Rassegna stampa 28 novembre

 

Napoli: detenuto 30enne si impicca in carcere Secondigliano

 

Il Mattino, 28 novembre 2006

 

Alfonso Ciardiello, 30 anni, detenuto a Secondigliano, si è tolto la vita nel pomeriggio di domenica impiccandosi con un lenzuolo alle sbarre della sua cella. L’uomo, recluso da giugno 2006 e condannato per furto aggravato, era in attesa di appello. Quando ha messo in atto il gesto estremo, Ciardiello era solo in cella. Il suo compagno, infatti, si era appena allontanato per la socialità, ma, prima di uscire, aveva preparato il caffè e ne aveva lasciato una tazza per lui. Una delle guardie in servizio nel reparto aveva controllato Ciardiello soltanto da pochi minuti e lo aveva visto intento a guardare la tv. In realtà, il detenuto aveva predisposto le cose in un certo modo proprio per restare solo in cella. Appena è riuscito nell’intento, il detenuto ha legato il lenzuolo alle sbarre della finestra e vi si è impiccato. Quando gli agenti se ne sono accorti, era già tardi per salvargli la vita.

Indulto: superiamo la fase dell’allarmismo

di Carla Chiappini (Direttore della rivista "Sosta Forzata")

 

Progetto Uomo, 28 novembre 2006

 

L’efficacia del provvedimento è direttamente legata alla capacità di sostenere chi esce dal carcere affinché non ricada nel vortice delinquenziale.

Nel giugno scorso le carceri italiane contenevano un numero spropositato di persone - 61.246 - quasi il doppio di quelle previste; in alcuni istituti si dormiva su materassi di gomma piuma poggiati direttamente sul pavimento. C’erano numerosi casi di scabbia e Tbc, una situazione sanitaria ai limiti della civiltà. Impossibile pensare alla "rieducazione" prevista dalla Costituzione; pochissimi educatori costretti al lavoro di ufficio non erano in grado di fare colloqui, né, tanto meno, di pensare a un "trattamento personalizzato". La legge dello Stato che disciplina l’esecuzione penale era evasa in quasi tutti i suoi articoli. I richiami ufficiali del Comitato Europeo di Prevenzione della Tortura senza esiti positivi.

Si poteva fare meglio? Con tempi più ragionevoli? Probabilmente sì ma l’impressione è che tanti sarebbero stati comunque scontenti-arrabbiati. Quasi che l’indulto fosse un torto fatto personalmente a ciascuno di loro. Questo provvedimento non è sicuramente una soluzione al male delle carceri italiane ma era un passaggio inevitabile. Credo, onestamente, che non fosse ipotizzabile null’altro in tempi ragionevoli.

Dall’indulto in poi l’informazione si è scatenata, sollevando, in modo spesso scorretto e distorto, paure e ansie dei cittadini, senza produrre dati concreti, affidandosi a sentimenti e rivalse, allontanando la riflessione dall’ambito utile della razionalità, regalando legittimità a qualsiasi parere raccolto un po’ ovunque. Proponendo sondaggi tanto viziati nella forma quanto inattendibili nella sostanza.

Ora la serietà del tema, il forte coinvolgimento che ha sulla vita di persone reali, siano esse vittime o autori di reato o familiari e amici, avrebbe richiesto una maggiore sobrietà e competenza. Insomma vorrei che passasse il concetto che l’indulto non ha lo stesso peso dello scandalo del calcio italiano o dell’isola degli aspiranti famosi. È altro. Anche a livello di pensiero.

Credo sia per questo che risulti così difficile mettere ordine sulle tante - troppe - cose dette scritte e raccontate. Perché, dietro all’attualità del provvedimento, a mio avviso, si agitano pensieri più profondi e complessi, dubbi, valori e convinzioni radicate nell’intimo delle persone, forse mai discusse o affrontate con chiarezza: la pena, la certezza della pena, la pena come punizione-vendetta o come strumento di rieducazione. Una Costituzione molto avanzata e molto civile, formalmente condivisa dai più ma poco assimilata e ancora estranea al modo di sentire di gran parte dei cittadini, a prescindere dall’orientamento politico.

I toni e le parole che abbiamo sentito in questo periodo rinviano all’idea di vendetta, il verbo-chiave è "pagare". Il concetto educativo che supporta questo modo di pensare è quello delle botte, del castigo, dell’angolo buio. Ben lontano dall’idea di riabilitazione, responsabilizzazione, crescita personale su cui poggia tutta la legislazione degli ultimi vent’anni; dalla legge Gozzini in poi.

E il carcere stesso risente in modo evidente di questa contraddizione; al mandato di rieducare difficile e impegnativo non sa rispondere, per cui si impegna soprattutto a punire. Con l’inevitabile conseguenza di rimettere in libertà persone distrutte, demotivate, sconfitte e molto arrabbiate. Come una giostra infernale.

Sbagli, paghi, soffri, stai male e soffri e poi, mi raccomando, inventati una vita nuova. Con quali risorse non è chiaro, avendo spesso esaurito quelle fisiche e mentali per resistere ad una reclusione fatta di ozio, noia, immobilità e attese interminabili di tutto; dal medico al lavoro che non c’è quasi mai o, se c’è, dura lo spazio di un mese. Forse di questo sarebbe opportuno parlare. Forse una riflessione più seria e rispettosa darebbe frutti migliori. Per tutti.

Ma, riprendendo le fila del discorso sull’indulto, occorre fare un po’ di chiarezza anche sui numeri che, probabilmente, tranquillizzano più dei ragionamenti. Alla fine di agosto, delle 21.000 persone liberate ne erano tornate in cella 340; cioè l’1,6% di quante avevano usufruito del provvedimento. Al 18 settembre il numero era salito a 609, di cui 271 stranieri. Tra loro 118, unicamente perché sprovvisti di permesso di soggiorno, quindi non per azioni criminose ai danni dei cittadini liberi.

Il sito A Buon Diritto riporta che: "Dal 1 agosto al 1 settembre 2006 sono entrate in carcere 6.337 persone, fra le quali quelle beneficiarie dell’indulto, mentre nello stesso periodo del 2005 erano state 6.923". Questi sono i numeri dell’indulto a tutt’oggi. Forse è effettivamente prematuro l’allarme che si respira tra la gente; forse è tempo di alzare la qualità della riflessione.

Giustizia: che cosa si può fare nella lotta alla droga

di Sergio Segio (Gruppo Abele)

 

La Repubblica, 28 novembre 2006

 

L’Italia è al terzo posto nel continente per consumo di cocaina, ci dice il recentissimo Rapporto europeo sulle tossicodipendenze. La vastità del fenomeno si poteva già intuire semplicemente seguendo le cronache, come ad esempio quella milanese di pochi giorni fa che ha visto un banchiere di quasi ottant’anni fermato dalla polizia mentre si riforniva di polvere bianca. Nuova riprova, se ce ne fosse il bisogno, del fatto che le leggi repressive non dissuadono dal consumo e che questo si è fatto anzi del tutto trasversale a ceti sociali e generazioni.

Le norme rigoriste introdotte nella scorsa legislatura, che hanno accomunato sostanze leggere e pesanti e aggravato pene e sanzioni, hanno prodotto più arresti e più carcere per decine di migliaia di persone ma non hanno scoraggiato nessuno. L’esperienza degli operatori insegna che il consumo di droghe si contrasta, si riduce e si rende meno pericoloso e problematico attraverso l’informazione e l’educazione, non in virtù di tribunali e condanne.

Del resto, lo stesso Osservatorio europeo sulle droghe ci aveva già detto che sono molti coloro che cominciano a drogarsi proprio in carcere; dentro le celle circolano non meno sostanze di quante se ne trovino a ogni angolo di strada all’esterno. Solo, diventa più pericoloso assumerle e crescono così anche le malattie infettive, talvolta letali.

Proprio muovendo da questi dati di realtà, un gruppo di parlamentari - primo firmatario Marco Boato - ha avanzato una nuova proposta legislativa in materia di droghe, basata sulla depenalizzazione della detenzione per consumo personale e sull’incentivazione delle politiche sociali e sanitarie di "riduzione del danno", finalizzate a maggior consapevolezza e informazione e dunque a un minor rischio di chi comunque consuma sostanze stupefacenti. Il tossicodipendente vivo può essere aiutato a smettere. Non così quello che muore o si ammala di Aids perché costretto alla clandestinità.

Lunedì 27 novembre, alle 11, alla Camera del Lavoro di Milano, assieme a parlamentari sottoscrittori del nuovo disegno di legge, si ritroveranno decine di operatori delle comunità terapeutiche e dei servizi pubblici, sindacalisti ed esponenti delle associazioni per illustrare e discutere la proposta e per chiedere un radicale cambio di rotta nelle politiche in materia di droga. Il decreto di Livia Turco è un passo positivo, ma insufficiente. Come recitava il programma dell’Unione, "alla tolleranza zero bisogna opporre una strategia dell’accoglienza sociale per la persona e le famiglie che vivono il dramma della droga, a partire dalla decriminalizzazione delle condotte legate al consumo".

Giustizia: manca la progettualità a largo raggio

di Santina Spanò (assistente sociale U.E.P.E di Genova)

 

Progetto Uomo, 28 novembre 2006

 

Il ricorso alle misure alternative al carcere non può solo voler dire far stare le persone fuori dal carcere per spendere meno.

Tanti anni fa (trentuno per l’esattezza), con la riforma dell’Ordinamento Penitenziario, si pensò che il tempo della pena dovesse servire, oltre che come giusta punizione per il fatto commesso, soprattutto per far riflettere la persona sulle sue scelte devianti e per attuare dei cambiamenti nel suo stile di vita, nelle sue scelte. Nello stesso periodo, compito dello Stato doveva essere, da una parte, quello di agevolare questo momento di riflessione custodendo la persona e limitando la sua libertà personale e, dall’altra, offrire opportunità concrete perché chi volesse avviarsi verso scelte diverse potesse avere strade effettivamente alternative al suo rientro nella società. Questo era il significato dato al tempo della pena e, per questo, sono stati previsti professionisti nuovi e nuovi benefici di legge. Il luogo fisico in cui questo doveva avvenire era il carcere e solo dopo un’osservazione si poteva accedere ai benefici di legge, alle misure alternative.

Nel corso degli anni la possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione è stata sempre più ampliata da varie modifiche di legge ed il luogo dove portare avanti il cambiamento da parte di chi infrange la legge, di chi si mette in qualche maniera fuori dal sistema delle regole civili e penali, è sempre di più il territorio.

Ma quanto crediamo al cambiamento delle persone che hanno infranto la legge penale? E se ci crediamo, di che cosa pensiamo abbiano bisogno per decidere di rientrare in un contesto legale, per essere cittadini come tutti gli altri? Io penso che il cambiamento sia possibile, anche se non per tutti e non sempre.

Riguardo a quest’ultimo punto, credo che le persone abbiano bisogno di tante, troppe cose, credo che abbiano bisogno di sicurezza, di soddisfare i bisogni primari: parlo di un posto dove mangiare, dormire, provvedere alle proprie necessità. Poi hanno bisogno di un lavoro e di relazioni umane sociali positive, hanno bisogno di ascolto e hanno bisogno di essere educati alla legalità e di qualcuno che faccia loro vedere che legale è bello, hanno bisogno di esempi positivi.

Non sempre è necessario tutto questo per tutti, ma molto spesso è necessario molto di tutto questo: si tratta di costruire un’identità nuova, un nuovo modo di vedere gli altri e se stessi. Ma non basta: noi non abbiamo solo l’arduo compito di tentare di riportare le persone nei solchi della legalità.

Spesso dietro l’infrazione di una regola penale vi è un’altra problematica che rende la situazione molto complessa: pensiamo ai tossicodipendenti, ai senza dimora, ai malati psichiatrici, agli extra comunitari.

Sono tutte persone che si trovano ai margini della società, per i quali una società attenta cercherebbe di attuare politiche atte a favorire il superamento delle dipendenze, l’inclusione sociale, l’integrazione e così via.

Attualmente la nostra società, oltre a produrre essa stessa le sue degenerazioni, sembra anche incapace di dare una risposta, seppur minima, alle problematiche accennate, paralizzata di fronte alla crisi del welfare che non ha a che fare solo con la pessima situazione economica ma è legata, secondo me, ad una diversa visione dell’uomo che non è più posto al centro dell’interesse, è legata al progressivo impoverimento e sfilacciamento dei valori in cui si riconosce una società.

Per questo nel corso degli anni abbiamo assistito a due movimenti che sembrano in contrasto tra loro, ma in realtà rispondono ad una stessa logica: quello del controllo (apparente) della situazione senza nessun pensiero culturale o politico sulla possibilità di risolvere e prevenire le problematiche. Quindi, abbiamo assistito al proliferare di leggi sempre più repressive e carceri sempre più straripanti, e dall’altra parte, per la verità, ad un progressivo allargamento dell’area dell’esecuzione penale esterna, un maggiore ampliamento del ricorso alle misure alternative.

La Commissione che sta lavorando sulla riforma del sistema penale, pare sia orientata ad operare un ulteriore ampliamento delle misure alternative, possibilmente già nellaa fase cognitiva del giudizio Se questo comporterà il minor ricorso alla carcerizzazione è un fatto estremamente positivo, ma misura alternativa non può solo voler dire far stare le persone fuori dal carcere per spendere meno. Comporta invece l’individuazione di mezzi, risorse e progetti.

Se le misure alternative sono considerate semplicemente come meno costose rispetto alla detenzione, se sono viste solo come l’attuazione di un maggiore controllo sociale verso persone considerate, paradossalmente, poco pericolose per la società e non saranno viste come "quel tempo" di cui parlavo in apertura, in cui la persona può mettere a frutto riflessioni ed opportunità per il cambiamento, non funzioneranno.

Non funzioneranno per le persone che continueranno a vivere negli stessi circuiti, non funzioneranno per la comunità che si sentirà sempre meno sicura. Come non ha funzionato l’indulto che finora ha avuto l’unico merito di aver consentito un po' di meritato riposo agli operatori penitenziari, e una convivenza nei limiti della decenza all’interno degli istituti. Ma noi che abbiamo qualche anno di lavoro, lo stiamo già riorganizzando in attesa che tutto ritorni come prima; nemmeno per un attimo abbiamo pensato che potrebbe diminuire per sempre il carico di lavoro dei nostri Uffici.

Questo abbiamo pensato, non perché ormai non crediamo nel recupero delle persone, anche se una buona percentuale che sceglie di vivere nell’illegalità pure c’è e quindi non interroga le nostre coscienze, ma perché la maggior parte delle persone fuori non ha trovato le motivazioni e le opportunità per cambiare, non ha trovato delle strade per affrontare le situazioni altamente complesse e multiproblematiche che erano ad attenderli appena sono usciti.

Durante l’emergenza di quest’estate, determinata non da una calamità naturale ma da un atto dello Stato che non ha saputo valutare le conseguenze di tale atto, ci siamo resi conto che, nonostante gli sforzi fatti da tutti gli Enti e Istituzioni coinvolti ed in particolare dal volontariato, oltre il tamponamento dell’emergenza non siamo riusciti ad andare. Abbiamo constatato che manca la progettualità a largo raggio, che i servizi sociali sono ridotti al lumicino, che latita una politica complessiva dell’inclusione sociale. La parola "prevenzione" sembra sia stata bandita dal vocabolario italiano, assistiamo a noiose ed inutili polemiche e a visioni assolutamente parziali della realtà che lasciano i problemi sociali irrisolti mentre i governi vanno e vengono.

Per concludere, mi sembra di poter dire che bisogna fare uno sforzo per pensare di più alla necessità di politiche sociali complessive ed integrate, che partendo anche dalla riscoperta della prevenzione, sia primaria che secondaria, che è il livello in cui tutti noi siamo chiamati ad operare, offrano opportunità di inclusione per tutti i cittadini in stato di bisogno che esprimono una richiesta forte di aiuto, e chi esce dal carcere, spesso è un cittadino in stato di bisogno, in difficoltà. Oggi, tuttavia, è il concetto stesso di cittadinanza che a volte viene messo in discussione e pensiamo al grosso problema legato all’ottenimento di una residenza da parte di una persona che esce dal carcere. Senza residenza una persona non esiste. E basterebbe partire da questo per le nostre riflessioni.

Giustizia: il Sappe per protesta va in corteo a Roma

 

Il Messaggero, 28 novembre 2006

 

"Sarà una delle più grandi manifestazioni di protesta degli appartenenti alle forze dell’ordine". Aldo Di Giacomo, segretario regionale del Sappe, definisce così il corteo che martedì 5 dicembre scenderà in piazza a Roma per manifestare contro la Finanziaria 2007. Una manifestazione che vedrà protagonista anche la nostra provincia: "In pullman verso la capitale oltre 400 agenti, di cui una cinquantina appartenenti alla polizia penitenziaria. Stiamo addirittura pensando ad un treno speciale per trasportare tutti a Roma". Le motivazioni che spingeranno questo lungo corteo provinciale, oltre alle ben note carenze di organico delle carceri di Pesaro e Fossombrone, sono da ricercare nella disapprovazione dei sindacati per un aumento contrattuale di circa 5 euro, considerato irrisorio.

Padova: laurearsi in carcere, in ventuno ci provano

 

Il Gazzettino, 28 novembre 2006

 

Laurearsi dietro le sbarre? A Padova si può grazie ad un accordo sottoscritto tre anni or sono tra l’Ateneo e il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per il Triveneto: il polo universitario, attivo dentro il carcere Due Palazzi, offre insegnamenti di Scienze politiche, Scienze giuridiche, Lettere e Psicologia. Complessivamente i detenuti-studenti universitari sono venti, uno prossimo alla laurea. E il Veneto si conferma essere una delle regioni più all’avanguardia nel panorama italiana per quanto riguarda l’istruzione dei reclusi. A rafforzare la scuola in carcere è un prezioso protocollo d’intesa biennale, siglato tra l’Ufficio scolastico regionale e l’amministrazione penitenziaria, la cui premessa è stata l’accordo programmatico per la formazione integrata carcere/scuola del maggio 2005, con la quale si confermava l’importanza della formazione sia del personale docente che opera in prigione, sia del personale penitenziario.

"Tenendo conto che l’istruzione costituisce momento essenziale del processo penitenziario e consente di dare concreta attuazione al precetto costituzionale che pone la rieducazione del detenuto quale finalità e contenuto primario della sanzione penale, gli obiettivi che questo protocollo si è prefissato sono di grande rilievo - illustra il professor Paolo Damberger, referente per il carcere dell’Ufficio scolastico regionale - sia a livello umano che sociale: potenziare l’attività di alfabetizzazione nelle carceri istituendo corsi scolastici a livello di scuole secondarie superiori in tutte le strutture del Veneto, permettendo così ai detenuti di trasferirsi e scegliere il percorso ad ognuno più confacente; progettare percorsi di formazione modulare che permettano il riconoscimento di competenze già acquisite dai detenuti; provvedere alla formazione del personale penitenziario e scolastico; fornire personale docente, adeguatamente formato ed aggiornato; organizzare periodici incontri tra personale docente e penitenziario, al fine di potenziarne l’integrazione".

Sarà operante, per questo biennio, una Commissione paritetica permanente a livello regionale che valuterà le risposte e pianificherà gli interventi. "Siamo certi che questo protocollo avrà una grande rilevanza ai fini di un concreto beneficio per i detenuti, che potranno - commenta Damberger - riscattare il tempo del carcere, promuovendo la facoltà di astrazione, che è la più alta chance di libertà e di comunità con gli altri offerta ad un individuo". Uno degli esempi più interessanti è rappresentato dall’istituto commerciale Gramsci, diretto da Amalia Mabella, l’unico del Nordest a possedere una sezione carceraria: un’ottantina gli studenti, scesi di due dozzine dopo l’indulto.

Reggio Calabria: piano per il reinserimento degli ex detenuti

 

Quotidiano di Calabria, 28 novembre 2006

 

Sono circa un centinaio i soggetti che nella Piana di Gioia Tauro fino al 31 agosto scorso hanno beneficiato dell’indulto. A questi dovranno essere aggiunti coloro che per ragioni diverse hanno lasciato il carcere nei primi quindici giorni di settembre che secondo alcune stime ancora non ufficiali dovrebbero essere circa una trentina. Complessivamente, quindi gli ex detenuti in libertà grazie all’indulto, nella Piana raggiungono il numero di quasi 130 persone. Di questi 32 erano in detenzione nel carcere di Palmi, 20 nel carcere di Laureana di Borrello, mentre gli altri stavano scontando la detenzione negli altri carceri italiani.

Tanti di essi stavano scontano condanne per reati gravi . Fino al 31 agosto i detenuti ritornati nelle loro case per effetto dell’indulto nella Piana di Gioia Tauro erano dunque 98. Dai dati ufficiali è possibile avere un quadro abbastanza chiaro delle città dove si registrano grandi o piccoli reati che hanno comportato l’arresto dei responsabili e quindi la loro detenzione. Dati che offrono un quadro di lettura anche sull’emergenza criminalità e sulla necessità di avviare approfondimenti sul ruolo che le comunità, le istituzioni possono e devono giocare da una parte per cercare di avviare politiche di recupero e di inserimento sociale e occupazionale di questi soggetti per evitare che ritornino a delinquere e dall’altra per tentare di prevenire i cosiddetti "ritorni alle devianze" che non trovano alternative .

Dopo Reggio Calabria, città che supera abbondantemente i 200 mila abitanti nella quale sono ritornati a vivere 55 soggetti scarcerati grazie all’indulto, il centro della provincia che si colloca al secondo posto in questa speciale graduatoria è Rosarno con 24 persone scarcerate. Un dato che non può non balzare agli occhi visto che la cittadina della Piana ha una popolazione di quasi 18 mila persone, quasi un dodicesimo di quella di Reggio.

Ciò significa che in proporzione Rosarno, nella nostra provincia detiene questo speciale record insieme a quello tristemente negativo di reati, piccoli e grandi che si consumano ogni anno.

Dopo Rosarno a seguire si collocano rispettivamente Taurianova e Gioia Tauro con 10 soggetti scarcerati, seguono Palmi e Rizziconi con 6, poi Polistena e Oppido Mamertina con 5, Cittanova, Santa Cristina D’Aspromonte e Seminara con 4, Cinquefrondi, San Ferdinando e Laureana 3, Delianuova, Sinopoli 2 ed infine Feroleto della Chiesa, Giffone, Melicucco, Scido e Varapodio con un solo soggetto scarcerato.

La domanda che in tanti giustamente si pongono è: cosa faranno tutte queste persone una volta usciti dal carcere? Quali circuiti la società civile e le istituzioni hanno attivato per offrire loro spazi di inserimento sociale alternativi a quelli tradizionali dell’attività a delinquere? Quanti di essi continuano a vivere ai margini della legalità perché non hanno trovato occasioni concrete di reinserimento sociale?

I comuni della Piana che nel 2006 hanno aderito a progetti avviati dall’ufficio esecuzione e pena esterna e che hanno previsto fondi per borse di lavoro nel proprio bilancio sono pochissimi. Tra questi Taurianova che ha attivato 3 borse di lavoro, Polistena 2, Anoia una, Cinquefrondi una, Rosarno una, Gioia Tauro 2, Palmi ne dovrebbe attivare 4, Seminara una, mentre il comune di Laurena di Borrello ha avviato una cooperativa di tipo b. Si tratta di tematiche importanti sulle quali non si registra grande interesse nei circuiti istituzionali.

Aspetti che invece dovrebbero trovare più spazio e attenzione e che riguardano la vita, le speranza di inserimento sociale e quindi anche lavorativo degli ex detenuti. "Il Quotidiano della Calabria" cercherà di avviare alcuni approfondimenti utili a scandagliare questa problematica. Chi volesse intervenire può farlo inviando contributi, testimonianze, opinioni alla mail: il quotidiano.piana@finedit.com oppure contattando lo 0966.935320.

Ancona: 170 mila euro per l'assistenza penitenziaria e post

 

Il Quotidiano di Ascoli, 28 novembre 2006

 

Una somma complessiva di 170 mila euro è stata destinata dalla giunta regionale all’assistenza penitenziaria e post penitenziaria. Il provvedimento, approvato ieri nel corso della seduta settimanale, rientra nell’attuazione del protocollo di intesa firmato nel 2001 tra Regione Marche e Ministero della Giustizia.

"Uno stanziamento maggiore rispetto agli anni passati - spiega l’assessore ai Servizi sociali, Marco Amagliani - il più elevato degli ultimi tre anni, che concretizza anche l’impegno preso due mesi fa nel corso di una riunione con tutti i soggetti che si occupano di assistenza ai detenuti ed ex detenuti."

Le risorse serviranno, infatti, a realizzare interventi in collaborazione con i vari soggetti del territorio, rivolti a minori imputati di reato e adulti sottoposti a misure restrittive della libertà.

In particolare, i finanziamenti saranno ripartiti tra gli Ambiti territoriali sociali in cui ricadono le case circondariali e case di reclusione (Pesaro, Fossombrone, Ancona, Camerino, Fermo ed Ascoli Piceno) per progetti che riguardano l’esecuzione penale esterna, interventi per detenuti stranieri, attività trattamentali culturali; iniziative di formazione-lavoro; azioni a favore dei minorenni; rapporti con l’esterno, come l’accoglienza residenziale e la creazione e potenziamento di comitati carcere-territorio.

"Il piano degli interventi - ha aggiunto Amagliani - e l’analisi delle esigenze primarie, anche finanziarie, così come la costituzione di gruppi di lavoro tematici per il riordino del sistema dei servizi per la condizione penitenziaria e post-penitenziaria, saranno anche al centro della riunione convocata per oggi, presso l’assessorato regionale, con il tavolo di lavoro che vede seduti il presidente della Conferenza regionale volontariato per la giustizia, il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, le cooperative sociali Cooss Marche, Irs l’Aurora e Tutor, i direttori degli Istituti penitenziari, i coordinatori degli ambiti coinvolti, i Centri per l’Impiego e Formazione, i dirigenti degli Uffici di esecuzione penale esterna. Come ho già avuto modo di sottolineare in altre occasioni, le politiche sociali della Regione rivolgono la massima attenzione agli "ultimi", in questo senso è da segnalare anche la prossima costituzione di un tavolo per coordinare un piano di interventi in favore dell’estrema povertà".

Una parte delle risorse - 27.672 euro - saranno interamente destinate all’Ambito territoriale di Pesaro con vincolo di utilizzo per "Casa Paci", per il sostegno alle attività di accoglienza residenziale per detenuti ammessi a misure alternative. "Si tratta di una struttura modello e di interesse regionale - ha spiegato Amagliani - che ha una solida esperienza e consolidati rapporti con le Istituzioni preposte, gestita secondo standard elevati di accoglienza e di riabilitazione, che ogni anno ospita 32 persone in soggiorno obbligato, di cui circa la metà stranieri, provenienti dagli istituti di Pesaro, Fossombrone, Ancona, Camerino, Macerata Feltria."

L’assegnazione dei rimanenti 142.328 euro a ciascun ATS - che dovrà presentare alla Regione un programma complessivo entro il 28 febbraio 2007 - terrà conto della popolazione detenuta al 20 ottobre 2006 ( il 70% delle risorse) e dei cittadini residenti al 31/12/ 05 (il 30%).

Ascoli: una mattina in carcere per gli studenti della città

 

Il Messaggero, 28 novembre 2006

 

Perché esiste il carcere? Come vivono i detenuti? Il carcere riesce ad essere efficacemente rieducativi? Sono alcune delle domande a cui cercherà di dare una risposta il progetto "Una mattina in carcere". Si tratta di una iniziativa fortemente innovativa, rivolta agli studenti delle Scuole superiori allo scopo di non far sentire il carcere così lontano dalla nostra realtà e considerare chi è "dentro" prima di tutto una persona con i suoi diritti.

"Dopo la positiva esperienza vissuta lo scorso anno dai ragazzi del Liceo della Comunicazione - dice l’assessore alla Pubblica Istruzione, Gianni Silvestri - abbiamo riproposto anche per l’anno scolastico 2006/2007 questo progetto di grande valore educativo, al fine di far riflettere i ragazzi su questo aspetto così duro della nostra società. L’esperienza dello scorso anno, inoltre, ha avuto unna rilevanza nazionale, tanto che l’iniziativa è stata oggetto di studio da parte dei dottori Ismaele Evangelista e Davide Castelletti che ne hanno parlato in una loro pubblicazione".

Il progetto si articola in due distinti momenti. Il primo vede la presenza di operatori carcerari nelle scuole per illustrare l’attività carceraria e rispondere ai quesiti posti direttamente dai ragazzi.

Il secondo momento, invece, prevede visite guidate delle scolaresche, accompagnate dai docenti, all’interno della Casa Circondariale. Gli studenti, adeguatamente preparati, potranno così visitare i principali uffici: l’ufficio comando, l’ufficio matricola, l’area sanitaria, l’area educativa, i laboratori e avranno modo di incontrare alcune figure professionali che operano nell’Istituto quali il direttore, il comandante, gli educatori, il cappellano,lo psicologo e, eventualmente, anche alcuni detenuti.

"Mi auguro - ha concluso l’assessore Silvestri - che gli Istituti scolastici cittadini colgano questa interessante opportunità resa possibile grazie alla fattiva collaborazione della direzione del carcere, che ringrazio, impegnata con noi nell’obiettivo di una crescente integrazione della Casa Circondariale nel territorio e nel contesto sociale in modo da favorire la condivisione, da parte della collettività, del concetto di sicurezza sociale da perseguire anche tramite il reinserimento sociale del detenuto".

Lazio: una "chance" per il futuro di oltre 3.300 detenuti

 

Redattore Sociale, 28 novembre 2006

 

Il nome ne rivela l’intento. "Chance" è il nuovo progetto di istruzione e formazione riservato ai detenuti delle 14 strutture carcerarie del Lazio presentato oggi dall’Assessorato all’Istruzione, al Diritto e allo Studio e alla Formazione della Regione. Si tratta della prima sperimentazione di un programma di formazione professionale, di recupero dei titoli di studio e di alta formazione rivolto alla popolazione carceraria. L’obiettivo è, come ha spiegato l’assessore all’Istruzione Silvia Costa, "dare un’opportunità, una chance appunto, ai detenuti per evitare che si ripeta quello che è accaduto con l’indulto. Che le persone cioè si ritrovino fuori senza prospettive".

Un progetto che ha puntato, fin dalle prime battute, su una forte collaborazione istituzionale. Oltre all’Assessorato all’Istruzione, hanno contribuito alla definizione del programma anche l’Assessore agli Affari istituzionali, Regino Brachetti, la presidente della Commissione regionale di Sicurezza, integrazione sociale e lotta alla criminalità, Luisa Laurelli, e il Garante regionale dei diritti dei detenuti, Angelo Marroni. Ma non si tratta di un intervento ‘dall’altò. L’elemento più innovativo di "Chance" è il coinvolgimento diretto di chi la realtà carceraria la vive quotidianamente, i direttori degli istituti e i detenuti. All’interno dei penitenziari è stata realizzata una ricerca quantitativa per rilevare, attraverso questionari definiti dopo un’ampia consultazione con gli stessi direttori degli istituti e il garante Marroni, le esigenze formative dei detenuti. Un’operazione che, dopo l’indulto, è stata ricalibrata sulla base delle diminuzione del numero delle persone recluse, passato da 4100 a 3332.

"Attraverso la rilevazione - ha spiegato la Costa - abbiamo potuto conoscere con esattezza le reali necessità della popolazione carceraria". In generale la ricerca ha evidenziato come l’istruzione e la formazione siano visti dai detenuti come un’opportunità di riscatto sociale e di reinserimento dopo la conclusione del periodo di reclusione. La totalità degli intervistati ha dichiarato che le attività formative possono offrire reali occasioni di recupero. Più nello specifico le attività indicate come prioritarie sono la formazione professionale, di breve durata e con percorsi flessibili e modulari, in particolare nei settori dell’edilizia, della ristorazione e dell’artigianato; l’alfabetizzazione informatica, il recupero degli studi e la possibilità di proseguire o iniziare l’istruzione universitaria. Esigenze a cui corrisponderanno i tre lotti di intervento formativi del programma, per uno stanziamento totale di 2,5 milioni di euro attraverso il Fondo sociale europeo. Il 60-65% sarà dedicato alla formazione professionale, circa il 23% al recupero degli anni scolastici e l’8% alla formazione universitaria. Il piano formativo vedrà anche il coinvolgimento di soggetti privati per garantire ai detenuti la possibilità di svolgere stage all’interno delle realtà lavorative, ma anche per sensibilizzare le imprese e le aziende coinvolte.

Un’attenzione particolare è stata rivolta ai detenuti stranieri che, nel Lazio, rappresentano il 38% della popolazione carceraria. A loro verranno dedicati programmi di alfabetizzazione alla lingua italiana ma anche attività di valorizzazione della cultura di provenienza, mettendo a disposizione all’interno delle strutture carcerarie materiali di lettura nella lingua d’origine o materiali in italiano pensati per lettori stranieri. Questi e gli altri strumenti (dotazioni librarie ma anche apparecchiature informatiche e multimediali) di cui gli istituti verranno dotati per la realizzazione dei progetti resteranno all’interno delle strutture. "L’obiettivo è - ha spiegato l’Assessore Costa - fare in modo che nelle carceri restino delle aule attrezzate, per evitare che i corsi non lascino nulla dopo la loro conclusione e per incrementare l’attitudine a far formazione". I progetti avranno durata compresa tra i 18 e i 20 mesi e si concluderanno entro il 31 ottobre 2008.

Vicenza: finita l’emergenza, dopo l’indulto fuori in 101

 

Giornale di Vicenza, 28 novembre 2006

 

"Sono favorevole all’indulto, ma senza un vero percorso di integrazione al di fuori del carcere credo non serva a molto". Sono le parole pronunciate dal vescovo Nosiglia, intervenuto ieri alla festa del corpo di polizia penitenziaria per ricordare che il lavoro dei 110 agenti della Casa circondariale di via Dalla Scola "deve unire giustizia e carità, giustizia e fede. Per i detenuti voi rappresentate un modello".

Il lavoro della polizia si è "normalizzato" dopo l’indulto, è lo stesso comandante Giuseppe Lozzito a dichiararlo seppur con una cautela. Del resto i numeri spiegano che nel carcere di Vicenza le condizioni di vita sono cambiate dopo che 101 persone hanno goduto del provvedimento votato dai due terzi del parlamento.

Al primo gennaio 2006 i detenuti erano 274, oggi ne sono presenti 142: di questi 75 sono stranieri (in maggioranza provenienti da Albania e Marocco) e 86 sul totale sono in attesa di primo giudizio.

E sul provvedimento che tanto ha fatto discutere, il direttore dell’istituto di pena Irene Iannucci si allinea al pensiero del vescovo: "Sono d’accordo con l’indulto ma quello che serve adesso è un serio progetto di accompagnamento, un’uscita guidata per evitare che gli ex detenuti ritornino in carcere. In questo senso le prossime settimane saranno fondamentali per capire quanto il provvedimento reggerà per Vicenza".

Teme i mesi invernali il direttore, quelli in cui la disperazione e la solitudine può colpire chi è reduce da anni di carcere, chi magari un posto dove dormire non ce l’ha e la possibilità di un lavoro resta lontana. "Finora i recidivi sono stati pochi - commenta la Iannucci - ma saranno le prossime settimane a dirci quanti ci ricascheranno". I recidivi, coloro cioè che dopo l’indulto sono rientrati in carcere si contano nelle dita di una mano, "perlopiù tossici e alcolisti".

Ma ieri è stato un giorno di festa, con i poliziotti in gran divisa ad accogliere autorità e a dimostrare che nonostante la poca visibilità il loro lavoro conta eccome, tanto che recentemente hanno supportato i loro colleghi di altri corpi per la sicurezza degli stadi.

Dall’alto sono benedetti dal santo patrono San Basilide, ex soldato, militare che incontrò il vangelo dopo aver visto delle donne cristiane andare al patibolo. Molti secoli dopo l’immagine non cambia, tocca ai ragazzi della polizia penitenziaria farsi carico di vite perdute. È così che il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero di Giustizia Giovanni Tinebra spiega che "oggi il carcere non è più un luogo invisibile, fa parte della città a tutti gli effetti. Per questo la società deve tutelare i diritti dei detenuti". C’è spazio anche per la commozione durante la festa della polizia penitenziaria vicentina, il dolore per la scomparsa prematura di Francesco Casalicchio è ancora vivo. Al giovane, morto in un incidente sul lavoro a Monteviale, è stata intitolata la palestra e in suo nome è stato piantato un albero.

Udine: difficoltà per il giornale "La voce nel silenzio"

 

Comunicato Stampa, 28 novembre 2006

 

La redazione "interna" all’istituto si è sciolta per cui il periodico è in difficoltà in quanto se non ci sono i redattori "interni" le finalità del giornale vengono a mancare. Uscirà un numero per Natale e poi valuteremo le possibilità per continuare il nostro lavoro. Certamente c’è la necessità di un salto di qualità ma le risorse scarseggiano.

L’istituto, pur ristrutturato, non ha spazi di socializzazione che dovranno essere realizzati appena saranno disponibili i finanziamenti. Certo avere uno spazio dedicato all’interno dell’istituto e non un’aula scolastica sarebbe un passo in avanti non da poco. La situazione attuale non permette ciò anche perché non c’è molta sensibilità sull’attività del periodico. In quest’ottica è quindi difficile fare una "controinformazione". Riteniamo importante la definizione della Carta di Padova e la qualità dell’informazione esterna, che è sempre più "triste"...

Forse una sensibilizzazione degli Ordini dei Giornalisti locali potrebbe essere una proposta per riflettere sul tema dell’informazione sulla pena detentiva.

 

Maurizio Battistutta (CRVG del Friuli Venezia Giulia)

 

 

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