Articolo di Paolo Quattrone

 

La parola di Cristo riferimento per i reclusi, di Paolo Quattrone

Provveditore dell'Amministrazione Penitenziaria per la Regione Calabria 

 

Gazzetta del Sud, 8 settembre 2006

 

Il carcere come luogo in cui favorire il pieno recupero del detenuto. Dal punto di vista sociale, innanzitutto, ma anche della dimensione e della ricchezza spirituale. Il suo graduale passaggio da una condizione di precarietà e di disagio, rispetto ai valori del vivere comune, ad una fase in cui tornano a prevalere le ragioni e i principi di una dimensione rispettosa della regola civile.

Del rapporto con l’altro. Di una presenza quotidiana nella società in cui la coscienza di sé, dell’essere uomo, trionfa definitivamente sulle logiche del passato. Sulla legge del sopruso. Del ricorso alla violenza come strumento per la soluzione dei problemi. Un percorso lungo e spesso difficile, che richiede un impegno costante.

Il coinvolgimento di figure professionali particolarmente preparate. Di uomini e donne chiamati a dare concretezza ad una missione profondamente connotata di valori morali e pedagogici. Che sanno penetrare all’interno del carcere ben al di là del gesto fisico con cui si varca il cancello d’ingresso di questa particolare realtà. Dove tutto sembra perduto. Inesorabilmente destinato all’oblìo. Non è così, invece. Per fortuna. Chi sbaglia, può recuperare.

Può ritrovare nel tempo le ragioni di una vita dignitosa. È un cammino lungo, dicevamo. Un mondo difficile da ricondurre a pochi sintetici elementi interpretativi. Ai parametri con cui normalmente ci si approccia alla realtà. Un ambiente che si investiga e si analizza, ma soprattutto si tenta di recuperare, insieme ai suoi "protagonisti", anche grazie all’impegno e al sacrificio di chi ha scelto di dare una mano a chi ha sbagliato. Attraverso la testimonianza della religione.

La parola di Cristo. Che diventa un punto di riferimento essenziale per i detenuti. Un gancio senza il quale la speranza di essere un giorno diversi rischia di perdersi in un oceano di incertezze e di vacuità. "È in effetti", spiega Paolo Quattrone, Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, "una questione molto delicata e importante. Proprio perché i problemi connessi alla detenzione presentano una loro intrinseca complessità - spiega - richiedono una profusione di risorse ed una molteplicità d’interventi che, pur differenziandosi nei metodi e nei ruoli, rivelano comune tensione verso identiche finalità: la riabilitazione, e cioè la promozione sociale dell’emarginato e del detenuto". È una premessa che aiuta a focalizzare l’importanza che il servizio religioso riveste in questo contesto."

La legge di riforma del 1975 - dice Quattrone - ha di fatto individuato nella Religione uno degli elementi del trattamento risocializzante del condannato, attribuendo in tal modo a detta disciplina morale una valenza anche pedagogica che prescindendo da riferimenti unicamente confessionali, fosse in realtà in grado di condurre l’uomo al recupero di una dimensione spirituale e si ponesse come guida per orientare l’individuo verso mete di trascendenza".

È così che, spiega Quattrone, "la religione diventa disciplina di promozione umana assumendo il compito di sostenere l’uomo alla scoperta di sé stesso, della sua interiorità adoperandosi, affinché, all’individuo più fragile sia data l’opportunità dia riappropriarsi della parte migliore di sé". Se questo è la funzione assegnata alla Religione, essenziale è il ruolo del sacerdote, "dovendo risultare disponibile anche ad interventi di natura terapeutico- trattamentale, sempre pregnanti di contenuto umano e morale". Tale ruolo, spiega ancora Quattrone, "con il mutare del contesto operativo e l’introduzione di nuove figure professionali, impegnate ad assolvere compiti specifici all’interno degli istituti di pena, è andato via via perdendo la caratteristica iniziale, connessa al ruolo "tuttofare" del sacerdote, il quale si è riappropriato della sua specificità funzionale, quale quella di essere il portatore di una testimonianza evangelica e di operatore specificamente interessato alla componente noetica dell’uomo".

Si tratta, sottolinea Quattrone, di un ruolo più che mai centrale ancora oggi: "La religione allora e la chiesa tutta - spiega - non può dimenticarsi dell’uomo recluso, ma deve anzi farsi carico di contribuire alla tutela dei diritti fondamentali, della dignità umana e di garantire all’uomo privato della libertà personale lo spazio necessario alla vita e alla speranza. Un obiettivo che il sacerdote all’interno del carcere è chiamato a favorire, puntando anche a suscitare interesse riguardo alla necessità di trovare referenti all’esterno come sostegno, soprattutto, per quei detenuti bisognevoli di adeguati punti di riferimento morale e in stato di indigenza economica, al fine di evitare che questi vadano incontro ad una certa emarginazione sociale".

 

 

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