Rassegna stampa 9 agosto

 

Giustizia: anche in carcere è agosto, 7 morti in dieci giorni

 

Ristretti Orizzonti, 9 agosto 2007

 

Prima settimana d’agosto. Nelle carceri di Velletri, Regina Coeli, Bolzano, Pavia, Vigevano, Locri e Brescia muoiono (complessivamente) 7 detenuti: 2 sono suicidi, 1 morte è causata da un "cocktail" di farmaci e droghe, 4 da "cause naturali" non meglio precisate. L’età media dei detenuti morti è di 35 anni.

Forse anche per la complicità delle ferie, in corso o incombenti, finora quasi nessuno ha speso una parola su questa vera e propria strage di persone relativamente giovani e relativamente sane che improvvisamente vengono ritrovate cadavere nelle rispettive celle.

Eppure questa "epidemia da carcere" ha proporzioni davvero allarmanti: se si manifestasse con la stessa virulenza tra la popolazione libera - fatte le debite proporzioni - ogni anno in Italia "perderemmo" 300.000 trentenni, deceduti quasi tutti per "cause naturali". Una catastrofe, una piaga biblica.

Se questo succede in carcere, invece, rischia di essere tutto nella norma: comunque stiamo parlando di persone drogate, alcoliste, malandate nel corpo e nella mente, con aids, tubercolosi, epatiti e quanto altro. Infine - ma non per ultimo - sono "delinquenti", perciò se nel corso della "meritata espiazione" qualcuno non regge, la sua morte non fa neppure notizia.

Ulteriori considerazioni sarebbero superflue, meglio lasciar parlare la "nuda" cronaca di queste morti, con gli scarni dati che siamo riusciti a raccogliere grazie al lavoro di chi, operando nelle situazioni di disagio, è sempre attento e presente, anche d’estate.

 

28 luglio 2007 - Carcere di Velletri, Sezione Alta Sicurezza

 

Riccardo Boccaccetti, 35 anni, muore per arresto cardio-circolatorio. Alcuni giorni prima di morire era stato sottoposto ad una perizia medico-legale che doveva accertare se le sue condizioni di salute erano compatibili con la detenzione in carcere. L’uomo pesava solo 56 kg, a causa di un deperimento fisico progressivo. Peraltro sembra fosse seguito costantemente dai sanitari dell’Istituto. Sono in corso indagini della magistratura per appurare le cause precise del decesso. Fonte: Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio.

 

30 luglio 2007 - Carcere di Regina Coeli, Roma

 

Emanuele Fontana, 30 anni, muore per arresto cardiaco. Ex tossicodipendente e alcolista era in carcere da circa un anno, in attesa di giudizio. Sono in corso indagini della magistratura per appurare le cause precise del decesso. Fonte: Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio.

 

1 agosto 2007 - Carcere di Pavia

 

Tomas Libiati, 27 anni, viene trovato morto in cella. La visita del medico legale ha stabilito le cause naturali del decesso, escludendo l’ipotesi del suicidio, ma si attende l’esito degli esami tossicologici effettuati nel corso dell’autopsia. Fonte: Il Giorno

 

3 agosto 2007 - Carcere di Bolzano

 

Omar Radouane, 31 anni, tunisino, viene ritrovato morto in cella. Era stato arrestato una settimana prima per il furto di un portafogli. A provocarne il decesso, stando all’autopsia ordinata dalla magistratura e effettuata dall’anatomopatologo Eduard Egarter Figl, sarebbe stato un arresto cardiaco. Nel suo sangue è stata riscontrata un’alta concentrazione di THC (il principio attivo della cannabis) e di metadone, forse all’origine della morte proprio il micidiale cocktail di queste sostanze. Fonte: Alto Adige.

 

5 agosto 2007 - Carcere di Locri

 

Antonio Cordì, 65 anni, muore per una grave malattia che lo aveva colpito da tempo. Cordì era detenuto dal 1999 dopo essere stato condannato all’ergastolo nel processo scaturito dall’operazione "Primavera" che all’epoca smantellò i clan Cordì e Cataldo, impegnati da anni in una sanguinosa faida. Negli anni ‘80 Antonio Cordì era stato anche consigliere comunale del Psi a Locri. Fonte: Ansa.

 

7 agosto 2007 - Carcere di Brescia

 

I.A., 32 anni, egiziano, si uccide impiccandosi. Era in isolamento e "sorvegliato speciale". Aveva appena visto il medico: pareva sereno ma ha chiesto un ansiolitico per poter dormire.

In cella era finito la settimana scorsa, accusato di aver venduto una dose di cocaina, rivelatasi letale, alla giovane marocchina morta per overdose a Desenzano. I.A., egiziano di 32 anni, era stato arrestato dopo essere stato male a sua volta: era finito al pronto soccorso dell’ospedale di Manerbio. Martedì nel tardo pomeriggio il giovane si è suicidato nel carcere di Verziano. Il giovane nordafricano l’ha fatta finita impiccandosi alla porta della cella, sfruttando un quarto d’ora tra la visita del medico e il giro di controllo degli agenti di polizia penitenziaria.

Dopo l’arresto il 32enne era stato prezioso per le indagini, aveva deciso di collaborare: in cella erano finiti altri due trafficanti, acquirenti di parte della cocaina tagliata con tropocaina in circolazione nel Bresciano, che aveva fatto temere ci fosse sulla piazza una partita all’atropina. Il giovane egiziano preso dopo il ricovero all’ospedale aveva scelto di rispondere alle domande del pm Paolo Savio. La sua collaborazione aveva fatto scattare il trasferimento al carcere di Verziano, in una cella singola. L’egiziano era tenuto in regime di stretto isolamento, vietato qualsiasi incontro con altri detenuti. Il 32enne era anche sotto stretto controllo della polizia giudiziaria, ma deve aver studiato tempi e ritmi per mettere in atto il suo piano.

Martedì nel tardo pomeriggio l’occasione. Il 32enne aveva appena visto il medico, che lo ha descritto come sereno anche se un po’ preoccupato per la sua famiglia e per il futuro. Al medico il giovane ha chiesto un ansiolitico perché aveva qualche problema a dormire. Uscito il medico dalla cella il 32enne ha preso l’unica "corda" disponibile: le lenzuola sono di carta, ma è riuscito a strappare il cordino di una tenda. Si è appeso alla porta della cella. Gli agenti lo hanno trovato morto, asfissiato.

L’egiziano non ha lasciato alcun biglietto e sulla scelta di farla finita si possono solo fare ipotesi: il rimorso per la morte della giovane o la paura per la sua famiglia? Fonte: Giornale di Brescia.

 

8 agosto 2007 - Carcere di Vigevano

 

Un detenuto italiano di 40 anni si uccide impiccandosi. L’uomo, stava scontando una pena residua di un anno. Si trovava in infermeria, per un precedente malessere, quando si è impiccato, forse con un lenzuolo. Fonte: Il Giorno.

Giustizia: solo 3 € al giorno per l’alimentazione dei detenuti

 

www.informacarcere.it, 9 agosto 2007

 

Si parla tanto di solidarietà verso i poveri, gli emarginati, i meno fortunati. E, tuttavia, mai si parla dei carcerati e delle loro condizioni di vita. Nessuno, al di là del ceto di origine, è più povero e sfortunato di chi si consuma in galera, magari in custodia cautelare - e sono tanti - in attesa di un giudizio, che molto spesso assolverà perché, "il fatto non sussiste" o perché, in luogo di prove sussistevano soltanto vaghi indizi e parecchie deduzioni "logiche", nello stato di "cattività", vale a dire con la privazione del massimo bene che è la libertà, il cibo assume un ruolo fondamentale, sia per la salute fisica, sia per quella mentale.

Il tempo come per chi sia costretto in un letto d’ospedale non si misura più con le ore ma con gli agognati appuntamenti con la colazione, il pranzo e la cena, rituali in vario modo consolatori e liberatori. Il mangiare, in certe situazioni, produce una felice amnesia, una pausa della sofferenza, un attimo di tranquillità, quasi come una risanante terapia psicologica. Ebbene, tempo fo è uscito fuori dal Ministero che la spesa giornaliera sostenuta dallo Stato per il vitto di un detenuto ammonta, per tutti e tre i pasti, a 3 € e più Iva.

A fronte di tale miseria, pari grosso modo a un chilo di pane e a una bottiglia di acqua minerale, v’è il costo complessivo di quasi 400 € al giorno per detenuto: qualcuno dovrà spiegare come mai una cella in coabitazione venga a costare alla collettività più di una albergo a 3/4 stelle. In attesa di spiegazioni, resta la vergogna dei 3 € per colazione-pranzo-cena, una somma che la dice lunga sulle condizioni della popolazione carceraria e sulla "umanità" dei governanti.

A soffrire, naturalmente, sono sempre i più poveri tra i poveri, perché chi possiede del denaro può farsi acquistare un po’ di companatico, mentre chi non ha nulla deve sottostare alla situazione e covare nuovo rancore. Altro che recupero del deviante! Il Ministero della Giustizia dovrebbe fare subito qualcosa. Per ora, l’unica iniziativa ministeriale che è stata presa è stata di tagliare il capitolo spettante al settore carceri, tagliando nella nuova finanziaria 52 milioni di euro mettendo in crisi tutto il sistema carceri italiane.

Di conseguenza l’Amministrazione Penitenziaria taglia i pochi posti di lavoro disponibili per far sì che qualche detenuto possa lavorare, facendo quel percorso che è scritto nell’ordinamento penitenziario che è il recupero è il reinserimento sociale.

Questi non sono dei buoni segnali che manda lo Stato per il recupero dei detenuti, perché se i detenuti sono un problema o sono uno spreco per la società civile, allora perché tagliare il budget destinato alle carceri italiane? Se si parla di recupero, di reinserimento, ma se questo recupero o reinserimento non avvengono all’interno delle strutture carcerarie, come si possono fare dei tagli proprio in questo settore che è delicato, mentre ci sentiamo dire che il detenuto va seguito e va aiutato e recuperato?

Ma se tolgono i fondi per i prodotti, per le forniture, per l’igiene e la pulizia personale e se si tagliano i posti di lavoro, come si può parlare di recupero?

I nostri politici forse non hanno chiara la situazione che esiste nelle carceri, che è insostenibile e che il malumore non è soltanto per i detenuti ma è anche da parte della Polizia Penitenziaria, perché deve fare fronte, con difficoltà, con gli stanziamenti fatti dal ministero. Qualche mese fa è venuto a trovarci un deputato de L’Ulivo e ha visto in che condizioni viviamo noi all’interno delle carceri e che non è come si dice sempre nei vari Talk Show in base ai quali siamo un hotel a cinque stelle.

Questi signori parlano così perché non conoscono la realtà carceraria e prima di sparare a zero su questi argomenti delicati farebbero meglio a conoscere la realtà di cui parlano o informarsi da chi in questi posti ci lavora e purtroppo ci vive. Questi tagli non riguardano solo il vitto, ma anche il settore sanitario e quindi non solo i posti di lavoro o il vitto giornaliero o i prodotti per l’igiene e la pulizia, ma vanno a toccare anche il settore sanitario che già era carente di suo, figuriamoci ora.

Lo sciopero, indetto dai sanitari proprio per evidenziare questi problemi per la carenza di fondi che vanno a toccare questo settore così delicato, sembra rientrato in base a certe promesse. Ma vedremo se saranno mantenute.

Io mi auguro che in futuro queste scelte così nette in settori delicati come il sistema carcerario siano studiate meglio, perché anziché tagliare bisogna investire se si vogliono avere dei risultati positivi nei confronti di un mondo che ha già tante sofferenze senza che ne vengano imposte altre.

 

Santo Nicotra per "Idee Libere", periodico della Casa di Reclusione "Ranza"

di San Gimignano, Anno IV, n°32, giugno-luglio 2007

Giustizia: a Rebibbia problemi per assistenza a detenuti trans

 

Ansa, 9 agosto 2007

 

Nel carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso la scarsità di risorse non sembra garantire le condizioni sanitarie e i bisogni di sostegno medico - specialistico e psicologico per i detenuti transessuali. Sono i problemi maggiori emersi nella visita fatta oggi nell’istituto di pena dall’Associazione Antigone nel programma di iniziative dell’Osservatorio sulla detenzione.

In particolare, è detto in una nota, è stata lamentata "la quasi assoluta mancanza di controlli endocrinologici" di cui i detenuti in questione necessitano per la loro condizione ormonale. La delegazione - formata da Roberta Bartolozzi e Gennaro Santoro di Antigone, dalla senatrice Haidi Giuliani e da Saverio Aversa responsabile del settore "diritti e culture delle differenze" del Prc - ha visitato la sezione in cui sono ospitati 8 transessuali e un omosessuale, tutti provenienti dall’ America latina con l’ eccezione di 2 italiani.

"Questo è uno dei tanti casi ha detto Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’ Osservatorio sulla detenzione - che dimostra quanto sia necessario il passaggio rapido dalla medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale, unico in grado di affrontare le diverse e difficili situazioni all’interno del carcere. Pertanto ci auspichiamo che per quanto riguarda la situazione di Rebibbia dei trans, considerato che nel Lazio c’è una nuova legge che si muove proprio in questa direzione, la regione attivi al più presto i protocolli d’intesa con l’amministrazione penitenziaria al fine di assumersi tutte le responsabilità in questo settore".

Immigrazione: il Vaticano contro i Cpt, una legge da cambiare

 

Ansa, 9 agosto 2007

 

Il Valicano si schiera contro i Cpt, ovvero i luoghi (non solo presenti in Italia) dove vengono detenuti gli immigrati ittegolari, in attesa di reimbarco. Lo ha annunciato il Cardinale Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.

Parlando a margine della presentazione della Coalizione internazionale sulla detenzione di rifugiati richiedenti asilo, organizzata presso la sede della Radio Vaticana dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS), il cardinal Martino si è detto convinto che "i Cpt italiani sono luoghi dove viene umiliata la dignità umana".

Secondo il porporato si tratta di "una soluzione che va scoraggiata" pensando, invece, a scelte alternative dal punto di vista legislativo: "la Chiesa - ha spiegato il cardinale - proclama i diritti umani e quindi se c’è offesa a questi ultimi, le leggi non possono che apparire ingiuste. I rifugiati e gli immigrati rinchiusi in questi centri non hanno commesso nessun crimine se non quello di arrivare in Italia per una speranza di salvezza; la reclusione per loro non mi sembra una pena meritata, il quadro normativo va ripensato".

Droghe: Venezia: allarme per aumento consumo di eroina

 

Notiziario Aduc, 9 agosto 2007

 

Consumo di droga: a Mestre e a Venezia è nuovamente allarme rosso, con un ritorno dell’eroina e un aumento vertiginoso dei giovanissimi che ne fanno uso, mentre vanno sempre fortissimo le droghe sintetiche. È quanto emerge dai dati del Servizio riduzione del danno del Comune di Venezia presentati oggi nel corso di una conferenza stampa.

"Il dato più preoccupante che emerge - ha spiegato il dirigente dell’assessorato alle Politiche sociali Pierangelo Spano - è che sta tornando in auge il consumo di eroina, sia fumata sia iniettata, e che sta aumentando vertiginosamente la percentuale dei giovanissimi (15-24 anni) che ne fanno uso: siamo passati dal 7% del 2002 al 45,6% del 2006, per arrivare, in questi primi 6 mesi del 2007, al 51% delle persone da noi contattate. È in aumento, tra l’altro, anche l’uso di droga tra le ragazze (passato in poco tempo dal 10 al 20%), nonché degli immigrati, specie dai Paesi dell’Europa dell’Est". Il Servizio Riduzione del danno, attivo ormai da 10 anni, opera con un camper in strada, contattando i ragazzi che fanno uso di sostanze stupefacenti, offrendo loro informazioni, ma anche un luogo dove poter avere cibo, bevande, siringhe sterilizzate, medicinali.

"Questi dati - commenta l’assessore comunale alle Politiche sociali, Delia Murer - ci invitano a non abbassare la guardia, ma al contempo confermano l’efficacia della presenza delle operatrici e degli operatori di strada, che ci aiutano a saper leggere con tempestività le variazioni dei fenomeni legati al consumo di stupefacenti e a proporre, in tempo quasi reale, nuovi servizi". È per questo che il 17 settembre, in via Giustizia, il Comune aprirà un Drop-In: un luogo dove le persone con problemi di droga avranno la possibilità, quattro volte la settimana, non solo di usufruire dei servizi già offerti dal camper viaggiante, ma anche di farsi una doccia, di lavarsi la biancheria, di navigare su Internet, di cercare un lavoro, di collaborare al giornalino "Ladri di biciclette". Sempre in settembre scatterà il progetto Tips & Tricks, che prevede l’attivazione di un secondo camper itinerante che avrà lo scopo di entrare in contatto, questa volta, con i consumatori di droghe sintetiche.

"Le persone fanno uso di queste sostanze - è stato spiegato - sono ben più numerose di quelle che consumano eroina o cocaina e che, si calcola, nel Comune di Venezia, siano tra i 1.500 e i 2.000. Sono dati davvero allarmanti, che ci spingono a chiedere con forza che il problema droga, in Italia, torni ad essere considerato prioritario".

Germania: corsi professionali per detenuti fuori dal carcere

 

Ansa, 9 agosto 2007

 

I detenuti di due carceri tedeschi sono stati autorizzati a frequentare corsi professionali al di fuori della struttura carceraria, guadagnando un salario simbolico e stringendo contatti con il mondo del lavoro utili al futuro reinserimento sociale. Come scrive oggi l’edizione online del settimanale Focus, a Stralsund e a Buetzow, nel Meclemburgo (nordest della Germania) i detenuti possono uscire dal carcere e frequentare corsi nelle fabbriche della zona.

I costi per le imprese sono irrisori: il compenso giornaliero per detenuto oscilla tra i 7,94 e i 13,23 euro: un guadagno sia per il detenuto, che riceve un certificato alla fine del suo corso, sia per la fabbrica, che risparmia sulla paga per gli operai, e anche per il governo regionale, che non deve coprire i costi di mantenimento per il carcerato.

Secondo i dati del ministero della Giustizia del Meclemburgo, nel 2006 la regione ha registrato ricavi complessivi per 363 mila euro dal progetto di reinserimento sociale anticipato, molto simile alle misure italiane alternative alla detenzione, previste in casi particolari per detenuti in regime di semilibertà. "Sono contento di questa iniziativa e quando uscirò dal carcere potrò lavorare in un ristorante", ha detto a Focus online Marcel B., uno dei detenuti di Stralsund, condannato per furto e ora allievo di un corso in un ristorante. "La vita dietro alle sbarre è ora meno noiosa e il tempo scorre più velocemente".

Svizzera: un lavoro su misura, per prepararsi alla libertà

 

Swiss Info, 9 agosto 2007

 

Ergoterapia, in altre parole: lavoro su misura. È così che la nuova direzione del penitenziario di Witzwil vuole preparare chi sconta una pena ad una nuova vita in libertà.

Per quanto riguarda l’esecuzione delle pene, la Svizzera regge bene il confronto con altri paesi europei. Ma ci sono dei margini di miglioramento. Un minitelevisore, un lettore cd di poco prezzo, un letto, una sedia, un tavolino con un mazzo di fiori freschi: è l’arredamento della cella di Abdul M., un arredamento sobrio, che non conferma gli stereotipi diffusi dalle pellicole hollywoodiane fatti di poster alle pareti che ritraggono donne più o meno vestite.

Da sei mesi, Abdul sconta la sua pena nel carcere di Witzwil. Lavora in cucina e vorrebbe che il tempo che trascorre qui rappresentasse il suo ultimo contatto con la giustizia penale. "Voglio diventare un uomo migliore", ci dice.

Witzwil, nel canton Berna, non è un carcere di alta sicurezza. "Nel 40% dei casi, chi si trova qui ha infranto la legge sugli stupefacenti. Il 30% si è macchiato di delitti violenti. Gli altri sono colpevoli di frodi, falsificazione di documenti e reati simili", spiega Hans-Rudolf Schwarz, da quattro mesi direttore del penitenziario di Witzwil.

Il penitenziario non ospita persone a rischio di evasione. E non potrebbe essere altrimenti, visto che si tratta di una struttura aperta che costituisce anche la maggiore impresa agricola della Svizzera e che strade pubbliche percorrono i 600 ettari di superficie coltivata.

"Alcuni dei detenuti scontano la prima parte della loro pena in carceri chiuse. Quando si considera che non c’è rischio di evasione e che le persone in questione non rappresentano più un pericolo per la società, allora è possibile che i condannati vengano trasferiti in una struttura carceraria aperta, come la nostra", spiega Schwarz.

A Witzwil, i detenuti vengono trattati secondo i principi dell’ergoterapia. Tramite attività mirate e processi orientati all’azione si cerca di preparare le persone alla vita dopo la prigione. Anche se il concetto è nato in ambito terapeutico, il direttore di Witzwil ci tiene a sottolineare che "in un carcere aperto non si fa terapia".

I detenuti, insomma, non vengono "curati". "È però necessario stabilire in modo preciso e differenziato quali siano le loro carenze. Al momento dell’arrivo a Witzwil vengono valutate le condizioni di salute fisica e psichica dei detenuti. Si fa il punto sul loro livello di formazione e si fa una diagnosi delle loro capacità professionali", spiega Schwarz.

Questa procedura permette di assegnare alle persone un lavoro che corrisponde alle loro caratteristiche. L’arte sta nel combinare al meglio gli interessi dei detenuti con quelli della produzione. "Dobbiamo vendere i nostri prodotti; il fatto che ci ispiriamo all’ergoterapia non porta il cantone a metterci a disposizione più fondi", puntualizza Schwarz. "Non produciamo statuine per il presepe o giocattoli distribuiti gratuitamente".

Inoltre, è importante che i detenuti sappiano in ogni momento perché, dove, e cosa viene tematizzato con loro. "Il legame tra lavoro, assistenza, tempo libero, formazione e terapia è percepibile ogni giorno".

Una prova della sempre maggior apertura degli istituti di pena - e del loro mettersi al servizio della società - è il trekking organizzato per la settima volta da Procap, l’associazione svizzera per i disabili, e da Witzwil.

Il 12 agosto, cinque persone handicappate partiranno per un trekking di tre giorni in compagnia di 16 detenuti di Witzwil. Questi ultimi spingeranno speciali sedie su un percorso che li porterà ad attraversare tre ghiacciai.

Per questo le sedie da trekking non sono "a rotelle", ma piuttosto "a snowboard". Concepite in collaborazione con la Scuola universitaria professionale della Svizzera orientale, le sedie sono state montate a Witzwil.

Il professor Andrea Baechtold, esperto di esecuzione delle pene dell’Università di Berna, assegna buoni voti al sistema elvetico, che paragona ad altri in Europa. "La Svizzera può contare su un’infrastruttura di qualità superiore alla media", afferma Baechtold.

Anche le condizioni di lavoro sarebbero migliori e il 100% dei detenuti avrebbe la possibilità di lavorare. In Austria e Germania, il tasso scende al 60%.

Secondo Baechtold, la Svizzera si situa nella media superiore in ambito europeo anche per quanto concerne la messa in atto di misure destinate ad alleviare le pene, ad esempio congedi o impieghi all’esterno del carcere.

Per contro, in Svizzera i detenuti che danno prova di buona condotta possono essere liberati di regola dopo aver scontato due terzi della pena, mentre in Europa ciò è possibile già dopo aver scontato metà della condanna.

Un’altra differenza, dovuta alla struttura politica della Svizzera, è che le norme per l’esecuzione della pena sono insufficientemente dettagliate. "Non vi è nessun diritto che regolamenta queste procedure, a parte un paio di paragrafi nella legge penale", critica Baechtold. Non tutti i cantoni hanno quindi leggi specifiche in questo campo. "La condizione giuridica dei detenuti in Svizzera è peggiore rispetto alla media europea".

Gli obiettivi minimi sono comunque raggiunti, osserva Baechtold: "Le norme attualmente in vigore in materia di esecuzione delle pene garantiscono che la gente non esca di prigione peggiore di quando vi è entrata".

 

 

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