Rassegna stampa 14 ottobre

 

Giustizia: Ayala e Mancuso candidati al vertice del Dap

 

Il Mattino, 14 ottobre 2006

 

Si restringe la rosa dei candidati alla carica di capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il nome del successore di Giovanni Tinebra, il cui mandato è ormai scaduto, verrà formalizzato dal Consiglio dei ministri con ogni probabilità nelle prossime settimane, e in ogni caso non oltre la fine del mese. Folta la pattuglia di magistrati napoletani che avevano deciso di concorrere al prestigioso incarico. In queste ore voci insistenti si rincorrono a via Arenula, sede del ministero della Giustizia. E indicano in Paolo Mancuso, magistrato napoletano che ha peraltro già maturato esperienza al Dap negli anni scorsi, il candidato favorito alla successione di Tinebra. Sembrano invece tramontare le altre ipotesi con i nomi che erano circolati nei giorni scorsi: a cominciare da quello del presidente della Corte di Appello di Napoli, il presidente Raffaele Numeroso e il capo dell’Ufficio Gip del Tribunale di Napoli, il presidente Renato Vuosi. Assottigliandosi la rosa iniziale dei nomi, la partita sembra dunque stringersi attorno ai due candidati dati per favoriti: Giuseppe Ayala e, appunto, Paolo Mancuso, attuale procuratore aggiunto presso la Procura di Napoli.

Giustizia: Fp-Cgil; lettera aperta al ministro della Giustizia

 

Fp-Cgil, 14 ottobre 2006

 

Egregio Ministro, a distanza di cinque mesi dalla formazione del nuovo Governo le questioni e le problematiche ereditate dalla giustizia minorile dalla gestione del ministro Castelli restano interamente sul tappeto, irrisolte e, se possibile, aggravate dal passare del tempo.

V’è una parte del pesante lascito dell’esperienza "Castelli" sulla quale il prezzo in termini di funzionalità dei servizi e del rispetto dei diritti dei minori continua ad essere ancora molto alto: non è stato ancora possibile saldare le rette delle comunità del privato sociale che ospitano i minori sottoposti a provvedimenti dell’Autorità giudiziaria; sono ancora del tutto inadeguate le risorse destinate alle attività trattamentali per i minorenni ristretti negli istituti penali, mancano i soldi necessari alla manutenzione e ristrutturazione di alcuni istituti e servizi, fatiscenti ed in condizioni strutturali fortemente degradate. Da tempo mancano i soldi finanche per la benzina delle macchine di servizio per gli spostamenti e gli accompagnamenti dei minorenni nelle aule di giustizia.

Questa insostenibile eredità va ricondotta a normalità il prima possibile e anche grazie al suo personale impegno il disegno di legge finanziaria per l’anno 2007 pone le prime basi per una chiara inversione di tendenza: non più quelle odiose distrazioni di risorse alle quali questo mondo era stato recentemente abituato, ma una precisa volontà di riprendere ad investire anche economicamente sul servizio giustizia.

Accanto a tutto ciò v’è, però, anche il peso di un’azione di direzione amministrativa e politica che ha dispiegato le sue attenzioni sul versante dell’organizzazione e della qualità dei servizi assicurati alle ragazze ed ai ragazzi che entrano nel circuito della Giustizia Minorile.

Lei conosce già perfettamente gli effetti di queste che non abbiamo avuto resistenza a giudicare vere e proprie attenzioni moleste nei confronti dei minori: un Dipartimento assolutamente disorientato nelle scelte, privo del benché minimo interesse a difendere la qualità del suo agire, disorganizzato e politicizzato, inadeguato e ossessivamente burocratizzato, lontano, in sintesi, dal mandato istituzionale affidatogli.

Un DGM, quello consegnatole dall’ingegner Castelli, che, di fatto, ha abdicato al suo ruolo di terzietà istituzionale e di garanzia dei diritti dei minori in nome di un’odiosa quanto compiacente affidabilità politica che anche l’ex sottosegretario, On.le Santelli, aveva ripetutamente preteso e pienamente ottenuto.

Mentre sul versante delle risorse e degli investimenti, quindi, si colgono dei segnali interessanti e certamente positivi, sotto il profilo delle politiche sulla Giustizia Minorile tutto è immutato: nessun segnale di svolta nelle politiche e nelle scelte che il governo intende intraprendere per la giustizia minorile e per la conduzione del Dipartimento.

Continua l’azione di depauperamento dell’organico dei servizi periferici, di contro inarrestabile è l’ampliamento delle dotazioni del Dipartimento centrale, dove ormai si utilizzano anche i sottoscala; permane soprattutto, nel caso della Polizia penitenziaria, la stessa logica clientelare e di basso cabotaggio che governa i provvedimenti di distacco e/o di trasferimento del personale, rendendo sempre più insostenibile la gestione dei servizi, soprattutto degli istituti situati al nord del Paese.

Numerosi i posti di lavoro nei quali l’unica scelta percorribile è ormai quella della mobilitazione e della protesta, per rendere più che evidente lo scarto che si sta via via palesando tra le attese di riscatto ingenerate dalla nuova maggioranza politica e i segnali d’assoluta continuità che il Sottosegretario delegato continua ad offrire a piene mani.

Non può, infatti, opporsi a quest’evidente lettura nessuna giustificazione, alcun’attenuante, seppur generica. Il Sottosegretario con delega alla giustizia minorile, infatti, non solo offre la sensazione di una sostanziale lontananza dai temi nodali attorno ai quali "faticosamente" la destra ha costruito la crisi della Giustizia Minorile, ma sembra addirittura pervasa da una radicata convinzione su quanto sia in un certo senso suo dovere continuare a perseguire quelle sperimentate politiche della destra: quelle chiuse, autoreferenziali e prive di un benché minimo bisogno di confronto, quelle tese ad ottenere pura e semplice visibilità, quelle che non si interrogano da tempo sui bisogni concreti dei minori. Quelle politiche che, in estrema sintesi, hanno concorso, da dentro il sistema, alla realizzazione dell’obiettivo dichiarato dall’ex Ministro Castelli di cancellare la giustizia minorile o, in subordine, di adultizzarne le caratteristiche.

È notizia di questi giorni, ad esempio, dell’adozione, da parte del DGM, di una iniziativa il cui obiettivo sarebbe quello di una schedatura di massa dei minorenni coinvolti in procedimenti penali, anche di quelle ragazze e ragazzi per i quali non è previsto il ricorso alla carcerazione. Né più né meno di quello che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per gli adulti assume a sistema da anni.

In questo, ci creda signor Ministro, nessuno ha notato la differenza tra ieri e oggi; né chi auspicava approcci e sensibilità diverse per qualità ed agire né chi, come nel caso di quella "affidabile" dirigenza amministrativa, sperava il contrario. E nessuno l’ha notata, tale differenza, nemmeno sotto il profilo delle relazioni sindacali ed istituzionali. Nulla prima, il vuoto pneumatico ora.

Come leggere, se non in questo senso, l’assoluta assenza di qualsivoglia confronto con il composito mondo che opera e rappresenta questo settore? E come giustificare la sua forte resistenza ad attivare una relazione formale, trasparente e democratica con le rappresentanze dei lavoratori della Giustizia Minorile, se non attraverso un giudizio che interviene sulle sensibilità istituzionali e sulla predisposizione al confronto ed all’ascolto?

L’On.le Sottosegretario Melchiorre, tra l’attivazione e la disattivazione di una commissione per la formulazione di proposte sul "Tribunale per i minorenni, la famiglia e la persona", continua a non trovare spazio per l’apertura formale di un tavolo di confronto sindacale con le rappresentanze dei lavoratori, della Polizia penitenziaria, del comparto dei Ministeri, della Dirigenza.

Egregio Ministro, i temi e l’agenda della giustizia minorile, così come sembra aver cominciato ad interpretarli il sottosegretario Melchiorre, non sono assolutamente rispondenti alle esigenze dei servizi e le scelte politiche che ne stanno derivando sono completamente avulse dai contesti concreti in cui si manifestano i problemi del Dipartimento per la Giustizia minorile.

E ci permetta anche di credere che non sono nemmeno il frutto di una sostanziale indicazione politica da Lei affidata al Sottosegretario.

Tutto ciò, signor Ministro, è per noi veramente grave, perché ripresenta una logica d’esercizio del potere, già sperimentata nella recente esperienza di governo delle destre, che tanti danni ha prodotto alla giustizia minorile, ed agli operatori che in essa lavorano; la tendenza è a riproporre all’interno della giustizia minorile gli stessi schemi già sperimentati come fallimentari.

E così facendo si perdono di vista le specificità ed i problemi della giustizia minorile. D’altra parte, egregio Ministro, un’appena pronunciato intuito politico avrebbe sconsigliato a chiunque di affidarsi, nell’esercizio di un incarico così delicato, alla stessa dirigenza che ha precise responsabilità e complicità nello sfascio generale della Giustizia minorile.

Ci si aspettava, invero, non azioni di alta politica sulla Giustizia Minorile: quelle, per fortuna, sono già analiticamente indicate nel programma dell’Unione e per questo garantite; questo settore, però, sperava almeno che il nuovo Sottosegretario desse impulso e disponibilità a ripristinare un livello di relazioni sindacali indispensabile per affrontare le problematiche connesse alla gestione del personale ed alla funzionalità del servizi minorili; ci si aspettava, da lei, un approccio chiaro e utile alla realizzazione ed al perseguimento di un obiettivo di riorganizzazione della struttura.

Riteniamo che per il Governo sia giunto il tempo di iniziare a produrre cambiamenti evidenti nel Dipartimento per la giustizia minorile, iniziando dalla sostituzione di chi lo stesso ha governato in questi ultimi cinque anni e tuttora dirige.

Appare ormai del tutto evidente ed indispensabile che Lei, signor Ministro, pur nell’incombenza delle emergenze che contraddistinguono tutto il sistema della Giustizia, si riappropri in prima persona della conduzione del sistema minorile, indicando le iniziative che il Governo intende prendere per sviluppare il programma che la maggioranza ha proposto per la giustizia minorile.

Da 26 al 28 ottobre l’Associazione italiana dei Magistrati per i minorenni e per la famiglia terrà a Taranto il suo XXV Convegno nazionale. Crediamo possa essere l’occasione giusta per proporre un rinnovato impegno del governo per il cambiamento della giustizia minorile. Siamo in molti ad attenderlo.

 

Per la Fp-Cgil Nazionale, Fabrizio Rossetti

Indulto: ancora polemiche targate Lega, tornati in cella 1.148

 

Il Giornale, 14 ottobre 2006

 

Si fa presto a dire indulto. Il provvedimento di clemenza votato da due terzi del Parlamento su proposta del ministro guardasigilli Clemente Mastella continua a far discutere, e continuano a presentarsi casi di difficile (o scandalosa) applicazione. Per esempio, quello di un emigrato calabrese, estradato in Germania per scontare un residuo di pena di 2 anni e 5 mesi, al quale è stato negato l’indulto dai giudici della Corte d’appello di Catanzaro.

Il deputato della Margherita, Franco Laratta, ha annunciato un’interrogazione al ministro, nella quale chiede "perché a quest’uomo condannato per piccoli reati commessi all’estero, che ha già scontato tre anni e sette mesi di reclusione, viene negato il diritto allo sconto della pena che invece ad altri, come Silvia Baraldini, accusata di terrorismo negli Stati Uniti, è stato invece concesso?".

I senatori della Lega hanno ricordato che sono già 1.148 i detenuti nuovamente arrestati dopo essere usciti dal carcere "per colpa di questo scatafascio" dell’indulto (un altro ex detenuto, colto a fare uno scippo a un turista, anche ieri nella periferia di Napoli).

Mentre Gussoni "ha fatto solo 6 anni di galera per omicidio - hanno affermato i senatori leghisti -, ad Ancona un poveraccio ha avuto otto udienze preliminari per aver rubato un euro. Ma che Stato è questo se la gente perbene viene continuamente vessata e i delinquenti premiati addirittura con fondi stanziati apposta per loro?". Altro aspetto controverso è tornato a sollevare ieri il senatore del Pdci, Dino Tibaldi, a proposito della mancata esclusione degli "omicidi bianchi" dalla concessione dell’indulto.

Il senatore, membro della commissione Lavoro, è intervenuto sulla vicenda della Società Italiana per l’Amianto (Sia) di Grugliasco, affermando che rappresenta "un vero e proprio scandalo derivato dall’indulto". Per i "1.096 morti e 322 malati" ai quali si devono aggiungere "altre 800 vittime della Eternit - sostiene Tibaldi - non pagherà nessuno, e le vittime ed i familiari non riceveranno nemmeno i risarcimenti.

Avevamo chiesto di escludere gli omicidi bianchi dall’indulto ma nessuno ha voluto ascoltarci. Oggi torniamo a denunciare questa ingiustizia e questa vergogna verso tutti i lavoratori".

Infine, ieri si è appreso che la Procura generale di Perugia non ricorrerà in Cassazione contro la concessione dello sconto di pena a Luigi Chiatti, il geometra di Foligno condannato a 30 anni di reclusione per gli omicidi dei piccoli Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci. Secondo la Procura generale l’eventuale esclusione dell’omicidio Allegretti dall’indulto non avrebbe comunque alcun effetto pratico sullo sconto di pena di tre anni e sugli eventuali benefici carcerari dei quali potrebbe usufruire Chiatti il quale, giudicato seminfermo di mente, una volta scontata la pena dovrà comunque essere sottoposto a un periodo di osservazione in una casa di cura per valutarne la pericolosità sociale.

Siracusa: convegno su detenzione islamici e tossicodipendenti

 

Gazzetta del Sud, 14 ottobre 2006

 

"È ormai cementato il cambiamento di concezione del carcere. Non solo custodire ma offrire la possibilità al detenuto di cambiare vita".

Parole oculate, quelle del capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra, ad aprire ieri i lavori del convegno nazionale "La detenzione in casi particolari. I detenuti islamici, tossicodipendenti e condannati per reati a sfondo sessuale", promosso a Siracusa dall’Opco, l’Osservatorio permanente sulla criminalità organizzata, e che si svolge, ancora oggi e domani, nella sede dell’Istituto superiore internazionale delle Scienze criminali.

"Si tratta di tre tipologie di detenuti - ha sostenuto ieri il provveditore del Dap Sicilia, dottor Orazio Faramo, nella prima giornata di dibattito moderata dal direttore Opco, Carola Parano - che richiedono risposte diversificate in termini trattamentali e di sicurezza, a causa di fattori condizionanti disparati e distanti fra loro nella natura, dal credo religioso alla densità numerica alle devianze psichiche. Nel caso dei detenuti di religione islamica, il rischio contro il quale va tenuta costantemente alta la guardia è quello del preconcetto figlio delle evocazioni di quanto avvenuto nel mondo dall’11 settembre 2001 in avanti. Anche per questo, nei loro confronti, le scelte dell’amministrazione penitenziaria seguono il piano dell’integrazione culturale insieme al diritto a professare la propria fede".

Il miglioramento, invece, dei percorsi riabilitativi dei detenuti tossicodipendenti, è stato favorito, secondo Faramo, anche dal cambiamento di "forma mentis" della società civile nel giudicare i soggetti assuntori e le loro storie personali, una caduta dei pregiudizi che ha contribuito a intensificare le sinergie fra istituzioni penitenziarie, Asl e servizi sociali. "Ancora lungo - ha proseguito Faramo - il cammino nel trattamento dei condannati per reati sessuali, i cosiddetti "sex offenders", ma esatta si sta mostrando la scelta di portare la consulenza della medicina della mente nelle case circondariali non solo per i detenuti ma altresì per tutti gli operatori, con corsi formativi ad hoc che hanno visto protagonista, fra gli esperimenti-pilota in Sicilia, l’Ucciardone di Palermo".

Il capitolo Islam è stato riaperto dal dottor Antonino Di Maio, componente del comitato scientifico consultivo dell’Opco, che ha posto una questione "linguistica". "Nella tutela dei diritti di difesa - ha detto Di Maio - è importante garantire a questi detenuti la comprensione piena e inequivocabile degli atti che gravano su di essi".

Oggi, seconda giornata di lavori, dalle 9.30. Domani, a chiudere il convegno, con inizio alle 10, interverrà il criminologo Francesco Bruno.

Viterbo: finanziato un progetto per reinserimento di detenuti

 

Il Tempo, 14 ottobre 2006

 

Un progetto della coop viterbese "Zaffa" è stato inserito tra quelli finanziati dalla Regione Lazio, con l’obiettivo di promuovere l’inserimento lavorativo stabile di detenuti ed ex detenuti. "I finanziamenti sono stati destinati ad iniziative che prevedono l’impiego a tempo indeterminato di detenuti ed ex detenuti, in varie esperienze lavorative. Il contributo è subordinato, infatti, all’occupazione stabile dei soggetti appartenenti alle due categorie - spiega l’assessore Regino Brachetti - il progetto della coop Zaffa, già titolare di un rapporto di convenzione con il carcere di Mammagialla, prevede la creazione di un sistema di raccolta differenziata e la creazione di un’impresa di lavorazione di rifiuti asciutti". Oltre alla Zaffa, a comporre la graduatoria sono coop romane e di Latina. Il finanziamento coprirà il costo dei progetti, fino ad un massimo di 40.000 euro. "L’obiettivo dell’iniziativa è il reinserimento sociale delle persone sottoposte a misure restrittive, ricercato attraverso un impiego duraturo, condizione indispensabile per ridurre il pericolo di nuovi comportamenti a rischio" ha aggiunto Brachetti.

Pordenone: le promesse del ministero per il nuovo carcere

 

Il Gazzettino, 14 ottobre 2006

 

Il sottosegretario alla Giustizia Manconi assicura la volontà di realizzare la casa circondariale

La nuova casa circondariale di Pordenone - quella della quale se ne parla da anni, ma che finora è rimasta solo sulla carta - è stata al centro di un botta e risposta tra il deputato Manlio Contento (An) e il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, terminato con la rassicurazione di Manconi riguardo alla volontà di arrivare comunque, nel più breve tempo possibile, alla realizzazione di una nuova casa circondariale in città.

L’argomento è stato affrontato dalla Seconda Commissione poiché Contento ha presentato un’interrogazione al ministro per sapere a che punto sia l’iter per la costruzione del nuovo penitenziario e se non ritenesse opportuno procedere all’affidamento dei lavori della struttura. Il parlamentare voleva sapere esattamente quali iniziative il Ministro intende assumere per accelerare la realizzazione del nuovo carcere.

Il sottosegretario ha fatto una cronistoria della vicenda, ripercorrendone le tappe più salienti. Ha ricordato per esempio che le procedure di gara relative all’affidamento del servizio di locazione finanziaria (leasing) immobiliare in costruendo per l’acquisizione del nuovo carcere, sono state annullate in via di autotutela dall’amministrazione penitenziaria che si è adeguata al parere motivato della Commissione europea, datato 28 giugno 2006. La Commissione ha ritenuto che l’appalto fosse qualificabile come appalto di lavori, e non come appalto di servizi finanziari; dunque non dovevano essere invitate alla gara di appalto le sole imprese che svolgono servizi finanziari, perché questo fatto non ha permesso a tutte le imprese interessate di concorrere su un piede di parità.

Il sottosegretario ha rimarcato la volontà di realizzare il carcere, ma l’onorevole Manlio Contento - pur dicendosi felice del fatto che fosse ribadita la volontà di costruire la nuova casa circondariale - ha ricordato il tempo trascorso dall’annullamento e quindi la necessità di individuare e avviare subito le nuove procedure di gara per snellire i tempi. Un invito che il sottosegretario ha accolto, assicurando il suo impegno ad accelerare i tempi della gara d’appalto. Intanto il carcere cittadino continua ad avere problemi di sovraffollamento.

Lettere: Nuoro; un’odissea nella "malasanità" del carcere

 

Informacarcere, 14 ottobre 2006

 

Nell’anno 2000 andai al centro clinico della casa circondariale di Poggioreale, reparto san Paolo, per sottopormi ad intervento d’emorroidi. Mi chiusero in una cella umida e sporca, senza doccia e niente che potesse somigliare lontanamente ad una camera post operatoria e non c’era neppure l’acqua calda. Per andare alla doccia bisognava percorrere tutto un lungo corridoio con il rischio di prendersi una polmonite ed avevamo la possibilità di lavarci solo due volte la settimana.

Le complicazioni iniziarono ancora prima di operarmi perché mancavano le medicine per la preparazione dell’intervento, mi fecero due clisteri la sera prima di operare e uno alla mattina, prima di andare in sala operatoria.

Ricordo ancora adesso con terrore che quando entrai nella sala operatoria il chirurgo si trovava in piena sudorazione sia per il caldo sia per i troppi interventi effettuati quel giorno.

Mi fece ricordare il macellaio vicino casa mia, aveva persino il camice sporco di sangue, gli chiesi se voleva rimandare l’operazione perché non mi fidavo di quel dottore. Ed intanto mi guardavo intorno per vedere se potevo scappare da qualche parte ma ormai era troppo tardi…

L’anestesista, con l’aiuto dell’infermiere, mi prese con modi spicci e mi fece sdraiare, mi fece la puntura addormentandomi tutta la parte bassa del corpo. Subito dopo il "macellaio" incominciò ad operare. Avrei preferito l’anestesia totale così non avrei visto niente e soprattutto non avrei pensato che cosa mi stava succedendo. Finito l’intervento chiesi al dottore com’era andata e questo mi rispose con un grugnito.

Mi riportarono nella cella, dove passai una di quelle notti che non si dimenticano facilmente con dei dolori atroci che non passarono neppure con gli antidolorifici. Ricordo bene che verso le cinque del mattino i dolori aumentarono al punto che chiamai l’agente nel corridoio affinché facesse venire subito l’infermiere, come se avessi parlato al muro, l’infermiere si presentò alla sette del mattino.

Gli chiesi spiegazioni del suo menefreghismo, mi rispose che lo avevano avvisato solo ora. Mi diede del Valium per farmi riposare, gli raccontai che mi faceva male la vescica e non riuscivo nemmeno ad urinare, portò il catetere per farmi urinare ma io non riuscivo così lui mi disse che non avevo la vescica piena. Così con tutta la rabbia che avevo in corpo presi il pappagallo mi sforzai al massimo e urinai con tantissimo dolore. Per sfogarmi dissi all’infermiere: "perché non vai a zappare la terra visto che non sai fare nemmeno un catetere.

Se ne andò come se la cosa non lo avesse nemmeno scalfito, penso che era abituato a sentirsi dire certe cose, purtroppo ci sono persone che lavorando in un ambiente di dolore si abituano e diventano insensibili, non vedono l’ora che finiscono il loro orario di lavoro per andarsene a casa.

Per lo sforzo che feci ad urinare mi causò problemi all’ano fresco di operazione e al pene per colpa del catetere che l’infermiere non era riuscito a mettere.

Per mia fortuna, l’indomani trovai un medico coscienzioso che con delle pasticche mi migliorò la situazione. La cosa che mi dava più fastidio era quella di chiamare l’infermiere perché veniva quando faceva comodo a lui e per giunta con un sogghigno sulle labbra.

A questo punto io dico che serve operarsi in carcere sapendo che poi devi vivere nei più grandi dolori e in qualche caso arrivare alla morte? Ci sono stati detenuti morti per le problematiche sorte dopo gli interventi giusto per mancanza d’assistenza.

E stiamo parlando di un centro clinico dove medici e infermieri dovrebbero fare il loro dovere, figurarsi quando vieni operato fuori e subito dopo portato in carcere perché gli agenti si rifiutano di piantonarti o perché non c’è in ospedale una cella per ospitarti. Nel mio caso i disagi erano anche del tipo familiare ed affettivi, perché per motivi di giustizia non potevo incontrare nemmeno i miei cari per avere un conforto. Dato che avevo un solo colloquio al mese, e per giunta dietro un vetro blindato, perché sottoposto al regime del 41 bis. Tutto questo uno Stato di diritto non lo dovrebbe permettere, l’amministrazione penitenziaria dovrebbe garantire la salute e la sicurezza del detenuto senza cercare la vendetta. A questo punto, visto che ero abbandonato al mio destino, senza nessun tipo di assistenza, senza piantone, non riuscivo ad alzarmi dal letto per farmi le pulizie, decisi di dimettermi per tornarmene nel carcere di provenienza. Almeno lì avrei potuto contare sulla solidarietà dei miei compagni. Purtroppo la mia decisione di dimettermi dal carcere del centro clinico di Poggioreale ebbe gravi conseguenze sul mio fisico per la mancanza di assistenza post operatoria. Incominciai ad avere dei dolori all’ano, con fuoriuscita di pus.

Dopo molte insistenza riuscii a farmi visitare da un chirurgo che diede un responso senza fare nessun accertamento, diagnosticandomi una fistola ed ordinò una immediata operazione presso l’ospedale dell’Aquila. In questi casi ci vuole l’autorizzazione del magistrato di sorveglianza, che arrivò solo dopo due mesi. Il giorno del ricovero in ospedale gli agenti mi fecero portare un pò di biancheria, mutandine, pigiama, asciugamano, pantofole, ecc.

Come accade a tutti i detenuti sottoposti al regime del 41 bis, il mio trasferimento in ospedale avvenne con tanto di scorta armata fino ai denti e con più di dieci agenti. All’ospedale mi allocarono in una celletta con porta di ferro con delle sbarre alle finestre ma in compenso c’era il bagno munito di doccia, con bidet, tazza del gabinetto, un lavello per lavarsi, insomma una vera stanzetta, nulla a che vedere con la cella del carcere di Poggioreale.

Dopo un po’ di tempo venne un’infermiera carina per prepararmi all’intervento, non le nascosi che visto il punto delicato dell’operazione mi vergognavo molto. Lei sorridendomi mi aiutò psicologicamente nel dirmi che non era il primo uomo che accudiva e vedeva nudo.

Vedendomi cos’ giovane si meravigliò di vedermi intorno una scorta così imponente per un solo detenuto…capii che pensava che avessi commesso qualcosa di molto grave, per giustificarmi gli dissi che ero un detenuto sottoposto ad un regime duro e che questa era la prassi. Infatti la scorta era entrata pure nella sala operatoria e con le armi spianate.

Una volta fatta l’anestesia il chirurgo nell’aprire l’ano mi disse che non avevo nessuna fistola, così gli dissi di non fare niente ma lui mi rispose che c’era una sopra pelle per il vecchio intervento subito. Così mi fecero l’intervento e dopo fui condotto da due infermiere nella stanzetta, mi misero il pigiama e mi adagiarono sul letto con una flebo.

Dopo un po’, nemmeno il tempo di guardarmi attorno e venne il chirurgo a comunicarmi che la scorta non aveva nessuna intenzione di farmi stare all’ospedale per la notte e che per sicurezza dovevano fare ritorno in carcere. Intuii che il chirurgo non era d’accordo ma non poteva opporsi. Quando vidi che non c’era l’ambulanza per trasportami in carcere ma il blindato per i detenuti, feci un casino da farmi sentire da tutti, dicendo che non sarei mai entrato nel blindo anche perché non mi potevo sedere. Loro si giustificarono che mi avrebbero fatto sedere in mezzo al blindo sui sedili di pelle. Con fitte dolorose nelle parti basse arrivai al carcere ed il medico, quello che mi aveva fatto preparare la biancheria, rimase meravigliato che non ero rimasto all’ospedale. Anche i miei compagni di detenzione rimasero allibiti nel vedermi tornare così presto.

Un compagno, volontariamente, visto le mie condizioni, voleva farmi da piantone ma la direzione del carcere si oppose. Quindi una volta in cella, mi rimboccai le maniche e pensai: "che Dio mi aiuti" ma credo che in questi luoghi o ti aiuti da solo o muori.

Così nel breve giro di pochi giorni invece di migliorare peggiorai. Il bruciore divenne insopportabile ed il dolore aumentava sempre di più. Il medico del carcere si rese conto che quella operazione era meglio che non la facevo anche perché secondo lui non avevo la fistola.

Dopo alcuni mesi avevo perso più di dieci chili, mi rimandarono al centro clinico, udite udite, nel carcere del Centro clinico di Poggioreale dove erano cominciati tutti i miei guai. Mi fecero una colonoscopia con biopsia dove mi riscontrarono il colon irritabile, colite cronica e ano tutto in disordine. Ma invece di intervenire mi diedero una cura e me rimandarono di nuovo al carcere dell’Aquila. Ma la cura non diede i suoi frutti anzi peggiorai, così feci contattare dalla mia famiglia un proctologo, il quale venne a visitarmi. Dove mi riscontrò una forte contrazione muscolare, avevo bisogno di rilassarmi e di stare molto sereno (figurarsi, in questi luoghi essere sereni è un miraggio).

Mi diede una cura sia per l’ano che per la pancia, con degli esami da fare. Dopo l’esito di questi esami mi riscontrarono un abbassamento del retto e mi disse che c’era bisogno di un altro intervento con una convalescenza di riposo assoluto, minimo di 40 giorni. Visto le mie esperienze precedenti rifiutai il nuovo intervento, è già dura stare in carcere da sani figuriamoci da ammalati.

Ma ora ho dei problemi molto seri sia all’intestino che all’ano, non posso più fare attività sportiva, non riesco più a mangiare un pranzo fatto come Dio comanda. Ho sempre il solito problema e va sempre aggravandosi, per un intervento da niente mi sono rovinato la vita, anzi lo Stato mi ha rovinato la vita. Eppure l’art. 32 della Costituzione italiana dice che lo Stato tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo. Purtroppo ammalarsi in carcere è più rischioso di ammalarsi fuori, non c’è assistenza e il più delle vote si rischia di morire. Dovrei fare altre operazioni ma non sono pazzo, mi restano pochi anni da scontare e mi opererò quando sarò fuori con tutta l’assistenza della mia cara famiglia.

Concludo dicendo che in carcere non esiste assistenza sanitaria per non parlare dei farmaci, quei pochi che ci sono non servono a niente e quelli che devi comprare il più delle volte non te li fanno prendere neppure a tue spese. Oggi, nel 2006, non è che la situazione sia cambiata tanto, anzi si può dire che è molto peggiorata, poiché attualmente è diventato molto difficile farsi visitare da uno specialista. Lo Stato quando deve fare dei tagli la prima cosa che taglia è la sanità in carcere. Per non parlare di carceri dove non c’è nemmeno il dentista.

Sporadicamente in qualche istituto è rimasto un centro di fisioterapia, ma per andarci bisogna aspettare una vita. Purtroppo le televisioni italiane danno solo notizie di comodo ai media, ma non si parla mai della sanità in carcere, molti suicidi vanno attribuiti proprio alla mala sanità. Non c’è bisogno di andare a vedere tanto lontano, basta vedere i risarcimenti che alle volte lo Stato deve sborsare a qualche famiglia che va fino in fondo alla vicenda. Non ci si può nemmeno rompere una gamba perché non c’è la fisioterapia che te la rimette in ordine e il più delle volte rimani zoppo tutta la vita. Questa è la mia storia ma è anche la storia di molti detenuti

 

Aldo Gionta, Carcere di Nuoro

Foggia: ex detenuti, assessore alla sicurezza scrive a Mastella

 

Ansa, 14 ottobre 2006

 

Con una lettera inviata al Ministro della Giustizia Clemente Mastella, l’assessore alla sicurezza del Comune di Foggia, Michele Del Carmine, sollecita il Governo ad emanare provvedimenti volti a favorire il reinserimento sociale e lavorativo degli ex-detenuti scarcerati per effetto dell’indulto. Ad oggi, infatti, sottolinea Del Carmine, "non ci sono disposizioni, direttive o progetti utili allo scopo", il che ha fatto sì che alcuni di essi, subito dopo essere stati messi in libertà, sono tornati a delinquere. Nella lettera al ministro Del Carmine ha anche chiesto maggiore attenzione per la Polizia penitenziaria, "costretta a lavorare in condizioni disagiate, con l’osservanza di turni massacranti e retribuzioni inadeguate". "Una problematica - conclude Del Carmine - che meriterebbe maggiore attenzione e risposte adeguate da parte del Governo".

Roma: pittura, un premio alle artiste-detenute di Rebibbia

 

Comunicato stampa, 14 ottobre 2006

 

Una menzione speciale per l’opera collettiva "Bambini in carcere" è andata alle pittrici-detenute del Carcere Femminile di Rebibbia, a conclusione della Mostra "Abbasso il grigio!", organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio con il patrocinio di Telecom Italia, Comune di Roma, Provincia di Roma e Regione Lazio.

Ad attribuire all’opera l’importante riconoscimento è stata una giuria composta dagli artisti Bertina Lopes, Mariano Rossano, Giancarlo D’Ascenzi, Pippo Gallà e Maurizio Di Lullo. Le opere sono state esposte presso il Museo di Roma in Trastevere e nelle sale dell’attiguo Palazzo Velli dal 28 al 30 settembre scorsi. La Mostra "Abbasso il grigio!" espone ogni anno le opere di artisti disabili della Comunità di Sant’Egidio e di molte altre associazioni.

Al suo interno è riservato uno spazio apposito al Laboratorio di espressione artistica di Rebibbia Femminile, organizzata dai volontari di Sant’Egidio all’interno dell’Infermeria dell’Istituto stesso. Il quadro premiato ha colpito ed emozionato le migliaia di visitatori della Mostra: infatti, raffigura un ragazzo adolescente che, dall’interno di una cella, guarda verso l’esterno attraverso le sbarre del cancello blindato. Un’opera dai tratti essenziali, ma dalla grande intensità drammatica.

Dal 2002 il Laboratorio di espressione artistica organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio coinvolge le detenute di Rebibbia Femminile ed, in particolare, il reparto di infermeria. Grazie a questa attività molte donne hanno potuto mettere a frutto le doti artistiche che, talvolta, sapevano già di possedere, in altri casi si sono rivelate una potenzialità insospettata. In più, il tema scelto per la Mostra di quest’anno - "I bambini nel mondo. Il mondo dei bambini" - aveva suscitato sin dall’inizio un grande interesse nelle partecipanti, che hanno avuto modo, attraverso video e dibattiti, di confrontarsi con il disagio in cui vive l’infanzia di tutto il mondo. Il ricavato della vendita delle opere, per volontà delle stesse detenute, sarà devoluto al Programma DREAM per la cura dell’Aids in Africa. L’Istituto Femminile di Rebibbia ha agevolato l’avvio del Laboratorio, grazie all’acquisto di tele, tempere, carta per i bozzetti, matite e materiale vario. La disponibilità del personale e l’entusiasmo delle detenute hanno fatto il resto.

Roma: "Carcere e Viaggio", i racconti di chi non può viaggiare

 

www.giustizia.it, 14 ottobre 2006

 

La funzione della cultura in carcere: la lettura e la scrittura come luogo di libertà, metodo di ricerca collettiva, strumento di crescita individuale, mezzo per far pace con se stessi. Carcere e viaggio è il titolo del volume di racconti scritti da un gruppo di detenuti del carcere romano di Rebibbia che hanno frequentato un laboratorio di scrittura. Il libro, curato da Luciana Scarcia per l’editore Bonanno, è stato presentato nei giorni scorsi alla presenza, tra gli altri, del sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi.

Il filo conduttore di tale esperienza è stato il viaggio: costruire una sorta di dizionario ragionato intorno al tema del viaggio proprio da parte di chi, separato dal mondo, cerca di usare la lingua di tutti come luogo di libertà e metodo di ricerca. A partire dell’alfabeto del viaggio, sono stati così elaborati alcuni scritti di diversa tipologia: racconti autobiografici, descrizioni del carcere, lettere, riflessioni e scherzi. Una raccolta di racconti che testimonia anche un modo di intendere la funzione della cultura e delle istituzioni preposte alla formazione: una funzione che può contribuire a cambiare il modo di stare al mondo.

 

 

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