Rassegna stampa 16 settembre

 

Indulto: intervista a Manconi; il "sistema giustizia" ha tenuto

 

Redattore Sociale, 16 settembre 2006

 

Sono ormai più di 21 mila le persone uscite dalle carceri italiane in base al provvedimento di indulto approvato in estate dal governo di centrosinistra. Si tratta però di una cifra non definitiva perché in base alla legge sulla custodia cautelare stanno crescendo le domande di applicazione dell’indulto stesso. Alla cifra indicata va inoltre aggiunta una quota (ancora non precisata, anche se pochi giorni fa si è parlato di oltre 5 mila persone) di beneficiari che non erano in carcere in quanto godevano di misure alternative alla detenzione.

Nel frattempo si stanno mettendo a punto i progetti per il reinserimento dei detenuti, anche se non è ancora chiaro il tipo di utilizzazione dei fondi stanziati proprio per il reinserimento. Si tratta - fino a questo momento - di circa 17 milioni di euro a cui vanno aggiunti poi gli stanziamenti dei singoli enti locali, Regioni e Comuni. Ma che cosa succede quando un detenuto riacquista la sua libertà? Come funzionano - se funzionano davvero come si era pensato - i progetti di reinserimento? E su quali linee si sta muovendo, più in generale, il governo Prodi a proposito di carceri e giustizia. Sono le domande che abbiamo girato a Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia, con il quale abbiamo discusso anche della legge Bossi-Fini, della ex Cirielli e della legge Fini-Giovanardi sulle droghe.

 

Sottosegretario, ci può dare dei dati aggiornati sugli effetti del provvedimento di indulto?

Abbiamo recentemente superato i 21 mila beneficiari. Nel primo mese di applicazione della norma eravamo arrivati a superare le 20 mila unità. Poi il numero è cresciuto ulteriormente perché oltre ai criteri insiti nel provvedimento che abbiamo varato si sono unite anche le richieste di indulto proposte dai magistrati. Come è noto, infatti, l’indulto non è automatico, ma scatta in base all’intervento del magistrato. In molti casi si sta verificando il fatto che il magistrato, in base alla legge della custodia cautelare (che prevede appunto l’applicazione dell’indulto) chiede l’applicazione del provvedimento. Siamo quindi in presenza di beneficiari dell’indulto che però erano precedentemente in uno stato di custodia cautelare e non di detenzione vera e propria.

 

Questi numeri sembra siano la dimostrazione concreta che il vero obiettivo del provvedimento di indulto era quello di svuotare le carceri italiane sovraffollate. È così?

Io personalmente non ho mai utilizzato, né utilizzo ora, l’argomento umanitario per motivare la scelta dell’indulto. Ovviamente si tratta di un tema fondamentale, importantissimo, direi cruciale. Un argomento che sta nella coscienza di tutti noi. Ma non è il primo argomento in ordine di importanza perché a proposito del sovraffollamento ci sono anche altre e più importanti motivazioni. Io penso cioè che il sovraffollamento sia prima di tutto l’ostacolo principale alla realizzazione di qualsiasi tipo di politica. Nessuna politica seria sulla giustizia è possibile in presenza di sovraffollamento delle carceri. E i motivi sono evidenti, non vanno neanche spiegati. Basti pensare alle condizioni di vero e proprio degrado e promiscuità che si creano quando un detenuto è costretto a fare i suoi bisogni davanti ai compagni di cella. Questa situazione ha effetti devastanti sui detenuti, effetti che poi si riverberano su tutto il resto delle politiche, a partire dall’assistenza sanitaria. Il sovraffollamento ha poi effetti catastrofici sui lavoratori, ovvero gli agenti penitenziari. E non è stato certo un caso se tutti i sindacati degli agenti penitenziari si siano schierati a favore dell’indulto.

 

A proposito di indulto, abbiamo un doppio modo di vedere la questione: dal punto di vista delle carceri e dal punto di vista di chi ne esce. Che cosa succede dopo? Quali sono i progetti e i fondi per il reinserimento dei detenuti?

Centralmente sono stati stanziati dal governo circa 17 milioni di euro. In particolare 11 milioni sono arrivati dal Ministero del Lavoro, 3 milioni dal Ministero della Salute e 3 dalla Cassa Ammende che poi fa capo alla Giustizia. Ma non ci sono solo questi soldi. Ci sono infatti anche gli stanziamenti che provengono direttamente dai vari enti locali. Solo qualche esempio: 500 mila euro dal Lazio, un milione dalla Sardegna, 200 mila euro dall’Umbria e così via. Più i soldi che vengono stanziati a favore dei progetti di reinserimento dalle amministrazioni comunali. Questo, più o meno per quanto riguarda i fondi. Per quanto riguarda invece l’efficacia del provvedimento e i suoi veri effetti sociali è ancora presto per trarre delle conclusioni. Io sono sempre stato molto prudente perché è chiaro che l’indulto non risolve tutti i problemi. Il nostro primo impegno politico oggi è comunque quello di non rendere vano il provvedimento. Sto parlando del rischio sempre presente che si riproducano i meccanismi che portano all’affollamento delle carceri. Si tratta quindi di ridurre questo rischio, riducendo al minimo la riproduzione dei crimini. Per questo si devono mettere in atto vari interventi. Il primo riguarda come è ovvio l’accoglienza del detenuto che esce di prigione. Il tema dell’accoglienza, poi, vale sempre, anche senza l’indulto. Nella fase di accoglienza si devono risolvere le questioni primarie che vanno dall’alloggio alla salute dell’ex detenuto. Da questo punto di vista penso che il primo bilancio sia davvero positivo. Il nostro sistema ha retto molto bene nel suo complesso e come abbiamo visto non si sono manifestate emergenze. In nessuna città e da parte di nessun prefetto. Sono state molto efficienti le amministrazioni comunali. Dopo la fase di prima accoglienza, scatta però un’altra fase più complessa che riguarda il reinserimento sociale vero e proprio del detenuto. Penso quindi ai corsi e a tutte le questioni attinenti all’inserimento nel mercato del lavoro, cosa che come sappiamo bene è molto complessa anche nella normalità dei casi, figuriamoci nel caso di detenuti indultati. Questo è sicuramente il punto più difficile.

 

Oltre ai problemi legati in modo diretto o indiretto all’indulto, ci può dire come intende muoversi il governo sui temi più generali della giustizia riguardo il carcere?

In questo campo, come d’altra parte anche in altri, dobbiamo avere il coraggio di mettere in atto le riforme che abbiamo promesso con il programma elettorale dell’Unione. Ci sono in particolare tre leggi che andranno superate, abrogate, cancellate (c’è solo da mettersi d’accordo sui termini). La prima è la cosiddetta ex Cirielli. Si tratta di una legge che non solo è stata molto contestata e criticata, ma che soprattutto, nelle norme sulla recidiva, si prospetta come una norma liberticida. L’altra legge di cui ci dobbiamo occupare è la Bossi-Fini. Con questa legge, solo nel corso del 2005, almeno 11 mila stranieri sono entrati nelle carceri italiane non perché avevano commesso reati, ma solo perché accusati di illeciti amministrativi legati alle norme di ingresso e soggiorno. È scandaloso, iniquo e irrazionale tutto questo. Come è assurdo, iniquo e irrazionale - e mi riferisco alla legge Fini-Giovanardi sulle droghe - il fatto che centinaia di persone sono state trattenute in carcere mediamente per 15 giorni perché fermate dalle forze dell’ordine con sostanze stupefacenti, con dosi lievemente sopra le quote consentite dalla legge. Sono anche queste le norme assurde che poi creano l’affollamento nelle carceri, oltre a fare danni rilevanti sulle persone.

Umbria: un tavolo regionale a sostegno degli ex detenuti

 

Redattore Sociale, 16 settembre 2006

 

"L’indulto, se da un lato ha fatto emergere le criticità del sistema dei servizi socio-sanitari, dall’altro ci pone di fronte a nuove opportunità. In particolare in Umbria il piccolo numero di soggetti che hanno fruito dello sconto di pena ci permette lavorare senza dover affrontare emergenze e quindi di formulare dei modelli di reinserimento da far partire già dal momento in cui la pena si avvia alla conclusione". Così l’assessore umbro alle Politiche sociali Damiano Stufara oggi, giorno in cui si è insediato il tavolo regionale a sostegno degli ex detenuti, di cui fanno parte i rappresentanti dei Comuni capofila di ambito, delle Province di Perugia e Terni, del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, dei direttori degli istituiti di pena umbri, della Conferenza regionale volontariato e giustizia e dei Sert delle aziende sanitari locali. L´obiettivo è appunto quello di fronteggiare il problema dell’inserimento socio-lavorativo dei soggetti beneficiari dell’indulto e sperimentare modelli innovativi da applicare sul territorio regionale. Secondo l´assessore "in Umbria ci sono gli strumenti giusti in termini di risorse economiche e strumentali per poter lavorare in modo coordinato tra i vari ambiti territoriali, al fine di consolidare la rete dei servizi, istituire percorsi di accompagnamento individualizzato e potenziare il ruolo di mediazione dei soggetti che operano nel settore". Le emergenze segnalate nel corso della riunione di oggi riguardano prevalentemente i detenuti stranieri, ai quali è indispensabile garantire anche un alloggio, i tossicodipendenti, che in Umbria rappresentano oltre il 20% della popolazione penitenziaria, e i malati affetti da patologie croniche.

Per gestire il primo impatto provocato dall’indulto la Giunta regionale dell’Umbria ha approvato un provvedimento che prevede un contributo straordinario di 40mila euro per i Comuni sede degli istituti penitenziari (vedi lancio del 2/08/2006). I tempi per l’attivazione dei vari percorsi saranno medio-lunghi, si è detto, ma l’indulto va considerato un "primo passo necessario verso una rivisitazione del sistema penitenziario per attribuire alla pena la sua funzione di recupero e reinserimento", ha ribadito Stufara". Si ritiene che il tavolo appena avviato permetterà anche di utilizzare al meglio le risorse che il Governo metterà a disposizione.

Umbria: acceso dibattito sul ddl che istituisce garante detenuti

 

Redattore Sociale, 16 settembre 2006

 

Mentre è rinviato a martedì prossimo il voto sul disegno di legge che istituisce il "garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale", deliberato dalla Giunta lo scorso 27 aprile, è acceso il dibattito sul tema, alla luce delle posizioni espresse nell’ultima sessione del Consiglio regionale. Fermo l’ostruzionismo del centro destra, minoranza in Regione, secondo cui "non esiste in Italia un problema di garanzie per i detenuti, e la destra italiana che ha vissuto sulla propria pelle gli eccessi degli anni più difficili del dopoguerra, sa bene che occorre tutelare i loro diritti. Il provvedimento è dunque inopportuno in questo momento. Il recente indulto ha creato lacerazioni a livello nazionale che qui in Umbria sono state aggravate dalla decisione di erogare 100 euro ad ogni detenuto uscito dalle carceri. È giusto dire che ai detenuti occorre garantire anche un reinserimento lavorativo; ma esistono delle priorità. Prima occorre garantire i cittadini onesti senza lavoro e quelli come commercianti, semplici cittadini, bambini, vittime di azioni criminali".

Ma secondo i detrattori della pdl ci sarebbe un altro motivo che varrebbe il no deciso alla legge: "Non esiste una normativa nazionale che consenta al futuro garante di poter far visita agli istituti carcerari. Per questo, se proprio si intende varare una legge, proponiamo emendamenti mirati come quello di prevedere, che il futuro garante sia un consigliere regionale, votato a maggioranza qualificata da quest’aula. Così facendo potremmo risparmiare i costi del nuovo ufficio compreso il compenso previsto per questa nuova figura".

Quel che si contesta alla maggioranza è di proporre una figura "impotente e irritante", che secondo alcuni "rischia di essere solo un ulteriore assessore lottizzato", una "forzatura ideologica" che sarebbe il pegno della maggioranza alla sinistra radicale. "È vero - ha detto il capogruppo di An in Consiglio regionale - che anche i diritti dei detenuti sono una cosa seria, ma essi sono già ampiamente tutelati. La sola idea di assicurarli ulteriormente con un garante è un insulto a tutti gli operatori del settore, un insulto ai cittadini onesti e un insulto alle vittime del crimine, quelle sì che hanno bisogno di essere tutelate dalle istituzioni". An anticipa che la coalizione di centro-destra "si farà promotrice di un disegno di legge che tuteli i diritti delle vittime del crimine: fermo restando che i diritti di tutti vanno tutelati, è evidente che a noi interessa la tutela dei cittadini che rispettano le regole prima di quella dei cittadini che le regole le infrangono,

"E poi - continua - se il disegno di legge è nato per risolvere problemi causati dal sovraffollamento delle carceri, che bisogno c’è ancora del garante all’indomani di un indulto che le carceri le ha vergognosamente svuotate? La domanda però è inutile perché la sinistra è così piena di contraddizioni e così squinternata che il giorno dopo non si ricorda quello che ha fatto il giorno prima". Secondo l’Udc "si va a creare una sovrastruttura rispetto a quelle già esistenti che invece avrebbero bisogno di essere coordinate tra loro per essere più efficienti. Sarebbe più utile e meno costoso attribuire più poteri al mondo del volontariato che opera a diretto contatto con il mondo delle carceri". E Raffaele Nevi di Forza Italia si "scandalizza" che il garante verrebbe a costare più degli oratori parrocchiali sui quali di recente la Regione ha emanato una legge con exultet delle chiese umbre. Esaminati gli emendamenti proposti, il ddl tornerà in Consiglio regionale per il voto. L’iter di questa legge per il garante dei detenuti, dice l’assessore alle Politiche sociali Stufara che l’ha promossa, "è nato un anno fa quando visitai le quattro carceri umbre. Subito dopo affidammo ad un gruppo di esperti non retribuiti il compito di stilare una proposta che la Giunta ha fatto propria, ma che ha riscosso anche il prevalente consenso di tutti i soggetti istituzionali coinvolti. Questo atto ha una rilevanza politica e dimostra come, da qualche mese, la Regione fa uno sforzo di maggior attenzione nei confronti dei portatori di bisogni. Nel passato la politica è stata assente su questi problemi, anche in questa aula. Sulla opportunità della legge voglio ricordare che la Regione Lazio, Presidente Storace, ha varato il Garante con voto unanime dell’aula.

La legge trova fondamento nella Costituzione italiana (articolo 27) e nei solleciti recenti del Consiglio d’Europa che chiede ispezioni e supervisioni nelle carceri comunitarie. I costi del Garante, che solo l’aula deciderà se retribuire ed eventualmente quanto sono comunque di molto inferiori ai 50 mila euro inizialmente previsti, e sarà comunque inferiore al contributo complessivo per il sostegno degli oratori parrocchiali" ha detto Stufara rassicurando con i vescovi umbri anche il consigliere Nevi.

Che "tale principio è ribadito anche dalla Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo e la figura del Garante è prevista dalla Convenzione Onu contro la tortura del 1997" lo ricorda Stefano Vinti di Rifondazione comunista. Che aggiunge: "La questione del regime carcerario sta diventando oggi una vera e propria emergenza sociale sia per l’esistenza di norme che il più delle volte assumono connotati di mera repressione e non di prevenzione dei reati, sia per l’insufficienza delle strutture non adeguate al numero dei detenuti. In Italia ci sono 207 carceri. Al 31 agosto 2005 erano presenti 59.649 detenuti, di cui 56.806 uomini e 2.843 donne, a fronte di una capienza regolamentare di 42.959 unità. Ci sono quindi 16.690 detenuti in più rispetto ai posti letto regolamentari. Solo in Umbria la popolazione carceraria al 31 dicembre 2005 era pari a 1023 unità, di cui 57 donne e 966 uomini, mentre il totale degli ingressi è stato pari a 1.218 unità di cui oltre il 50 percento composto da immigrati. Gli organismi internazionali e le nuove regole penitenziarie europee sollecitano e fanno espliciti riferimenti alla previsione sia a livello nazionale che locale di figure indipendenti di controllo nei luoghi di detenzione. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 26 del 1999 ha affermato la necessità della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti delle amministrazioni penitenziarie, lesive dei diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale, invitando così il legislatore nazionale a provvedere con apposite normative".

Prato: l’on. Fabio Evangelisti in visita al carcere della Dogaia

 

Toscana Oggi, 16 settembre 2006

 

È passato all’esame il carcere de La Dogaia di Prato: oggi la visita dell’onorevole Fabio Evangelisti, parlamentare toscano dell’Italia dei Valori che sta esaminando la realtà gli istituti carcerari toscani.

Dopo un mese dall’entrata in vigore del provvedimento sull’indulto Fabio Evangelisti, parlamentare toscano dell’Italia dei Valori, ha deciso di visitare gli istituti carcerari toscani e dopo quelli di Livorno, Pisa e Massa oggi l’esame è toccato a La Dogaia di Prato. Un esame comunque passato, anche se non mancano problemi di tipo strutturale e di manutenzione dovuti soprattutto ai pochi fondi: il budget 2006 per i lavori nel carcere pratese è di soli 13mila euro, ai quali vanno aggiunti i cronici problemi di personale, sempre numericamente inferiore rispetto al necessario. L’Italia dei Valori è stato l’unico partito di governo a porre dei se e dei ma al provvedimento sull’indulto che ha risolto il problema del sovraffollamento dei carceri, ma ha creato altre difficoltà fuori. In un mese dal carcere di Prato sono usciti 210 detenuti, dei quali 4 già rientrati in cella: come una piccola città La Dogaia conta circa mille abitanti tra detenuti, dipendenti e guardie carcerarie.

Firenze: Associazione Pantagruel; questo l’indulto a Sollicciano

 

Nove da Firenze, 16 settembre 2006

 

Abbiamo seguito - si legge nel numero di Settembre 2006 dell’Agenzia d’informazione dell’Associazione Pantagruel - con molta attenzione e con forte partecipazione quello che è avvenuto a Sollicciano dal primo di agosto fin verso il 20 dello stesso mese, periodo in cui sono usciti numerosi detenuti e detenute per l’indulto. Non ci voleva molto a capire che sarebbe stato difficile il rientro nella società di alcune centinaia di persone, ma siamo rimasti stupiti sull’inesistenza a livello nazionale dei ministeri competenti e a livello locale degli enti preposti (regione, provincia, comune), anche il volontariato avrebbe potuto e dovuto fare di più.

Il primo agosto sono usciti i primi 30 uomini e le prime 12 donne e per oltre due settimane è stato un susseguirsi di rientri nel territorio. Ma fuori chi c’era e cosa c’era? Togliamo le poche unità che avevano i familiari ad aspettare davanti al cancello di Sollicciano, per il maggior numero dei casi c’era il poco o il nulla. Senza una borsa o una valigia ma con i grandi sacchi neri dell’immondizia con dentro i vestiti, senza schede telefoniche; lontani dalla stazione e dal centro (sì, il Comune aveva messo a disposizione qualche biglietto dell’Ataf e una "guida", cinque pagine fotocopiate con informazioni, tre per cittadini residenti nel comune di Firenze e due per non residenti nella nostra città. Pagine non fatte bene mandate al carcere in una cinquantina di copie finite rapidamente e mai più rifotocopiate e ridistribuite!).

E poi all’esterno i posti letto (per i detenuti uomini) del Samaritano che si sono quasi subito riempiti e che non sono previsti per gli stranieri senza fissa dimora (ma se neppure una struttura religiosa è disponibile a dare un appoggio di poche notti, queste persone dove dovrebbero andare?). E qui si aprono problemi enormi della cattiva gestione dell’indulto… I numerosi stranieri che non avevano un permesso di soggiorno ricevevano all’uscita del carcere due fogli: uno con scritto esci per indulto e l’altro esci dall’Italia entro cinque giorni…e se ti ritroviamo al sesto giorno ti rimettiamo in carcere perché sei andato contro la legge Bossi-Fini, che è ancora legge dello stato italiano.

E poi chi è regolare (straniero) o italiano dove avrebbe dovuto andare? Alcuni non avevano i biglietti ferroviari per tornare a Roma o a Verona o a Milano o a Pisa, altri non avevano un posto letto, altri (pochi, ma vi erano anche loro) non avevano la possibilità di uscire perché non erano autonomi dalle terapie psichiatriche che prendevano (e dove dormivano? E chi li accompagnava alla stazione?). E il lavoro? Nei primi giorni dell’indulto esce su tutta la stampa locale che ci sono 40 borse lavoro proprio per loro…ma la notizia è falsa…ora si stanno aspettando i primi fondi…quando arriveranno? Come saranno dati? Ma soprattutto ed intanto ad agosto e a settembre e finché non arriverà questo aiuto concreto come dovrebbero e devono vivere queste persone?

Firenze: un viaggio nelle forme di comunicazione del carcere

 

Redattore Sociale, 16 settembre 2006

 

Il carcere parla, chi c’è in ascolto? Si è aperto lunedì 11 settembre a Firenze "Voci dal carcere. Linguaggi e segni nella comunicazione intramuraria" due settimane di iniziative (fino a venerdì 22) organizzate dalla Fondazione Mediateca Regionale Toscana e dall’associazione culturale e libreria Libri Liberi, con il contributo del Consiglio di Quartiere 1 del Comune di Firenze.

Un programma ricco di spunti di riflessione - tra cinema, mostre fotografiche, teatro… - con l’intento di analizzare le principali forme di comunicazione che si sviluppano sia all’interno delle mura del carcere sia dall’interno verso l’esterno. Sarà in esposizione fino a venerdì 22, presso la sala lettura della libreria Libri Liberi (Via San Gallo 25r ), "Le murate, foto dal carcere" mostra fotografica di Sandra Nastri che raccoglie collages di foto, dipinti, incisioni lasciate sulle mura dei penitenziari. Questo pomeriggio (così come venerdì 15) la Sala Affreschi di Sant’Apollonia in Via San Gallo 25, sede della Mediateca, continua ad ospitare la proiezione di film legati al tema del carcere. Tra questi troverà spazio venerdì l’anteprima, in presenza dell’autore Maurizio Orlandi, del documentario Il bandito della barriera, sul personaggio di Pietro Cavallero, noto rapinatore degli anni ‘60 alla cui vicenda si ispirò Lizzani per il film "Banditi a Milano".

Da lunedì 18, presso il giardino e la sala lettura della libreria, si "entra nel vivo" delle forme di comunicazione dal carcere e sul carcere, attraverso il linguaggio e i segni. Anche il cibo è linguaggio e via per comunicare. Un ex detenuto darà dimostrazione pratica di come si può riuscire a cucinare nello spazio angusto di una cella, mentre le donne della casa circondariale di Empoli racconteranno la loro esperienza di catering nell’ambito della cooperativa Fiordisapori. Durante la settimana ci sarà spazio, in vari momenti e su diversi temi, per le testimonianze dagli archivi delle carceri, lette da ex detenuti. Da segnalare martedì 19 l’appuntamento con "gli insegnanti che raccontano le scuole nel carcere e del carcere", un momento di confronto con particolare attenzione al problema della comunicazione tra detenuti di lingua e cultura diversa e alla differenza di genere. Inoltre sono programmati nove incontri tra scuola e carcere (giorni 19, 20 e 21) con alunni e insegnanti degli ultimi anni delle superiori. A partire dalla lettura di documenti tratti dagli archivi, si cercherà di avviare il dialogo tra studenti e detenuti. Mercoledì 20 invece spazio al teatro con "I tre fratelli", spettacolo di burattini diretto da Sergio Bulleri, tratto da una favola di Luzzati.

In scena gli attori - pazienti, operatori, volontari - della Compagnia del Drago, nata all’interno dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino dal laboratorio teatrale promosso da Arci Empolese Valdelsa. Cinema e video saranno di nuovo in primo piano giovedì 21 con le proiezioni di elaborati audiovisivi prodotti dalla Mediateca regionale toscana durante i corsi di educazione ai linguaggi audiovisivi nelle case circondariali di Firenze, Empoli e Montelupo. Tra questi verrà presentato "Evacuatio … evacuation" girato da Maria Luisa Carretto con i detenuti della casa circondariale Mario Gozzini di Firenze. Aperta, per tutta la durata delle iniziative, anche l’ormai famosa mostra "La poesia delle bambole", a cura dell’associazione fiorentina Pantagruel. Chiuderà le iniziative una tavola rotonda in programma venerdì 22, a cui parteciperanno rappresentanti delle istituzioni, direttori di istituti penitenziari, personale di polizia penitenziaria, rappresentanti della questura e il Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone. Il programma completo delle iniziative è a disposizione sul sito della Mediateca Regionale (www.mediatecatoscana.net), alla sezione archivio news. Per ulteriori informazioni chiamare al numero 055/2719029.

Napoli: il giudice Carlo Alemi; l’indulto è una dichiarazione di resa

 

Il Mattino, 16 settembre 2006

 

Una "dichiarazione di resa da parte dello Stato", che preferisce ammainare bandiera bianca di fronte alla soluzione di problemi, di emergenze croniche nella storia del Paese. Una "resa" che fa sentire i propri contraccolpi soprattutto a Napoli, città stretta nella morsa di piccole e grandi forme di illegalità. Ne è convinto il nuovo presidente del Tribunale di Napoli Carlo Alemi, titolare di importanti inchieste sul terrorismo e su collusioni tra politica e criminalità.

A margine di un incontro sul trasferimento del settore civile alla Torre A del Centro Direzionale, il presidente Alemi interviene con decisione su una questione di particolare attualità: "Se l’indulto viene concesso perché c’è un evento particolare, come l’elezione di un capo dello Stato o di un Papa, è una scelta politica che rispetto e sulla quale non mi permetto di interferire.

Ma se le ragioni del provvedimento risiedono nella impossibilità di celebrare i processi o nel sovraffollamento delle carceri, rappresenta una dichiarazione di resa da parte dello Stato". Per Alemi occorrono soprattutto leggi e risorse per far funzionare la giustizia. Secondo il magistrato non si possono ridurre i rischi sul piano della sicurezza "mandando fuori quei pochi che siamo riusciti a mettere dentro". Provvedimenti opportuni sarebbero, ad esempio, investimenti per l’edilizia carceraria e per aumentare il numero dei magistrati.

"Era inevitabile che con le scarcerazioni si sarebbe aggravata la situazione in termini di sicurezza". Ed ha infine messo l’accento sulla necessità della promozione tra i cittadini della educazione alla legalità". Un incontro che è servito anche ad informare la città sulla delicata fase di transizione del settore civile al Centro direzionale. "Il quaranta per cento del lavoro è fatto - spiega - sono stati trasferiti finora 100mila fascicoli, e ben 52 magistrati della sezione lavoro sono pronti ad iniziare la nuova era (attesa 18 anni) del Centro direzionale. Saranno diecimila gli utenti che ogni giorno affolleranno le aule del settore civile (le altre sezioni arriveranno all’inizio del 2007), grazie a cartellonistica e ad ascensori più fruibili.

Bologna: ventiquattro iniziative contro la violenza sulle donne

 

Redattore Sociale, 16 settembre 2006

 

L’adesione al numero nazionale "Antiviolenza donna" (1522, attivo da marzo), il potenziamento dell’illuminazione e della sorveglianza nei parchi pubblici a partire da Villa Spada, la creazione di "parcheggi rosa" in prossimità delle uscite come già esistono in quello sotterraneo di piazza VIII Agosto, la ripresa dei corsi di autodifesa personale, l’avvio di un punto unico di accesso al pronto soccorso dell’ospedale Maggiore per chi ha subito abusi sessuali. Sono alcune delle azioni pensate dal Comune di Bologna per contrastare la violenza alle donne dopo gli ultimi episodi verificatisi in città. Ventiquattro iniziative, coordinate tra più assessorati, l’Ausl, i servizi sociali e sanitari, le forze dell’ordine, l’autorità giudiziaria e le associazioni femminili, che "seguono tre linee guida - spiega il sindaco di Bologna Sergio Cofferati -: la prevenzione, la sensibilizzazione verso una cultura del rispetto e il sostegno psicologico alle vittime. Più un quarto principio ispiratore: la volontà di venire in aiuto alla funzione repressiva" che spetta a giudici, polizia e carabinieri.

Tra le altre azioni in cantiere ci sono la formalizzazione del Coordinamento cittadino per il contrasto della violenza a donne e minori (che comprende Ausl, Questore, Ordine dei medici e degli avvocati, Procura, Tribunale per i minorenni, Università, Autorità scolastica provinciale, Medicina legale, parti sociali e associazioni), la nascita di un Osservatorio metropolitano sui casi di violenza, l’inserimento di un approfondimento sull’Emilia-Romagna nell’indagine nazionale Istat, la convenzione con la Casa delle donne per non subire violenza, l’ampliamento del servizio di consulenza e assistenza legale alle vittime di abusi e aggressioni, l’indicazione delle aree video sorvegliate, la dotazione di radio portatili agli assistenti civici che già controllano il territorio, la sperimentazione di un modello di accoglienza di genere, corsi di formazione per operatori sociali e autisti degli autobus, il rilancio delle cosiddette "fermate di cortesia" (si invitano i taxisti a sostare sotto casa delle clienti fino a quando non sono entrate nel portone), seminari pubblici, iniziative culturali e nelle scuole, mappatura delle zone a rischio e progetti nei quartieri come ad esempio "Macho free zone".

"Tutti questi interventi nascono dalla somma sia di gesti nuovi sia di comportamenti che invece erano già esistenti da tempo in città - sottolinea Cofferati -. Comunque il Comune, e in particolare la vicesindaco con delega alle Politiche sociali e gli assessorati alle Politiche delle differenze e alla Salute, ha svolto un lavoro complesso, per un fenomeno dove le semplificazioni sono vietate, oltre che tempestivo: in una settimana sono state partorite ventiquattro azioni concordate e coordinate tra tutti i soggetti interessati, costruite in base a seri confronti, e che anticipano la riunione con il Comitato provinciale per la sicurezza". E circa i finanziamenti, il primo cittadino di Bologna ha precisato che l’amministrazione comunale metterà a budget "tutte le risorse del caso, anche se non si prevedono costi troppo rilevanti: molte azioni non sono onerose, mentre per altre chiederemo ai privati che ci vengano in aiuto".

Torino: Melchiorre; giustizia minorile? non è uguale per tutti

 

Redattore Sociale, 16 settembre 2006

 

"Saranno disponibili 5 milioni di euro per la giustizia minorile in Italia" è quanto ha annunciato Daniela Melchiorre , Sottosegretario del Ministero della giustizia al Terzo incontro nazionale sulla giustizia minorile, organizzato nella giornata del 14 settembre a Torino dall’Unicefe e dal titolo "Diritti minori per i minori stranieri?".

"Si tratta di una vera e propria boccata d’ossigeno - ha spiegato il sottosegretario - date le criticità che dobbiamo affrontare, delle quali la principale resta quella dei minori stranieri". Se si analizzano le denunce, si nota che solo per il 28% queste riguardano ragazzi stranieri, ma se si prendono in esame gli ingressi nei CPA (Centri di Prima Accoglienza) e negli IPM (Istituti Penali Minorili) si nota che la presenza di minori stranieri è di ben oltre la metà (54% nei CPA, 58% negli IPM). Si tratta di una discrepanza, come ha notato lo stesso sottosegretario, che mostra come la giustizia minorile non sia "uguale per tutti". "Prima di tutto - ha continuato Daniela Melchiorre - è necessario un cambiamento di mentalità. L’attuale sistema crea una discriminazione di fatto e i minori stranieri, tanto più quelli non accompagnati, sono di fatto esclusi da un serie di diritti, come l’accesso a pene alternative, la possibilità di accedere alle comunità, che invece sulla carta dovrebbero essere riconosciuti anche a loro. L’esecuzione della pena deve inoltre tendere alla costruzione di percorsi di vita che recuperino dall’esperienza della trasgressione e della devianza".

Il cambio di rotta, oltre che attraverso i maggiori fondi annunciati, passa anche attraverso una riforma dell’intera giustizia minorile. "È inaccettabile - ha affermato il sottosegretario - che oggi si occupi di minori nel campo della giustizia una pluralità di soggetti: giudici tutelari, Tribunale dei minori, giudici civili nel caso di conflitti familiari…". La riforma annunciata sarà oggetto dello studio di un’apposita commissione di esperti: docenti universitari, magistrati e avvocati, ma il sottosegretario Melchiorre ne ha tracciato le linee di fondo. "Occorre un unico giudice che si occupi di minori e famiglia, competente per la sera penale e civile quando sono direttamente coinvolti dei ragazzi. Occorre quindi creare figure di grande specializzazione. Accanto all’esclusività di questa funzione bisogna che gli organismi siano misti e le competenze plurali, mediante la presenze di giudici onorari che abbiamo conoscenze ed esperienze di carattere psicologico, educativo, sociale".

Oltre a questo il sottosegretario ha annunciato una particolare attenzione alle madri, italiane, straniere o nomadi, detenute in carcere con figli inferiori ai 3 anni. "Bisogna in tutti i modi evitare la permanenza in carcere di tali situazioni. Ancora di più questo va evitato, anche se si tratta di recidive, se la madre è minorenne. Sono casi che vanno accolti in comunità protette".

 

"I ragazzi italiani e stranieri non hanno gli stessi diritti"

 

Graziana Calcagno, già procuratore della repubblica presso il tribunale dei minorenni di Piemonte e Valle d’Aosta, si esprime senza giri di parole al III Incontro nazionale sulla giustizia minorile organizzato a Torino dall’Unicef: "non ci sono gli stessi diritti per i minori stranieri e per quelli italiani in Italia, anche se tutte le carte, lo Convenzioni internazionali, le norme e le leggi, comprese tutte le sentenze della Corte costituzionale su questi temi, affermino che i minori stranieri debbano godere in campo giudiziario degli stessi diritti dei minori italiani".

Tra i motivi più evidenti di questa disparità evidenzia l’ex procuratore la precarietà del permesso di soggiorno per minore età, che non permette ai ragazzi di lavorare e che spesso non viene concesso dalla Commissione competente, perchè "non c’è motivo che il minore resti in Italia" una formula che non pare rispondere al "supremo interesse del minore".

Oltre a questo Graziana Calcagno sottolinea la difficoltà di accesso dei minori stranieri che hanno commesso reati a percorsi di indulgenza o pene alternative. Si tratta di questioni che non sono sfuggite a livello internazionale, come ha spiegato Antonio Sclavi, presidente Unicef-Italia. Ha infatti ricordato come nel 2003 il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia ha fatto alcune raccomandazioni al nostro Paese rispetto all’applicazione della Convenzione dei diritti dell’infanzia che l’Italia ha firmato. In particolare, rispetto ai minori stranieri, il Comitato ha espressamente chiesto di adottare tutte le misure necessarie per pervenire la discriminazione nei confronti di stranieri e rom, di assicurare che ogni minore privato della libertà possa inoltrare i suoi ricorsi e di predisporre una formazione opportuna su questi temi per il personale che deve amministrare la giustizia minorile. Infine il Comitato - secondo quanto ricorda Sclavi - ha dato particolare enfasi anche alla garanzia dei diritti fondamentali per bambini stranieri e rom soggiornanti in modo irregolare in Italia. Su questo punto è intervenuta anche Eleonora Artesio, assessore alla Solidarietà Sociale della Provincia di Torino.

"Chiediamo chiarezza su un punto. È necessario che lo sforzo educativo per sostenere i minori stranieri, soprattutto non accompagnati, attraverso percorsi di studio, crescita umana e culturale, possa avere la chiarezza di uno sbocco una volta compiuto il diciottesimo anno di età". Da più parti, e soprattutto da associazioni e gruppi del terzo settore che lavorano a contatto con i minori immigrati, si chiede che per i ragazzi stranieri che hanno accettato percorsi formativi spesso per loro difficili e faticosi, vi sia la garanzia, una volta maggiorenni, di avere un permesso di soggiorno per poter stare in Italia a lavorare.

Venezia: oggi a San Servolo festa del volontariato penitenziario

 

Il Gazzettino, 16 settembre 2006

 

Maria Teresa Menotto ha presentato ieri "Carcere e dopo carcere", l’undicesima edizione della giornata in isola, dedicata ai problemi penitenziari, che avrà luogo sabato prossimo, come tradizione nell’isola di San Servolo. "Il reinserimento nella società di detenuti e detenute - ha proseguito la presidente del Granello di Senape, l’associazione che promuove l’evento - sarà il tema fondamentale della giornata; si cercherà di valutare il ruolo delle istituzioni e lo stato del rapporto fra carcere e territorio."

"Sottolineo due aspetti - ha aggiunto ieri mattina a Cà Farsetti l’assessore alle Politiche sociali, Delia Murer - da un lato l’attività della rete collaborativa presente a Venezia, tale da trasformare la detenzione in opportunità per rimettersi in gioco più positivamente, peraltro proprio nei penitenziari veneziani, quindi veri e propri "pezzi" di città; dall’altro lato è importante questo appuntamento a San Servolo, perché qualifica sia l’isola che coloro i quali hanno cercato da subito di valorizzarla".

"Il Comune - ha concluso l’assessore - ha superato da un pezzo il concetto di pura assistenza, favorendo invece percorsi di autonomia della persona reclusa, di progetti individuali, di punti di riferimento a fine pena. Il Comune di Venezia ha chiesto al ministero una serie di provvedimenti per rendere più facile e sostenuto l’inserimento nelle cooperative degli ex detenuti."

Il programma prevede alle ore 10 il dibattito "Venezia: progetti nel territorio e ruolo del volontariato"; poi, alle 15, la proiezione del film "Questione di pelle". Alle 17, la tavola rotonda "Indulto: nuove speranze e vecchie realtà" alla presenza di Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia. Alle ore 20.45 "Il libro della vita", spettacolo teatrale messo in scena dalla Compagnia della Fortezza di Volterra. Infine, un brindisi notturno. I promotori, appoggiati da tutte le realtà operanti nella sfera della società penitenziaria, si sono augurati la partecipazione della città a questa festa, impreziosita, dalle 16 alle 19, dalle visite guidate all’isola e al museo della Follia.

Napoli: gli imprenditori; con l’indulto aumenta l’insicurezza

 

Il Denaro, 16 settembre 2006

 

Con l’indulto lo Stato non risolve i problemi del sistema carcerario. È quanto pensano gli imprenditori partenopei a commento della dichiarazione di Carlo Alemi, presidente del Tribunale di Napoli, che parla del provvedimento di clemenza come di una dichiarazione di resa delle istituzioni. Nel mondo economico, si dividono le opinioni riguardo la sconfitta citata dal magistrato, ma è unanime la richiesta di riformare la Giustizia attraverso maggiori investimenti nell’edilizia carceraria e nelle attività di formazione dei detenuti.

È comune agli imprenditori napoletani l’idea che l’indulto non sia stata una soluzione alla crisi della giustizia italiana. Molti concordano pienamente con Carlo Alemi, presidente del Tribunale di Napoli, che giudica il provvedimento di clemenza una dichiarazione di resa dello Stato. Antonio Pace, presidente Fipe-Confcommercio di Napoli dice che: "Quanto sostiene Alemi è giusto. La mancanza di organizzazione e di spazio non può legittimare una legge che metta in libertà i detenuti nella maniera in cui sta avvenendo".

Maggiore rigore nelle spese pubbliche privilegiando le situazioni di emergenza è la sua proposta per risolvere il sovraffollamento. "Esistono settori per i quali lo Stato spreca i soldi - aggiunge - ed altri dove non interviene in maniera adeguata. Uno di questi è quello della giustizia. Auspico un riassetto di tutto il sistema pubblico". Della stessa opinione è Fabrizio Luongo, segretario Casartigiani Campania che ritiene il provvedimento un deterrente all’impegno delle forze dell’ordine.

"Credo anch’io che siamo di fronte ad un fallimento dello Stato. Il problema più grave è che questa legge non incoraggia gli operatori della giustizia a svolgere il loro lavoro".

"Le istituzioni avrebbero dovuto anticipare tale complesso di norme con dei progetti di formazione all’interno delle galere - aggiunge - per favorire l’integrazione degli ex detenuti nel mondo produttivo. Pertanto, credo sia necessario mettere mano ad una seria riforma". Di debolezza della macchina amministrativa parla anche Emilio Alfano, presidente Api Campania, che concorda con la necessità di rivedere l’organizzazione delle case circondariali. "L’indulto promuove l’attività della criminalità e genera insicurezza della pena. È anche vero che nelle nostre carceri si vive male e che sebbene in una cella si ha diritto ad una esistenza dignitosa.

Per tale motivo - dichiara Alfano - è opportuno investire nell’edilizia carceraria e favorire la crescita professionale degli individui. Ciò consentirebbe ai detenuti di imparare un lavoro ed eventualmente sostenere le famiglie che restano sole".

Più cauto è Bruno Scuotto, presidente del Gruppo piccola dell’Unione industriali di Napoli: "Da cittadino mi preoccupa il crescente numero di episodio criminosi che si susseguono dopo il provvedimento di clemenza ma - prosegue - non mi pare si possa parlare di sconfitta dello Stato.

Resta ferma la necessità di migliorare la vivibilità nei luoghi di detenzione, come accade negli Stati Uniti". Recuperare la vera funzione dell’indulto è l’osservazione avanzata da Alessandro Limatola, presidente Clai Campania. "In questa occasione è servito solo a svuotare le celle ma non è per questo motivo che è previsto dal nostro ordinamento.

La difficoltà della giustizia italiana è una questione atavica che va risolta con riforme strutturali. Basti pensare al congestionamento dei processi". Mostra preoccupazioni sulla questione sicurezza anche Pasquale Gentile, presidente Adan: "Ho pieno rispetto per le decisioni delle alte cariche ma sono deluso del loro operato. In una città come Napoli gli effetti negativi dell’indulto sono ancora più evidenti e ne abbiamo riscontro ogni giorno come emerge dai fatti di cronaca".

Napoli: 15 sacerdoti tra i detenuti, per indicare la "vera" libertà

 

Avvenire, 16 settembre 2006

 

Una Missione al popolo che si svolge non nelle piazze, non nelle chiese, ma tra alte mura e ancor più alte cancellate. Una Missione per il popolo dei carcerati in quel microcosmo di vite e di disperazione che è il carcere napoletano di Secondigliano. "Annunciare Cristo per liberare l’uomo" è il tema della Missione che si è aperta ieri e che fino al prossimo venerdì impegnerà nell’istituto penitenziario di Secondigliano i parroci e i sacerdoti delle chiese di Scampia e dei quartieri confinanti. Quindici sacerdoti in un carcere dove con gli uomini, che pure hanno sbagliato e che espiano la pena, si rinchiudono la speranza e il futuro. E se per i detenuti le celle e i cancelli non possono aprirsi per lasciarli tornare uomini liberi tra gli uomini liberi, l’anima, il cuore, i pensieri di quegli stessi uomini possono assaporare un’altra libertà, una libertà diversa che aiuta a ritrovare la dignità della persona e a riconoscere i propri e altrui diritti, attraverso la conoscenza di Gesù e della sua Buona Novella.

La Missione nel carcere di Secondigliano è stata pensata come un incontro straordinario con i detenuti dei sacerdoti portatori di Cristo e della sua Parola. Un evento voluto da don Raffaele Grimaldi e da padre Luigi Santullo, cappellani del carcere, in collaborazione con la direzione dell’istituto penitenziario, per vivere insieme alcuni momenti di riflessione anche in preparazione della visita del cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, che avverrà sabato prossimo.

Durante i giorni della Missione, nei diversi reparti, saranno aperti centri di ascolto mentre le celebrazioni si alterneranno alla riflessione e alla condivisione della Parola. Centrale come in ogni Missione al popolo è la confessione, cui i sacerdoti in questo luogo comunque di sofferenza danno grande importanza e in cui confidano perché uomini e anime si avviino sulla strada della reale redenzione.

Il carcere di Secondigliano sorge proprio di fronte all’ingresso di Scampia, quartiere fin troppo noto alle cronache di nera. Questo fa dire a don Raffaele Grimaldi: "Scampia è quasi emblema della violenza a Napoli. I sacerdoti delle sue chiese aiutano a richiamare ad un vero riscatto della zona. Vengono nel carcere anche come parroci di coloro che vivono detenuti, perché la maggior parte proviene proprio da Scampia e dalle zone vicine, per annunciare Gesù e infondere speranza".

Napoli: iniziano incontri letterari a Secondigliano e Poggioreale

 

Il Mattino, 16 settembre 2006

 

Gli scrittori entrano in carcere per discutere dei loro libri con i comitati di lettura istituiti dal Premio Napoli dal 2003 nei penitenziari. Fino all’anno scorso l’incontro avveniva solo all’istituto di Secondigliano, quest’anno anche Poggioreale vivrà questo particolare momento di grande significato culturale e umano, L’appuntamento del Premio Napoli con gli istituti di pena è in programma questa mattina alle 10: Uwe Timm e Péter Esterhàzy (finalisti per la narrativa straniera), Felice Piemontese e Elio Pagliarani (poesia) saranno al penitenziario di Secondigliano, mentre la terna di narrativa italiana (Bruno Arpaia, Claudio Piersanti e Antonella Moscati) e Franco Marcoaldi (poesia) andranno a Poggioreale. I gruppi di lettura, formati da detenuti e educatori, hanno pieno diritto di voto. Nel 2003 nascono a Secondigliano due comitati: "Abate Faria" e "Girasole". Nel 2005 si forma un terzo comitato ("Liberamente") e quest’anno un quarto ("Volta Pagina"), per un totale di 72 lettori che stamattina incontreranno i finalisti. Il carcere di Poggioreale quest’anno ha costituito due comitati: "Mastriani" (narrativa italiana) e "Insieme" (poesia), coinvolgendo venti detenuti. In serata a piazza Dante, infine, è in programma la prima delle tre manifestazioni che culmineranno domenica sera nella proclamazione dei vincitori: alle 19 gli autori finalisti incontreranno pubblico e studenti dei licei Umberto I, Vittorio Emanuele e della Nunziatella, coordinerà Generoso Picone. Alle 21,30 proiezione di "Vito e gli altri", film d’esordio di Antonio Capuano, del quale domani sera sarà presentato il documentario sui "nuovi napoletani", "Ferrovia".

Cremona: allarme della Cisl; pochi gli agenti penitenziari

 

La Provincia di Cremona, 16 settembre 2006

 

Carcere ancora sotto esame. Carcere sempre con i soliti problemi, a partire da quelli del personale. La Polizia penitenziaria a Cà del Ferro, che ha retto con professionalità all’onda d’urto dell’indulto, che ha parzialmente svuotato il penitenzario (ma gli arrivi stanno aumentando) è drammaticamente sotto organico: dei 195 agenti in organico ce ne sono 143. Con turni massacranti.

E neppure la direzione riesce ad ottenerne di più. Ci proverà, con i suoi canali romani, il senatore Paolo Bodini che ieri mattina ha visitato il carcere con i vertici della Funzione Pubblica della Cisl, guidata dal segretario generale Jindra Rubasova.

Sconsolante il quadro che Rubasova, affiancata da Vincenzo Tarallo (operatore Cisl) e Vincenzo Termine (guardia carceraria Cisl) ha fatto all’uscita, dopo un’oro abbondante di ‘sopralluogò iniziato nell’ufficio del direttore Ornella Bellezza. Partendo appunto dai numeri. Polizia penitenziaria sotto numero e che, oltre alla sorveglianza interna, viene spesso mandata in missione in altre carceri. Ne servono 195, ce ne sono 143. I conti sono presto fatti.Poi i detenuti.

L’indulto, precisa Rubasova, ha parzialmente svuotato il carcere: degli abituali 330 detenuti, ce ne sono ora solo 117. Ma mentre era in corso la visita fortemente voluta dalla Cisl, è entrato un pullman con 20 nuovi ‘inquilini’. Altri 40 sono attesi per oggi. E questo perché le carceri milanesi sono sovraccariche e devono trovare sfogo nella bassa Lombardia. Insomma il carcere sta lentamente tornando ai livelli di sempre.

Sul personale insiste Rubasova: "Nonostante le promesse dei vari parlamentari e consiglieri regionali che sono arrivati, l’impegno, ammirevole, della direttrice, non si riescono a coprire i vuoti dell’organico. Con la nostra visita abbiamo voluto dare un segnale forte alla polizia penitenziaria, che si sente abbandonata dai politici e dalle istituzioni. Noi faremo la nostra parte".

Ma di tutti quanto avviene in carcere ha preso buona nota il senatore Paolo Bodini al quale la Cisl aveva mandato, in agosto, una lettere sul tema. Dice il senatore: "La Cisl mi farà avere, già lunedì, materiale ancor più dettagliato su Cà del Ferro, io mi attiverà presso il Ministero della Giustizia per capire in dettaglio la situazione della Polizia Penitenziaria, che svolge un grande lavoro,e del carcere generale. Farò il possibile per dare risposta ai tanti problemi che da anni non si risolvono". Conclude Bodini: "Il nostro carcere, nel quale anche il volontariato è attivo, deve trovare tranquillità e tornare a rieducare, come prevede la Costituzione".

Trento: una guida per i senza dimora, stampate 4.000 copie

 

L’Adige, 16 settembre 2006

 

Una guida ai servizi di prima necessità per persone in difficoltà da distribuire, in comodo formato tascabile e plastificato, in 4.000 copie. Ecco una delle risposte da dare nella difficile opera di risposta ai bisogni degli emarginati. Ieri mattina al Punto d’Incontro il gruppo di lavoro responsabile del progetto "Password di strada" ha presentato pubblicamente una serie di iniziative in questo senso. Si tratta di una "chiave universale" per offrire una possibilità in più a chi, relegato a margine della società ed etichettato come senza fissa dimora, di occasioni ne ha davvero poche.

Ma può diventare anche un utile strumento per valorizzare e qualificare l’intervento di volontari ed operatori stessi. "Password di strada" risponde a molteplici bisogni: "Vuole mettere in rete in modo più omogeneo e con maggior continuità realtà che operano a fianco dei deboli - chiarisce Piergiorgio Bortolotti, direttore del Punto d’Incontro -, anche dal punto di vista materiale con la produzione di un pieghevole rivolto a chi necessita dei servizi e con due guide destinate a volontari e operatori".

Conoscenza reciproca spesso fa rima con sinergia e Bortolotti, attivo in un sottobosco urbano difficilmente quantificabile nella sua interezza (si pensi che solo al Punto d’Incontro sono presenti circa 140 persone a pasto), sa bene quanti e quali siano i bisogni cui fare fronte: "Un apposito tavolo di lavoro sta già verificando quali siano quelli non ancora coperti. Il mio messaggio alla popolazione vuole giungere forte: i problemi dei disagiati non riguardano solo pochi soggetti che operano nel settore, ma tutta la comunità. La loro esistenza deriva proprio da aspetti della nostra vita normale, la carta di credito è divenuta la password per i diritti".

Nelle guide fruibili a operatori e volontari, tirate rispettivamente in 400 e 1.500 copie, vengono presentati i senza dimora, la rete dei servizi, gli snodi cruciali formazione, lavoro, casa e le aree giuridico-legale, salute e cultura. Chiudono i volumi alcune categorie, quali minori stranieri non accompagnati, donne straniere irregolari in gravidanza, richiedenti asilo politico, di particolare attenzione. "Ci troviamo spesso a rincorrere - interviene Nicola Pedergnana del Comune di Trento -. L’informazione è fondamentale per l’accesso, ma l’accesso non viene garantito dall’informazione. Lavoro interinale ed instabilità, costo delle case troppo alto, mobilità dei senza dimora, mancanza di permessi di soggiorno non facilitano certo il compito".

Nei pieghevoli, 1.000 dei quali consegnati alle carceri da distribuire a quanti riassaporano la libertà, è riprodotta una mappa della città e vengono riportati, in più lingue (anche in caratteri arabo e cirillico), orari, indirizzi, telefono, linea di autobus con cui raggiungere servizi di primaria importanza. È il caso dei punti di ricerca lavoro, di ascolto, del pronto soccorso (consultorio, guardia e assistenza medica), dove avere cura del proprio corpo e del vestiario (docce e lavanderia), dove trovare un pasto caldo e dormire. Perché come in "Tecla", una delle "Città invisibili" di Calvino, "si continui nella costruzione affinché non cominci la distruzione e si possa alla fine ammirare il progetto di una notte stellata".

 

 

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