Rassegna stampa 13 agosto

 

Giustizia: Ucpi; un uso eccessivo della custodia cautelare

 

Il Gazzettino, 13 agosto 2007

 

Una delle cause del sovraffollamento in carcere è da rintracciare nell’uso massiccio della misura cautelare estrema. È una scelta di politica giudiziaria dei magistrati che indipendentemente dalla legge "utilizzano la custodia cautelare in carcere come strumento normale anziché eccezionale". È quanto sostiene l’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere penali italiane, che ha elaborato un documento di sintesi concernente le proposte di riforma che l’Ucpi si appresta a proporre. Un documento dove si evidenziano le cause primarie del sovraffollamento, risolto solo in parte dall’indulto.

Nel documento si evidenzia poi che l’indulto non ha di certo risolto i problemi delle carceri, ma "ha solo evitato che il loro sovraffollamento assumesse dimensioni tali da creare addirittura problemi di ordine pubblico. Si era prossimi al collasso: le 207 carceri italiane, a fronte di una capienza massima di 43 mila posti, ospitavano oltre 60 mila detenuti. Nel documento si sottolinea che con l’indulto gli istituti penitenziari hanno ricominciato a respirare. I detenuti a luglio del 2006 erano quasi 61.000, a fine settembre erano "solo" 38.326. Il condono ha determinato la scarcerazione di oltre 22 mila persone: più del 30 per cento della popolazione carceraria. "Ma non ci si illuda - si legge nel rapporto - il problema carceri è tutt’altro che risolto. La legge finanziaria 2007 ha previsto tagli consistenti (66 milioni di euro) alle spese dell’amministrazione penitenziaria e saranno penalizzate proprio le voci di bilancio relative alla "qualità" e alla funzione delle carceri e cioè l’assistenza sanitaria, le spese per le attività scolastiche, quelle destinate all’area penale esterna, le mercedi per i detenuti lavoranti, gli interventi per i detenuti tossicodipendenti.

Per l’Osservatorio Carcere il comune denominatore dei problemi che hanno generato il sovraffollamento è costituito da quella che può essere chiamata la "deriva legislativa" in materia di esecuzione pena e trattamenti sanzionatori più in generale. "Si è di fatto abrogata la legge Gozzini - si legge nel rapporto - con interventi settoriali dettati da intenti esclusivamente repressivi."È giunto il momento di aprire una riflessione - continua il documento - sull’opportunità di rafforzare tutto ciò che sono gli strumenti alternativi al carcere come sanzione all’esito del processo penale o nella fase di cognizione.

Da molti mesi giacciono poi in Parlamento varie proposte di legge per l’abrogazione della legge 49/06. In questi mesi di vigenza della legge, continua il documento, si è assistito ad un aumento massiccio di ingressi in carcere di consumatori di droghe leggere con effetti devastanti non solo per coloro che, anche se incensurati, sono stati arrestati e ristretti in carcere, ma anche per l’intero sistema.

Giustizia: Manconi; ora si vedono gli effetti positivi indulto

 

L’Unità, 13 agosto 2007

 

Il primo passo è già compiuto. Le carceri si sono alleggerite e nel frattempo sono partite le attività per dare assistenza ai detenuti ed evitare il fenomeno dei suicidi dietro le sbarre. Ovvero, effetti e conseguenze dell’indulto, un anno dopo. Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia con delega proprio sul Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non ha dubbi. "L’indulto è un provvedimento d’emergenza in una situazione di emergenza e andava fatto". Non fosse altro perché a ridosso dell’approvazione e dell’entrata in vigore all’interno delle carceri c’era una situazione "insostenibile".

Quasi sessantamila detenuti di fronte a una capienza massima che sfiorava le 48mila unità. Situazione che oggi è, come spiega il sottosegretario, cambiata radicalmente. "Questo provvedimento non ha consentito ai detenuti di vivere meglio ma ha consentito a 45mila agenti di polizia penitenziaria e a tutti i volontari e operatori di lavorare meglio, l’assistenza sanitaria è stata migliore così come le attività trattamentali e i turni sono stati meno faticosi". Gli esempi, a sentire Manconi, quasi si sprecano. "Con l’indulto si cominciano a riformulare i circuiti, ossia si comincia a dividere i condannati in attesa di giudizio, i giovani adulti dagli adulti, i tossici da chi non lo è. E poi con l’assistenza ai nuovi giunti si può seriamente e concretamente ridurre il numero dei suicidi". Perché proprio sul fenomeno dei suicidi dietro le sbarre lo stesso Manconi è stato autore di numerosi studi e ricerche. "Adesso si cerca di prevenire questo fenomeno - spiega - perché si fornisce a chi arriva una migliore assistenza". Attività che poi si sposa con il lavoro che portano avanti, un po’ in quasi tutte le carceri d’Italia anche le associazioni di volontariato diventate, ormai, parte integrante del sistema.

Non è certo un caso, infatti, che da Venezia a Padova, continuando con Firenze e altri centri ancora Roma compresa, ai detenuti vengano distribuite delle guide per "sopravvivere" dietro le sbarre. Piccole pubblicazioni in cui si danno spiegazioni e suggerimenti su come scrivere una lettera oppure sul percorso che si deve intraprendere per far sì che i parenti possano andare a fare visita dietro le sbarre. Quanto alle polemiche sui nuovi "rientri" in carcere tra i recidivi e sull’eventuale sovraffollamento il sottosegretario è categorico. "La percentuale dei recidivi che sono rientrati in carcere oscilla tra il 13 e il 14 per cento rispetto al 60 per cento europeo - continua - naturalmente prima di parlare di un sovraffollamento di dovranno aspettare parecchi anni".

Eventualità che, secondo Manconi potrà comunque essere scongiurata. "Ora - conclude - bisogna mettere mano alle leggi che producono reclusi non necessari, detenuti inutili perché affrontano con i mezzi ella repressione penale, vedi la Bossi Fini, la Giovanardi Fini o l’ex Cirielli gli straordinari risultati positivi dell’indulto rischiano di perdersi".

Giustizia: ma sull’indulto il centrodestra attacca l’Unione

 

Il Tempo, 13 agosto 2007

 

L’Udeur difende il "suo" ministro, che ha firmato il provvedimento, e gli avvocati ammettono che il condono penale non ha risolto il problema. "Quando Mastella scenderà dallo yacht su cui si fa intervistare in tv, capirà che nelle strade italiane l’indulto da lui imposto ha fatto dilagare l’emergenza criminale - ha detto il deputato di An, Maurizio Gasparri - Sono tornati in carcere a migliaia i suoi beneficiati.

E quelli ancora a piede libero - aggiunge Gasparri riferendosi alle conseguenze del provvedimento di clemenza deciso dal governo all’inizio del proprio mandato - ampliano a dismisura l’esercito del male. E non si lavi la coscienza - attacca ancora l’esponente di An - con inutili ispezioni a magistrati che scarcerano delinquenti in quantità, o peggio ancora, perdono tempo aprendo indagini basate sul delirio di chi voleva dare fuoco al nonno e ai genitori. Chi sbaglia paghi. Se indossa la toga, paghi doppio, e se ha voluto l’indulto si dimetta. Il 13 ottobre - conclude - Alleanza Nazionale scenderà in piazza a Roma per chiedere legge e ordine contro il governo di Caino".

A Gasparri replica il capogruppo dell’Udeur alla Camera, Mauro Fabris. "È un’operazione disonesta utilizzare disonestamente, come fa Gasparri, ancora la questione dell’indulto attribuendone la responsabilità a Mastella. Ricordiamo che tale provvedimento di clemenza in Parlamento fu votato addirittura da alcuni esponenti di An.

Comprendiamo come Gasparri tutti i giorni debba inventarsene una per apparire sui media fintanto che è in vacanza, ma questa è un’operazione disonesta che non aiuta gli italiani a capire come le soluzioni ai problemi della giustizia siano ben altri - continua l’esponente del partito di Mastella - converrà anche Gasparri che durante i cinque anni della Cdl al governo, delinquenza e criminalità non sono calati. L’origine dei problemi viene da lontano e richiede soluzioni condivise, evitando polemiche sterili".

Giustizia: Castelli; le leggi ci sono, manca il rigore dei giudici

 

Il Tempo, 13 agosto 2007

 

Leggi ce ne sono a sufficienza. Il problema è come vengono interpretate. Se, come spesso accade, questa interpretazione è viziata dal permissivismo, se non c’è rigore, se ci sono comportamenti contraddittori e poco chiari, ecco allora che ci troviamo di fronte a drammi che feriscono gli individui e la società, a tragedie che forse si potevano prevenire, a lutti che si potevano evitare. Come è accaduto in questi giorni con una concentrazione sicuramente eccezionale ma emblematica di tre - quattro episodi in poche ore. Rifiuta di puntare sulla "soluzione normativa" l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli, capogruppo della Lega Nord al Senato.

 

Senatore, qual è, secondo lei, il nodo del problema?

"La permessività eccessiva della giustizia italiana non è legata alle leggi, che lasciano un ampio margine di discrezione ai magistrati".

 

Qual è allora la causa?

"La cultura dominante legata al ‘68, una filosofia in base alla quale chi delinque lo fa sempre per colpa della società. In questo modo la responsabilità individuale non esiste più. Ma la gente è stanca di permissivismo e ha sete di giustizia. La gente chiede una giusta pena che consenta di tenere in galera i criminali pericolosi per impedire che facciano nuovamente del male".

 

Il suo successore Clemente Mastella dice che non si può fare come con i gladiatori al Colosseo e lasciar decidere alla folla...

"Mastella lasci amministrare la giustizia ai magistrati e si limiti ad esprimere pareri politici. Ma d’altra parte Mastella ha dimostrato di essere indulgente con i delinquenti e per questo ha firmato l’indulto".

 

Torniamo alle leggi. Il pm di Genova che non ha mandato in galera un anno fa Luca Delfino sostiene di aver applicato la legge. Lei che ne pensa?

"Non è così. Tutte le leggi, come dicevo, lasciano grande discrezionalità ai magistrati, specialmente in materia di custodia cautelare. È il pm che deve valutare il pericolo di reiterazione del reato".

 

Ma in questo caso dice che non aveva prove sufficienti in mano...

"A parte il caso specifico, c’è un problema di coerenza e di chiarezza. Basta per esempio analizzare la vicenda della zingara di Lecco accusata del tentato sequestro di un bambino. Il pm ha stabilito che era vero che voleva rapire il bimbo ma anche che non c’era rischio di reiterazione e l’ha scarcerata. Questo è sbagliato".

 

Sull’omicidio di Sanremo c’è chi, come Stefano Pedica dell’Italia dei Valori, chiede l’istituzione di una commissione parlamentare. Può servire?

"No. È una buffonata. Come si fa a creare una commissione parlamentare su un unico episodio?".

 

Parliamo del caso di Latina. Un sospetto piromane, con precedenti specifici, viene arrestato e subito scarcerato. I media ne danno ampia notizia, scoppiano le polemiche e il giorno dopo, su ordine del procuratore capo, il pastore finisce nuovamente in gattabuia. Idee poco chiare?

"Questo è un caso eclatante, che dimostra la superficialità con la quale la posizione del sospetto è stata analizzata in prima istanza. E il nuovo arresto del presunto piromane è sicuramente figlio della pressione popolare".

 

Una pressione che qualcuno cerca spesso di cavalcare. An, ad esempio, vuole presentare una proposta di legge che elimini la libertà provvisoria per una serie di reati gravi. È d’accordo?

"No, è un modo sbagliato ed emotivo di affrontare il problema. Non si fanno le leggi sull’onda dell’emozione, come è avvenuto per il caso Valpreda. Ma è necessario che i magistrati si rendano conto che la gente non ne può più e gli chiede di essere meno permissivi".

Giustizia: l’indulto non può essere una terapia sistematica

 

Il Gazzettino, 13 agosto 2007

 

"Se il sistema penale non verrà modificato o non si costruiranno altre carceri, entro tre, al massimo quattro anni, il problema del sovraffollamento degli istituti di pena si ripresenterà daccapo. E allora, non so come potrà essere affrontato".

Il procuratore generale del Veneto Ennio Fortuna di una cosa è più che convinto. "L’indulto - afferma - non può essere utilizzato come una terapia sistematica, questa sarebbe la politica peggiore che si potrebbe mettere in atto. Perché ciò significherebbe premiare la delinquenza a discapito dei cittadini onesti".

Anche nel Veneto l’indulto ha reso di certo più vivibili le carceri, che nel giro di poche settimane hanno perso una buona percentuale dei loro "ospiti". Ma progressivamente si stanno ripopolando e la situazione presto o tardi sarà di nuovo molto pesante.

"L’indulto - spiega ancora Fortuna - era diventato indispensabile, non si possono fare rimproveri o censure al Governo per questo, neppure i termini quantitativi, visto che la Costituzione destina la pena alla rieducazione e con le carceri sovraffollate ogni intervento riabilitativo è praticamente impossibile. Quel che io critico è che il Governo è arrivato all’ultimo momento a decidere l’indulto quando, con una programmazione diversa del sistema penale o costruendo nuove strutture detentive, il problema poteva essere risolto in modo diverso". Secondo il procuratore generale, inoltre, il provvedimento, così come è stato varato, "è assolutamente indiscriminato". "Tranne che per i mafiosi e per i responsabili di violenze sessuali - afferma infatti - è stato concesso a tutti, anche a quelle persone la cui la pericolosità sociale non era teorica, ma accertata dai giudici".

Dell’indulto, infatti, hanno beneficiato delinquenti cosiddetti abituali (coloro che hanno commesso 3 delitti in 10 anni), professionali (4 in dieci anni), delinquenti per tendenza e recidivi aggravati. "Tutto ciò - spiega ancora il procuratore Fortuna - è stato deciso in deroga all’articolo 151 del Codice penale ed in contraddizione con la legge Cirielli di sei mesi prima che prevede una serie di aggravanti proprio per i recidivi".

Tra questi ci sono anche i responsabili di rapine, molto frequenti in Veneto. "Un rapinatore - continua Fortuna - compie una vera e propria scelta di vita. Teniamo conto anche del fatto, poi, che nella nostra regione ci sono tanti stranieri e, anche se molti sono persone perbene, altri sono allo sbando e ora, con l’entrata nell’Unione Europea della Romania, si pone un ulteriore problema serio. Mi rendo conto - conclude - che costruire nuove carceri significa anche assumere nuovi agenti di polizia penitenziaria e sostenere costi superiori, ma il rischio è che anche in Veneto arriveremo ad avere paura di uscire di casa".

Giustizia: Moscatelli (Telefono Rosa); polizia ha le mani legate

 

Il Gazzettino, 13 agosto 2007

 

"I casi di violenza sulle donne sono in drammatica crescita e questa emergenza dura già da anni: occorrono nuovi strumenti nelle mani delle forze dell’ordine, come la possibilità di adottare misure coercitive di allontanamento anche nei confronti di uomini non conviventi con le vittime, come il caso del killer di Genova. E non deve esserci la possibilità, per i magistrati, di sindacare sull’applicazione delle forme di tutela".

Lo sottolinea Gabriella Moscatelli, presidente di "Telefono Rosa", l’associazione che aiuta le donne abusate da partner violenti."Sembra paradossale - prosegue - ma per la ragazza sgozzata nel pieno centro di Genova non c’era nulla che le forze dell’ordine potessero fare: avevano le mani legate".

Proprio partendo dalla drammaticità di questo ultimo delitto annunciato, Moscatelli chiede al ministro Pollastrini di modificare il testo del ddl sul "Piano antiviolenza" inserendo la protezione anche a favore di donne non conviventi, facendo scattare le misure di allontanamento del violento entro 24 ore dalla denuncia e non entro 40 giorni, potenziando i centri antiviolenza perché sono troppo pochi e non riescono a soddisfare tutte le richieste delle donne in fuga da veri inferni di violenza familiare".

Il presidente di "Telefono Rosa" chiede, inoltre, che dal ddl "venga cancellata la norma che prevede, per la concessione delle attenuanti al bruto, la visita psicofisica sulla vittima".Moscatelli insiste anche sulla necessità di recuperare, con appositi trattamenti terapeutici, gli uomini condannati per violenza sulla partner "altrimenti è destinata a crescere la percentuale di quelli che, una volta usciti dal carcere, tornano a commettere lo stesso tipo di reato: cosa che già avviene nel 30% dei casi".

Uepe: ad ottobre conferenza nazionale degli assistenti sociali

 

Blog di Solidarietà, 13 agosto 2007

 

Uepe: le prospettive del Servizio Sociale del Settore Penale Adulti. Ipotesi per una Conferenza Nazionale. Il Consiglio Nazionale intende incontrare gli Assistenti Sociali degli Uepe in un meeting da organizzare il prossimo mese di ottobre.

Con l’obiettivo di assumere il ruolo di attivatore di una fase di riflessione fra tutti i soggetti coinvolti nella gestione delle misure alternative, il Consiglio Nazionale, nella seduta di Consiglio del 15/16 giugno scorso ha deciso di farsi promotore di una Conferenza nazionale sul servizio sociale del settore penale adulti, da tenersi nell’ottobre prossimo. Il successivo rinvio di ogni decisione in merito al decreto interministeriale, stabilito dai vertici Dap in occasione dell’incontro avuto con le OO.SS l’11 luglio scorso, attribuisce a tale iniziativa una valenza ancora maggiore. Infatti, la conferenza potrà veramente essere sede e occasione di confronto fra punti di vista anche diversi, nonché di attenta e schietta valutazione di tutti gli elementi che compongono e incidono sul complesso mondo della esecuzione penale esterna e sul ruolo, in tale ambito rivestito, dal servizio sociale.

Il servizio sociale della Giustizia del settore adulti sta attraversando, oggi, una delle più difficili fasi di tutta la sua ultratrentennale storia. Infatti la recente proposta del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di inserire la polizia penitenziaria, con funzioni di controllo, nell’esecuzione penale esterna e, nello specifico, nella detenzione domiciliare e nell’affidamento in prova al servizio sociale (proposta, che si è concretizzata in due distinte bozze di decreto, uno del Ministero della Giustizia e, il secondo, interministeriale - Ministeri della Giustizia e dell’Interno), ha suscitato forti reazioni e allarme per il futuro del servizio sociale di tale settore, sia nella maggioranza degli assistenti sociali degli Uffici Esecuzione Penale esterna (Uepe), sia nel mondo del volontariato penitenziario e dell’associazionismo. Preoccupazione e sconcerto sono stati espressi anche dal Coordinamento degli assistenti sociali della Giustizia (Casg) e da molte organizzazioni sindacali, fra cui la Cgil, l’Ugl, il Sag Unsa, la Federazione delle RdB e il Salpe.

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali ha raccolto il disagio degli operatori degli Uepe e, ponendosi l’obiettivo di assolvere il proprio compito di tutela della professione, è intervenuto attivandosi su più fronti, anche al fine di allargare l’area di riflessione. A tale scopo ha incontrato sia il Ministro della Giustizia Clemente Mastella, sia i vertici del DAP, ai quali sono state sottoposte valutazioni e proposte in merito all’ipotesi di riforma. Tali valutazioni e proposte sono esposte ed illustrate nella documentazione allegata, scaricabile dal collegamento sottostante.

Veneto: grazie all’indulto ridotto l’affollamento carcerario

 

Il Gazzettino, 13 agosto 2007

 

Venezia. Sono meno del 10 per cento i detenuti delle carceri veneziane, quello maschile di Santa Maria Maggiore e quello femminile della Giudecca, usciti per l’indulto e rientrati per recidiva. Una sola donna su 42 e 10 uomini su 100, ma la metà circa di questi ultimi sono recidivi che provenivano da altre case circondariali.

Attualmente i maschi reclusi sono 190, le donne, invece, poco più di 60 (fra esse Gigliola Guerinoni e Katharina Miroslawa, protagoniste di casi famosi di cronaca nera, che dovrebbero uscire anche grazie all’indulto nei prossimi mesi). "Le percentuali molto basse registrate a Venezia - spiega Gabriella Straffi, direttrice degli istituti di pena lagunari - rispecchiano più o meno le altre realtà.

Coloro che sono rientrati rappresentano i normali recidivi, soprattutto tossicodipendenti". Diverso è il discorso sul tema del sovraffollamento. Se per il femminile, i posti "liberi" sono circa 40, il carcere maschile, ultimamente ristrutturato con la riapertura di altri due bracci, ospita dai 220 ai 240 detenuti ma con una capienza di 170. "Il problema è - aggiunge la direttrice - che due piani sono vuoti per la cronica carenza di personale". Almeno una ventina di unità, tra amministrativi e agenti, sarebbero necessari per garantire il pieno funzionamento dei due istituti. Il fatto è che, da quando il carcere di Santa Maria Maggiore nel 1980 è stato chiuso e successivamente riaperto, la pianta organica non è stata più aggiornata.

Un discorso a parte per la Giudecca. "Qui - conclude la Straffi - mancano 5 o 6 unità, ma i veri disagi li abbiamo quando qualcuna delle nostre lavoratrici resta incinta. Prima festeggiamo e poi ci mettiamo a piangere perché sappiamo che non verrà sostituita. La cosa più assurda è che, considerando la peculiarità di un istituto con personale tutto femminile, nessuno abbia tenuto conto di tali problemi".

Padova. Sono 320 i detenuti che hanno lasciato i due carceri padovani per effetto dell’indulto. Dalla Casa di reclusione, il nuovo carcere, sono usciti 244 reclusi, altri 76 dalla casa circondariale ovvero quelli in attesa di giudizio, ma che per ragioni di spazio ha dovuto ospitare anche alcune decine di definitivi. Ora la situazione a Padova è più vivibile. Al 31 luglio del 2006 il Due Palazzi aveva 740 detenuti, ora sono poco meno di 500. Nella Casa circondariale un anno fa erano 236, oggi sono 171. Sui recidivi è invece difficile fare un calcolo esatto, ma si parla del 10-15%. "Un anno fa nelle carceri non c’era più umanità e dignità, la situazione era quella dell’illegalità - dicono gli operatori del Due Palazzi - Ora vengono rispettati i limiti di capienza, ma occorre stare attenti perché da qualche mese sono aumentati gli arresti".

Treviso. Nel carcere di Santa Bona, a un anno dall’indulto, il sovraffollamento è un ricordo. La popolazione carceraria, infatti, è di 199 unità, cifra ben lontana dai 250 di dodici mesi fa. Si tratta di 83 italiani, 19 comunitari e 97 extracomunitari. I più numerosi, tra questi ultimi, sono albanesi (20) poi rumeni, 17, e nordafricani (16 marocchini e 13 algerini). Il reato più frequente è lo spaccio di droga, seguito da furti, rapine e omicidi. Degli 83 detenuti italiani, i veneti sono 53 (in massima parte per droga). Per il direttore della casa circondariale Francesco Massimo, l’indulto ha funzionato. Malgrado anche nella Marca si sia registrato, nei mesi successivi alle scarcerazioni, un aumento dei reati, "la percentuale dei rientrati è molto bassa - spiega Massimo - come nel resto d’Italia. Il carcere di Treviso non scendeva sotto la soglia dei 200 detenuti da quasi 15 anni, A oggi ancora non abbiamo superato questo tetto pur se per una sola unità".

Belluno. Dopo un anno il carcere di Baldenich registra solo 5 recidivi fra gli "indultati". Tra questi, 4 giungono da altre province venete, congestionate. Uno solo è bellunese: è rientrato per essere stato "pizzicato" a rapinare una banca in provincia.

Baldenich è un carcere di media sicurezza che può accogliere al massimo 142 detenuti (vi è anche una piccola sezione femminile). Attualmente i detenuti ospitati sono poco più di cento tra cui 5 donne. Dei 126 detenuti che vi erano a fine luglio 2006, con l’indulto ne sono usciti 68 (tra cui 4 donne). Di questo numero complessivo circa il 40\% era italiano. All’epoca vennero avviati vari progetti di reinserimento nella società con la collaborazione di enti locali e associazioni organizzando, ad esempio, corsi professionali.

Vicenza. La casa circondariale di Vicenza, San Pio X, vive una situazione anomala rispetto ad altre strutture. Nel periodo dell’indulto e fino a pochi mesi fa, la struttura era in ristrutturazione. Motivo per cui il ministero della Giustizia ha deciso il blocco. Così i recidivi sono stati "girati" ad altre strutture, per mancanza di spazi. Un anno fa uscirono circa 130 detenuti, 100 nei primi tre giorni. A conti fatti ne sono rientrati circa 30. Ad oggi i carcerati sono 250, numero adeguato per la direttrice Irena Iannucci: "Non vi sono problemi di sovraffollamento".

Rovigo. Ad un anno di distanza, il carcere di Rovigo si è "svuotato" di 40 detenuti sui 104 che erano custoditi nel luglio 2006. Fra i 60 beneficiari dell’indulto, compresi quelli ai domiciliari o affidati ai servizi sociali, sono una ventina coloro che hanno commesso altri reati una volta in libertà. Emerge poi che molti extracomunitari, che per l’indulto potevano rientrare in Italia, una volta qui hanno commesso reati quasi sempre le stesse cause che avevano determinato l’espulsione. La percentuale di Rovigo (50% di recidivi) è la più alta del Nordest.

Udine. Prima dell’indulto i detenuti a Udine erano 190 ne sono usciti ben 140. Ma a un anno di distanza dallo sfoltimento, la casa circondariale di via Spalato si è progressivamente riempita: oggi ci sono circa 140 detenuti e si è vicini al numero-limite di 168. Come spiega il direttore del carcere, Francesco Macrì, sono stati pochi i recidivi, circa il 10%. Una percentuale significativa (il 25%) è tossicodipendente, ma la "categoria" prevalente è quella dei detenuti in attesa di giudizio. I progetti di reinserimento sociale si scontrano in Friuli con problemi logistici: dopo la ristrutturazione - che pure ha reso finalmente spaziose le celle - sono venuti a mancare le aule per i corsi professionali. Gravi difficoltà di organico denuncia invece l’Ufficio di esecuzione penale esterna, che si occupa delle misure alternative.

Pordenone. Per l’indulto sono uscite 35 persone (25 la prima settimana); la "sanatoria" non ha, però, portato miglioramenti del sovraffollamento del vecchio ex castello cittadino. Nato per ospitare 40 reclusi, la struttura è arrivata a contenerne 90 e tuttora sta scoppiando: le condizioni di vita (di reclusi, agenti e volontari) sono al limite. Il progetto di un nuovo carcere non decolla: mancanza dei fondi e indecisioni politiche sono le cause dello stallo. "Il numero di "indultati" - spiegano dalla direzione del penitenziario - è stato basso poiché abbiamo una sezione numerosa di reclusi per reati gravi come violenze sessuali o pedofilia, che non erano compresi nel provvedimento".

I programmi di reinserimento sono gestiti da associazioni e cooperative (in primis San Vincenzo, Caritas, Coop Oasi) che hanno aiutato gli indultati a trovare un alloggio e, in qualche caso, anche un lavoro sul territorio.

Vi è infine il caso di Trieste: degli 80 detenuti usciti per l’indulto negli ultimi dodici mesi solo 10 sono ricaduti in errore e sono stati riarrestati.

Sondrio: sabato On Lucia Codurelli (Ds) ha visitato carcere

 

La Provincia di Sondrio, 13 agosto 2007

 

"Conoscere direttamente le problematiche presenti nella nostra società è indispensabile per chi legifera e rappresenta la comunità". Così si è espressa l’on. Lucia Codurelli, deputato dell’Ulivo, membro della Commissione Lavoro Pubblico e Privato della Camera, in visita alle carceri di via Caimi a Sondrio. "Sono stata contattata dall’ispettore delle carceri sondriesi Arnaldo Boi - ha detto l’on. Codurelli all’uscita dal penitenziario - in quanto firmataria di una proposta di legge in merito allo stato giuridico, al trattamento economico e all’incremento della dotazione organica del personale del Corpo di polizia penitenziaria.

Un contatto prezioso che mi ha permesso di aggiungere alle visite già effettuate alle carceri di Como e di Lecco anche quella di questa mattina a Sondrio. E, dato che non sarebbe stato facile inserirla nel carnet degli impegni da parlamentare ho approfittato delle mie vacanze estive, che trascorro sempre a San Giacomo di Teglio dove ho le mie radici e dove ancora risiede mia madre, per compiere questa visita di cui mi reputo soddisfatta. Certo - ammette l’onorevole diessina - ho dovuto constatare che a Sondrio gli spazi sono davvero esigui, le celle sono piccole (8 metri quadri per due persone a fronte dei 16 che andrebbero garantiti per legge ndr), i servizi igienici inadeguati, le possibilità di reinserimento del detenuto che ha scontato la propria pena esigue anche per via di muri che vengono innalzati all’esterno.

C’è chi mi ha chiaramente detto che per potersi reinserire, almeno provare, dovrà di necessità lasciare la Valtellina. Tutto questo nonostante lo sforzo che il personale in servizio (32 unità ndr) compie quotidianamente all’interno di una struttura che mal si presta allo scopo anche rieducativo della pena essendo molto datata".

"Il carcere è situato in uno stabile che risale al 1913 - spiega l’ispettore Arnaldo Boi che, insieme al comandante della Polizia penitenziaria, vice commissario, Noemi Gennari, ha accompagnato l’on. Codurelli nella visita - per cui gli spazi non sono più idonei agli standard attuali. Le celle sono dotate di due letti, servizio igienico, un fornelletto dove potersi preparare bevande calde, e un televisore. Il tutto in uno spazio molto ridotto. Attualmente i detenuti sono 43 su 42 posti disponibili".

"Fra questi - spiega l’on. Codurelli - deve far riflettere il fatto che le persone qui detenute sono soprattutto giovani finiti in carcere per droga. E, tutti, sia qui sia nelle altre carceri che ho visitato chiedono, una volta scontata la pena e usciti dal carcere, di poter lavorare, anche nell’ambito dei lavori socialmente utili. Allora penso che a questo punto, noi rappresentanti delle istituzioni, ma anche tutta la società, dobbiamo saper dare delle risposte.

Aiutare questi ragazzi a recuperarsi e rientrare nella società bando a quei muri che anche all’esterno si creano nei loro confronti. Certo, bisogna lavorare molto. Personalmente farò in modo che questa visita non sia un qualcosa di solo temporaneo. Tornata a Roma, a settembre, in Commissione Lavoro porterò avanti il progetto di legge inerente il Corpo di Polizia Penitenziaria, cercherò di lavorare alla predisposizione di un piano di miglioramento complessivo delle strutture carcerarie e ad un piano per il recupero di chi è in carcere".

Immigrazione: salvano 43 migranti naufraghi, li arrestano

 

Affari Italiani, 13 agosto 2007

 

Salvano la vita a 43 migranti alla deriva nel Canale di Sicilia. Arrestati con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. È successo ieri a Lampedusa. Fermati sette pescatori tunisini che avevano preso a bordo i naufraghi di un gommone in acque internazionali. La Guardia costiera pretendeva che fossero riportati in Tunisia. Oggi la convalida degli arresti. Soltanto lo scorso 20 giugno l"Unhcr aveva premiato il coraggio di tre pescatori per incentivare il soccorso in mare ai migranti naufraghi nel Canale di Sicilia.

Si tratta dei comandanti e dei cinque uomini dell’equipaggio di due moto-pesca della flotta di Monastir che hanno soccorso 43 clandestini su un gommone alla deriva, a 40 miglia a Sud di Lampedusa. Gli immigrati, tra cui 11 donne e due bambini, avevano lanciato l’Sos con un telefono satellitare. La Guardia Costiera aveva però negato l’autorizzazione all’ingresso nelle acque territoriali, intimando ai comandanti dei due pescherecci di fare rotta verso le coste nordafricane. All’arrivo a Lampedusa è così scattato l’arresto "in flagranza di reato" dei sette marittimi e il sequestro delle due imbarcazioni, disposto dalla Procura di Agrigento.

Secondo la Guardia Costiera le condizioni di salute dei clandestini non sarebbero state preoccupanti; questa ricostruzione viene però smentita dagli stessi immigrati, che hanno ribadito di essere stati soccorsi mentre il loro gommone stava per affondare. Questa mattina, inoltre, due donne in avanzato stato di gravidanza e un bimbo disabile sono stati trasferiti a Palermo con una eliambulanza. I racconti dei marittimi e degli immigrati, accompagnati ad Agrigento con il traghetto di linea per Porto Empedocle, saranno oggi sottoposti al vaglio del Pm Maria Antonia Di Lazzaro che coordina l’inchiesta. Se il tribunale convaliderà i provvedimenti, gli indagati verranno processati per direttissima.

A rischio, oltre ai sette marinai tunisini, è tutto il soccorso in mare. Da anni i migranti sbarcati denunciano frequenti omissioni di soccorso da parte di pescatori e mercantili. Una situazione che ha portato più volte la portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), Laura Boldrini, a parlare di "far west" nel Canale di Sicilia. "I pescatori - dichiarava poche settimane fa la Boldrini - temono di rimanere invischiati in vicende che li obbligheranno a interrompere o ritardare il loro lavoro". La legge del mare parla chiaro: prestare soccorso è un obbligo per capitani ed equipaggi. E i naufraghi vanno scortati nel porto più sicuro e più vicino. Tuttavia, capita che alcuni Paesi non consentano lo sbarco nei loro porti delle persone tratte in salvo.

Quello dei tunisini non è il primo arresto. La Guardia Costiera pretendeva il rimpatrio in Tunisia. Peccato che la Tunisia non sia un porto sicuro per migranti richiedenti asilo politico. E lo si è visto un mese fa, il 18 luglio, quando la vicenda dei migranti dirottatori del peschereccio tunisino "El Hagg Mohamed" si concluse con la separazione di un gruppo di famiglie e con l’espulsione dalla Tunisia in Libia di 24 persone, tra cui 11 donne e 2 bambine. Provenienti dal Corno d’Africa, una volta espulse in Libia si sono perse le loro tracce. Mentre dei 443 eritrei detenuti a Misratah (Libia) da oltre un anno dopo essere stati intercettati dalla Guardia costiera libica sulle rotte per l’Italia, si sa solo che presto saranno consegnati alle autorità eritree. Ovvero incarcerati a tempo indeterminato per alto tradimento della patria. Nel "far west" del Canale di Sicilia finiscono così per annegare anche il diritto all’asilo politico e il soccorso in mare.

Droghe: Radicali; pene severe per guida sotto effetto sostanze

 

Notiziario Aduc, 13 agosto 2007

 

"Dopo questa ennesima tragedia, che oggi colpisce addirittura una neonata, non si può rimanere insensibili e inerti". Questo il commento del deputato radicale Daniele Capezzone (Rnp) di fronte alla tragedia di Castelvolturno (NA), dove una bimba di tre mesi è morta in un incidente automobilistico causato da un uomo alla guida sotto effetto di stupefacenti.

"Sono e resto convintamente antiproibizionista - aggiunge il presidente della commissione Attività produttive alla Camera -: penso cioè che una pura e semplice linea di proibizione, in materia di droghe, produca effetti contrari a quelli desiderati, specie in termini di lotta alla criminalità. Tuttavia, pur da antiproibizionista, dico che così non si può andare avanti rispetto al legame tra incidenti stradali e uso di sostanze psicoattive.

Le misure da adottare sono due: da una parte, moltiplicare i controlli sui guidatori (in Italia se ne fanno solo poche centinaia di migliaia ogni anno, mentre nei maggiori paesi europei se ne fanno milioni l’anno). Dall’altra, servono pene severissime, pesantissime, per chi sia trovato alla guida sotto l’effetto di droga e alcool. Un conto è infatti decidere per sé di assumere una sostanza (cosa che a mio avviso non va punita), altra cosa (questa sì da punire, e con il massimo della severità) è mettere a rischio la vita degli altri".

Arabia Saudita: ecco perché i giovani scelgono il terrorismo

 

Panorama, 13 agosto 2007

 

In Occidente ci chiediamo spesso quali fattori possano spingere molti giovani arabi nelle braccia del terrorismo. Anche in Medio Oriente ci si pone la stessa domanda, come testimonia la stampa araba. In particolare sotto inchiesta è l’Arabia Saudita, Paese da cui proveniva la maggior parte dei dirottatori dell’11 settembre e dove negli ultimi anni si sono verificati pesanti attentati di matrice islamica, ma anche molte retate della polizia contro i presunti terroristi.

Il quotidiano di proprietà saudita Al Sharq Al Awsat, stampato a Londra e diffuso in tutto il mondo arabo, si interroga spesso sulle cause dell’attrattiva che Al Qaida suscita nel Paese governato dalla monarchia wahabita. Nei giorni scorsi, il giornale ha pubblicato i risultati di una ricerca svolta da Ahmed Al-Jeelan, capo progetto dell’Ong internazionale Care, che ha raccolto le testimonianze di oltre 400 detenuti in varie prigioni saudite.

Al-Jeelan ha individuato 21 motivi che hanno influito sulle scelte degli arrestati. In primo luogo, i discorsi dei leader terroristi per incitare alla guerra santa sembrano essere stati efficaci nel convincere molti giovani. E questo non può che far riflettere sull’opportunità di trasmetterli in tv oppure no.

L’autore del sondaggio sottolinea inoltre che l’ignoranza dei veri insegnamenti dell’Islam ha fatto credere a tanti adepti che fosse ammissibile uccidere musulmani o fedeli di altre religioni, violare tregue e trattati e fraintendere il concetto di Jihad.

Una parte dei prigionieri però non è stata ingannata e spinta verso il terrorismo dall’ignoranza, ma ha scelto volutamente di fare riferimento a testi religiosi estremisti e minoritari per giustificare la violenza, scartando le interpretazioni prevalenti del Corano. Tra i fattori elencati ci sono anche i decreti religiosi (fatwa) di qualche imam che incita alla guerra santa. Il regime integralista dei Taleban che ha governato a Kabul fino al 2001 ha avuto una notevole influenza sui numerosi sauditi presenti in Afghanistan all’epoca e che hanno diffuso le loro idee una volta tornati in patria.

Ovviamente, tutte queste cause si aggiungono a quelle sociali: disoccupazione, povertà, difficoltà negli studi e noia "forniscono un terreno fertile che fa prosperare queste ideologie".

Al-Jeelan ha anche delineato le tre fasi del procedimento con cui i leader dei gruppi terroristi inculcano le loro dottrine ai novizi: prima sobillano la loro rabbia contro i governanti, elencandone i difetti, poi li allontanano anche da maestri o guide religiose moderate, quindi dichiarano il Paese "miscredente" sulla base di interpretazioni distorte dei testi sacri. A questo punto, i nuovi adepti sono pronti per compiere un attentato.

 

 

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