Rassegna stampa 2 ottobre

 

Indulto: in Lazio 4.000 beneficiari, 62 sono stati riarrestati

 

Comunicato stampa, 2 ottobre 2006

 

Su oltre 4.000 persone che in tutto il Lazio hanno beneficiato dell’indulto solo 67 (38 italiani e 29 stranieri) sono tornate in carcere, 62 delle quali arrestate in flagranza di reato. I dati, aggiornati al 26 settembre, sono stati diffusi dal Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni. "I numeri - ha detto Marroni - dimostrano senza possibilità di errore che non esiste nessun allarme sociale legato all’indulto e che chi è uscito dal carcere per effetto di questa misura solo in rarissimi casi è tornato a delinquere".

Secondo i numeri diffusi dal Garante dei Detenuti (aggiornati al 20 settembre dal Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria e dal Provveditorato Regionale del Lazio del Dap) con l’indulto dai 13 istituti di reclusione del Lazio sono uscite 2.201 persone (176 donne e 2.025 uomini). A queste ne vanno aggiunte altre 1.816 che erano soggette a misure alternative alla detenzione. In totale nel Lazio i detenuti che hanno usufruito dell’indulto sono stati 4.017. Di questi, oltre 1.500 sono residenti a Roma.

Prima dell’indulto nel Lazio erano recluse oltre 6.000 persone; altre 4.000 erano soggette a misure alternative alla detenzione. Il 26 settembre, dopo le scarcerazioni, negli istituti regionali i detenuti presenti erano 3.767 (di cui 3.448 uomini e 319 donne).

Ecco, al 26 settembre, il dettaglio per carcere delle persone che avevano beneficiato dell’indulto e che sono rientrate: Cassino (3), Civitavecchia (4), Frosinone (2), Latina (5), Roma - Rebibbia Femminile (3), Roma - Rebibbia Nuovo Complesso (9), Roma - Regina Coeli (35), Velletri (6).

"In questi giorni - ha detto il Garante dei Detenuti Angiolo Marroni - abbiamo censito tanti casi di ex detenuti che, nonostante le difficoltà, cercano di vivere nella legalità per non sprecare l’opportunità che gli è stata concessa. Si è parlato tanto dell’indulto con timore ma, ora che i dati dimostrano che nel Lazio ciò non è vero, occorre che le istituzioni governino la realtà, programmando il graduale reinserimento sociale degli ex detenuti coinvolgendo imprese e cooperative sociali. Intanto si deve continuare a rispondere, anche in maniera temporanea, alle esigenze primarie di chi esce dal carcere: alloggio, cibo e lavoro".

Firenze: detenuti impiegati per protezione ambientale

 

Nove da Firenze, 2 ottobre 2006

 

Il Laboratorio didattico ambientale della Provincia di Firenze e la Casa circondariale Gozzini hanno siglato un accordo in materia di educazione ambientale ed alla sostenibilità. L’accordo è stato firmato dall’assessore all’Ambiente Luigi Nigi, dall’assessore alle Politiche sociali Alessia Ballini e dalla Direttrice della Casa circondariale Grazia Grazioso.

Verrà dunque avviato un programma di attività educative all’interno della Casa Circondariale e, dove sarà possibile, presso il Laboratorio Didattico Ambientale di Villa Demidoff. L’assessorato all’Ambiente conferma il suo impegno di natura didattico-educativa garantendo il regolare e gratuito svolgimento del servizio presso la casa Circondariale e a Pratolino per tutta la durata dell’iniziativa (l’anno scolastico 2006-2007).

L’assessorato alle Politiche Sociali mette a disposizione la sue competenze, mutuate da una lunga esperienza nelle strutture detentive e penitenziali, offrendo un servizio di consulenza e supervisione per facilitare al massimo la progettazione e gestione dell’intervento educativo nella Casa Circondariale. La Casa circondariale inserisce d’altra parte il progetto di educazione ambientale nell’ambito dei programmi didattici e formativi che offre ai detenuti presso le sue strutture, fornendo gli strumenti ed i locali per lo svolgimento delle attività concordate; assicura il coordinamento e l’armonizzazione tra l’azione del proprio personale educativo e quello educativo ambientale della Provincia; garantisce infine un assiduo impegno di informazione e presentazione dell’esperienza didattica presso gli organismi dirigenziali del sistema carcerario regionale e presso dirigenti e responsabili di altre Case circondariali, per facilitarne la massima diffusione ed estensione. La Provincia e la Casa Circondariale M. Gozzini progetteranno, per quanto sarà possibile, iniziative di recupero e conservazione del patrimonio ambientale mediante l’impiego di detenuti in servizi di pubblica utilità, soprattutto nelle giornate speciali dedicate ad iniziative ambientali.

Roma: il 4 ottobre Festa Nazionale della Polizia Penitenziaria

 

Comunicato stampa, 2 ottobre 2006

 

Nel corso della cerimonia il Presidente della Repubblica consegna l’onorificenza della Medaglia d’oro al Merito civile alla Bandiera del Corpo di Polizia Penitenziaria. In occasione della Festa, il Corpo di Polizia Penitenziaria effettua il Cambio della Guardia d’Onore al Quirinale. Alle ore 20,00, all’Arco di Costantino, la banda musicale della Polizia Penitenziaria si terrà un concerto.

Nel corso della giornata, in via di San Gregorio - Arco di Costantino, gli atleti di alcune discipline del Gruppo Sportivo "Fiamme Azzurre" offriranno ai cittadini momenti di esibizione. È prevista la partecipazione di Carolina Kostner. Le unità cinofile antidroga della Polizia Penitenziaria mostreranno alcune fasi della loro attività operativa.

Il Corpo di Polizia Penitenziaria è costituito da circa 43.000 unità di personale, di cui 3600 donne. La Polizia Penitenziaria garantisce la sicurezza degli istituti penitenziari, partecipa alle attività di osservazione e trattamento a favore dei detenuti, esegue il servizio di traduzione e di piantonamento.

La Polizia Penitenziaria si avvale di diverse specializzazioni tra cui il servizio navale (che opera nelle sei basi di Porto Azzurro, Pianosa, Venezia, Napoli, Favignana, Porto Torres), il servizio cinofili, il reparto a cavallo impiegato negli istituti penitenziari che dispongono di colonie agricole.

Alla Polizia Penitenziaria è attribuito il compito di curare la tutela delle persone del Ministero della Giustizia sottoposte a misure di protezione. Attività per la quale è stato istituito l’Ufficio per la Sicurezza personale e la vigilanza. Il gruppo sportivo "Fiamme azzurre" della Polizia Penitenziaria vanta tre ori olimpici (l’ultimo, alle Olimpiadi di Atene conquistato da Giovanni Pelliello nella "Fossa Olimpica". Le origini storiche del Corpo di Polizia Penitenziaria risalgono al 1817, quando con le regie patenti del Regno sardo nascono le Famiglie di giustizia. Da allora il personale di custodia delle carceri ha assunto diverse denominazioni: nel 1873 Guardie carcerarie, nel 1890 Corpo degli Agenti di Custodia, infine, con la legge di Riforma del 1990, viene istituito il Corpo di Polizia Penitenziaria, denominazione che esprime la modernità del Corpo e la complessità dei compiti e delle funzioni che la Polizia Penitenziaria svolge a tutela della sicurezza e della legalità.

Droghe: la canapa? in Italia è proibita, anche per curarsi

 

Redattore Sociale, 2 ottobre 2006

 

La canapa potrebbe essere la migliore medicina per la cura di molte malattie. Peccato che sia vietata dalla legge e che quindi, anche per uso terapeutico, espone chi la usa al rischio del carcere. Bisognerebbe dunque cambiare le leggi, sia qui in Italia, sia negli Usa, dove ogni anno almeno 800 mila persone finiscono in galera per la marijuana. È questo il messaggio principale che è emerso da un convegno organizzato oggi a Palazzo Marini (sede parlamentare) a Roma dall’associazione Forum Droghe-Fuoriluogo, in collaborazione con la Regione Lazio. Al convegno ha partecipato uno dei massimi esperti della materia, il professor Lester Grinspoon, che ha tenuto una vera conferenza dottorale sull’uso della canapa in medicina, sulle sue caratteristiche e sui vantaggi che un uso di queste sostanze rispetto ai farmaci di derivazione chimica. Per l’occasione è stato anche presentato un libro (da Grazia Zuffa che da anni si occupa del problema) con la raccolta di articoli che il professor Grinspoon ha scritto per il periodico "Fuori luogo". Titolo del libro: "Viaggio nella canapa, il movimento internazionale per gli usi terapeutici".

Grinspoon ha fatto il punto sulla esperienza statunitense che continua ad essere paradossale e perfino assurda. Di fronte all’evidenza di un uso positivo di queste sostanze si assiste a una netta chiusura di ordine politico-culturale da parte dell’attuale amministrazione Bush. Il governo, racconta Grinspoon, è perfino arrogante e gli effetti di una politica netta di chiusura e perfino di persecuzione di questi settori di cittadinanza americana si vedono dai dati sugli arresti. Ma qual è la politica che si pratica in America sulla cannabis in uso terapeutico? Semplice: il governo criminalizza tutti coloro che usano la pianta della marijuana e invece permettono l’uso dei derivati chimici che poi sono prodotti dalle grandi case farmaceutiche. Quello su cui si spinge di più è il farmaco Marinol, prodotto chimico che viene venduto in alternativa alla canapa in caso di terapie per determinate malattie. Molto istruttivo capire come ci si muove negli Usa. Il governo, allo scopo di boicottare l’uso della canapa fumata ha inserito i prodotti derivati chimicamente in tabelle di più facile accesso. Ma siccome, poi, sono i pazienti a decidere con i loro comportamenti concreti, si è capito subito che Il Marinol, prodotto dalla Unimed, non veniva gettonato come la canapa. A questo punto il governo ha cambiato la classificazione per renderlo più attraente e competitivo.

Il professor Grinspoon ha però spiegato che si tratta di una strada completamente sbagliata. La pianta costa molto meno ed è infinitamente più utile nelle terapie rispetto ai farmaci. L’uso tra l’altro può essere molto esteso perché sono stati registrati grandi successi in terapie anche molto al limite, tra cui quelle per l’Aids e i tumori. "La canapa - afferma Grinspoon - è in fondo una medicina meravigliosa". Il motivo è semplice: produce i suoi effetti direttamente sul cervello dei pazienti, mentre nell’uso di tutte le altre sostanze chimiche si deve sempre attendere un lasso di tempo che arriva anche a due ore per avvertire l’effetto sollievo.

L’altra caratteristica che rende superiore le canapa in queste applicazioni mediche - sempre secondo l’esperto - è che il paziente può decidere qual è il momento più giusto per fermarsi. Nell’uso degli altri farmaci, invece, qualsiasi paziente è nelle mani del suo medico che gli prescrive le medicine da prendere, le dosi e i tempi. Molto interessante anche il racconto delle esperienze che si stanno sviluppando negli Usa e in particolare in California a proposito di cooperazione e solidarietà tra malati e persone comunque bisognose. Ci sono i "compassion club" che adottano due modelli diversi. C’è il modello stile farmacia, dove i pazienti vanno a prendere la canapa che serve alla loro terapia. Si tratta di un meccanismo molto simile a quello degli altri farmaci, visto che ci si presenta con la ricetta del medico curante. Solo in undici stati americani è però permesso l’uso della canapa per terapie mediche.

L’altro modello è quello dei club, veri e propri luoghi di incontro in cui oltre ad avere la canapa, si può socializzare con altre persone che hanno il tuo stesso problema. Si tratta di club tipo i coffee house, dove la gente si sostiene a vicenda. Il problema principale, come sappiamo bene, per molti malati è quello dell’isolamento sociale. Si sviluppano così veri e propri gruppi di sostegno. E si tenta di praticare la strada dello stare meglio. È questo in fondo anche uno dei punti essenziali delle terapie. Grazia Zuffa, presentando Grinspoon, ha ricordato infatti la differenza tra lo stare bene e il sentirsi bene. L’uso della canapa in medicina potrebbe fare grandi passi. Ma dal punto di vista legislativo i ritardi si scontano in tutto il mondo. Per ora l’uso della marijuana è consentito solo in Olanda, Canada e in undici stati degli Usa. In Italia il dibattito è stato avviato da anni, ma i ritardi si stanno cumulando. Forse è questa l’occasione, con un governo che dice di volersi impegnare concretamente, per sbloccare qualcosa. E mentre si attendono novità sul fronte legislativo, sia parlamentare che locale (le Regioni) si sviluppa il dibattito tra le due scuole di pensiero da sempre presenti tra gli addetti ai lavori. C’è infatti chi vorrebbe riproporre qui in Italia il modello dei gruppi di sostegno e dell’uso socializzato di queste sostanza e chi invece ripropone la strada del farmaco e dell’esperienza individuale.

Droghe: terapia del dolore, Italia penultima in Europa

 

Redattore Sociale, 2 ottobre 2006

 

Il dolore cronico, in Italia come nel mondo, è un serio problema di sanità pubblica. Lo rivelano le cifre relative all’aumento dell’incidenza di patologie degenerative e all’invecchiamento. Secondo i dati del Manifesto di Venezia "Per i diritti dei pazienti con dolore cronico", nel nostro Paese la percentuale di persone con dolore cronico raggiunge il 26% (circa 12 milioni di persone), un livello superato solo da Polonia (27%) e Norvegia (30%).

Più drammatica la situazione oltreoceano: negli Stati Uniti, si calcola che ben 21 milioni di persone ogni anno hanno manifestazioni dolorose per 101 giorni. Ma il dolore cronico si configura anche come fattore negativo nell’economia del lavoro, se si pensa che in Gran Bretagna il semplice mal di schiena causa la perdita di 45 milioni di giornate lavorative. In Europa la causa più diffusa del dolore cronico è, nel 45% dei casi, l’artrite degenerativa, seguono nel 25% dei casi il dolore alla colonna vertebrale e nel 20 i traumi. Esiste inoltre una consistente fetta del dolore cronico correlato al cancro, presente nel 50% - 90% dei malati lungo l’intero corso della malattia.

In questo scenario appare chiaro come discutere di adeguati trattamenti del dolore cronico sia di fondamentale importanza, anche per risolvere un problema di tipo sociale. Il punto sul tema lo si è fatto oggi nella giornata di studio sulla terapia antalgica "Oppiacei: nuove strategie nel trattamento del dolore", organizzata dall’Istituto Neurotraumatologico Italiano a Grottaferrata, nei pressi di Roma. Al centro dell’incontro, fra l’altro, la posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che ha fornito utili raccomandazioni sui trattamenti più idonei e ha incentivato i responsabili di politica sanitaria ad identificare e rimuovere gli ostacoli legislativi all’accesso e all’uso di farmaci oppioidi. Sono, infatti, gli oppioidi i farmaci più potenti ed efficaci attualmente indicati nel trattamento del dolore cronico. Eppure, secondo quanto sottolineato, il loro utilizzo è ancora inadeguato rispetto alle reali esigenze terapeutiche dei pazienti e l’Italia si piazza al penultimo posto nella classifica dei consumi di tali farmaci rispetto agli altri paesi europei.

A far da zavorra ad un’evoluzione delle terapie in questo senso, secondo un’analisi del Ministero della Salute, le barriere, per lo più culturali, del paziente e delle istituzioni. Il timore, infatti, della comparsa di dipendenza psicologica sarebbe stato responsabile di un equivoco culturale molto diffuso che ha generato, a livello istituzionale, una normativa penalizzante la prescrizione e la distribuzione degli oppiacei. L’operato dei medici, inoltre, tenderebbe a riaffermare falsi miti (accorciano la vita, danno dipendenza), credenze (possono dare funzioni cognitive o depressione respiratoria), confusione terminologica (danno tolleranza, dipendenza fisica, dipendenza psicologica).

Il ruolo degli analgesici oppiacei nel trattamento del dolore cronico non oncologico è stato bloccato dal presunto rischio di dipendenza fisica e psichica. Vero invece, secondo quanto ribadito nel convegno, che la dipendenza non si rileva se è presente dolore, l’uso medicale degli oppiacei, non crea dipendenza, le restrizioni possono solo "offendere" i pazienti. La confusione terminologica è soprattutto tra dipendenza fisica e dipendenza psichica.

Il diritto dei malati a non soffrire, si legge nel Manifesto di Venezia, ritiene necessario: riconoscere il dolore cronico come malattia sociale; considerare la cura del dolore come diritto dei cittadini, inserendola nei livelli essenziali di assistenza; rendere disponibili e rimborsabili tutte le categoria di farmaci per il trattamento del dolore; destinare fondi per la ricerca nel settore; promuovere appropriati programmi di formazione.

Immigrazione: Asgi pronta a lasciare la Commissione sui Cpt

 

Redattore Sociale, 2 ottobre 2006

 

L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione potrebbe lasciare la Commissione ministeriale che ha il compito di esaminare le condizione di vita nei Cpt italiani, di cui è stata chiamata a far parte. La decisione sta maturando sulla base delle posizioni espresse dal Ministro Amato su alcuni punti della riforma della legge "Bossi-Fini".

"Suscita sconcerto l’affermazione del Ministro secondo cui è essenziale il mantenimento dei Cpt "a difesa dei nostri cittadini", dimenticando non solo che sono strutture giuridicamente abnormi (disponendo ordinariamente la detenzione di persone che non hanno commesso alcun reato, oltre ad esprimere, semplicemente, l’incapacità dello Stato di governare il fenomeno dell’immigrazione e a gravare senza risultati sul bilancio statale, come rilevato dalla Corte dei Conti) ma dimenticando anche che lui stesso ha istituito una Commissione con il compito di esaminare dette strutture detentive e di proporre soluzioni anche alternative. - sottolinea l’associazione.

Nonostante il Ministro affermi di attendere le conclusioni della predetta Commissione, che presenterà il suo rapporto finale entro dicembre, le ripetute prese di posizione sugli organi di informazione producono una delegittimazione di fatto di tale organo da parte dello stesso Ministro, che ancor prima di conoscere le decisioni della commissione da lui stesso voluta, sembra già arrivato a proprie conclusioni, peraltro in netto contrasto con il Programma dell’Unione". L’Asgi che fa parte della Commissione ha dichiarato che "ben conoscendo la realtà effettiva dei Cpt, si riserverà di valutare se sussistano ancora i presupposti per rimanere in detto organismo".

Psichiatria: a Padova la "Biennale di Teatro e Psichiatria"

 

Redattore Sociale, 2 ottobre 2006

 

L’appuntamento di venerdì 29 settembre al Teatro Verdi di Padova con la voce incantevole di Milva interprete di opere della poetessa Alda Merini è stato l’evento di apertura della Biennale Teatro Psichiatria, che si svolgerà a Padova dal 3 all’11 ottobre. Un Festival - promosso dall’Azienda Ulss 16 e dall’Azienda ospedaliera di Padova, in collaborazione con il Tpr-Teatro Popolare di Ricerca, Centro Universitario teatrale di Padova - che vuole fare conoscere la grande valenza del teatro, inteso in un’accezione un po’ fuori dagli schemi, cioè come strumento di terapia e di sensibilizzazione.

La manifestazione muove dalla convinzione che portare in scena le emozioni di chi cerca di superare le proprie difficoltà psicologiche è un’operazione di grande valore culturale oltre che clinico e riabilitativo. La psichiatria, d’altronde, si rivolge da qualche tempo proprio a questo tipo di esperienza teatrale, che sempre più spesso si rivela utile nello svolgimento di una parte dei programmi terapeutici. Un teatro, insomma, che da un lato si dimostra capace di generare arte, emozioni e spettacolo, e che dall’altro lotta contro la stigmatizzazione e la paura della malattia mentale, facendola conoscere al pubblico da un palcoscenico. Una forma d’arte che rende attori i pazienti.

La Biennale si propone come evento-contenitore, destinato a pubblici diversi e con un ricco calendario di eventi. Ha aperto - si diceva - un momento di grande arte, un raro incontro tra voce e poesia: "Milva canta Merini: la poesia incontra la musica", ma ora il programma della manifestazione sta davvero per entrare nel vivo, proponendo diversi momenti di incontro tra arte e riflessione. In primis il "Festival Internazionale del Teatro Attivo nel Disagio Psichico", giunto alla sua quarta edizione, che prevede un calendario di serate dal 3 all’11 ottobre che porterà al "Teatro MPX" e al "Teatro ai Colli" undici compagnie provenienti da diverse regioni d’Italia e dall’estero. Tutte esperienze cui partecipano pazienti-attori e che seguono il filo conduttore scelto per questa edizione, cioè l’utilizzo della pratica teatrale con persone che soffrono di trauma da stress.

La prima compagnia a esibirsi sul palcoscenico del Festival sarà il Laboratorio 17 di Montagnana, impegnata nel Don Chisciotte nella serata di martedì 3 ottobre; seguita mercoledì 4 dallo spettacolo "Di notte a notte fonda" messo in scena dal Laboratorio teatrale rete 180 di Mantova e giovedì 5 da "The Last Two Minutes" a cura della Butterflies Theatre Company (Sri-Lanka). Venerdì 6 sarà la volta di "Midas Goldrauschen" a cura del Theater Chaosium (Kassel, Germania) e sabato 7 sarà proposta un’esperienza teatrale con richiedenti asilo e sopravvissuti a tortura: "Il Verbo degli Invisibili" a cura del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) nell’ambito del Progetto Vi.To. (Accoglienza e cura delle vittime di tortura). "Uno, nessuno, centomila" sarà invece messo in scena domenica 8 dalla compagnia "L’Astolfo" di Macerata, che proporrà un libero adattamento dell’opera omonima di Luigi Pirandello. "H2O" è lo spettacolo che invece sarà rappresentato dalla compagnia "La voce della luna" di Roma lunedì 9. Non ci sarà, però, solo teatro e spettacoli di alta qualità, con le compagnie in gara a contendersi la vittoria, ma anche seminari teorico-pratici di danza e/o teatro-terapia e un’intera giornata congressuale (12 ottobre, ore 9- 18, centro congressi "Papa Luciani").

Questo il programma dei seminari: il 3,4 ottobre il tema affrontato sarà "Teatro in terapia: l’azione teatrale" condotto da Pierantonio Rizzato, prevede l’insegnamento di tecniche utilizzate nel laboratorio teatrale riabilitativo padovano. 9,10 ottobre "Teatro-Danza: dancing butterflies" condotto dal regista del gruppo "Sunera" dello Sry-Lanka. Sirevede l’insegnamento teorico-pratico del metodo "Drama Therapy" chiamato "Dance Dynamics", utilizzato nello Sry-Lanka, nei work shop con persone traumatizzate dallo tsunami. I seminari iniziano alle ore 9 per concludersi alle 18 con pausa pranzo dalle 12 alle 14 e si svolgono nella sede del teatro Popolare di Ricerca in via Sorio 116, a Padova. La serata di chiusura dell’iniziativa sarà affidata a "Le big band du Créahm", gruppo musicale belga, che si esibirà nel concerto "A bout’ souffle" che si ispira al Jazz, alla musica da banda, allo swing, al rap, alla techno e che porterà sulla scena una quindicina di musicisti che frequentano il Crèahm (creatività ed handicap mentale). La manifestazione, per genere e dimensioni, risulta tra le più importanti e significative in Italia e all’estero, nel corso degli anni si è arricchita di contenuti che ne hanno accresciuto lo spessore e si è trasformata in un evento-contenitore di richiamo internazionale. Un appuntamento biennale per studiosi, clinici e tecnici della psichiatria, per protagonisti del mondo dello spettacolo e del teatro in particolare, della letteratura, del giornalismo, e, sopratutto, per persone sofferenti di disagio psichico, anch’esse, in questo speciale contesto sullo stesso piano o più precisamente sulla stessa scena. Il programma completo dell’evento è on line nel sito http://www.biennaleteatropsichiatria.it.

Foggia: indulto; 256 scarcerazioni, i detenuti rimasti sono 415

 

Ansa, 2 ottobre 2006

 

Sono 256 i detenuti scarcerati dalla casa circondariale di Foggia negli ultimi due mesi grazie all’indulto, il provvedimento di clemenza varato dal Parlamento il primo agosto e che sconta sino a tre anni di pena. Nell’immediatezza dell’entrata in vigore dell’indulto erano stati scarcerati a Foggia oltre 120 detenuti. A distanza di due mesi il numero degli scarcerati ha raggiunto quota 256. Al momento nel carcere di Foggia ci sono quindi 415 detenuti, a fronte degli oltre 600 rinchiusi prima dell’indulto.

Scarcerazioni che hanno risolto momentaneamente i problemi di sovraffollamento, particolarmente avvertiti a Foggia, visto che il carcere è stato costruito per ospitare 346 detenuti in condizioni ottimali, con un limite di tollerabilità di 497 carcerati. Il problema del sovraffollamento però potrebbe riproporsi in tempi stretti: è infatti atteso il trasferimento di almeno trenta detenuti dal carcere di Lucera che dovrà chiudere temporaneamente per consentire i lavori di ristrutturazione della cucina dei detenuti; e presto un altro centinaio di detenuti dovrebbe arrivare dalla casa circondariale di Bari dove pure sono previsti dei lavori. Il rischio quindi è di tornare a sfiorare quota 600 detenuti, con oltre cento carcerati in più rispetto ad una situazione ritenuta comunque tollerabile. La casa circondariale di Foggia è stata inaugurata nel 1978 quand’era dotata di sole 4 sezioni che nel corso degli anni si sono più che triplicate, diventando 13. Non c’è la sezione per il regime carcerario più duro, quello previsto dall’articolo "41 bis" dell’ordinamento penitenziario, ma ha le sezioni "A.S." (alta sicurezza) destinate per lo più a mafiosi e trafficanti di droga e quella femminile con 30 posti. Vi lavorano complessivamente 360 agenti di polizia penitenziaria.

Venezia: dal 6 al 9 ottobre 6° il "Salone dell’Editoria di Pace"

 

Redattore Sociale, 2 ottobre 2006

 

La serie dei Saloni dell’editoria di pace è cominciata l’otto dicembre del 2001 a Venezia. Editori, associazione e operatori di pace si sono incontrati da allora ogni anno alla manifestazione organizzata dalla Fondazione per la ricerca della pace, sostenuta anche dalle amministrazioni comunale e provinciale di Venezia.

Mostre di libri, vecchi e nuovi, presentazioni di autori, dibattiti sui temi dell’attualità e della ricerca sulla pace, nonché la pubblicazione periodica di un "Annuario della pace", quest’anno edito da Terre di mezzo, hanno scandito gli anni feroci che ci hanno accompagnato. Dal secondo anno partecipa al Salone la Fondazione Maitreya con la presentazione dell’editoria buddista e orientale nonché con la partecipazione di esponenti di quella cultura. In questi cinque anni hanno preso parte al Salone non meno di 200 fra editori, gruppi, movimenti, librerie, associazioni impegnate in produzioni di pace. Fra gli autori che hanno preso parte negli scorsi anni al Salone: Raniero La Valle, Fabio Mini, Lidia Menapace, Alex Zanotelli, Alberto L’Abate, Roberto Mander, Antonio Gambino, Piero Sansonetti, Simona Torretta, Francesco Vignarca, Enrico Peyretti, Mao Valpiana, Nando Dalla Chiesa, Amos Luzzatto, Marcello Flores.

Quest’anno le manifestazioni del Salone, che ha come sottotitolo Fare Pace, avranno luogo alla Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista, alla Scuola Grande di S. Rocco, all’Aula magna dello Iuav, al Patronato dei Frari, alla Scuoletta di S. Tomà.

Roma: a Rebibbia Femminile nasce un vero Istituto d’Arte

 

Ansa, 2 ottobre 2006

 

Offrire un importante momento di crescita culturale e sociale alle detenute attraverso delle attività artistiche che potrebbero aiutare e facilitare il loro futuro reinserimento lavorativo nella società. Sono questi gli scopi della neonata Scuola d’arte per la decorazione e l’arredo delle chiese inaugurata questa mattina all’interno del carcere femminile di Rebibbia (Roma).

La scuola - gestita dall’Istituto Statale d’Arte "Roma 2" diretto dalla professoressa Maria Grazia Dardanelli - è stata voluta dal Collegio dei Docenti dell’Istituto, sostenuta dal Garante dei Diritti dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni e condivisa dal Direttore della Casa Circondariale di Rebibbia femminile Lucia Zainaghi.

I corsi saranno di durata triennale e quinquennale. Le lezioni si terranno dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18.30. Al termine del terzo anno le ragazze che frequenteranno saranno maestre d’arte. Dopo cinque anni saranno diplomate e potranno accedere ai corsi di laurea universitari. Fra le materie che saranno insegnate, oltre ai laboratori di pratica (come il disegno dal vero) anche storia dell’arte, scultura e architettura. La Cooperativa Sociale Village di Franco Di Battista ha invece donato alle alunne i sussidi didattici necessari per tutta la durata del corso.

All’inaugurazione, oltre al Garante e alla direttrice della Casa Circondariale era presente anche l’assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia di Roma Daniela Monteforte, Giovanni Costantino dell’Ufficio Scolastico Regionale, il dottor Italo Barbati, ispettore Direzione Generale Ordinamento scolastico del Ministero della Pubblica Istruzione e la dottoressa Maria Cristina Di Marzio del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria.

"Abbiamo sostenuto la nascita del corso - ha detto il Garante dei Detenuti Angiolo Marroni - perché crediamo che stimolare la fantasia e la voglia di fare dei detenuti sia il modo migliore per favorire il loro reinserimento sociale. Attività come queste hanno una valenza fondamentale: le cronache di questi mesi sull’Indulto dimostrano che non basta uscire dal carcere per tornare a tutti gli effetti nella società. Occorre una rete di accoglienza che assista gli ex detenuti nei loro bisogni fondamentali, soprattutto nei primi tempi di libertà: casa, pasto e lavoro. Dare loro competenze professionali specifiche può almeno aiutarli a far sì che una delle priorità possa essere risolta in fretta e a far sentire queste persone un po’ più componenti a pieno titolo della società ".

Gran Bretagna: Pentonville, il penitenziario della vergogna

 

Associated Press, 2 ottobre 2006

 

Fino a qualche giorno fa era conosciuta per essere la prima prigione moderna aperta a Londra (nel 1816) e per aver ospitato per 4 giorni nelle sue celle il fidanzato di Kate Moss, il cantante Pete Doherty. Trecento persone in più. Oggi l’istituto di pena di Pentonville è finito al centro di un’aspra polemica nel Regno Unito a seguito della pubblicazione di un rapporto condotto dalle autorità ispettive che l’hanno recentemente visitata.

È emerso che il 40 per cento dei detenuti sono stati aggrediti o insultati dal personale. Quattordici secondini sono stati sospesi il mese scorso con l’accusa di corruzione, in una struttura che il secolo scorso era considerata un carcere modello e che oggi, ai nuovi arrivati, non riesce a garantire nemmeno un cuscino o uno spazzolino, secondo quanto riferisce l’ispettore capo delle prigioni, Anne Owers. Quest’ultima ha constatato che le condizioni igieniche di alcune aree interne alla prigione erano carenti, con vermi che infestavano le celle e una sovrappopolazione di detenuti: 1.197 per una struttura che ne può contenere 897. Trecento persone in più.

Rinchiusi in cella per 22 ore di fila. Le relazioni tra i carcerieri e i detenuti sono peggiorate dall’ispezione dello scorso anno, e 5 su 6 suicidi si sono verificati nei giorni immediatamente successivi all’arresto. I prigionieri hanno raccontato di non sentirsi sicuri la prima notte in carcere. Solo il 43 per cento di loro ha riferito di essere stato trattato con rispetto dallo staff, in rapporto al 64 per cento di un anno fa. I carcerati si sentono meno a rischio con i propri compagni che con chi dovrebbe vigilare su di loro e tutelarli. Sono il 40 per cento coloro i quali hanno riferito di essere stati insultati o aggrediti dalle guardie. "Dati - ribadisce la Owers - assai più elevati che in ogni altra prigione". Durante una precedente visita, l’ispettore capo ha scoperto che i prigionieri rimanevano rinchiusi in cella per la maggior parte del tempo, mentre adesso - ed è forse l’unico dato positivo dell’ispezione - è il contrario. Tuttavia, i detenuti che non svolgono un lavoro all’interno della prigione, 140 in tutto, rimangono rinchiusi in cella per 22 ore di fila.

Usa: dare preservativi nelle carceri? il Texas non ci sta

 

Il Pensiero Scientifico Editore, 2 ottobre 2006

 

Le autorità sanitarie hanno sollecitato da parte del Governo del Texas la distribuzione di preservativi nelle carceri per combattere la diffusione del virus HIV . Lo rende noto il quotidiano Houston Press. Le statistiche diffuse nel mese di luglio hanno rivelato che su 154.000 prigionieri attualmente detenuti in Texas, 2627 sono HIV-positivi. In ottemperanza alle leggi statunitensi sulla privacy, la sieropositività dei detenuti è un’informazione confidenziale, e i detenuti HIV-positivi e negativi convivono a diretto contatto.

"Distribuire profilattici nelle carceri", spiega Heather Mitchell, membro dell’associazione ACT UP di Austin, "sarebbe un metodo poco costoso ed efficace di prevenire il diffondersi dell’infezione da HIV". ACT UP ha infatti stimato che il costo per il Texas Department of Criminal Justice sarebbe di circa 300.000 dollari annui. "I detenuti hanno abitualmente rapporti sessuali tra loro, e il preservativo si è ampiamente dimostrato un’efficace barriera alla diffusione del virus, che è esattamente il tipo di strategia che le istituzioni sanitarie texane e non solo portano avanti da anni con merito", dichiara ancora la Mitchell.

Il Texas Department of Criminal Justice si è già dichiarato contrario all’iniziativa, perché la distribuzione di preservativi nelle carceri violerebbe la politica statale di tolleranza zero verso il sesso nelle carceri: la portavoce Michelle Lyons spiega che il Texas Department of Criminal Justice non trascura il problema HIV e sta attrezzandosi per una strategia di prevenzione alternativa, basata fondamentalmente sull’informazione.

 

 

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