Rassegna stampa 4 agosto

 

Giustizia: ddl su effetti sentenze della Corte di Strasburgo

 

Ansa, 4 agosto 2007

 

Sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo: Cosa prevede il ddl approvato. Le "Disposizioni in materia di revisione a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo", approvate oggi dal Consiglio dei Ministri, introducono nel codice di procedura penale la possibilità di revisione delle sentenze di condanna che, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, abbiano violato le fondamentali garanzie di difesa o il principio del contraddittorio previsto dal nostro ordinamento (articolo 6, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo).

Intervenire in questa direzione era necessario e urgente. Il sistema processuale italiano attuale non prevede, infatti, specifici meccanismi di adeguamento alle indicate decisioni della Corte Europea mentre la Corte di Cassazione (sentenza Dorigo del 1.12.2006) ha affermato che "… la prolungata inerzia dell’Italia corrisponde alla trasgressione dell’obbligo previsto dall’articolo 46 della Convenzione di conformarsi alla sentenza definitiva della Corte europea e, quindi, costituisce una condotta dello Stato italiano qualificabile come flagrante diniego di giustizia".

Nella stessa pronuncia, la Suprema Corte ha stabilito che, in casi come questi il giudice dell’esecuzione deve dichiarare che la sentenza di condanna non può essere eseguita. Il disegno di legge approvato oggi ha, dunque, lo scopo di porre rimedio ad un vuoto normativo.

Il disegno di legge stabilisce che: la domanda di revisione di una sentenza di condanna deve essere innanzi tutto sottoposta al vaglio di ammissibilità della Corte di Cassazione. Se la suprema Corte decide per l’ammissibilità della richiesta, spetterà alla Corte d’appello procedere al giudizio di revisione; la richiesta di revisione è soggetta a due condizioni: la violazione riscontrata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo deve aver avuto incidenza determinante sull’esito del procedimento; il condannato, al momento della presentazione della domanda di rivedere la sentenza, si trovi o debba essere posto in stato di detenzione oppure sia soggetto all’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione diversa dalla pena pecuniaria; soggetti legittimati a richiedere la revisione sono il condannato o il procuratore generale presso la Corte di cassazione.

Con l’ordinanza che dichiara ammissibile la richiesta la Corte trasmette gli atti alla Corte d’appello competente. La Corte d’appello procede alla rinnovazione dei soli atti ai quali si riferiscono le violazioni accertate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Tutti gli altri atti compiuti nel precedente giudizio rimangono validi. Nel giudizio di revisione i termini di prescrizione sono sospesi.

Il disegno di legge prevede, all’articolo 3, una disciplina transitoria. Si stabilisce che per le condanne già intervenute, la richiesta di revisione debba essere presentata, a pena di inammissibilità, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Per le sentenze di condanna sospese dal giudice nazionale a seguito di sentenza della Corte Edu, decorso il termine di cui sopra, la sentenza viene posta in esecuzione.

Giustizia: i direttori penitenziari sulla Circolare per "nuovi giunti"

 

Comunicato stampa, 4 agosto 2007

 

Dal Segretario Nazionale del Si.Di.Pe. - aff. Cisl/Fps

(Sindacato dei Direttori e Dirigenti Penitenziari)

 

A tutti i Direttori e Dirigenti Penitenziari in servizio presso gli Istituti Penitenziari, gli Ospedali Psichiatrici, gli Uffici dell’Esecuzione Penale Esterna, presso le Scuole di Formazione, il Centro Studi Altavista, i Provveditorati Regionali, gli Uffici Centrali del Dap

 

Linee di indirizzo per i detenuti provenienti dalla libertà: regole di accoglienza

 

Care colleghe e colleghi, aderendo alle vostre legittime perplessità in ordine al metodo con il quale il Dipartimento dell’Amm.ne Penitenziaria ha la convinzione di affrontare e risolvere la delicatissima problematica dell’accoglienza (noi aggiungiamo anche della "permanenza") all’interno delle strutture carcerarie, delle persone detenute giunte dalla libertà (ma le questioni da trattare non sarebbero dissimili pure per quelle che provengano da altri istituti...), emanando disposizioni che pare non tengano realmente conto delle difficoltà quotidiane all’interno delle quali tutti noi ci dibattiamo, in assenza ormai permanente di risorse umane ed economiche, senza nemmeno che ancora si sia pervenuti, in alcune aree del Paese, ad una chiara definizione delle competenze e degli oneri che attengono la "medicina penitenziaria" tra Regioni e Ministero della Giustizia, in assenza di qualunque, pur modesto confronto tra l’alta dirigenza amministrativa ministeriale e quella "operativa" del territorio, finalizzata a trovare, in modo congiunto e che tenga conto, soprattutto, del dato della "realtà", la migliore delle soluzioni, concrete, nel rispetto delle norme di contabilità penitenziaria, di quelle che attengono il trattamento dei dati sensibili personali, etc., vi trasmetto la nota sindacale in allegato, tendente ad ottenere un incontro urgente sul tema.

A tal riguardo, auspichiamo che il Capo del Dap disponga l’immediato congelamento delle disposizioni che sono state emanate dalla Direzione Generale Detenuti e Trattamento, anche al fine di conoscere il parere dei Provveditori Regionali, posto che nessun richiamo ad una consultazione con quest’ultimi sembra rinvenirsi nella circolare in questione, il che induce a ritenere non perfettamente noti i dati di una realtà delle carceri ben diversa.

Questa O.S. ritiene, infatti, che non sia in genere corretto ed utile incidere con disposizioni innovative, o che comunque comportino oneri ulteriori per il personale dirigente penitenziario e per tutti gli operatori in genere, senza mettere quest’ultimi in condizione effettiva di potere realizzare quanto richiesto.

Non è il "freno" al cambiamento, anzi, è proprio il contrario, nel senso che quanti amministrano, concretamente, strutture penitenziarie, personale, etc., sanno di poterlo fare solo se si verificano le condizioni necessaria a tanto, altrimenti sarà finzione, sarà solo ipocrisia istituzionale.

In istituti penitenziari privi di funzionari dell’area pedagogica del ruolo degli Educatori, dove gli organici della polizia penitenziaria sono insufficienti, dove le risorse economiche sono inadeguate (basterebbe pensare che in molti istituti non si riescono ad assicurare le manutenzioni ordinarie per gli impianti antincendio, per i sistemi di apertura e chiusura degli accessi meccanizzati, per gli impianti elettrici, etc.), dove occorre patire per trovare infermieri professionali convenzionati, dove non si riescono a programmare periodici acquisti per la periodica sostituzione di attrezzature per le cucine, dove non riesce ad acquistare il materiale necessario per le tinteggiature periodiche delle stanze detentive, o dove non si hanno le risorse per lo smaltimento di vecchi materassi, sembra quasi uno sberleffo quanto non di rado ci viene enunciato.

Ai colleghi che lo vorranno, prego di inviare al sindacato le loro osservazioni su tutte macroscopiche contraddizioni che segnano, da tempo, la nostra realtà; esse si aggiungeranno a quelle che, in questi mesi, stiamo già raccogliendo, onde pubblicare un Libro Bianco sul sistema penitenziario italiano, talché esso possa essere messo a disposizione di quanti, invece d’immaginare la costituzione di nuove "Autorithy" (leggasi il Garante dei diritti dei detenuti...), che altro non farebbero che "ripetere" ciò che noi da sempre andiamo denunciando alla stessa amm.ne penitenziaria, alle autorità giudiziarie, alle autorità politiche ed a coloro che, con animo attento, si interessano di questioni penitenziarie, concentrino invece la propria attenzione sulle norme che già esistono e che, invece, non sono attuate da anni, pur essendo continuamente invocate dai Direttori Penitenziari d’Istituto, di Uepe, di Opg.

Capire se una norma sia attuata o meno è molto semplice: basta vedere, nelle pieghe del bilancio dello Stato e nella programmazione della spesa del Dap, dei Prap e degli istituti penitenziari, se sia stata o meno finanziata, sostenuta economicamente; se la cifra è zero, sono soltanto tutte chiacchiere e mediocre ideologia. Buone ferie per chi le farà.

 

Il Segretario Nazionale, dr. Enrico Sbriglia

 

Polizia Penitenziaria negli Uepe: Anfu; servono i Commissariati

 

Blog di Solidarietà, 4 agosto 2007

 

Parla l’Associazione nazionale dei Funzionari della Polizia Penitenziaria: "L’istituzione di articolazioni autonome a cui poter affidare la responsabilità di tali organi, eviterebbe sterili diatribe fra diverse figure professionali".

"Appare lodevole l’iniziativa del Ministro della Giustizia Clemente Mastella, di concerto con il Ministero dell’Interno, di far trasmigrare le competenze sui controlli di polizia dei soggetti in esecuzione penale esterna ai penitenziari da altri Corpi di Polizia alla Polizia penitenziaria". A dichiararlo è Mariano Salvatore, segretario nazionale dell’Anfu, l’Associazione nazionale dei Funzionari della Polizia Penitenziaria. Per Salvatore, "ciò oltre a rappresentare la giusta attribuzione di compiti all’organo appropriato, consentirebbe il recupero di unità alla Polizia di Stato ed all’Arma dei Carabinieri permettendo una migliore razionalizzazione delle risorse umane fra tutti i Corpi di Polizia". Tuttavia, per l’Anfu, "la proposta organizzativa non appare per nulla aderente a quanto inizialmente annunciato dal Ministro della Giustizia che ha sempre asserito di voler dar vita, in funzione di ciò, a commissariati di polizia penitenziaria".

"L’istituzione di articolazioni autonome della polizia penitenziaria - afferma - oggi finalmente dotata di personale direttivo del Corpo a cui poter affidare la responsabilità di detti organi, eviterebbe superflue e sterili diatribe fra diverse figure professionali operanti nell’amministrazione penitenziaria, eluderebbe sovrapposizioni di competenze e renderebbe giustizia ai commissari della polizia penitenziaria, ad oggi formalmente privati delle funzioni direttive cui sarebbero demandati ad adempiere".

"L’auspicio - conclude - e che ciò si realizzi e che le sedi delle istituenti articolazioni possano essere individuate nei Tribunali di Sorveglianza con dipendenza funzionale del personale di detti uffici, dai magistrati di sorveglianza (come peraltro avviene nel procedimento penale con le sezioni di polizia giudiziaria) attraverso la costituzione di nuclei che oltre ai controlli sull’esecuzione penale esterna possano rappresentare una vera e propria polizia dell’esecuzione penale sia intra che extra muraria".

Roma: un truffatore condannato "per errore" a 30 anni

 

Ansa, 4 agosto 2007

 

Un calcolo errato nel cumulo di pena, e per Gennaro Rinaldi, 66 anni, calabrese, le porte del carcere romano di Rebibbia si sarebbero dovute aprire definitivamente nel 2029, all’età di 88 anni. Ma il calcolo fatto dalla procura generale di Roma, che nel 1999 aveva fissato in 30 anni il periodo di detenzione complessiva da scontare, è stato adesso corretto dal pm Giuseppe Saieva, il rappresentante della procura che per ultima aveva avuto a che fare con l’uomo. Gennaro Rinaldi potrà così lasciare il carcere di Rebibbia il prossimo 14 febbraio, giorno di San Valentino, chiudendo il suo conto con la giustizia iniziato nel 1974 e durato più di venti anni. Fino al 1995 è stato più volte processato e condannato.

Secondo varie procure italiane, Rinaldi era solito ricettare assegni rubati tra Roma, Paola, Firenze, Montepulciano, Ferrara e Arezzo. Ben 47 le condanne per ricettazione, truffa e falso; complessivamente 43 gli anni di reclusione a lui inflitti. Se non fosse stato per il pm Saieva, il "fine pena" dell’uomo, per un calcolo errato, sarebbe stato il 19 novembre 2029.

Quando lo scorso anno, infatti, è passata in giudicato un’altra sentenza, il pubblico ministero ha rifatto i calcoli e applicato con precisione quanto previsto dall’art. 78 del codice penale secondo cui, in caso di concorso di reati, la pena da scontare non può essere superiore al quintuplo della più grave tra quelle inflitte, né comunque essere superiore ai 30 anni di reclusione.

Ricalcolando la carcerazione scontata, applicato l’indulto, e rivalutato il quintuplo della pena più grave inflitta e i periodi di sconto per buona condotta maturati negli anni, si è arrivati al giorno di San Valentino come data della scarcerazione "per fine pena". Da non tralasciare comunque il fatto che, se Rinaldi manterrà un comportamento da "detenuto modello" per i prossimi mesi, potrebbe addirittura tornare in libertà già a novembre di quest’anno.

Pordenone: rinviata decisione su costruzione nuovo carcere

 

Il Gazzettino, 4 agosto 2007

 

"L’intervento di ristrutturazione dell’ex caserma dell’esercito di San Vito per ora è da considerarsi rinviato". Questo il verdetto del ministero della Giustizia che sgonfia in due parole un "caso" che ha fatto montare come la panna la polemica e la contesa tra i Comuni di Pordenone, che si è visto sottrarre la destinazione del nuovo carcere, quello di San Vito che si era candidato ad ospitarlo, e la Provincia, che si era offerta di anticipare i soldi al posto del governo. Inoltre, come si evidenzia nel verbale della Commissione giustizia della camera dei deputati, che ha risposto con il carattere dell’urgenza all’interrogazione sul futuro del carcere inoltrata dall’on. di An Manlio Contento, il quale da tempo si batte per la sua realizzazione, sarebbero emerse perplessità anche sull’opportunità di trasferire l’istituto di pena nella caserma Dall’Armi di San Vito.

"Debbo aggiungere - ha detto infatti il presidente della commissione giustizia - che nel frattempo la Provincia di Pordenone ha prospettato varie difficoltà, soprattutto il disagio per i familiari e gli avvocati dei detenuti eventualmente costretti a raggiungere una struttura ubicata a circa 20 chilometri da Pordenone". E anche che "il Comune di San Vito ha formalmente comunicato al ministero che l’immobile in questione rientrerebbe tra quelli in oggetto di trasferimento alla Regione Friuli. Occorre quindi riconsiderare l’intera situazione - ha sottolineato - sia risolvendo con opportune intese le difficoltà evidenziate dalla Provincia di Pordenone e dal Comune di San Vito, sia prospettando l’esigenza di più adeguati stanziamenti idonei alla ristrutturazione dell’ex caserma o addirittura ad una costruzione ex novo". Punto a capo.

Insomma si ritorna indietro nel tempo, a quando alla fine degli anni 90 si era scatenata la contesa per la sede del carcere tra San Vito e Pordenone. Nel 2000, nonostante la contrarietà di avvocati, magistrati e sanvitesi, la sede di San Vito viene finanziata. Ma nel 2001, con il cambio del governo la partita si riapre e nel 2002 la bilancia pende nuovamente verso Pordenone, che individua in tempi record una luogo in Comina, adatto alla sua collocazione. Vengono stanziati 32 milioni e nel 2004 si avvia la gara per l’affidamento in leasing dei lavori. Ma la procedura del leasing proposta dal ministro Castelli viene bocciata dalla Commissione europea e la questione finisce nelle sabbie mobili.

"Il fallimento dell’impresa non è imputabile a Ballaman e a me - precisa Contento rispondendo alle accuse dei Ds cittadini -. Ricordo che i 32 milioni stanziati dal centrodestra sono stati distratti dal governo di centrosinistra, Ds compresi, il quale li ha destinati a Benevento, patria di Mastella. Inoltre la gara d’appalto è stata bloccata per irregolarità dalla Commissione europea, non certo da me". E mentre l’annoso ping-pong politico prosegue (del problema si parla sin dal 1982: è oggetto di un’interrogazione al ministero inoltrata dall’allora parlamentare comunista, Giovanni Migliorini), al carcere del Castello le condizioni dei detenuti restano invivibili.

Droghe: Radicali; anche Ferrero gioca allo "scaricabarile"

 

Agenzia Radicale, 4 agosto 2007

 

"Credevamo che almeno il ministro Ferrero non partecipasse allo sport nazionale dello scaricabile; ci sbagliavamo", dichiarano Bruno Mellano (deputato radicale della Rosa nel pugno) e Giulio Manfredi (Direzione Nazionale Radicali Italiani) dopo aver letto dichiarazioni del ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, che escludono categoricamente qualsiasi competenza del ministro stesso in materia di assistenza sanitaria dei detenuti tossicodipendenti.

"Andiamo per ordine - spiegano i due radicali -: ai sensi dell’art. 131 del Dpr 309/90 (Testo Unico sugli stupefacenti), il ministro per la Solidarietà sociale è tenuto a presentare annualmente, entro il 30 giugno, una relazione al Parlamento sui dati relativi allo stato delle tossicodipendenze in Italia. L’anno scorso il ministro Ferrero presentò la sua prima relazione, noi la leggemmo e presentammo a nostra volta una corposa interpellanza su quindici criticità, che attende ancora una risposta".

Anche quest’anno i parlamentari hanno rivolto un’interpellanza a Ferrero visto che i dati sono contenuti nella Relazione presentata dal ministro alla stampa lo scorso 11 luglio, precisamente a pag. 177 ("Assistenza ai tossicodipendenti in carcere") e alle tabelle allegate alla Relazione, fornite dal ministero di Giustizia ma che costituiscono parte integrante della Relazione del ministro della Solidarietà sociale.

"Quando fu istituito il ministero della Solidarietà sociale - aggiungono Mellano e Manfredi -, furono ad esso trasferiti "con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, … i compiti in materia di politiche antidroga attribuiti alla Presidenza del Consiglio dei ministri".

Il ministro per la Solidarietà sociale disciplina con proprio decreto l’Osservatorio permanente che verifica l’andamento del fenomeno della tossicodipendenza.

L’Osservatorio acquisisce periodicamente e sistematicamente dati "… b) sulla dislocazione e sul funzionamento dei servizi pubblici e privati operanti nel settore delle prevenzione, cura e riabilitazione, nonché sulle iniziative tendenti al recupero sociale ivi compresi i servizi attivati negli istituti di prevenzione e pena … sui tipi di trattamento praticati e sui risultati conseguiti, in particolare per quanto riguarda la somministrazione di metadone, nei servizi di cui alla lettera b), sulla epidemiologia delle patologie correlate … (art. 1, commi 7 e 8, del DPR 309/90)".

"Comprendiamo la difficoltà di Ferrero di tener testa a tutto - concludono i due Radicali -, dalla questione delle pensioni al problema del metadone nelle carceri; non lo bocciamo, dunque, ma lo rimandiamo a settembre in Parlamento, per una risposta vera alle questioni vere da noi poste".

Droghe: Cassazione: passare spinello non giustifica l’arresto

 

Notiziario Aduc, 4 agosto 2007

 

Passarsi lo spinello o coltivare qualche piantina di cannabis indiano non sono fatti così gravi da giustificare un arresto in flagranza. A dirlo è la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 31968 di ieri, ha respinto il ricorso della Procura generale del Tribunale dei minorenni di Sassari presentato contro la decisione del Gip della città sarda che non aveva convalidato l’arresto di un giovane sorpreso a coltivare alcune piantine di cannabis.

Secondo il Gip, opera in questi casi, l’attenuante per cui l’arresto in flagranza non può essere confermato. Questo caso ha offerto ai giudici del "Palazzaccio" l’occasione per elencare una serie di "fatti di lieve entità" per i quali va concessa tale attenuante.

"Sono da ritenersi - ha precisato la VI Sezione Penale - fatti di lieve entità la cessione gratuita o la detenzione di qualche dose per uso di gruppo, l’offerta dello spinello tra fumatori di hashish, la coltivazione di qualche pianta di cannabis indiana, l’esportazione, la vendita, la distribuzione e la cessione di modico quantitativo di stupefacente a condizione che non siano effettuati con professionalità, organizzazione di mezzi anche rudimentali, o continuità".

È una sentenza "innovativa, una nuova spallata alle politiche proibizioniste". È questo il commento di Paola Balducci (Verdi). "La sentenza della Cassazione aggiunge Balducci dimostra ancora una volta che spesso la magistratura sa stare in sintonia con la società, magari anche più della politica". La deputata dei Verdi sottolinea "che il non luogo a procedere per l’irrilevanza del fatto, principio del codice penale dei minori richiamato nella sentenza, dovrebbe essere applicato anche nei processi a carico dei maggiorenni". Da qui una apposita proposta di legge che Balducci annuncia di presentare alla ripresa dei lavori della Camera "perché l’introduzione di questo istituto, oltre che giusta, darebbe un grande aiuto allo sfoltimento dei processi.

Droghe: Milano; unità cinofile davanti alle discoteche

 

Notiziario Aduc, 4 agosto 2007

 

Manifesti anti-droga nelle cento discoteche milanesi, postazioni fuori dai maggiori locali d’intrattenimento in cui verrà distribuito materiale informativo sulle conseguenze dell’uso di sostanze stupefacenti, utilizzo di unità cinofile per controlli sia all’entrata sia all’uscita dei locali, test antialcol e antidroga per chi rimarrà coinvolto in un incidente stradale.

Sono solo alcune delle carte con cui il Comune di Milano intende vincere la partita contro l’abuso di alcol e droghe. Una vera e propria campagna dal titolo "Dico no alla droga e all’alcol" che vede alleati l’amministrazione comunale, la Polizia locale ed il Silb (Sindacato dei gestori dei locali dal ballo). Si comincerà subito con l’affissione dei manifesti.

"Su di uno", spiega l’assessore alla salute, Carla De Albertis, "viene riportata un’informativa - realizzata in collaborazione con il Centro Antiveleni dell’ospedale Niguarda, sui danni causati dalle cinque droghe più diffuse (cannabis, cocaina, eroina, ecstasy, anfetamine) - sull’altro l’immagine di un cervello che si disgrega e lo slogan "Non ridurre i tuoi sogni in polvere". Da ottobre, invece, partiranno i presidi dell’onlus "Amici della vita" fuori dai locali e l’impiego delle unità cinofile. Nelle previsioni anche un’opera di sensibilizzazione sul doping, promosso da Comune di Milano in collaborazione con Bayer e Federazione Italiana Badminton, nell’ambito del progetto "I giovani e lo sport pulito".

Droghe: Arabia Saudita; sei uomini decapitati per traffico

 

Notiziario Aduc, 4 agosto 2007

 

Cinque pachistani e un nigeriano, condannati a morte per traffico di droga e rapina a mano armata, sono stati decapitati ieri in Arabia Saudita, ciò che porta alla cifra record di 117 le esecuzioni nel Paese dall’inizio dell’anno.

Un comunicato del ministero dell’Interno, diffuso dall’ agenzia ufficiale Spa, precisa che due pachistani sono stati messi a morte, uno a Riad e l’altro a Gedda, perché condannati per traffico di droga; gli altri tre pachistani, invece, decapitati nella capitale, erano stati riconosciuti colpevoli di aver formato una banda specializzata in rapine, soprattutto a tassisti, Nella provincia di Gedda, invece, è stato messo a morte il nigeriano, condannato per traffico di cocaina, che nascondeva nello stomaco.

Il numero di esecuzioni di quest’anno ha già superato la cifra record di 113 registrata nel 2000 in Arabia Saudita. Le esecuzioni, mediante decapitazione con sciabola, avvengono in genere in pubblico. I reati per i quali viene inflitta la pena capitale comprendono omicidio, stupro, rapina, traffico di droga, adulterio, omosessualità e apostasia.

 

 

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