Rassegna stampa 2 novembre

 

Padova: ex detenuto si uccide buttandosi sotto un treno

 

Il Gazzettino, 2 novembre 2006

 

Luigino Gasparini ormai era un uomo solo. E a volte il vuoto di cui si compone la solitudine prende una consistenza tale che sopportarlo diviene impossibile. Dopo aver lasciato il carcere e chiesto aiuto anche attraverso le pagine del nostro giornale, Luigino Gasparini aveva cominciato a lavorare all’interno della cooperativa Giotto che si occupa, anche, del reinserimento sociale di ex detenuti. Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa, ricorda Luigino così: "Sapevamo che recuperarlo ad una vita "normale" non sarebbe stato facile. Luigino veniva da una situazione molto particolare e difficile. Degli anni trascorsi in carcere, dopo l’omicidio della moglie, nel 1994, parecchi ne aveva passati in isolamento. Quando ha ricevuto la notizia che sarebbe stato libero scrisse una lettera per non essere scarcerato. Non voleva uscire, non sapeva cosa fare, dove andare".

"Con noi - riprende Boscoletto - aveva iniziato un corso per operatore cimiteriale durante i primi mesi del 2004, quando ancora stava scontando la sua pena. Una volta uscito, dopo qualche tempo, i servizi sociali del Comune e lui stesso, tramite l’intervista rilasciata al vostro giornale, ci chiesero aiuto, ma la situazione era già compromessa".

L’esperienza con la cooperativa Giotto, per Luigino, dura quasi un anno: dall’estate del 2004 alla primavera del 2005. "Abbiamo cercato di dargli una mano - riprende Boscoletto - però era proprio Luigino il primo che, alla fine, non voleva aiutarsi. "Ma cosa volete da me, lasciatemi fare quello che voglio". Era una frase che gli sentivamo ripetere spesso. Nella sua mente, ormai, la vita che desiderava era quella del clochard. Faticava a rispettare gli orari, l’ordine, la pulizia. Se lo perdevamo di vista un attimo lo trovavamo a rovistare nei cassonetti, e questo nonostante il cibo e i soldi non gli mancassero. Proprio per cercare di recuperarlo, d’accordo con i servizi sociali, a fine mese gli davamo la sua busta paga, ma anche questo non è servito".

Gli ultimi fotogrammi di Luigino, nella mente di Boscoletto, hanno toni e contorni che sfumano malinconici. "Ho l’immagine di lui seduto sotto la statua di Padre Leopoldo che c’è all’ospedale. Lo ricordo lì, oppure quando lo incrociavo davanti al cimitero maggiore dove con il suo cappello da guardia giurata, che ancora conservava retaggio di un vecchio lavoro, si era inventato parcheggiatore".

 

La storia

 

"La vita è un continuo "oggi c’è il sole, poi viene la sera". E così si va avanti, giorno dopo giorno, finché non verrà il momento in cui capirai che il biglietto non ha più il ritorno e allora tutto sarà finito". Natale 2004, Luigino Gasparini, sta seduto a un tavolo delle cucine popolari avvolto in un vecchio cappotto. Al Gazzettino racconta la sua storia di uomo libero e solo, quella libertà che ha ritrovato da poco, assieme, però, alla solitudine. Sono passati dieci anni da quando, una mattina del 6 aprile, nella sua casa di Mezzocorona, vicino a Trento, ha ucciso la moglie, Bruna Tait, soffocandola in vasca da bagno. Tre settimane prima, per l’ennesima volta, era rimasto disoccupato. In carcere, al Due Palazzi, ha ritrovato la fede e si è pentito. "Il Natale? Certo che lo sento. Credo in Dio, sono stato battezzato, sono cristiano. Non so se Dio sia ingiusto, non mi permetto di dirlo. Non giudicare e non sarai giudicato". Quel giorno Luigino Gasparini lancia un appello: "Prima o poi devo trovare la maniera di sistemarmi. Sono come una palla sopra al biliardo, vedo le buche ma non riesco mai a finirci dentro, carambolo incessantemente. Avrei bisogno di un colpo buono". Così, prima del saluto, aggiunge: "Dottore, mi raccomando, se per caso sente che qualcuno cerca lavoro, io sono qui, vengo tutti i giorni, mi trova dopo mezzogiorno, grazie, sa".

Quel "messaggio nella bottiglia" non resta inascoltato. Qualche giorno dopo la cooperativa sociale Giotto lo raccoglie e Luigino Gasparini ritorna in carcere, non da detenuto ma per partecipare a un corso per diventare guardiano al cimitero Maggiore. Questo sessantenne dagli occhi chiari e dal sorriso dei semplici diventa il simbolo della riabilitazione al punto che il 24 marzo del 2005 si siede su una poltrona della sala Rossini del caffè Pedrocchi per raccontare la sua storia. È stato Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa, a volerlo accanto a sé. "Ho pagato il mio debito con la Giustizia restando in carcere oltre dieci anni. Una volta uscito con le misure alternative mi barcamenavo fra le cucine popolari e il dormitorio, ma nessuno mi dava un lavoro. Sono quindi tornato a "frequentare" il carcere per seguire il corso organizzato dalla Giotto e dal Comune. Adesso ho un lavoro che mi piace e potrò forse prendere in affitto un monolocale per rifarmi una vita". Parole sincere ma non convinte perché Luigino Gasparini è fatto così, si porta ancora dentro tutti quegli anni trascorsi in carcere in isolamento. Una solitudine imposta nella quale aveva trovato la sua dimensione, tanto che quando era arrivato il momento di uscire aveva scritto una lettera chiedendo di restare dietro quelle sbarre, divenute ormai la sua casa.

"Abbiamo cercato di dargli una mano - raccontava ieri Boscoletto - però era proprio Luigino il primo che, alla fine, non voleva aiutarsi. "Ma cosa volete da me, lasciatemi fare quello che voglio". Era una frase che gli sentivamo ripetere spesso. Nella sua mente, ormai, la vita che desiderava era quella del clochard. Faticava a rispettare gli orari, l’ordine, la pulizia. Se lo perdevamo di vista un attimo lo trovavamo a rovistare nei cassonetti, e questo nonostante il cibo e i soldi non gli mancassero. Proprio per cercare di recuperarlo, d’accordo con i servizi sociali, a fine mese gli davamo la sua busta paga, ma anche questo non è servito. Ho l’immagine di lui seduto sotto la statua di Padre Leopoldo che c’è all’ospedale. Lo ricordo lì, oppure quando lo incrociavo davanti al cimitero Maggiore dove con il suo cappello da guardia giurata, che ancora conservava retaggio di un vecchio lavoro, si era inventato parcheggiatore".

In stazione gli agenti della Polfer lo conoscevano bene. Era un altro di quei luoghi dove Luigino Gasparini si sentiva libero mescolandosi ai pendolari di tutti i giorni, a chi gli passava accanto spostando velocemente lo sguardo quando incrociava il viso di quell’uomo trasandato che non di rado preferiva dormire in un cassonetto anziché nel letto della comunità che lo ospitava. Tra chi andava e chi veniva aspettava qualcosa senza sapere cosa, o forse "solo" il disperato coraggio per prendere quel biglietto che "non ha più ritorno".

Napoli: i magistrati; relazione tra indulto e aumento criminalità

 

Libertà, 2 novembre 2006

 

Napoli. Indulto. In tanti lo hanno firmato ora in pochi lo difendono. Contro quel provvedimento fortemente caldeggiato dal ministro della Giustizia Mastella mugugnano i magistrati anticamorra della procura di Napoli. Il provvedimento ha provocato la scarcerazione di migliaia di persone di Napoli e della provincia casertana e da allora, fanno notare i pm, non c’è quasi reato che non abbia visto coinvolto a vario titolo i beneficiari dell’indulto.

Secondo i dati investigativi e gli arresti effettuati dalle forze dell’ordine un dato è inquietante: in quasi tutti gli omicidi di camorra dei giorni scorsi gli ex detenuti usciti dal carcere hanno avuto parte o come killer o come vittime degli agguati. E le dichiarazioni del deputato di An Filippo Ascierto, che aveva parlato di ottomila detenuti messi in libertà in Campania, ha contribuito ad alimentare la polemica. Secondo i dati del ministero i detenuti scarcerati a seguito dell’indulto dagli istituti di pena napoletani sono invece 1321, cifra che si riferisce ai detenuti di tutti i penitenziari napoletani: Poggioreale, Secondigliano, Pozzuoli e Sant’Eframo. In tutta la Campania, invece, hanno lasciato il carcere in 2713. E ancora, secondo il ministero, il numero complessivo di italiani residenti a Napoli scarcerati in tutta la penisola è pari a 2768 a cui vanno aggiunti 243 stranieri che hanno acquisito la residenza nella città partenopea.

Cifre che non stemperano comunque il clima tra i magistrati impegnati in prima linea contro la malavita di Napoli. E che per altro, come sottolineato dal capo procuratore Lepore e dal procuratore aggiunto Roberti, rifiutano la soluzione dell’esercito. Dall’ultima polemica si tiene fuori il sindaco di Napoli Iervolino che pure, sull’indulto, al ministro Mastella non le aveva certo mandate a dire. Ieri nella sua visita alla tomba di Annalisa Durante, la 14 enne uccisa per sbaglio a Forcella dalla camorra, il primo cittadino ha affermato che nel contrasto alla criminalità il "Comune e gli altri enti locali fanno quello che la legge assegna di fare ma con un limite ben preciso, che è quello dei mezzi che hanno a disposizione".

Nelle settimane scorse aveva a più riprese messo sotto accusa il provvedimento firmato da Mastella, causa della recrudescenza criminale in città. Una polemica a distanza con il ministro della Giustizia che ha risposto seccato: "Dare la colpa all’indulto è una cosa francamente ipocrita, lo scorso anno ci sono stati più morti e l’indulto non c’era". Ma questa era la sua prima versione. Quella aggiornata a ieri riferisce di un ministro della Giustizia quasi disposto ad immolarsi: "Se tutto questo che accade a Napoli avesse una causa nell’indulto, avremmo trovato la soluzione".

Napoli: Coisp; gli ex detenuti sono "manovalanza" a basso costo

 

Il Mattino, 2 novembre 2006

 

I reclusi complessivamente scarcerati dall’indulto dagli istituti di pena napoletani sono 1321. Un numero riferito proprio dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. "L’indulto in questo periodo è stato come una tanica di benzina sul fuoco". È l’opinione del segretario generale del sindacato di Polizia COISP, Franco Maccari, sulla terribile faida che è scoppiata da settimane a Napoli e in altre località della Campania.

 

Come legge questi dati del Dipartimento?

"Se vengono forniti solo ora possono essere letti come una giustificazione per ciò che sta accandendo".

 

Esiste un responsabile per ciò che sta avvenendo?

"Il problema è che l’indulto è stato votato da due terzi del Parlamento, da maggioranza e opposizione. Nessuno si può permettere di lanciare il sasso e nascondere la mano".

 

I sicari di questi omicidi potrebbero essere ex detenuti?

"Sicuramente stiamo vivendo un momento storico della città che porta a fare un’analisi ben precisa: i detenuti che hanno ottenuto il beneficio dell’indulto a Napoli possono essere considerati come manovalanza a basso costo".

 

Ci sono però anche episodi violenti compiuti da incensurati.

"Certo, ma in un periodo in cui si contano ogni giorno morti sulle strade partenopee non si può non prendere in esame anche fatti gravi compiuti da persone che non avevano mai avuto nulla a che fare con la legge. Come ad esempio il caso del sedicenne che ha ucciso il diciottenne. Quello non è collegabile all’indulto, ma adesso purtroppo tutto fa parte della violenza. Si sta fondendo il bullismo con la vera e propria criminalità, si sta quindi creando come una bomba ancor più potente".

 

Da parte del governo che assicurazioni avete avuto?

"Decisamente nessuna. Anzi."

 

Per quale motivo?

"Con la Finanziaria non ci sono stati dati fondi, non ci sono state ad esempio rivalutazioni dei falchi oppure ho sentito dire altre ipotesi assurde come chiudere alcune Questure, tutte follie che di certo non possono che creare situazioni ancor peggiori di quelle che stiamo vivendo".

 

Crede che l’indulto, così come è stato votato, ha delle falle?

"Una sicuramente: quella di non dare nessun aiuto a chi lascia la cella, a chi torna a vivere nella società, ad affrontare i problemi che ha un ex detenuto, soprattutto se non ha un lavoro. Quando si varca l’uscita di un penitenziario ci sono dei bisogni che vanno affrontati: il mangiare, il bere e il dormire".

 

Bisogni che potrebbero essere risolti anche dalla società oltre che dal governo.

"In teoria sì, ma a Napoli in questo momento esiste anche un problema culturale e sociale, non solo di criminalità organizzata. E dunque per chi ha beneficiato dell’indulto non è veramente facile riuscire a costruirsi una nuova vita e non avere la tentazione di ricadere nelle mani della malavita nel momento in cui non si riesce a soddisfare i bisogni primari di qualsiasi essere umano".

Napoli: Casini; calcolo costi e benefici, prima di invio esercito

 

Il Mattino, 2 novembre 2006

 

"Potrei fare anch’io il mio show propagandistico e dire che a Napoli ci vuole l’esercito e altro ancora. Ma sono una persona seria. Per questo chiedo al governo di presentare al più presto in Parlamento un dettagliato esame di costi e benefici della necessaria operazione-sicurezza a Napoli.

Non possiamo correre il rischio di inviare 10mila militari e poi scoprire che l’operazione costa più di un potenziamento delle forze dell’ordine e, magari, ha una minore efficacia".

Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, prende le distanze da Gianfranco Fini, che proprio ieri in un’intervista al Mattino aveva chiesto l’impiego dell’esercito con poteri straordinari di pubblica sicurezza. Casini non esclude il ricorso alle Forze Armate. Ma al governo chiede un piano di intervento e soprattutto un’analisi puntuale delle necessità.

"Il governo - osserva Casini - si è mosso finora con ritardo e con un elevato tasso di approssimazione. Non può accorgersi solo ora che a Napoli c’è un emergenza-criminalità quando da mesi i rapporti dei prefetti e dei questori segnalavano l’allarme. E non è un bello spettacolo vedere un ministro della Giustizia che invoca l’esercito e un ministro dell’Interno che si dice contrario".

 

Anche sulla lotta alla criminalità, come su tante altre questioni, le divisioni sono trasversali agli schieramenti. Pensa di trarre anche dal caso Napoli elementi a favore della Grande coalizione?

"Non servono strumentalizzazioni politiche. La sicurezza, la vivibilità di Napoli è una questione troppo importante. Ci sono momenti in cui è necessario uno spirito unitario. Ma in quei momenti bisogna anche distinguere le responsabilità. Ognuno faccia il suo dovere. La maggioranza prenda le sue decisioni. L’opposizione controlli e incalzi".

 

Ammetterà che, se siamo arrivati a questo punto, non è solo colpa del governo pro-tempore.

"Ci sono problemi antichi e responsabilità storiche. Ma la politica sono le scelte di oggi. Ad esempio, questa Finanziaria ha colpito pesantemente il bilancio della sicurezza. Ci sono 1300 ausiliari di polizia che attendono l’assunzione e per i quali mancano i fondi necessari. Si rischia addirittura che non sia garantito il turn-over negli organici delle forze dell’ordine. Penso che il primo atto di responsabilità da parte del governo debba essere, già domani in commissione Bilancio, presentare un emendamento alla Finanziaria che scongiuri almeno questi clamorosi buchi".

 

La Finanziaria viene contestata da un lato perché è troppo pesante, dall’altro lato però si continuano a chiedere soldi allo Stato. Non le pare una contraddizione?

"Piuttosto che destinare miliardi alla rottamazione dei frigoriferi o dei traghetti, si attribuiscano più risorse a polizia e carabinieri. Qualcosa si dovrebbe fare anche per migliorare l’amministrazione della giustizia. È inammissibile che giacciano per giorni, sui tavoli della Procura, gli ordini di custodia cautelare firmati dai pm: spesso l’inefficienza non è dovuta neppure al carico di lavoro dei magistrati, ma alla carenza di cancellieri o di personale tecnico".

 

L’opposizione, a Roma come a Napoli, è senza colpe?

"Quando ho detto che ognuno deve fare il suo dovere, mi riferivo anche all’opposizione. Non mi nascondo che talvolta bastano piccole nomine per tacitare qualcuno e instaurare il consociativismo del silenzio. Il principio di responsabilità deve valere per tutti. Anche a livello locale. Ecco, i governi locali a Napoli e in Campania mi sembrano troppo spesso sfuggire alle loro responsabilità...".

 

Ha qualche accusa da muovere?

"Antonio Bassolino governa Napoli e la Campania da oltre un decennio. È un politico autorevole. Non credo che possa sempre cavarsela puntando il dito contro altri. La vicenda dei rifiuti, ad esempio, è un esempio clamoroso di cattiva amministrazione e non è estranea alla crescita dei fenomeni criminali. Non ho ancora sentito da Bassolino parole di autocritica. Penso che dovrebbe cominciare a farlo".

 

E lei non si è pentito di aver sostenuto e votato l’indulto?

"Solo gli imbecilli pensano di non aver mai fatto errori. Io non voglio essere classificato in questa categoria. Comunque, non sono certo che l’emergenza criminale a Napoli abbia una relazione significativa con l’indulto. Lo stesso indulto, peraltro, è stato una risposta emergenziale ad una situazione insopportabile nelle carceri. Una politica seria dovrebbe essere capace di programmi di lungo periodo. Ma, tornando alla Finanziaria, non mi pare ci sia nulla nel capitolo carceri".

 

È difficile affrontare un’emergenza così drammatica senza un salto di qualità che, a dire il vero, stenta ad intravedersi nel dibattito di questi giorni.

"Napoli è una grande questione nazionale. Perché Napoli è la città più grande del Mezzogiorno. E perché non è un caso isolato. Quanto sta accadendo in questi giorni è la punta di un iceberg. È il paradigma dell’insorgenza criminale che affligge tanti territori del Sud. Ed è la principale zavorra per le chance di sviluppo del Mezzogiorno. Noi dobbiamo estirpare la camorra, la ‘ndrangheta, la mafia perché è un dovere morale, perché ce lo chiedono tanti cittadini onesti, ma anche perché non ci saranno investimenti, non ci sarà crescita economica e civile senza una vittoria dello Stato e della legalità".

 

Cgil, Cisl e Uil hanno promosso una manifestazione nazionale a Napoli. Servono iniziative di questo tipo?

"Servono. Faremo una manifestazione a Napoli anche noi dell’Udc, il 18 novembre. È un dovere diffondere la cultura della legalità e favorire la partecipazione dei cittadini. Confido anche nell’impegno delle scuole, delle associazioni, del mondo dello sport. E mi confortano molto le parole del cardinale Sepe. Ma anche nella battaglia culturale per affermare il principio di legalità dobbiamo essere rigorosi. Ricordo l’ironia con cui si constatava, tempo fa, che a Napoli tutti giravano in moto senza casco. Mi auguro che ora nessuno abbia più voglia di scherzare: la legalità va applicata nelle circostanze eccezionali come in quelle ordinarie. E per i comportamenti contro la legge, tutti i comportamenti, deve valere la tolleranza zero".

 

Il leghista Roberto Calderoli ha appena detto che Napoli è "una fogna da bonificare". Cosa risponde?

"Che Napoli è una delle città più belle d’Italia e più famose nel mondo. È una risorsa straordinaria per il Sud e per l’intero Paese. Se oggi soffre, Napoli va aiutata non insultata. È anche interesse del Nord, dove la stessa criminalità organizzata spesso trova diramazioni e mette radici".

Napoli: Margiotta (Unimpresa); le pene sono solo sulla carta

 

Il Mattino, 2 novembre 2006

 

Giuseppe Margiotta, già segretario regionale della Confesercenti e futuro presidente della nascitura confederazione di commercianti "Unimpresa", attacca "un sistema giudiziario dove non solo non c’è la certezza della pena ma anzi con l’indulto si regala la libertà a pregiudicati e fuorilegge professionisti che forse in molti casi non la meriterebbero.

Noi commercianti - aggiunge Margiotta, che opera da molti anni nel settore della ristorazione, perché gestisce un bar nel centro murattiano - siamo preoccupati e ci auguriamo che le forze dell’ordine inquadrino bene il problema e tengano sotto controllo il territorio. Non è il caso di innescare allarmismi, perché in questo modo si metterebbe in moto un meccanismo di tensione.

Ma - spiega l’esponente della categoria - occorre denunciare i pericoli connessi alla nostra attività". Margiotta ammette che "l’attuale prefetto, Schilardi, e l’attuale questore, Gratteri, hanno rivolto un’attenzione particolare al fenomeno, proprio facendo tesoro delle esperienze passate, allo scopo di mettere in un angolo la malavita organizzata e non organizzata. Ma - sottolinea - non bisogna mai abbassare la guardia. Anche perché manca la certezza della pena. Invece è importante che chi compie reati sappia che sarà punito con fermezza. Questo sarebbe già un deterrente", conclude il futuro presidente di Unimpresa.

Napoli: Gasparri; visita Prodi di rito, serve revocare indulto

 

Apcom, 2 novembre 2006

 

"Il Presidente del Consiglio non si è evidentemente ancora reso conto di quanto drammatica sia l’emergenza criminale a Napoli, dove tutto serve fuorché una visita di rito. Né serve recarsi in quei luoghi, tra le vie abbrutite dal degrado o le piazze beffate dalla sfrontatezza del crimine, per capire che cosa accorre fare. Serve un segnale forte di richiamo al senso della legge e dell’ordine. Un segnale che si può dare cominciando in Parlamento a revocare l’indulto voluto da Prodi e da Mastella, che ha avuto come unica conseguenza l’acuirsi dell’emergenza criminale ed un ritrovato sovraffollamento delle carceri". È quanto propone Maurizio Gasparri, membro dell’Esecutivo di Alleanza Nazionale.

Napoli: Fini (An); intervento esercito, con poteri di polizia

 

Il Giornale, 2 novembre 2006

 

Esercito a Napoli, ma con poteri di pubblica sicurezza. E modifiche alla Finanziaria per garantire più sicurezza. Gianfranco Fini spiega la ricetta del suo partito per combattere la criminalità nel capoluogo partenopeo. È quella espressa nel documento dei senatori di An che chiedono al governo il ripristino dell’operazione "Alto impatto", voluta nella seconda metà degli anni ‘90 dal governo Berlusconi.

Condividendo "l’angoscia" del Presidente della Repubblica Napolitano, Fini insiste anche sulle critiche al governo per gli interventi sbagliati, dalla Finanziaria all’indulto, e per quelli che non ha fatto pur essendo necessari. In particolare, dice che "si doveva fare di più" nella manovra per le risorse destinate all’ordine pubblico. "I tagli al ministero dell’Interno - attacca il leader di An - rischiano di non consentire il pagamento degli straordinari". E bisognava difendere il principio della "certezza della pena", escludendo ogni provvedimento di clemenza.

"L’emergenza carceraria - dice Fini - non si risolve mettendo fuori i detenuti ma stanziando più soldi per le carceri. E su questo in Finanziaria non c’è nulla". Ci sono invece, fa eco Maurizio Gasparri, tagli delle risorse per i nuovi contratti delle forze di polizia e per il riordino delle carriere e la chiusura di prefetture, questure e comandi dei carabinieri anche in zone ad alta densità criminale. "Se si vuole dare un segnale forte - sostiene l’esponente di An - revochiamo l’indulto in Parlamento, variamo un pacchetto di misure che rivedano gli sconti di pena della legge Gozzini, destiniamo più soldi alle forze dell’ordine. Correggiamo la Finanziaria pro-camorra di Prodi".

Attacca una manovra che "fa acqua da tutte le parti" il leader dell’Udc, Lorenzo Cesa: non consente nemmeno la stabilizzazione di quei più di 1.000 agenti ausiliari che da 2 anni lavorano come precari nella polizia. "Con le norme previste dalla Finanziaria - aggiunge - non sarà possibile nemmeno il turn-over necessario per gli organici delle forze dell’ordine".

Di modifiche alla legge di bilancio per combattere la criminalità a Napoli e in tutto il Sud parla anche la sinistra radicale, ma come alternativa all’invio dell’esercito. Su questo punto l’Unione è divisa ed Enzo Bianco della Margherita vede, invece, positivamente l’ipotesi di militari di presidio agli obiettivi fissi, come supporto per le forze dell’ordine. "Servono risorse - dice Marco Rizzo del Pdci - per il lavoro e lo sviluppo. In tal senso, anche avendo presente l’emergenza Campania, andrebbe modificata la Finanziaria.

Serve un impegno straordinario contro la precarietà che invece è purtroppo totalmente assente. Non sarà un caso che la manifestazione del 4 novembre si stia trasformando in una grande mobilitazione, che è certamente fatta da chi sta a sinistra". Invoca interventi strutturali che incidano su società, economia e cultura del Mezzogiorno anche il leader dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, che respinge la soluzione dell’esercito e annuncia l’adesione alla manifestazione dei sindacati per la legalità, la sicurezza e la convivenza civile.

La camorra si batte con un impegno bipartisan, per il coordinatore di Fi Sandro Bondi, che invita a superare "divisioni politiche spesso artificiose e paralizzanti". Fabrizio Cicchitto aggiunge che, oltre alla mobilitazione generale, c’è bisogno di un ricambio nelle amministrazioni locali e punta il dito su Antonio Bassolino, governatore della Campania ed ex-sindaco di Napoli. "È necessario rompere un sistema di potere nel quale la camorra si è inserita, dilatando la sua presenza e avendo davanti un potere politico che certamente non è alternativo neanche da un punto di vista etico".

Finisce intanto sotto accusa, da destra e da sinistra, il coordinatore leghista Roberto Calderoli che definisce Napoli "una fogna da bonificare", eliminando "tutti i topi" ed evitando di inviare nuove e inutili risorse. Per il Guardasigilli Clemente Mastella è una nuova "porcata", i Ds attaccano, i Verdi lo querelano, il Pdci chiede una censura del presidente del Senato, Franco Marini. Lo criticano anche nella Cdl, da Cicchitto a Cesa, da Gasparri a Buttiglione, ma lui risponde: "Pentito? Si penta chi a ridotto Napoli a una fogna".

Droghe: Ferrero; distinguere tra legale e illegale non serve più

 

Redattore Sociale, 2 novembre 2006

 

L’intervento al convegno dell’Iss: "Al centro della nuova legge ci sarà la distinzione delle sostanze in base alla loro pericolosità. E non si parlerà più di droghe, ma di ‘dipendenze"‘. Ma c’è da mettere d’accordo le varie anime dell’Unione

Dopo l’intervento del ministro della Salute, Livia Turco, che ha partecipato alla prima giornata del convegno sulle tossicodipendenze organizzato a Roma dall’Istituto Superiore di Sanità, oggi è stata la volta del ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero. Al centro del suo discorso il rapporto tra scienza e politica, a partire ovviamente dalle evidenze che ormai sono state acquisite nel campo della ricerca sulle sostanze e sulle terapie.

Secondo Ferrero, l’Italia continua a scontare dei ritardi culturali notevoli. "Da noi - ha detto il ministro - è ancora quasi impossibile impostare un discorso razionale su questi temi che non sia influenzato dall’ideologia e dalle spinte della politica. Ma la cosa più grave è che il tema si presta costantemente alla spettacolarizzazione. Non si parla quasi mai, dunque, del merito, ma si discute di droga sempre quando siamo di fronte a qualche dramma o quando si assiste o si incentiva ad arte lo scontro politico, La figura del ‘drogatò viene così utilizzata come capro espiatorio e come strumento che si usa per creare consenso. Il primo obiettivo del governo deve essere quello di eliminare da questo dibattito tutte le incrostazioni ideologiche. E convegni come quello organizzato dall’Iss sono lo strumento migliore".

La scienza, secondo Ferrero (ma lo aveva detto anche Livia Turco ieri) deve conquistarsi il primo piano. Gli scienziati insieme agli operatori del settore devono contribuire alla costruzione di un nuovo approccio razionale a problemi sociali così importanti. Dopodiché la cosa essenziale da fare è quella di creare un terreno serio di informazione. Il ministro per la Solidarietà Sociale ha fatto anche sapere di un progetto che si sta costruendo con il ministero dell’Istruzione per creare una campagna di informazione sulle droghe nelle scuole. Si tratta di spiegare ai giovani che cosa sono le sostanze stupefacenti, anche perché oggi spesso si passa tranquillamente dallo spinello alla cocaina senza capire nulla né delle sostanze che si usano, né tantomeno dei loro effetti. "Il problema più urgente che abbiamo è quello di ridurre il grado di distruttività. E per far questo è necessario superare la vecchia logica della distinzione tra legale e illegale e invece ridividere le sostanze secondo il grado di pericolosità. Non si parla degli effetti del vino e dell’alcool, per esempio, mentre si continua a criminalizzare la cannabis. Bisogna tornare al principio di realtà".

Ferrero ha dunque parlato degli obiettivi politici più urgenti che il governo Prodi ha intenzione di raggiungere nel campo delle tossicodipendenze. Il primo obiettivo è il superamento della legge cosiddetta Fini-Giovanardi. Si tratta però di capire quale può essere il superamento legislativo che metta d’accordo le varie anime presenti nell’Unione.

La legge futura che sostituirà la Fini-Giovanardi non dovrà più partire dal titolo "droghe", ma dovrà piuttosto basarsi sul concetto di dipendenza. Per inciso, Ferrero ha fatto sapere che il Dipartimento antidroga che era prima alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri, ora è stato trasferito al ministero della Solidarietà Sociale e ha già riavviato i suoi lavori.

L’altro elemento che sarà centrale nella nuova legge sarà quello della selettività rispetto alla pericolosità delle sostanze. In questo senso la legge Fini-Giovanardi ha creato solo innumerevoli danni sia sotto il profilo strettamente legislativo, sia sotto il profilo della cultura politica. Nella vecchia impostazione il problema era solo il legale e l’illegale, non il grado di pericolosità. Questa impostazione è stata devastante, soprattutto per i giovani.

Si tratta poi, ha spiegato ancora il ministro Ferrero, "di distinguere molto nettamente tra spaccio e consumo. Con gli spacciatori e i narcotrafficanti si deve essere inflessibili, con i consumatori si deve riaprire un dialogo, l’unico strumento per ottenere risultati tangibili nella lotta contro la dipendenza da stupefacenti. Lo stato deve resistere a qualsiasi tentazione di stato etico che non sa fare altro che reprimere. Insomma la nuova legge non sarà sicuramente la migliore delle leggi possibili in materia, ma dovrà servire prima di tutto a sgombrare il campo dalle macerie che il precedente governo ci ha lasciato".

Infine Ferrero ha confermato che si andrà molto presto alla definizione della nuova Consulta (dove dovranno essere rappresentati tutti e tutte) e si andrà alla costruzione di una grande Conferenza nazionale sulle droghe. L’obiettivo prioritario di tutto questo lavoro dovrà comunque essere la ricostruzione di un’autoconsapevolezza della società sui suoi stessi problemi.. Un riconoscimento, infine, che il ministro ha voluto fare è al lavoro degli scienziati e degli operatori che in questi anni hanno continuato a lavorare solo a loro rischio e pericolo.

Droghe: metadone cura più efficace contro dipendenze da eroina

 

Redattore Sociale, 2 novembre 2006

 

Il trattamento con il metadone si è rivelato negli ultimi anni il più efficace nella lotta contro le tossicodipendenze da eroina. Ma con delle precise condizioni che se non vengono rispettate, rischiano di vanificare ogni intervento e di renderlo addirittura controproducente. È questo uno dei risultati più evidenti della ricerca presentata questa mattina a Roma nella sede dell"Istituto Superiore di Sanità. Si tratta dello studio VEdeTTE (Valutazione di efficacia dei trattamenti per la tossicodipendenza da eroina), uno dei più importanti studi "osservazionali" mai effettuati nel nostro paese (il campione esaminato supera le 10 mila persone, tutte dipendenti dall’eroina) ed è anche il primo studio di questo genere condotto in Italia dal Dipartimento di Epidemiologia dell’Asl di Roma E e dall’Osservatorio Epidemiologico delle dipendenze del Piemonte e con la collaborazione dell’Iss, l’Istituto superiore di sanità.

Il professor Enrico Garaci, presidente dell’Iss, ha sottolineato in apertura dei lavori l’importanza delle conclusioni a cui sono giunti i ricercatori che hanno curato lo studio. Si tratta di nuove informazioni che sono essenziali alla scelta delle pratiche terapeutiche e delle politiche sanitarie. L’abuso di droga - ha detto Garaci - ha una dimensione globale e l’Ufficio delle Nazioni Unite ha stimato che nel 2006 i consumatori abituali sono ormai più di 200 milioni, una cifra che equivale al 5 per cento della popolazione mondiale di età compresa tra i 15 e i 64 anni. Dal 1985 al 2001 i sequestri di droga nel mondo sono aumentati di circa il 400 per cento. Un fenomeno quindi in crescita e nientaffatto sotto controllo come spesso si cerca di affermare. In particolare Garaci ha sottolineato l’importanza dello studio VEdeTTE che si è basato su 115 Ser.T di 13 regioni italiane. I risultati dello studio sono stati poi messi a confronto con tutti i dati disponibili a livello internazionale. Su questo piano ha lavorato il Gruppo Cochrane che studia le droghe e l’alcool, che sta realizzando - in collaborazione con l’Iss - una revisione sistematica dei trattamenti delle tossicodipendenze e dell’alcolismo. Un’introduzione ai risultati finali di queste ricerche è stata fatta anche da Jarre, il coordinatore della Consulta dello società scientifiche e delle associazioni professionali del campo delle dipendenze patologiche. Secondo Jarre, che ha sottolineato anche la novità della Consulta stessa, organismo che per la prima volta mette a frutto tutte le competenze e le energie attive in questo settore, ha voluto polemizzare contro un certo modo di costruire le decisioni politiche che spesso non tengono conto delle evidenze scientifiche e che anzi qualche volta si pongono perfino in contrapposizione con la scienza.

Così, dopo un saluto della dottoressa Saccone, (dipartimento antidroga del ministero della Solidarietà Sociale) e dopo gli interventi brevi dei presidenti delle società scientifiche che compongono la Consulta, si è passati all’analisi dei risultati veri e propri degli studi. Marina Davoli (Dipartimento di Epidemiologia Asl RmE di Roma), ha parlato della pratica clinica e delle evidenze scientifiche e dei ritardi con cui vengono recepite le scoperte scientifiche nella concreta terapia e perfino nei libri di testo di medicina. Eppure, secondo Marina Davoli, si è andati molto avanti con le conoscenze, mentre dal 2003 si è cominciato a lavorare sulle linee guida sugli oppiacei anche in relazione a quello che sta producendo l’Oms, l’organizzazione mondiale della sanità. Lo studio italiano è stato integrato con i dati internazionali, aggiornati ogni tre mesi sulla rivista The Cochrane Library. Da tutti questi studi e dall’analisi dei questionari fatti compilare a 10 mila tossicodipendenti che hanno frenquentato i Ser.T. tra il 1998 e il 2001, risultano dunque una serie di conclusioni che gli scienziati mettono a disposizione dei loro colleghi e soprattutto dei decisori politici. Una delle prime evidenze riguarda il rischio di mortalità dei tossicodipendenti da eroina. Questo rischio cresce di 10 volte quando i tossicodipendenti decidono di abbandonare il trattamento. Il rischio di morte per overdose cresce anche quando si è concluso il ciclo di trattamento, soprattutto durante il primo mese "fuori". L’altra evidenza importante riguarda la durata del trattamento. Sempre dai dati racconti nell’indagine, risulta che se il trattamento è breve rischia perfino di essere controproducente e di produrre danni.

Ma la scoperta-evidenza su cui più si è insistito durante il seminario di oggi all’Istituto superiore di sanità riguarda le quantità di metadone utilizzato. A basse dosi (40 milligrammi o meno al giorno) non sembra che i trattamenti siano efficaci per far uscire il tossicodipendente. Nel caso americano c’è già stato un precedente. In uno studio sulla città di New York si è visto che le quantità di metadone somministrato sono progressivamente aumentate producendo effetti positivi. Discorso sulla stessa lunghezza d’onda quello di Laura Amato, (Dipartimento di epidemiologia Asl RmE-Roma), secondo la quale tutti gli studi nazionali e internazionali depongono a favore dell’efficacia del metadone, ma con il presupposto che si utilizzino alti dosaggi (60 mg). Tutte le osservazioni fatte, sempre secondo Laura Amato, dimostrerebbero una maggiore efficacia dei trattamenti con metadone ad alti dosaggi sia per dare speranze concrete del superamento della dipendenza da eroina, sia soprattutto nella riduzione del rischio di morte per overdose e di riduzione di altri rischi correlati, quali per esempio l’Hiv. Il metadone - ha detto Laura Amato - risulta quindi altamente protettivo, una protezione che viene potenziata in caso di interventi paralleli di ordine psicosociale.

Vediamo quindi qualche dato sintetico tratto dagli studi presentati oggi. Sul campione di 10 mila persone esaminate, l’86 per cento è costituito da uomini, con una età media di 31 anni. Da questo campione emerge una figura del tossicodipendente non scontata visto che circa il 60 per cento ha dichiarato di avere un lavoro, l’80 per cento ha fatto uso di eroina per via endovenosa con un primo approccio intorno ai 20 anni. L’8 per cento del campione è risultato positivo all’Hiv, al 12 per cento è stata diagnosticata una patologia psichiatrica aggiuntiva alla tossicodipendenza e il 41 per cento ha riferito nelle interviste pregressi episodi di overdose. Dalle interviste effettuate sui tossicodipendenti che hanno frequentato i Ser.T tra il 1998 e il 2001, è risultato anche che i trattamenti effettuati dagli operatori sono stati insufficienti.

La dose media di metadone nel trattamento di mantenimento è stata in quel periodo pari a 41 mg al giorno. Il risultato pratico è stato che circa l’80 per cento dei tossicodipendenti trattati con metadone hanno avuto in realtà un trattamento inadeguato, ovvero con almeno 20 milligrammi di metadone in meno al giorno di quello che viene indicato in tutta la letteraura scientifica e che ora viene confermato anche dallo studio di VEdeTTE e dall’analisi incrociata dei dati Cochrane. Molto chiare anche le evidenze a proposito di rischio di morte. In generale un tossicodipendente ha un rischio di morte 10 volte superiore rispetto al resto della popolazione.

Ma se confrontato con quello della popolazione generale, i tossicodipendenti in trattamento (ovvero assistiti nei Ser.T. o nelle comunità) hanno un rischio di morte circa 4 volte superiore, mentre i tossicodipendenti usciti dal trattamento hanno un rischio di oltre 20 volte superiore. Evidente quindi l’effetto appunto "protettivo" del trattamento, mentre il rischio più alto di morte si riscontra nei primi 30 giorni di uscita dal trattamento stesso. Se questi sono i principali dati "oggettivi" che emergono dallo studio, molte sono le interpretazioni e le domande che rimangono aperte per capire un fenomeno in velocissima trasformazione. Si tratta di capire, infatti, cosa succede oltre i confini dei Ser. T. e delle Comunità. E che cosa succede ogni giorno, realmente nel consumo di droghe, a partire dalle nuove sostanze. In fondo lo studio presentato oggi rappresenta solo uno spaccato: quello delle tossicodipendenze da eroina. E tutto il resto?

Droghe: Leopoldo Grosso; la tossicodipendenza è una malattia

 

Redattore Sociale, 2 novembre 2006

 

Tutte le ricerche scientifiche effettuate in Italia, nonché i raffronti con i dati forniti dalla letteratura scientifica internazionale sembrerebbero confermare un dato: il trattamento migliore per ridurre i rischi da overdose da eroina è quello a base di metadone con dosi abbastanza elevate (dai 60 mg al giorno) accompagnato da interventi psicosociali. Ma è proprio questa la realtà che si vive ogni giorno nei servizi pubblici, questa la percezione effettiva dei tossicodipendenti e degli operatori? E che cosa sfugge a queste analisi scientifiche così dettagliate che sono state presentate oggi all’Istituto superiore di sanità? Alle domande hanno cercato di rispondere a fine mattinata Leopoldo Grosso, Gruppo Abele di Torino e presidente in pectore della Consulta degli esperti di tossicodipendenze che sarà istituita a giorni presso il ministero della Solidarietà Sociale e C.A. Perucci del Dipartimento di Epidemiologia Asl RmE di Roma.

Per Leopoldo Grosso è molto importante avere delle evidenze scientifiche su cui lavorare, dopo tanti anni di esperienze concrete e di dibattiti. Tra l’altro Grosso ha rivendicato la sua concezione delle tossicodipendenze come malattie. Dopo anni di contestazione, il concetto stenta ancora ad essere riconosciuto, ma anche quando si parla di dipendenza come malattia, è raro trovare qualcuno che parla di guarigione. Si parla più spesso invece di miglioramento possibile della qualità della vita, non di guarigione vera e propria. Ma a parte le considerazioni generali, Grosso ha contestato alcune affermazioni che pure circolano nella comunità scientifica a proposito dell’effettivo grado di conoscenza del fenomeno. Non è vero che abbiamo scoperto tutto l’iceberg - ha detto oggi Grosso - c’è invece molto ancora da conoscere e da studiare. Anche l’evidenza del trattamento a base di metadone è chiaro che siamo di fronte a uno strumento a efficacia relativa. Bisogna imparare ad apprendere dai successi (dai tossicodipendenti che si salvano), ma soprattutto dagli insuccessi e dagli errori. Per Leopoldo Grosso, bisogna cioè indagare su tutti coloro che sfuggono ai trattamenti quelli che "non s’acchiappano".

Anche sulle dosi c’è da discutere perché probabilmente le dosi sui 40 milligrammi possono essere utili nella riduzione del danno. Infine, Grosso ha voluto notare due fatti che segnano probabilmente una inversione di tendenza. Da una parte si nota per esempio il fenomeno del rovesciamento del rapporto tra Ser.T. e comunità terapeutiche. Se fino alla fine degli anni ‘90, ha detto Grosso, le comunità terapeutiche accoglievano i "migliori" tra i tossicodipendenti, ovvero quelli che sarebbero stati più ricettivi e sui Ser.T. si concentrava tutto il resto della popolazione tossicodipendente, ora invece succede l’esatto contrario: sono i Ser.T. che selezionano, mentre nelle comunità arrivano in fondo tutti quelli "scartati". L’altro fenomeno da indagare e che sta cambiando il quadro è la comparsa sul mercato di droghe nuove che ancora non si conoscono. Cambiano i narcotraffici e cambia il consumo e spesso non si riesce a salvare i ragazzi proprio perché non si conoscono le sostanze. Dovrebbe poter scattare invece l’allarme rapido.

Anche Perucci - che pure ha un approccio e una storia molto diversa da quella di Grosso - ha segnalato alcuni dei limiti delle ricerche presentate oggi all’Iss. In particolare Perucci segnala che le evidenze sono tali solo sulla popolazione studiata, ovvero sul campione delle persone che hanno frequentato i Ser.T. in quel determinato periodo. Sono fuori tutti gli altri, mentre si nota un buco clamoroso tra le Regioni: quello della Lombardia. Anche Perucci ha detto che dobbiamo poi stare molto attenti anche a chi abbandona le terapie, mentre è evidente che i ritardi maggiori li abbiamo nel campo della conoscenza delle nuove sostanze, quelle che usano i ragazzi nelle discoteche. Sia queste cose, sia la necessità di definire davvero i livelli essenziali di assistenza nel campo dei Ser.T. dovrebbero essere le prossime frontiere sia delle scienze, che della politica a cui spetta comunque sempre il primato. A patto che si ponga davvero in sintonia con la ricerca scientifica.

Usa: in carcere da 25 anni per stupro, scagionato dal dna

 

Affari Italiani, 2 novembre 2006

 

Un texano condannato per stupro è stato scagionato dal test del Dna dopo avere scontato venticinque anni di carcere. Larry Fuller, un nero di 57 anni, reduce della guerra in Vietnam, da martedì è tornato a essere un uomo libero. Il suo caso, l’ultimo in ordine di tempo di una lunga serie di errori giudiziari, ha riacceso i riflettori sui pregiudizi razziali e le deficienze del sistema giudiziaro statunitense. Negli ultimi cinque anni nella sola contea di Dallas sono stati dieci i detenuti scagionati in seguito al test del Dna.

Per Fuller, condannato nel 1981 a cinquant’anni di carcere, si era mobilitata l’associazione legale "Innocent Project". "Ogni volta che il test del Dna dimostra una condanna sbagliata, dobbiamo cercare di capire che cosa non ha funzionato durante il processo, per evitare che gli errori si ripetano", ha sottolineato Maddy deLone, direttore generale dell’associazione, "Quando il Dna rivela che in una sola contea vi sono state dieci condanne sbagliate, non si può continuare a ignorare la necessità di una riforma". Secondo "Innocence Project", molti di questi casi hanno visto una vittima o testimoni bianchi da una parte e sospettati di colore dall’altra. "È stato il caso di Larry Fuller, lui nero e la vittima una bianca".

 

 

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