare disturbo alla quiete pubblica deve sapere che è controllato".

E Forcella vuole fare alcune puntualizzazioni: "La sicurezza è un bene primario dei cittadini che, non sentendosi sicuri, subiscono una pesante limitazione della loro qualità della vita. Al cittadino interessa non avere il tossicomane o lo spacciatore sotto casa, non trovare siringhe usate nei giardini, nella piazza o nell’androne del palazzo dove abita, non essere rapinato se esce dalla posta o dalla banca, trovare la sua auto integra dove l’ha lasciata e non trovare la sua abitazione svaligiata. Ma siccome il problema esiste ed è pure impellente, allora necessita anche una politica di reinserimento di chi ha sbagliato, cioè una politica di "oltre il carcere" di "oltre la comunità" almeno per i nostri concittadini. Uno dei fattori determinanti per tornare a delinquere è quello di non avere lavoro e non avere lavoro in quanto ex detenuto o ex tossicomane". È su questi aspetti - conclude Forcella - che l’amministrazione comunale deve farsi carico. Non delle telecamere.

Lettere: psicologi nelle carceri, storia di un concorso disatteso

 

Il Tempo, 11 aprile 2007

 

Vorrei raccontare la storia del Concorso pubblico per la copertura di 39 posti per psicologi nell’Amministrazione Penitenziaria. Inizia nel 2003 quando il Ministero della Giustizia bandisce il concorso pubblico una ventata di ottimismo, un’azione basata sull’ampliamento delle esigue risorse professionali a disposizione dei detenuti e degli organismi penitenziari. I vincitori di questo concorso, terminato un anno fa, sebbene abbiano vista ufficializzata la loro posizione nella graduatoria pubblicata sul Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia, a tutt’oggi versano nella condizione di non poter svolgere il proprio ruolo professionale, in quanto il blocco delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione viene ulteriormente rinforzato nei suoi aspetti prescrittivi dal taglio delle risorse finanziarie per il triennio 2006-2009, ad opera del Decreto Bersani.

Beffardo destino, a proposito dei diritti non riconosciuti di chi ha affrontato difficoltose prove di selezione, rese ancora più amare dalla decisione del novembre scorso di destinare le poche risorse economiche disponibili alla riqualificazione interna delle figure professionali dell’Amministrazione Penitenziaria! C’è da evidenziare che la presenza dello psicologo servirebbe a dare un senso ad un provvedimento tanto discusso e impopolare qual è stato l’indulto. In un paese che si considera uno Stato di diritto, questa vicenda è inaccettabile, ancor di più se si considera che gli psicologi dipendenti dall’Amministrazione Penitenziaria sono 14 in tutta Italia. Sulla vicenda sono state poste tre interpellanze parlamentari.

 

Sabrina Camplone, da Pescara

Genova: ministro Mastella inaugurerà il panificio dei detenuti

 

Secolo XIX, 11 aprile 2007

 

Sarà il ministro della giustizia Clemente Mastella ad inaugurare, il prossimo 28 aprile, la nuova caserma per gli agenti di Marassi e il panificio che dalla prossima settimana sfornerà pane, focaccia e dolci per il carcere, ma anche per alcuni supermercati genovesi. Il forno, per il quale i lavori sono già stati completati, darà lavoro ad un panettiere "esterno" e ai cinque detenuti.

Nonostante le iniziative di distensione, nel carcere di Marassi la tensione non accenna a diminuire. E per il giorno della visita di Mastella, il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe) organizza una protesta. "Saremo davanti al carcere a gridare la nostra rabbia verso l’amministrazione penitenziaria sorda e indifferente alle gravi problematiche del personale di polizia, che si dimentica sistematicamente degli agenti e che vorrà presentare al ministro una situazione idilliaca, ben diversa dalla dura realtà" denuncia Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe.

Ironia della sorte mentre si prepara l’inaugurazione del panificio interno, gli agenti del Sappe protestano anche per il pranzo. L’ultimo incidente a Pasqua. "Abbiamo buttato via il pasto della mensa perché era immangiabile. - prosegue Martinelli - I ravioli erano freddi, la salsa di noci rancida, l’agnello al forno tutto ossa. E, anche se era previsto, non c’era lo spumante. Ci chiediamo di che controlli dispone il Provveditorato Regionale della Liguria, che ha esperito la gara di appalto tra le ditte partecipanti?".

Genova: 15 risse in soli due mesi, sfollamento per i detenuti

 

Secolo XIX, 11 aprile 2007

 

Gli sfollamenti sono stati due, in meno di due mesi, soluzione estrema prima che la sezione dei detenuti in attesa di giudizio si trasformasse in polveriera. "Da febbraio - spiega il direttore del carcere genovese Salvatore Mazzeo - la situazione è a livelli di guardia. Perché quel comparto è sovraffollato e le frizioni etniche rischiano di farlo esplodere".

A Marassi italiani, albanesi e slavi quasi si odiano, e la faida andata in scena con l’inizio del 2007 sta costringendo i vertici del penitenziario e gli agenti a vivere nell’emergenza continua. Parlano i numeri, prima di tutto: almeno quindici "tafferugli", come li definisce lo stesso Mazzeo, negli ultimi sessanta giorni, un recluso al giorno che finisce in cella d’isolamento per proteggerlo dagli agguati altrui e dalla sua intemperanza.

E poi incremento delle guardie in sala colloqui se s’incrociano italiani e stranieri, e presidio costante delle aree comuni, quelle dove più facilmente vanno in scena le rese dei conti, oltre che trasferimenti mirati in istituti del nord Italia e della Liguria. Un quadro estremamente cupo, che Mazzeo e i suoi uomini per miracolo riescono ancora a tenere sotto controllo e che si collega, indirettamente, all’applicazione dell’indulto. Non solo. Una ricca relazione in materia, sullo specifico del caso del capoluogo ligure, sarà presentata al Guardasigilli Clemente Mastella, la cui visita è stata confermata per il 28 aprile.

Per capirci qualcosa occorre fare un passo indietro e focalizzare l’area di Marassi finita sotto la lente d’ingrandimento. "I problemi - ribadisce il numero uno delle "Case Rosse" - sono tutti concentrati fra i "giudicabili", ovvero quei carcerati che ancora non hanno subito una condanna definitiva, poiché gli altri hanno beneficiato dello sconto di pena. Potremmo ospitarne, al limite, 170-180 e invece al momento ne sono presenti 270, praticamente un centinaio in più. Ovvio che, trattandosi di soggetti fortemente problematici, se devono convivere in spazi angusti finiscono per pestarsi i piedi".

A tutto questo si aggiungono i conflitti razziali, la benzina che ha incendiato i recenti scontri e che più di altri rappresenta un ostacolo insormontabile. In particolare, la Penitenziaria sta registrando una recrudescenza del muro contro muro fra gli italiani e gli albanesi (questi ultimi rappresentano circa il 20% della popolazione carceraria, quindi circa 55 fra i detenuti in attesa di giudizio, ndr).

"Attenzione - prosegue Mazzeo - a non enfatizzare troppo una difficoltà che siamo finora riusciti a governare. E nel momento in cui la pentola è in ebollizione beh, procediamo agli sfollamenti mirati, come già accaduto". Pestaggi dietro le sbarre significa tuttavia feriti, e almeno una decina è finita all’ospedale con lesioni più o meno significative da febbraio ad oggi.

Inevitabilmente, l’inasprirsi delle tensioni manda in fibrillazione i sindacati. "Da anni - accusa il segretario nazionale aggiunto del Sappe, il genovese Roberto Martinelli - denunciamo la gravi carenze fronteggiate dal personale in servizio a Marassi. Oltre ad essere costantemente sotto organico di più di 100 agenti rispetto a quanto prevede il decreto ministeriale dell’8 febbraio 2001 sulle dotazioni alla struttura della Valbisagno, registra un’ulteriore mancanza di 70 uomini, sulla carta assegnati alle Case Rosse ma temporaneamente trasferiti in sedi del centro-sud. Da Roma, insomma, anziché rinforzi continuiamo a ricevere beffe".

Ferrara: l'auto di un semilibero esplode, forse è una bomba

 

Ansa, 11 aprile 2007

 

Un detenuto in semilibertà, Salvatore Ro, di Napoli, si è salvato dall’esplosione della sua auto. Secondo una prima ricostruzione, Ro stava andando al lavoro, come tutte le mattine, con l'auto che durante la notte rimane parcheggiata fuori dal carcere di Ferrara. La vettura aveva percorso pochi metri, quando c’è stato lo scoppio. L’uomo è ferito in modo grave ma non rischia la vita. L’esplosione potrebbe essere stata provocata da un ordigno mal funzionante, o non troppo potente.

Catania: convegno sulla dignità umana e il sistema penitenziario

 

La Sicilia, 11 aprile 2007

 

Il carcere è il posto in cui trovano manifestazione gli aspetti contraddittori di una società. Legato alla città in cui vive, specchio della sofferenza, abitato dai soggetti più deboli e socialmente meno tutelati, il carcere è nuovamente discusso oggetto di dibattito. Se ne parla nella ridefinizione delle garanzie dei diritti e dell’identità dei ristretti e il quadro che si mostra nella sua complessità, nella sua rete di problematiche e di esigenze, nell’incontro organizzato al Sacro Cuore dall’Associazione Ex Allieve "La dignità umana nel sistema penitenziario italiano: la giustizia è riparativa e/o educativa" crea un ponte di confronto, di opinione, lasciando che venga a galla la condizione minorile e femminile. A parlarne sono la prof.ssa Marcella Papale e la dott.ssa Tiziana D’Angelo, direttore di una comunità per disabili mentali.

Partire dall’esperienza del carcere, quale strumento di riabilitazione o di afflizione è il quesito d’interrogazione per chi sulla traccia del proprio percorso professionale cerca di dare una risposta. In un rapportarsi con detenuti dal passato familiare e sociale difficile, il tema è affrontato in termini educativi e di quanto risulti incisiva la sospensione del processo minorile penale, che permette di concretizzare sotto forma di premio una possibilità, una seconda chance, per il giovane detenuto. A supporto concorrono figure quali l’educatore, lo psicologo, l’assistente sociale che si adoperano affinché si possa abbattere il muro della diffidenza, che si fa esplicito soprattutto nei confronti degli agenti.

Tra i meccanismi di correzione ad aiutare maggiormente nella creazione di proiezioni future è il lavoro che agevola il processo di reintegrazione. "Nel caso di un recupero della delinquenza minorile - spiega la D’Angelo - il compito risulta essere di delicata responsabilità e nelle proposte si cerca spesso di spaziare inglobando corsi di formazione professionale e culturale, organizzazione di spettacoli, progetti d’inserimento lavorativo...".

Come recita l’art. 27 della Costituzione "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari all’umanità e devono tendere alla rieducazione", l’importante è credere nel recupero.

Nel caso dei minori si erge la consapevolezza che il loro pensare e i loro valori non sono diversi da quelli dei minori che non conoscono il reato, da qui l’importanza del lavoro degli operatori che aiutano ad indirizzarli invitandoli a scommettersi in un periodo di prova (attività scolastica, tirocini formativi presso aziende e volontariato). Secondo le fonti statistiche dell’Ufficio per lo Sviluppo, nei carceri, tra le presenze detentive oltre ai minori vi sono anche molte donne, circa 2551. I reati commessi sono generalmente di scarsa pericolosità.

La prof.ssa Papale alza il sipario sull’argomento, sottolinea il carcere nella sua fisionomia di deterrente, distruttivo nel momento in cui vengono meno quelle certezze senza le quali si giunge a coabitare con l’autodistruzione. "All’interno del carcere vi sono donne che entrano in crisi repressiva, chi assume atteggiamenti di aggressività, chi si abbandona all’ozio volontario". Oggi, pertanto, creano nuova speranza le misure alternative alla detenzione, che tutelano, come nel caso della legge 8 marzo 01 n. 40, il rapporto tra detenute e figli minori e che introducendo due nuovi istituti della detenzione domiciliare speciale e dell’assistenza all’esterno di figli minori danno piena e compiuta attuazione al principio costituzionale.

Catanzaro: Messa di Pasqua all’Istituto penale per minorenni

 

Quotidiano di Calabria, 11 aprile 2007

 

L’arcivescovo di Catanzaro, mons. Antonio Ciliberti, ha celebrato nell’istituto penale per minorenni "Silvio Paternostro" di Catanzaro, la Messa di Pasqua per i minori detenuti. La funzione è stata concelebrata dal cappellano dell’istituto, don Antonio Bomenuto. Alla celebrazione, organizzata sotto la supervisione del direttore dell’istituto, Francesco Pellegrino, hanno preso parte i ragazzi ristretti che non hanno potuto usufruire dei permessi per rientrare a casa durante le vacanze pasquali, il prefetto di Catanzaro, Salvatore Montanaro, e il vice prefetto aggiunto Eugenio Pitaro.

Erano presenti anche Paolo Abramo, presidente della Camera di Commercio; Gisella Sia Ambrosio, responsabile sezione femminile della Croce Rossa Italiana di Catanzaro; Vito Samà, funzionario dipartimento Politiche sociali della Regione nonché direttore responsabile del giornalino dell’Istituto. "L’omelia dell’arcivescovo e le parole di saluto del cappellano - è scritto in un comunicato - hanno consegnato non solo ai ragazzi presenti, ma anche alle autorità convenute, dei germi di speranza per vivere serenamente, nella consapevolezza dei propri errori commessi, i giorni di festa nei quali tutte le famiglie sono solite riunirsi, e fra queste si annovera anche la famiglia dell’istituto penale, grazie alla presenza durante la funzione di tutti coloro che giornalmente, da tempo, si impegnano nel delicato lavoro di contenimento e sviluppo di giovani adolescenti, i quali, col passare dei giorni, maturano sentimenti profondi e atteggiamenti di crescita testimoniati sia dagli educatori che dagli agenti di polizia penitenziaria, presenze instancabili e di riferimento per i giovani detenuti dell’istituto penale".

Como: il Vescovo ha celebrato la Messa davanti ai carcerati

 

Corriere di Como, 11 aprile 2007

 

Dopo la tradizionale e gremita messa pontificale con benedizione papale in Duomo per la Pasqua, ieri mattina il vescovo di Como, Diego Coletti, ha celebrato la funzione per il Lunedì dell’Angelo alla casa circondariale del Bassone di Como. Una messa in forma riservata nella cappella all’interno del carcere, aperta alla partecipazione esclusiva dei detenuti che hanno salutato con gioia la visita del nuovo vescovo di Como. Nell’omelia del vescovo, forte è stato il richiamo per una motivazione autentica e vissuta della festività pasquale, lontana dalla partecipazione senza cuore e dal conformismo che esprime soltanto esteriormente la buona educazione religiosa. Il vescovo ha ribadito anche l’invito a non arrendersi mai davanti alle prime difficoltà, seguendo l’esempio del Cristo che si è mostrato nella vera sofferenza per la nostra salvezza.

Droghe: dalla Spagna arriva un vaccino contro la cocaina

 

La Stampa, 11 aprile 2007

 

Arriva, per la prima volta al mondo, il vaccino anti-cocai-na. Alla fine di quest’anno, o al più tardi all’inizio de 2008, la medicina killer della "neve" sarà testata anche in Spagna, il Paese con il più alto indice di consumo d’Europa (il 2% tra i 15 ed i 64 anni a fronte dell’1,1% nel resto del Vecchio Continente). Il medicinale - che sarà testato su 150 cocainomani in tre ospedali di Madrid, Barcellona e Valencia - è frutto di una ricerca, ancora in fase sperimentale, dell’università americana di Yale. E, stando alle anticipazioni, è efficacissima: "È come cucire la bocca ad un mangiatore famelico", assicuravano ieri i ricercatori al giornale madrileno Abc.

Il clou del farmaco è basato nella terapia immunologica, ossia il vaccino amministra o genera anticorpi che "catturano" la potentissima droga nel flusso sanguigno prima che arrivi al cervello. La cocaina, come il tabacco, non provoca una risposta immunologica come succede con i virus ed i batteri che provocano le malattie.

La risposta immunologica, ossia gli anticorpi, sono generati dal vaccino, che aderisce alla droga. La loro unione genera un composto chimico troppo grande per attraversare la barriera ematocefalica, l’ostacolo che produce il torrente sanguigno per proteggere il cervello. Risultato: la cocaina non produce più piacere.

I pazienti che si sottoporranno alla pionieristica cura riceveranno 4 dosi del farmaco, una all’inizio del test e successivamente altre tre ad intervalli regolari. Il requisito richiesto ai malati è essere cocainomani, con o senza consumo aggiuntivo di alcol, ma non usare anche altri stupefacenti oppiacei come l’eroina. Un punto importante è poi che il farmaco non sarà somministrato in funzione preventiva, ma solo su chi è già caduto nel consumo della devastante droga. "La cocaina continua a godere di una immagine mitizzata - stigmatizza Carmen Mova, responsabile antidroga della regione catalana -.

"Non si tratta di una formula miracolosa, bensì di un aiuto alla disintossicazione -spiegava recentemente il professor Thomas Kosten, direttore della ricerca dì Yale. Il vaccino è disegnato per generare anticorpi specifici che "imprigionano" la droga nel sangue.

Si tratta di una specie di filtro tra i vasi sanguigni ed il cervello, facendo si che la droga non arrivi a quest’ultimo. Così gli effetti psicoattivi, ossia lo stato euforico, non si produce". E aggiunge: "Il medicinale è sicuro e non presenta effetti secondari rilevanti. Però non elimina il desiderio di consumare cocaina.

In altre parole, il killer della polvere bianca non è una panacea. Come osserva José Perez Cobos, coordinatore del test in Spagna e psichiatra del nosocomio madrileno Ramon y Cajal, uno dei tre che sperimenteranno il medicinale: "Nessun trattamento contro la tossicomania provocato dalla cocaina ha successo senza appoggio psicologico. È una condicio sine qua non". E precisa: "Indipendentemente dalla via scelta per consumarla, sia iniettata con una siringa, fumata come il crack o sniffata, la cocaina produce molecole piccolissime ma il vaccino assorbe la droga come se fosse una spugna, ne impedisce il passaggio al sistema nervoso eliminandone l’effetto".

Negli esperimenti fatti in America si è constatato che la risposta del malato può essere variabile. "Gli effetti scompaiono completamente in alcuni cocainomani, ma la sua efficacia è minore in altri - continua lo psichiatra che da anni lotta contro le tossicomanie - Sembra che esista una variabilità individuale che valuteremo nel prossimo test spagnolo. In alcune persone ci vogliono più dosi affinché il sistema immunitario generi sufficienti anticorpi per impedire che la cocaina arrivi al cervello". Il profilo dei testandi tracciato da Perez Cobos è quello di un adulto tra i 24 ed i 45 anni, con problemi etilici, integrato nella società ma assolutamente dipendente, anche se consuma solo nei week-end. "Il nuovo vaccino ha suscitato molte speranze tra gli esperti in disintossicazione, anche se esperimenti simili con eroinomani non hanno dato i risultati sperati", si legge su Abc.

 

Giovanni Serpelloni: l’Italia è in ritardo

 

Anche l’Italia potrebbe partecipare alla sperimentazione del vaccino anti cocaina. "Ma siamo ancora in attesa di notizie sicure dagli Stati Uniti, dalla multinazionale proprietaria del brevetto", spiega Giovanni Serpelloni, direttore dell’Osservatorio della Regione Veneto sulle dipendenze.

 

A che punto è la ricerca nel nostro Paese?

"Prima di fare qualsiasi tipo di sperimentazione vaccinale sulle persone, occorrono 4 fasi, a volte 5, di studio. Servono per provare la sicurezza e l’efficacia del prodotto. Negli Stati Uniti, le ricerche hanno dimostrato che il vaccino è sicuro e ha una certa efficacia. L’hanno già provato sull’uomo, in un piccolo gruppo. Ora stanno ripetendo gli esperimenti su un altro campione, più vasto, di persone. Da noi, finora, s’è fatto soltanto uno studio di fattibilità. Abbiamo condotto un’indagine, in varie regioni italiane, per vedere come sarebbe accolta la possibilità di un vaccino del genere".

 

Perché è stato necessario questo passo?

"Questo tipo di vaccini dà sempre origine a molte perplessità: insorgono questioni etiche, ideologiche e quant’altro - del resto, in Italia, quando si nomina la droga si fa sempre ideologia -, così abbiamo promosso una ricerca su 344 soggetti, metà cocainomani e metà operatori delle tossicodipendenze. Dall’esame dei questionari è risultato che una sperimentazione sull’uomo verrebbe accettata dalla maggior parte degli intervistati".

 

Una percentuale altissima di consumatori di cocaina dichiara comunque importante associare il vaccino alla psicoterapia.

"Non solo è importante, ma raccomandato. Il vaccino, da solo, non basta nel tempo e serve sempre il supporto psicologico e sociale".

 

Che cosa avete in programma, in attesa delle indicazioni dagli Stati Uniti?

"Stiamo facendo un secondo studio per valutare le capacità tecniche delle nostre varie strutture di condurre una sperimentazione sull’uomo. Insomma, da un anno e mezzo ci stiamo preparando ad accogliere questa opportunità".

 

Come funziona il vaccino?

"È un anticorpo che cattura le molecole di cocaina perché le ha riconosciute grazie all’introduzione di "pezzetti" di droga in una proteina del colera: questa viene utilizzata come sostanza capace di amplificare il volume della cocaina che ha molecole molto piccole e non riesce a stimolare il sistema immunitario".

 

Una proteina del colera?....

"Niente paura. È disattivata, assolutamente innocua. Consente al sistema immunitario di riconoscere la cocaina come agente esterno e di produrre gli anticorpi per neutralizzarla".

 

Il risultato?

"La cocaina non riesce più ad arrivare al cervello e a dare quell’effetto gratificante. Attenzione: non diminuisce il desiderio, ma il piacere che si associa alla sostanza. Il vaccino dura 6-9 mesi e lo si può somministrare altre volte".

 

Quanto costerà la sperimentazione?

"Non è stata fatta una valutazione del costo perché le spese del programma dovrebbero essere assorbite da chi propone lo studio, ovvero dalla casa farmaceutica. E la nostra indagine di fattibilità ha comportato una spesa minima".

Droghe: don Mazzi; bruciamo in piazza la cocaina sequestrata

 

Notiziario Aduc, 11 aprile 2007

 

Un milione in piazza a Roma contro la l’inondazione di cocaina e un falò ogni mese, per bruciare la droga sequestrata. Sono le due proposte-provocazione fatte da don Antonio Mazzi, in un’intervista a Gente oggi in edicola, che ne ha dato un’anticipazione. "Quella della cocaina è una biblica inondazione che tutti noi, nel nostro piccolo, dobbiamo prevenire e ridurre. Chiacchierando di meno e rimboccandoci di più le maniche: per esempio, se una volta tanto andassimo a Roma, in un milione di persone, a manifestare contro l’inondazione di coca che l’Italia sta subendo, non creeremmo forse un evento molto più importante, urgente e significativo di tanti altri?".

"Non possiamo aspettare che un’altra legge sostituisca la Fini-Giovanardi, i tempi dell’invasione della coca sono troppo celeri per stare ai giochi della burocrazia. Dobbiamo inventare progetti ben finalizzati, leggeri, che sfruttino nel migliore dei modi le esperienze già esistenti.

Quest’estate, per esempio, io andrò con amici nelle discoteche per discutere di alcol e droga, proprio nei luoghi dove il consumo sembra avvenire in quantità industriali. Sapete quale sarebbe una lezione infinitamente più efficace delle barbose statistiche che propiniamo alla gente, spaventata e rassegnata? Bruciare sulle piazze delle città, una volta al mese, le tonnellate di cocaina sequestrata che giacciono negli scantinati dei comandi della Finanza e della Polizia", conclude don Mazzi.

 

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