Rassegna stampa 24 agosto

 

Giustizia: Prodi; su indulto Parlamento non è stato tempestivo

 

La Stampa, 24 agosto 2007

 

Il presidente del Consiglio dei Ministri Romano Prodi oggi ha dichiarato: "In politica la scelta dell’opportunità è vitale! Poche cose lo fanno capire come le reazioni all’indulto... stamattina ho letto e ho risposto all’ennesima lettera che riguarda la questione-indulto. La gente continua a protestare, a dispetto dei dati sulle recidive. Mi colpisce un fatto: due anni e mezzo fa, Papa Giovanni Paolo II con tutto il Parlamento in piedi, chiese indulto e amnistia. Se si fosse deliberato subito dopo, il provvedimento sarebbe stato accolto con emozione e plauso generalizzato. E invece un anno e mezzo dopo...".

E invece è andata diversamente, molto diversamente, col governo che si è fatto "carico" di un provvedimento votato in Parlamento anche da una parte dell’opposizione. "Certo - annuisce Prodi - questo è un aspetto paradossale, ma quel che mi colpisce è anche un altro aspetto: chiunque fosse intervenuto subito dopo il discorso del Papa non avrebbe subito un danno politico, ma il "nostro" Parlamento lo ha fatto un anno e mezzo dopo - e ha fatto soltanto l’indulto - e si è visto come è andata. Cosa vuol dire il timing...".

Giustizia: Prodi; contro gli incendiari dobbiamo essere severissimi 

 

Il Cittadino, 24 agosto 2007

 

"Le pene ci sono, dobbiamo essere severissimi nell’applicarle". Dopo un’altra giornata infuocata sul fronte incendi, il presidente del Consiglio, Romano Prodi, chiede il pugno di ferro contro i piromani. Che, finora, quando beccati dalle forze dell’ordine, non hanno quasi mai conosciuto il carcere. Nonostante il codice preveda pene fino a 15 anni."

Mercoledì 22 agosto - dice Prodi - è stata una giornata complicata, penosa, difficile" e tutti questi incendi "diventa impossibile pensare che siano dovuti a fatalità. Il dolo esce sempre, come mi riferiscono le autorità. Non è pensabile che ci siano persone che incendiano i boschi. Le pene ci sono, dobbiamo essere severissimi nell’applicarle e implacabili".

Ed un grido di dolore arriva anche dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che segnala "la necessità di una mobilitazione permanente e di ogni risorsa disponibile per scongiurare e contrastare con la massima energia il ripetersi di simili tragedie".Sulla stessa linea di Prodi il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, che, esprimendo cordoglio per le vittime di ieri in Sicilia, auspica che ci sia "il massimo impegno per individuare e punire i responsabili con assoluto rigore".

Il Guardasigilli ricorda anche che, se in passato il problema era probabilmente sottovalutato, "oggi il fenomeno ha una soglia di sensibilità sociale molto elevata. Credo che la punibilità sia tale che non consenta di uscire dal carcere abbastanza velocemente". Ma chi sono gli incendiari? Per il ministro "siamo in presenza di fatti legati a volte a processi di natura criminale; sono attività che vengono svolte per conto di terzi; si tratta a volte di forestali che appiccano il fuoco perché ritengono che così sono garantiti nel posto di lavoro".

Anche il ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, invoca "tolleranza zero" ed una risposta immediata contro questi criminali incendiari. I crimini ambientali, infatti, producono danni sociali, economici e al territorio gravissimi, per questo è importante che il Parlamento approvi subito il Ddl sugli ecoreati".

Mentre il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, fa notare che "purtroppo i piromani appiccano il fuoco sapendo che le fiamme possono minacciare i centri abitati". E sulle accuse di mancato coordinamento degli interventi, spiega che "un problema nel coordinamento c’é sempre. Il coordinamento lo fanno gli uomini e non le leggi".E scoppia anche la polemica politica per le mancate condanne degli incendiari, oltre che sulla tempestività dei soccorsi. "Perché - chiede Maurizio Gasparri (Alleanza nazionale) - i piromani che devastano i boschi italiani non vengono individuati e condannati nel giro di poche ore come è accaduto a chi, in modo criminale, ha tagliato gli ormeggi del panfilo con Mastella a bordo?".

Gaetano Fasolino (Forza Italia) parla di "mancato coordinamento dei soccorsi, praticamente incentrati sul fai da te" e chiede di "pubblicare subito l’elenco dei piromani condannati negli ultimi venti anni in Italia, a fronte dei denunciati assolti e degli incendi mai pervenuti a dibattimento". Il suo collega di partito, Pippo Fallica, auspica una commissione d’inchiesta per determinare le responsabilità.

Sempre sul piano delle proposte, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Enzo Bianco, è per una "modifica radicale della legislazione" che consenta "l’arresto immediato" per i piromani. Tommaso Pellegrino (Verdi) propone il rito direttissimo, "così da favorire pene veloci ed esemplari".Da parte sua, il presidente dell’Anm, Giuseppe Gennaro, difende le toghe. "Le pene severe per i piromani - osserva - servono a poco se non riusciamo a controllare il territorio: possono essere anche draconiane, ma se non si fa prevenzione, noi magistrati non sappiamo a chi applicarle".

Giustizia: Mastella; ma le leggi per fermare i piromani ci sono già

 

La Repubblica, 24 agosto 2007

 

"I piromani sono come i terroristi: impossibile prevedere dove appiccano gii incendi i primi, e dove mettono le bombe i secondi". Clemente Mastella, ministro della Giustizia, ha dovuto affrontare, ieri, da sindaco di Ceppaloni, anche un’emergenza per un incendio divampato nel bosco che fa ad cornice al suo paese natale.

 

Ministro Mastella, il capo del dipartimento della Protezione Civile, Guido Bertolaso, ieri su Repubblica ha chiamato in causa l’amministrazione della giustizia, accusandola di non arrestare gli "incendiari", ma di limitarsi a identificarli e denunciarli.

"Le leggi per punire i piromani ci sono, prevedono pene pesanti, da 4 a 10 anni, e fino a 11 se ci sono le aggravanti".

 

E allora perché Bertolaso accusa i giudici di avere la mano leggera con chi appicca gli incendi?

"Quel che è mancata in Italia è una forma di sensibilità sociale che oggi, dopo quello che è successo, è stata recuperata e potrebbe ora portare a un atteggiamento meno indulgente da parte dei magistrati. Ma le polemiche politiche strumentali di Gasparri e le critiche isteriche del mio amico Bertolaso fatte il giorno dopo sono inutili".

 

E allora con chi dovrebbe prendersela Bertolaso?

"Bertolaso ogni giorno se la prende con qualcuno cercando di colpevolizzare gli altri. E invece la responsabilità è collettiva. Occorre un richiamo generale alla responsabilità".

 

Come?

"Mi immagino all’inizio di ogni estate una riunione con sindaci, Protezione civile e Forestale per organizzare un lavoro comune".

 

E perché allora non l’avete fatta questa riunione all’inizio di questa estate?

"Alla luce di quello che è successo, questo è quello che andrebbe fatto secondo me. E ci vuole pure un’azione preventiva da inserire nel pacchetto criminalità, visto che in molti casi i mandanti dei piromani sono le organizzazioni mafiose interessate a speculazioni edilizie".

 

Ma bastano alcune riunioni per prevenire il fenomeno degli incendi?

"La prevenzione consente di ridurli. Eliminarli è difficile se non impossibile perché gli incendiari sono come i terroristi. Colpiscono all’improvviso e ovunque. E poi ci sono gli incèndi non dolosi, come quello divampato nel mio paese, provocato da una sigaretta. O quello di chi ha la sindrome di Nerone, come quel ragazzo di 17 anni che ha appiccato il fuoco perché voleva divertirsi".

 

A Latina, però, un piromane sorpreso con la miccia in mano era stato fermato mezza giornata e rilasciato, proprio come dice Bertolaso. È stato arrestato in un secondo tempo dopo polemiche. Secondo alcune indiscrezioni, l’ispezione ministeriale avrebbe accertato "leggerezze" da parte di un Pm.

"Su questa vicenda non posso parlare, ci sono gli accertamenti ministeriali in corso. La relazione ispettiva arriverà fra qualche settimana".

 

Le critiche all’operato del governo arrivano anche dall’opposizione: per Maurizio Gasparri, di An, i piromani vanno processati con giudizi lampo come quello che ha condannato l’uomo che a Lipari ha tagliato gli ormeggi dello yacht su quale si trovava.

"Ogni giorno Gasparri se ne inventa una con un’inutile e deprimente cattiveria politica, come se le leggi oggi in vigore fossero state fatte da noi e non da chi ha governato prima".

 

Come Guardasigilli non può entrare nel merito dell’attività dei magistrati. Ma se potesse rivolgere loro un appello su come comportarsi di fronte all’emergenza incendi, quale sarebbe la sua indicazione?

"I piromani sono assassini perché violentano la natura e ammazzano persone. Per questo vanno trattati senza nessun riguardo. Ai magistrati direi: siate solerti, ferali e forti e intervenite con severità laddove ci siano indizi e prove".

Giustizia: Lipari, i casi in cui la legge è veloce… ed iniqua

di Maurizio Turco (deputato radicale della Rosa nel pugno)

 

Liberazione, 24 agosto 2007

 

È inevitabile che la rapidità con la quale è stato giudicato un giovane che ha tagliato le cime ad uno yacht ormeggiato a Lipari, in cui era ospite il Ministro Mastella, susciti qualche perplessità, non tanto per il sospetto di un intervento del Ministro a cui non crediamo, quanto perché la "giustizia" nel nostro paese ha tutt’altro volto.

L’indipendenza dei magistrati, tempi rapidi per il giudizio e certezza della pena sono caratteristiche essenziali e caratterizzanti di una giustizia giusta. Se l’indipendenza dei magistrati, in ragione dell’organizzazione del sistema, è a nostro avviso discutibile, sui tempi della giustizia e la certezza della pena basta rifarsi ai dati oggettivi.

E, i dati, non lasciano spazio a dubbi. Tant’è che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il 14 febbraio 2007, ha adottato l’ennesima risoluzione relativa al problema della durata eccessiva delle procedure giudiziarie in Italia. Nelle premesse si legge che sono "molto numerose le sentenze della Corte europea dei Diritti dell’Uomo e le decisioni del Comitato prese sin agli inizi degli anni 1980, che rivelano dei problemi strutturali in ragione della durata eccessiva delle procedure giudiziarie civili, penali e amministrative in Italia" e pertanto si ricorda "che il non funzionamento della giustizia, in ragione dell’eccessiva durate delle procedure, rappresenta un importante pericolo per il rispetto dello Stato di diritto".

La risoluzione si conclude, tra l’altro, appellandosi "alle più alte istanze italiane affinché mantengano il loro impegno politico a risolvere il problema della durata eccessiva delle procedure giudiziarie."

Ma il caso del giovane di Lipari è un caso più unico che raro e in questi rari casi in cui prevale la rapidità, che al pari della lentezza non è dunque un buon indice dello stato della giustizia, c’è sempre qualche potente di mezzo. E se non è una persona è un paese.

Per esempio, a luglio un cittadino italiano, Benedetto Cipriani, è stato estradato in fretta e furia negli Stati Uniti dove è accusato dallo Stato del Connecticut di omicidio plurimo. Cipriani è stato prelevato da casa e trasferito nel carcere di Frosinone e, il giorno dopo, è stato consegnato agli agenti dell’Fbi e imbarcato su un aereo per gli Stati Uniti. "Considererò con grande attenzione la situazione del Cipriani alla stregua di tutti gli elementi di valutazione a mia disposizione" aveva dichiarato in Aula il giorno prima il Ministro della Giustizia Clemente Mastella.

È vero che Benedetto Cipriani è accusato di un reato per cui rischia sessant’anni di reclusione ma i suoi complici, per lo stesso fatto, sono accusati di un reato capitale, destino che potrebbe toccare, almeno in linea teorica, anche al nostro concittadino. Non è in discussione il principio sacrosanto di cooperazione internazionale in materia giudiziaria, ma l’estradizione è stata decisa in ossequio al potente alleato, più che ad un atto dovuto. Tant’è che di cooperazione unilaterale si tratta. Infatti non è mai successo che gli Stati Uniti abbiano estradato un cittadino americano per reati commessi nel nostro paese o nei confronti di cittadini italiani. In certi casi l’Italia non ha neanche osato chiedere l’estradizione.

Nella vicenda del nostro Nicola Calipari, ucciso da soldati americani a un posto di blocco a Baghdad, come nel caso Abu Omar, rapito a Milano da agenti della Cia e deportato in Egitto, come pure nella strage del Cermis, dove morirono 20 persone per un incidente provocato da un aereo statunitense nei cieli italiani, l’Italia non solo non ha chiesto o ottenuto l’estradizione dei responsabili, ma spesso non ha ottenuto neanche una prova concreta di collaborazione da parte degli Stati Uniti.

Non v’è dubbio che questi due episodi non siano la norma della "giustizia" italiana. E tuttavia di quale giustizia parliamo? Bastano alcune cifre per disegnare uno scenario da farsa: dal 2000 al 2004 sono stati prescritti oltre 1 milione di processi, per non dire degli 8 milioni di processi penali e dei 3 milioni di processi civili pendenti, per non parlare delle carceri e di quell’obbrobrio che è il 41 bis. Altro che culla, questo paese è la tomba del diritto.

Giustizia: il Sindacato Infermieri penitenziari sulla riforma

 

Ristretti Orizzonti, 24 agosto 2007

 

Non possiamo ch prendere felicemente atto della decisione dell’Amapi la quale, dopo anni di danni, ha capito che il passaggio della medicina penitenziaria alle Asl non è che un giusto ritorno della medicina nel suo alveo naturale.

Siamo stati i primi e lo abbiamo detto sin dalle prime ore che il passaggio deve essere gestito insieme da chi da molteplici anni la medicina penitenziaria la gestisce e chi andrà a gestirla.

Sono anni che sosteniamo la legittima scelta di integrazione non forzata al nuovo regime organizzativo da parte di chi ne fa già parte. Riteniamo che il passaggi sancisca anche la sanatoria per quegli infermieri che da anni precariamente sono il vero fulcro della assistenza sanitaria ai detenuti.

Noi chiediamo che ancora una volta in nome della politica e non della scienza sanitaria non siano gli infermieri e i detenuti, di conseguenza, a pagare passaggi che non siano intelligenti, graduali e soprattutto finanziati. Noi su questo continueremo a batterci e ci fa piacere, nonostante la loro avversione nei nostri confronti che l’Amapi abbia finalmente capito quale possa essere l’unica soluzione per tornare a parlare seriamente di medicina penitenziaria seria come lo era tempo fa.

Benvenuti e se volete noi siamo disponibilissimi a fare la battaglia insieme per riportare la salute del detenuto al centro della nostra professionalità e delle nostre azioni. Buon lavoro a tutti.

 

Marco Poggi, Segretario Nazionale del SAI

Sicilia: il Garante Salvo Fleres; più attenzione per le carceri

 

La Sicilia, 24 agosto 2007

 

L’on. Salvo Fleres, nella qualità di Garante per i diritti fondamentali dei detenuti della Regione Sicilia, interviene nel dibattito sulla situazione carceraria criticando lo "scaricabarile" delle responsabilità e mettendo in guardia da "polemiche fondate sul qualunquismo e sull’ignoranza dei fatti dopo i recenti eventi criminali, legati alla scarcerazione di alcuni detenuti".

L’attenzione dello Stato verso il cosiddetto "pianeta carcere" - sostiene Fleres - è prossima allo zero, e rileva che "quando l’organico degli operatori sociali, degli psicologi penitenziari e dei magistrati di sorveglianza presenta rapporti di 1 a 300 ed oltre, fino ad 1 a 1.000 reclusi, non ci si deve meravigliare se non sempre i provvedimenti di scarcerazione sono corretti e adeguati.

Con tutto il rispetto nei confronti del Ministro della Giustizia - aggiunge - mi fanno sorridere le sue indagini sulle cosiddette "scarcerazioni facili", perché piuttosto non si impegna ad adeguare gli organici del personale penitenziario, con particolare riferimento ad educatori, assistenti sociali, psicologi, medici e a potenziare la magistratura di sorveglianza?".

Ragusa: eseguita autopsia su corpo detenuto nigeriano

 

La Sicilia, 24 agosto 2007

 

È stata eseguita dal medico legale Vincenzo Cilia, su disposizione del Pm Monica Monego, l’autopsia sulla salma del detenuto nigeriano deceduto a causa delle ferite riportate a seguito di una lite con un suo connazionale. La lite avvenuta domenica all’interno della struttura carceraria di contrada Pendente, sarebbe scoppiata per un futile motivo: la scelta di un programma televisivo. Secondo quanto emerso dall’autopsia, la morte sarebbe avvenuta per collasso cardiocircolatorio a seguito delle lesioni provocate dal compagno di cella. L’uomo infatti è stato violentemente colpito con calci e pugni.

Iwala Hycimth, 37 anni, questo il nome del nigeriano è finito in carcere per spaccio di sostanze stupefacenti, Subito dopo la lite era stato trasferito al Civile di Ragusa ma l’uomo ha rifiutato il ricovero facendo ritorno in carcere dove è morto dopo una breve agonia nell’infermeria della struttura circondariale.

Nuoro: arrestato Presidente dell’Ass. Detenuti non Violenti

 

Agi, 24 agosto 2007

 

"Evelino Loi, Presidente dell’Associazione dei Detenuti non Violenti, protagonista di numerose battaglie civili per migliorare le condizioni di vita nelle carceri e per la difesa dei lavoratori precari del Comune di Barisardo, è stato coinvolto in un’operazione delle forze dell’ordine con molti aspetti oscuri su cui occorre fare chiarezza per evitare che simili episodi possano ripetersi ai danni di altri cittadini inermi".

Lo sostengono Miranda Martino, vice presidente dell’Associazione Detenuti non Violenti e la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Sdi-RnP), segretaria della Commissione Diritti Civili".

In occasione dell’arresto - come Evelino Loi ha denunciato in un esposto alla magistratura - un gruppo di carabinieri con il volto mascherato ha fatto irruzione nell’abitazione e, dopo aver sfondato la porta d’ingresso e la finestra del balcone, lo ha immobilizzato. Per effetto dello choc l’uomo è svenuto riportando lesioni per cui é stato necessario il ricovero in ospedale.

L’imponente schieramento di forze e il tipo di irruzione - sottolineano Miranda Martino e Maria Grazia Caligaris - non trovano giustificazione in relazione all’ipotesi di reato contestato e alla presunta pericolosità del soggetto. Il giudice, nel concedere gli arresti domiciliari, subito dopo la condanna di primo grado, ha ridimensionato l’episodio che aveva determinato l’arresto".

"In attesa degli accertamenti della magistratura sulle modalità dell’arresto, è opportuno - concludono Miranda Martino e Maria Grazia Caligaris - che Evelino Loi ritiri le dimissioni, immediatamente presentate, da Presidente dell’Associazione Detenuti non Violenti e recuperi la fiducia nelle istituzioni democratiche che ha sempre contraddistinto le sue lotte e che l’episodio di cui è rimasto vittima ha sensibilmente scosso".

Belluno: un "carcere a 5 stelle", ma solo per i transessuali

 

Il gazzettino, 24 agosto 2007

 

I trans nel carcere "a 5 stelle", i detenuti comuni nella "stalla". Questa è la denuncia che arriva dall’interno del carcere tramite la denuncia di un ospite, rinchiuso da un anno nella casa circondariale di Belluno, dove è arrivato dopo essere stato in altre carceri. "Il degrado visto a Baldenich non l’ho mai visto in altri" scrive in una lettera.

Nella casa circondariale bellunese negli ultimi anni è stato fatto un grosso lavoro di ristrutturazione, per un importo di circa 200mila euro, ma ha riguardato soltanto l’ala che ospita i transessuali.

Circa venti-trenta posti dotati di luce, acqua calda e televisione in camera, come prescrivevano le norme contenute nel decreto presidenziale seguito alle rivolte che investirono molte carceri italiane nel 2000, che fanno di quella parte di Baldenich un carcere "a cinque stelle". La ristrutturazione ha riguardato anche le aree destinate alla vita in comune dei detenuti, quali la mensa, la stanza per le attività ricreative, ma sempre per quanto riguarda i transessuali.

Questi, in genere stranieri (brasiliani per lo più) rappresenterebbero una tipologia di detenuto abbastanza difficile da gestire. Le cure ormonali alle quali si sottopongono, continuate anche nel periodo di detenzione in carcere, ne aumenterebbe l’aggressività. Un motivo per cui la vita in carcere prosegue su binari paralleli rispetto agli altri detenuti con i quali non vengono mai fatti incontrare.

Foggia: 80 anni da esecuzione, ricordo di Sacco e Vanzetti

 

Apcom, 24 agosto 2007

 

Davanti a un cippo funerario che segna il luogo in cui sono conservate le ceneri, sono stati ricordati oggi nel Cimitero di Torremaggiore (FG) Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, i due anarchici italiani uccisi ingiustamente sulla sedia elettrica il 23 agosto di 80 anni fa negli Stati uniti. Nella città pugliese, nel 1891, era nato Sacco, mentre Vanzetti era piemontese di Villafalletto.

Proprio nel giorno in cui in Giappone e proprio negli Usa, precisamente in Texas, il boia è tornato al lavoro, in Italia si ricorda la vicenda di questi due emigrati italiani che, nei lunghi anni della loro prigionia e dopo la loro esecuzione, sono diventati il simbolo della lotta contro la pena di morte e dei travagli vissuti dall’emigrazione italiana negli Usa. "Come per i fratelli Kennedy, non riusciamo ancora ad accettare i motivi, o l’assenza di motivi, della loro morte", ha scritto Andrea Camilleri in un articolo pubblicato oggi dal New York Times.

Nella piccola cittadina pugliese, davanti al monumento nero, si sono riunite le più diverse organizzazioni - da Nessuno tocchi Caino, alla Fondazione Carlo Tresca - per onorare la memoria di Sacco e Vanzetti. Presente anche Fernanda Sacco, nipote in linea diretta di Nicola Sacco e da anni infaticabile animatrice di molte iniziative per ricordare i due anarchici. Con l’occasione è stata anche ufficialmente fondata un’Associazione Sacco e Vanzetti con lo scopo precipuo di promuovere la lotta alla pena di morte nel mondo.

Il Quirinale, in una lettera indirizzata all’associazione Sacco e Vanzetti e da essa resa nota, ha trasmesso "l’apprezzamento" del presidente della repubblica Giorgio Napolitano per l’iniziativa che, "nel tenere viva la memoria dei due emigranti italiani, intende contribuire al movimento per l’abolizione della pena di morte, tappa fondamentale per la difesa dei diritti umani, sulla quale si è di recente registrato l’unanime consenso dell’Unione europea".

Sacco e Vanzetti furono arrestati e condannati in un processo di natura fortemente indiziaria per l’assassinio d’una guardia e d’un contabile d’un calzaturificio. Nonostante l’auto-accusa di un detenuto portoricano, Celestino Madeiros, che li scagionava da ogni addebito, il governatore del Massachusetts si rifiutò di graziarli. Il verdetto fu fortemente condizionato dal clima da caccia alle streghe contro gli anarchici che in quel momenti caratterizzava gli Stati uniti e da un evidente sentimento razzista nei confronti degli immigrati italiani.

Contro l’esecuzione di Sacco e Vanzetti si mobilitarono non solo gli italiani d’America, ma anche intellettuali in tutto il mondo, tra i quali Bertrand Russel, George Bernard Shaw e John Dos Passos. La loro vicenda, inoltre, ispirò il cinema col film di Giuliano Montaldo e la musica con ballate famose come "Ballad of Sacco and Vanzetti" della leggenda del folk americano Woodie Guthrie e "Herès to you Nicola and Bart" scritto da Ennio Morricone e cantato da Joan Baez. Solo nel 1977 il governatore del Massachusetts Michael Dukakis, poi anche candidato alla Casa bianca, riparò all’errore del suo predecessore Fuller, ammettendo l’errore giudiziario e chiedendo ufficialmente scusa.

Diritti: naturisti multati per atti osceni; "Prodi aiutaci"

 

Agi, 24 agosto 2007

 

Una vera e propria persecuzione. Perché è "un’assurdità equiparare la pratica naturista ad atti osceni in luogo pubblico". Prodi venga direttamente a visitare la spiaggia naturista. Parte al contrattacco il comitato ecologista Ecoblu, formato da ambientalisti e naturisti, dopo il blitz di ieri del Corpo Forestale dello Stato a Sabaudia che ha portato a 30 ammende di 102 euro l’una nei confronti di altrettanti naturisti.

Un’operazione che "rappresenta, per il numero delle persone coinvolte, un nuovo primato nazionale per la corrente stagione balneare". Ma le critiche dell’associazione si rivolgono, senza mezze misure, all’esecutivo: "I naturisti - afferma Ecoblu - sono stanchi di essere perseguitati per colpa di un governo che, al posto di tante inutili esternazioni estive, farebbe meglio a discutere e approvare i tanti progetti di legge tesi a regolamentare il naturismo e giacenti in Parlamento da tempo immemorabile.

Progetti - precisa il comitato - presentati su iniziativa di molti deputati della sua stessa maggioranza o anche dell’opposizione, dai Verdi, ai Democratici di Sinistra alla nuova Dc tanto per segnalarne alcuni". Un invito arriva direttamente allo stesso Presidente del Consiglio: "Al fine di far cessare una situazione che ci sta rendendo ridicoli in tutta Europa, Ecoblu invita il Presidente del Consiglio Romano Prodi a visitare, se lo ritiene con la sua scorta, nudi o vestiti, un luogo di ritrovo dei naturisti per constatare, de visu, l’assurdità di equiparare la pratica naturista ad atti osceni in luogo pubblico oppure ad atti contrari alla pubblica decenza".

La pratica naturista, se appare ancora come un tabù in Italia (ma non in tutte le località balneari), è una realtà consolidata in Europa. "In Francia - ricorda Ecoblu - fatti persecutori come quelli che avvengono tuttora in Italia, in assenza di una legge, furono oggetto negli anni ‘60 della trama di un film "Il gendarme di Saint Tropez", in cui il famoso attore De Funes fece ridere tutto il mondo. Esattamente come avviene con i ripetuti blitz su tratti di spiagge isolate del nostro Paese.

E se l’attore francese si nascondeva dietro a cespugli oppure in cima a un albero per scovare i naturisti, in Italia si è persino giunti ad utilizzare natanti e binocoli per individuare i pericolosi naturisti che avevano raggiunto con fatica zone impervie, disabitate e prive di strade per poter prendere il sole in libertà". E ancora, rivolgendosi al Presidente del Consiglio: "Prodi e il suo governo, nel corso della visita didattica, dovrebbero anche spiegarci perché il sindaco di Roma autorizza il nudismo nel suo territorio, a Capocotta, in un tratto di arenile aperto al pubblico, in mutande o meno, mentre ciò non è possibile nella zona semi deserta della "Bufalara" a Sabaudia o in altri luoghi analoghi, ove il naturismo è praticato da decenni".

Brasile: 25 detenuti bruciano vivi durante una rissa tra bande

 

Ansa, 24 agosto 2007

 

Almeno 25 detenuti sono morti a causa di un incendio sviluppatosi all’interno di una cella della prigione di Ponte Nova, nello stato di Minas Gerais, in Brasile. Il drammatico episodio si è verificato proprio pochi giorni dopo l’annuncio del Presidente Lula di un nuovo pacchetto di misure di sicurezza per un valore totale di circa tre miliardi di euro.

Il fuoco nel carcere è stato appiccato da uno dei detenuti. Secondo la ricostruzione della polizia si tratterebbe di un regolamento di conti tra detenuti appartenenti a gang differenti e in lotta fra loro. L’incendio è stato appiccato nel corso di una rivolta all’alba: alcuni reclusi sono riusciti a scappare dall’ala in cui alloggiavano per ripararsi nell’altra dove è cominciato l’attacco ai loro rivali. La polizia è riuscita ad intervenire con gas lacrimogeni e acqua ma troppo tardi per impedire la strage. Dei sopravvissuti, circa 150, nessuno è riuscito a fuggire. La prigione di Ponte Nova si trova a 120 chilometri a sudest di Belo Horizonte e come molte altre carceri brasiliane soffre di problemi molto gravi di sovraffollamento.

Nel nuovo pacchetto di misure per la sicurezza proposto da Lula è prevista anche la costruzione di 160 nuove carceri. Un provvedimento urgente più che mai dopo la tragedia di stamane a Ponte Nova.

Usa: esecuzione capitale per 44enne condannato 20 anni fa

 

Ansa, 24 agosto 2007

 

Ancora un’esecuzione negli Stati Uniti, all’indomani della numero quattrocento dall’82 portata a termine in Texas, che ha suscitato condanne e polemiche a livello internazionale, anche nelle sedi istituzionali, non ultimi da parte di Unione Europea e Consiglio d’Europa. Nella notte in Alabama è stato giustiziato mediante iniezione letale Luther Jerome Williams, 47 anni; era stato condannato a morte nell’89 per l’omicidio a scopo di rapina, perpetrato insieme a due complici, di un automobilista di passaggio scelto a casaccio, John Robert Kirk, un reduce della II Guerra Mondiale durante la quale aveva tra l’altro partecipato allo sbarco in Normandia del 1944.

Si tratta del terzo condannato messo a morte nello Stato meridionale Usa dall’inizio dell’anno, il 36mo a livello nazionale. È così salito a 38 il totale delle esecuzioni in Alabama dal ‘76, quando la pena capitale vi fu riadottata in seguito alla decisione della Corte Suprema federale di reintrodurla nell’ordinamento giuridico del Paese.

Williams aggredì la vittima per strada, e l’avrebbe trucidata prima di impadronirsi della sua vettura e del portafoglio. Arrestato, fu internato in un ospedale psichiatrico e sottoposto a test clinici, al termine dei quali fu dichiarato mentalmente capace e idoneo a essere processato. Secondo la difesa, però, le sue condizioni psichiche non sarebbero mai state valutate in maniera approfondita; per questo era stata sottoposta al governatore dello Stato, il repubblicano Bob Riley, una petizione affinché sospendesse l’applicazione della sentenza fino a ottobre, in attesa che una corte federale si pronunciasse sull’eventuale crudeltà del metodo dell’iniezione letale. Riley aveva però respinto la richiesta, definendo il condannato un assassino colpevole di un "delitto casuale e a sangue freddo ai danni di un innocente".

A sua volta la Corte Federale locale proprio ieri aveva bocciato con cinque voti a quattro un ricorso analogo, e tutte le ipotesi di appello erano ormai state esaurite invano. Inutile anche il dossier presentato dai difensori sulla vita difficile del loro assistito, che a scuola era stato giudicato ritardato rispetto ai coetanei, e che era stato arrestato ben quindici volte prima dell’uccisione di Kirk.

Williams non aveva rinunciato all’estremo pasto del condannato, peraltro quanto mai frugale: un hot dog, insalata e succo d’arancia. Fino all’ultimo si è comunque proclamato innocente. In 31 anni, i condannati giustiziati complessivamente negli Stati Uniti, lui compreso, ammontano ormai a 1.093; attualmente, nei diversi bracci della morte sono in attesa di essere eliminati circa 3.300 detenuti. Le esecuzioni sono previste in 38 Stati differenti, ma il macabro primato è texano: stando a fonti della locale Coalizione per l’Abolizione della Pena di Morte, oltre il quadruplo di qualunque altro; due terzi del totale solo con riguardo al 2007.

Usa: la vicenda di "Mister Carlo Parlanti, Italian, 011164"

 

News Italia Press, 24 agosto 2007

 

Mentre in Italia infuriano da sempre le polemiche sulle scarcerazioni troppo facile vi sono nel mondo anche casi opposti. Forse lo è quello di Carlo Parlanti, italiano detenuto negli Usa nel carcere di Avenal, in California.

Ci sono infatti posti dove forse il Signore, al momento della creazione, non sapeva proprio cosa metterci e così ha lasciato dimenticato uno spazio vuoto, desolato. Gli uomini allora ci hanno inventato un carcere ed intorno è cresciuto un paese. Così è nato Avenal, California, ma non è quella dei film.

Davvero non so se i 15.060 abitanti indicati dal cartello verde che a un certo punto nel nulla segnala l’inizio della città lungo l’interminabile rettilineo della strada statale sia corretto, e se soprattutto inserisca nel numero i circa 8000 detenuti del carcere statale, almeno il 50% in soprannumero sui posti disponibili. Avenal vive del suo penitenziario, ma perfino gli onnipresenti uccellacci neri che ogni tanto volano in tondo se ne tengono prudentemente lontani.

Gli americani hanno fatto le cose perbene, tecnicamente perfette: tre barriere di rete fitta e filo spinato (quella interna è ad alta tensione), le torri che segnano il perimetro e ricordano tanto lo stile di quelle polacche, quando il sole lontano tramontava su Auschwitz. Ma qui invece la luce è abbagliante, torrida e illumina il grande pentangono del perimetro dove dentro vivono migliaia di persone a 41° all’ombra, con in giro sorveglianti che dalla faccia sembrano aver già visto di tutto e sopportato di più.

Gente spiccia, dura, con una batteria di attrezzi alla cintura che fanno tanto yankee ma anche disciplina. A te che entri in visita chiedono di toglierti e depositare tutto: orologio, chiavi, passaporto, scarpe, ogni vestito che abbia una tinta blu, macchine fotografiche (ovvio), ma anche penne e fogli di carta. Anche il console italiano a San Francisco che mi accompagna, Roberto Falaschi, viene attentamente perquisito.

La tessera da deputato e il foglio con i timbri con il permesso di accesso viene guardato con malcelato disprezzo "Ma che ci vieni mai a perder tempo qui?" ti dicono occhi silenziosi. Solo allora tu alzi lo sguardo verso le celle, grandi box di cemento praticamente senza finestre.

Ad oggi i detenuti sono circa 8000, quasi il doppio del previsto, e le celle sono ciascuna per 400 (quattrocento!) persone. Credetemi: ho visitato carceri di massima sicurezza in Italia e visto il degrado di celle in Rwanda, in Egitto, in Bielorussia, ma in qualche modo - paiono quasi umane - anche se tragiche - perché qui è soprattutto il numero e la folla dei detenuti ad angosciare. Eppure sei solo in un carcere a livello "due", l’intermedio, non certo (ancora) nel braccio della morte.

Controlli, foto, verifiche, raggi x ed entri nel perimetro, ma per farlo passi tanti altri cancelli elettrici comandati a distanza e che si aprono in sequenza, mentre ti scrutano dall’alto. Alla fine ecco il grande parlatorio: un salone stipato di coppie, dove la metà sono principi azzurri. Tutti in blu i detenuti, con le scritte gialle sul pantalone sinistro del rispettivo numero di matricola. Per questo gli ospiti a colloquio non possono indossare il blu: sbagli non sono concessi, equivoci neppure.

Nell’alveare di una delle sale (sono almeno sette) tante file di tavolini bassi (li hanno abbassati - dicono - perché prima sotto si facevano nascosti "atti impuri" ). Ciascuno tavolo con due sedie, un numero - manco fossimo in un bar per le ordinazioni - e tutto comunque rigorosamente rivolto verso la cattedra sopraelevata dei sorveglianti. Sullo sfondo macchine distribuiscono caffè, bibite e tutto quel campionario di fritti e patatine in busta che fanno la gioia di chi le mangia al ritmo di vitelli all’ingrasso, ma sono la dannazione dei dietologi americani.

Adesso capisci perché ti hanno permesso di portare - solo se visibili in un sacchetto di cellophane - fino a trenta dollari, ma in moneta o in tagli da uno: servono per far funzionare le macchinette-dispensa sul fondo della sala. Chi sta dentro aspetta il sabato anche solo per mangiare queste cose, visto che i colloqui per i detenuti sono il grande evento della settimana, prenotato a volte da mesi.

Il "nostro" carcerato non arriva ed allora ti guardi attorno: qualche vecchietto incanutito, un paio di detenuti sulla sedia a rotelle, molti i ragazzi robusti, pochi i detenuti di colore e ancor meno le ragazze carine in visita: trionfa la mezza età. Qualche bambino corre tra i tavoli, ma è bruscamente richiamato da una sorvegliante, allora si ferma e piange.

Passa più di mezz’ora e finalmente spunta il "nostro". Ecco Carlo Parlanti, 43 anni di Montecatini, operatore informatico ed ex dipendente di una multinazionale, dentro ormai da più di tre anni per stupro.

Lui proclama la sua innocenza e se scorri gli atti processuali pensi che in Italia un qualsiasi neolaureato in giurisprudenza ne avrebbe probabilmente ottenuto l’assoluzione e che un qualche "tribunale del riesame" forse lo avrebbe rispedito a casa in un lampo. Non siamo giudici, non spetta a noi decidere, ma l’obbligo è di raccontare.

Luglio 2002: Parlanti lascia la sua amica e dopo un po’ di anni in America torna in Europa, da dove gira il mondo facendo il suo lavoro. Le cose gli girano benone, ma due anni dopo - di passaggio all’aeroporto di Dusseldorf venendo dall’Irlanda - un doganiere tedesco deve avergli detto " Warten Sie, bitte!". Bloccato, scopre che su di lui da 20 mesi pende un mandato di arresto internazionale su istanza dell’ex fidanzata che sostiene di essere stata violentata e quindi i tedeschi lo schiaffano dentro. Dentro e basta: nessuna possibilità di telefonare, chiedere del consolato italiano, avvisare la famiglia. Intorno si parla solo tedesco: i suoi diritti? E chi mai li conosce? In Italia diventano matti perché non lo trovano più, poi - scoperto - inizia un lungo braccio di ferro per estradarlo, ma la Magistratura di Milano alza le spalle: "Da noi non ha precedenti e non ha fatto alcun reato, se la vedano tedeschi ed americani". Ricordate Alberto Sordi in "Detenuto in attesa di giudizio"?

Solo che questo non è un film e serve poco la comune cittadinanza europea: undici mesi e poi l’imbarco per gli USA, ammanettato. Arriva e passa alla prima tappa, il carcere di Ventura, e poi in quello terribile di Wasco, dove si "ammorbidiscono" i prigionieri. Nessuna ora d’aria, pila in faccia a tutte le ore della notte e alla fine una proposta semplice semplice: "Dichiarati colpevole anche di uno solo dei reati, qualche mese e sei fuori; per Natale stai già in Italia, ok?" È il metodo usato quasi per tutti, tanto che pare come il 96% dei processi in California finisca così. Giudice e pubblico ministero (che sono cariche elettive popolari) possono così citare con orgoglio le loro statistiche "Abbiamo preso il 96% di rei confessi, il sistema funziona!"

"Per niente, io non ho violentato nessuno" prova a sostenere Parlanti. Il processo è duro, controverso, le prove sembrano vacillare, la presunta vittima cade in vistose contraddizioni ma alla fine la giuria popolare le crede. Sembra che il PM abbia sostenuto che in Italia Carlo avesse già subito condanne per reati sessuali. Almeno questa è una infamia ed una grossolana bugia, la sua fedina penale è intatta. "Colpevole" si esprime la giuria e arriva una condanna a nove anni di carcere, buttando via la chiave.

Da tre anni Carlo Parlanti è così ad Avenal e difendersi è dura. È emerso che alcune prove sembrano davvero false, che non ci sono riscontri diretti, che la denuncia di stupro è stata presentata 21 giorni dopo i fatti e non ci sono test medici, ma intanto Carlo sta dentro e l’appello costa fiumi di denaro, che non ci sono.

È malato e glielo si legge negli occhi, prova a spiegare che cosa significhi vivere in una cella di 400 persone senza freni, cosa succede di notte quando spengono la luce, quale sia la sua dieta che al massimo si può integrare con 90 dollari al mese.

Parlanti è pure sfortunato con la logistica: Avenal dipende dal nostro consolato di San Francisco e il Console per andarlo a trovarlo ogni tanto in pieno deserto impiega più di una giornata. In compenso magistrati, avvocato e consolato competente per la causa penale sono a Los Angeles, trecento chilometri più a sud. Anche per la burocrazia italiana Parlanti è una specie di apolide. Lui poi non è un detenuto "politico" e per lui non si è interessato nessuno, se non un gruppo di amici ed ex colleghi di lavoro, tantomeno si disturbano i ministri.

Volano le ore, l’altoparlante annuncia l’uscita mentre le coppie ai tavolini si stringono strette. Bambini che piangono, detenuti che se ne vanno mentre le porte si spalancano lasciando entrare l’aria bollente del mezzo pomeriggio. Finalmente fuori dal recinto provo a scattare una foto all’intero complesso e dopo un attimo arriva un’auto con sirena: "Lei sta fotografando un sito vietato!" Come non detto: non si deve vedere Avenal, California, quella diversa dai film.

Usa: nelle carceri proibiti molti libri di carattere religioso

 

Apcom, 24 agosto 2007

 

La misura è datata ma le nuove regole introdotte dal Dipartimento della Giustizia hanno iniziato a essere tradotte in pratica solo da pochi mesi: dalle librerie dei penitenziari statunitensi è stata ritirata gran parte dei testi religiosi, in senso proprio o lato. Una decisione adottata per contrastare la radicalizzazione dell’Islam oscurantista che sta portando a una class-action dei detenuti, promossa da un prigioniero ebreo ortodosso e da un altro protestante.

Tutto parte dall’11 settembre 2001, dalla scoperta della vulnerabilità degli Stati Uniti e dalla necessità di mettere un argine alla diffusione del terrorismo. Anche le carceri sono una potenziale fucina, ha rivelato un’indagine commissionata dal Dipartimento della Giustizia alcuni anni dopo.

La stretta sull’accessibilità a testi di carattere religioso è stata decisa nell’aprile del 2004: non più di 100 o 150 libri per ogni credo - come ha spiegato uno dei responsabili dell’applicazione della misura a un giudice lo scorso giugno, all’inizio della battaglia legale - oltre a un monitoraggio delle aree di preghiera nelle carceri, alla luce della contatazione di "una radicalizzazione da parte di detenuti che praticano o predicano forme estreme di religione, specificatamente dell’Islam, che mettono a rischio i penitenziari e al di fuori di questi la collettività".

Criteri guida che sono stati recepiti con assoluta discrezionalità, hanno realizzato a giugno alcuni degli ospiti del penitenziario di Otisville, nello stato di New York: dagli scaffali della loro biblioteca ne sono stati rimossi 600, inclusi alcuni bestseller recensiti dai critici e ignorati dai cattivi maestri. L’ebreo ortodosso Moshe Milstein e il cattolico protestante John Okon si sono rivolti ai giudici citando i testi di cui sentivano la mancanza; ma la stretta sui libri dell’Islam è stata ancora più dura: a Otisville sono disponibili sono il Corano e altri due titoli, bandito anche l’Hadith.

Milstein (che uscirà di prigione tra meno di una settimana) e Okon si sono visti respingere la prima denuncia presentata a fine maggio per un vizio di procedura: il giudice li ha invitati a rivolgersi prima alla struttura carceraria. Adesso sono tornati alla carica, con una nuova causa depositata e la richiesta dell’avvio di un’azione giudiziaria collettiva che schieri tutti i detenuti contro il Governo federale e "lo smantellamento indiscriminato delle biblioteche religiose".

"Questa purga - recita l’esposto - costituisce una restrizione non necessaria, non costituzionale e illegale della possibilità dei detenuti in tutta la nazione di apprendere i principi della loro religione e ha ridotto sostanzialmente la loro capacità di praticare la religione in cui credono".

Giappone: ondata di caldo, due detenuti muoiono in cella

 

Asca, 24 agosto 2007

 

Due detenuti che si trovavano in celle prive di aria condizionata e di ventilatori sono morti a causa dell’ondata di caldo che ha causato questo mese in Giappone decine di vittime. A riferirlo sono dei responsabili del carcere. Un uomo di 71 anni è stato trovato privo di sensi nella sua cella di 4 metri quadrati senza condizionatori e ventilatori nel carcere della prefettura di Saitama, dove la colonnina di mercurio la scorsa settimana ha raggiunto la temperatura record di 40.9 gradi centigradi.

Secondo un responsabile del carcere di questa prefettura situata nella periferia di Tokyo, l’uomo dopo esser stato trovato incosciente è stato immediatamente trasferito all’ospedale, ma è morto due giorni dopo. "Non si era mai lamentato di problemi di salute", ha spiegato il responsabile. Nella prefettura occidentale di Osaka, un altro detenuto di 30 anni, che stava in riabilitazione da tossicodipendenza, è stato portato all’ospedale questa settimana. Dopo esser stato ricoverato per qualche giorno è stato ricondotto nella sua cella, senza aria condizionata né ventilazione ed è morto la mattina seguente. Secondo i mezzi di comunicazione almeno 62 persone, la maggior parte delle quali anziane, sono morte in Giappone solo questo mese.

 

 

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