Rassegna stampa 27 novembre

 

Giustizia: perché "cultura" non fa mai rima con "paura"

(Incontro con il criminologo Carlo Alberto Romano, Università di Brescia)

 

Popolis, 27 novembre 2006

 

L’estate violenta della città, con delitti efferati per modalità e qualità delle vittime, comincia a sembrare un ricordo lontano. Insieme alla memoria anche le idee si fanno meno precise e avanza la tentazione del generalismo. L’indulto resta come spartiacque indicato tra due ambiti: un prima e un dopo che a ben guardare non sono troppo dissimili. Certo non entro le mura del carcere.

Abbiamo incontrato Carlo Alberto Romano, titolare nell’Università degli Studi di Brescia delle cattedre di criminologia e criminologia penitenziaria. Tra le molte curiosità che gli abbiamo chiesto di soddisfare, una riguarda anche i fatti napoletani, per i quali da più parti si era levata la richiesta di militarizzare la città. Il pensiero del professor Romano, presidente dell’Associazione Carcere e Territorio, si segnala per limpidezza e civiltà.

 

Come docente, quali orientamenti "di pensiero" può rilevare tra giovani studenti della nostra Università?

"Come docente universitario, e come educatore, dunque, se posso permettermi di utilizzare quest’impegnativa qualifica, riscontro fra i ragazzi una buona preparazione complessiva. Notevole è l’attenzione ai temi attuali, soprattutto in ordine al punto "il disagio che mi circonda". Al contrario è palpabile una certa disaffezione alla politica e comunque alla gestione della cosa pubblica, come se troppi anni di esempi deludenti li avessero resi un po’ indifferenti...".

 

Tra i docenti, invece, quali opinioni si colgono riguardo ai preventivati/smentiti tagli della nuova Finanziaria sulle risorse? L’osservazione sul periodo medio, dal principio della Sua carriera, Le suggerisce ottimismo?

"Caspita, solo uno scotoma riuscirebbe ad essere motore di ottimismo! La situazione è in declino e non vedo alcuna volontà di investimento su cultura e ricerca che mi facciano pensare ad una possibile inversione di tendenza".

 

La presidenza di ACT, dal 2004 eredità di Giancarlo Zappa, è per Lei un ambito nel quale applicare competenze verso concreti miglioramenti in ambito carcerario? Potrebbe indicarne alcuni?

"Questa è una domanda che necessiterebbe di una risposta kilometrica. Mi limiterò ad affermare che il volontariato penitenziario è oggi lo strumento elettivo per rappresentare le capacità e le competenze della comunità in ordine alla partecipazione concreta all’esecuzione penale. Ciò significa in termini molto concreti impegni sul versante lavorativo, alloggiativo, di riqualificazione culturale e di recupero degli affetti. In poche parole proprio ciò che il dettato costituzionale sottende quando afferma il fine rieducativo delle pene".

 

Come definirebbe l’impegno di ACT, nei rapporti con le istituzioni e con la cittadinanza?

"ACT ha introdotto un modello nuovo di operatività: l’azione di secondo livello, capace di convogliare tutte le esperienze del territorio in unico collettore che diventa così interlocutore unico per istituzioni ed enti locali".

 

In relazione all’indulto e alle sue ricadute è finalmente tardi per le polemiche, ammesso che mai abbiano avuto un senso. Piuttosto, può rappresentare qualche dato di realtà, dal suo osservatorio?

"Nell’ambito del Progetto Casa e Territorio, ACT ha avviato fin dal luglio 2006 un’attività di segretariato sociale di bassa soglia per persone detenute, in esecuzione penale o dimesse dal carcere, in stato di emarginazione sociale. Lo sportello, a seguito di provvedimento di indulto, si è dimostrato strategico per affrontare l’emergenza e compiere azioni di orientamento e accompagnamento per i detenuti scarcerati. Si è dimostrato efficace in particolar modo offrire ai detenuti dimittendi un unico sportello esterno a cui rivolgersi per poter ottenere aiuto evitando il disperdersi delle richieste su molti servizi non specifici. L’attività di segretariato ha potuto così gestire l’emergenza filtrando e smistando le richieste, coinvolgendo la rete dei servizi. Le tempestive modalità di attuazione del provvedimento di indulto e le immediate scarcerazioni hanno reso stretti i tempi di programmazione di azioni di supporto ai dimittendi. La sola anticipazione di discussione sulle misure da adottare è avvenuta nell’incontro convocato dalla Regione Lombardia sulle linee guida per il nuovo bando dei progetti in area penale (27.06.06).

Ogni istituto ha pertanto dovuto quindi provvedere con le proprie risorse a tamponare l’emergenza. A Brescia le azioni di emergenza sono state pensate e realizzate in una fitta serie di incontri e comunicazioni avvenute nei giorni immediatamente precedenti e successivi all’applicazione tra Direzione Istituti Penitenziari; Area Educativa dell’Istituto; Agenti di Rete; Garante dei Detenuti; Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Brescia; la Caritas e la nostra Associazione. Nel corso degli incontri si è potuta quantificare la portata del provvedimento in termini di persone scarcerate dagli istituti e iniziare a ipotizzare azioni efficaci di intervento. Per rilevare i bisogni dei detenuti dimittendi e con l’obiettivo di far emergere le situazioni di maggiore disagio in modo da fornire informazioni per l’imminente uscita è stata effettuata, in collaborazione con l’Amministrazione Penitenziaria e gli Agenti di Rete, una ricognizione cella per cella all’interno dell’istituto: sono emerse richieste di aiuto inferiori rispetto all’aspettativa. Dalle poche segnalazioni di disagio emerse prima della scarcerazione si è passati ad un flusso quotidiano di richieste di aiuto presso lo Sportello, arrivando a contare a fine agosto più di 100 persone transitate".

 

Persone che hanno infine espresso dei bisogni…

"La popolazione contattata è descritta attraverso i bisogni raccolti, le azioni messe in campo e le caratteristiche anagrafiche delle persone , dando un quadro dell’impatto che il provvedimento di indulto ha avuto sul territorio.Sul campione del primo mese di apertura (1° agosto-1° settembre), allo Sportello di Segretariato Sociale si sono rivolte 102 persone. Di queste, 60 italiane (tra cui 6 donne) e 41 stranieri maschi. È possibile disegnare un quadro di questa popolazione secondo i bisogni emersi, in ordine di priorità: condizioni abitative; problematiche sanitarie; tossicodipendenza e overdose; residenza anagrafica; lavoro; recidive".

 

Nell’allarme per i recenti fatti napoletani, su cui è stato fatto pesare l’indulto come concausa e motivo di incrementato rischio sociale, ha trovato posto anche la richiesta di militarizzare la città. Se la criminalità (micro/macro) è organizzata, chi la organizza e all’insaputa di chi? E che senso ha trattarla come fatto "topico"?

"Anzi direi che va trattata proprio come fatto atopico, con strumenti di portata generale ed investimenti di carattere poliennale. In poche parole meno esercito e più cultura, ovvero più scuole, più centri di ricerca e di studio, più teatri, più auditorium".

 

Torniamo dalle nostre parti. La Facoltà di Giurisprudenza è ubicata, a Brescia, in una delle zone considerate a maggior rischio visto l’alto tasso di atti criminosi che vi occorrono. Date le Sue specifiche competenze, qual è il giudizio sulle misure in atto e quali consiglierebbe di prendere in futuro?

"Direi che la visione progettuale elaborata a suo tempo fu di grande oculatezza. La bonifica culturale è il sistema più redditizio ed efficace per eradicare gangli di devianza da alcune aree ad altro rischio disseminate sul territorio urbano".

Giustizia: Mastella; legalità è assumersi le proprie responsabilità

 

La Voce d’Italia, 27 novembre 2006

 

Ieri sera alla Scuola di Polizia Penitenziaria di Aversa, l’osservatorio Libero, con Paolo Santulli, il ministro Clemente Mastella ha tenuto un convegno sulla legalità. Il Sindaco Domenico Ciaramella ha chiesto al Ministro della Giustizia di farsi portavoce del Governo per l’emergenza rifiuti ad Aversa. Mons. Mario Milano, Vescovo della Diocesi, appellandosi ai valori della cristianità che contribuiscono a diffondere una cultura della legalità, si è congratulato con Mastella, considerato uno dei politici più espressivi dei valori della Chiesa.

Un filmato ha poi riportato agli occhi della stampa nazionale lì presente alcuni episodi di cronaca locale ricordando che siamo a 15 anni dalla nota Pastorale della Commissione Giustizia e Pace della Cei. "Abbiamo bisogno di risorse, perché le scuole devono diventare dei presidi per educare alla legalità, che è una cultura la cui direttrice fondamentale è l’occupazione" - ha esordito Paolo Santulli.

Il Cons. Sebastiano Ardita, responsabile del Ministero della Giustizia per i detenuti e il trattamento, ha richiamato il senso della nota Pastorale che è voluta essere "una sorta di decodifica della vita istituzionale". "Il documento Pastorale denuncia i pericoli che la democrazia corre nel nostro Paese" - ha proseguito il Dott. Alberto Bottino, Direttore Scolastico Regionale della Campania, ricordando come sia fondamentale che la Chiesa si colleghi alla scuola e come sia stato importante portare un’iniziativa nazionale dell’associazione Libera in Terra di Lavoro.

"Non servono solo risorse - obietta a Santulli l’Ass. alle Risorse Umane della Campania, Andrea Abbamonte, ma bisogna cambiare il sistema scolastico: sarebbe bello confrontarsi con una scuola a sedici ore in modo che possa ritornare un punto di aggregazione sociale".

Mastella ha voluto incalzare il Sindaco Ciaramella, che poco prima aveva chiesto aiuto al Governo sul problema rifiuti ad Aversa: "Ognuno scarica sull’altro, è arrivato anche il momento che le province comincino ad attivarsi per la risoluzione dell’emergenza; simpaticamente anche il Sindaco di Napoli si è esercitato in quest’arte dello scaricare le responsabilità sugli altri e lo ha fatto in merito all’indulto. Ognuno deve fare la sua parte, non bisogna scaricare sugli altri le responsabilità, non dobbiamo avere una sensibilità ciclica su queste tematiche. Questa è cultura della legalità".

Ci chiediamo se in questo periodo non si stia abusando abbastanza della parola "legalità", di autorità in giacca e cravatta che sorridono ai fotografi e quando si vedono inquadrati dalle telecamere. Di programmi televisivi sulla Napoli che non conosce la cultura della legalità e di convegni in pompa magna!

Cagliari: con progetto "Laboris" 15 ragazzi inseriti in aziende

 

Redattore Sociale, 27 novembre 2006

 

Un ponte tra il mondo del lavoro e quello del carcere: una realtà che si sta realizzando grazie al progetto "Laboris" . Venerdì scorso, ad un anno quasi dalla sua partenza, il primo bilancio dell’attività durante il seminario "Carcere e lavoro. Strategie di collaborazione per l’inserimento sociale e lavorativo per i soggetti sottoposti a misure penali". Sono infatti quindici i ragazzi ex detenuti o sottoposti a misure alternative attualmente inseriti (o in fase di inserimento) in altrettante imprese del territorio, grazie alla collaborazione tra partner diversi. Ma soprattutto della sensibilità mostrata da alcuni imprenditori. "Su un campionamento di 490 aziende, ne abbiamo selezionato 30 che rispondevano ai requisiti richiesti - ha spiegato infatti Gilberto Marras, responsabile del Centro Studi e Ricerche Api Sarda -. È però un processo in divenire: altre quattro aziende hanno mostrato la loro disponibilità, anche attraverso il passa parola tra gli stessi imprenditori, e presto verranno inseriti altri ragazzi".

Carcere e lavoro d’altronde rappresentano un binomio controverso. Se da una parte, infatti, per i soggetti sottoposti a misura penale il lavoro acquisisce un ruolo sempre più strategico all’interno del percorso di reintegrazione nella società, dall’altra per queste persone è ancora più difficile trovare un lavoro attraverso i complessi meccanismi di accesso al mondo del lavoro. Per questo, il progetto Laboris, Laboratorio per l’Orientamento e l’Inserimento Sociale è finalizzato al reinserimento socio lavorativo dei soggetti sottoposti a misure penali, finanziato dal PIC Equal e dalla Regione Autonoma della Sardegna, Assessorato del lavoro, formazione professionale, cooperazione e sicurezza sociale. "È solo nel fare che si apprende - ha spiegato infatti durante il seminario don Ettore Cannavera, fondatore della comunità "La Collina" di Serdiana, partner del progetto - . I ragazzi entrano nelle aziende e scoprono di avere grandi potenzialità. Ma anche gli stessi imprenditori scoprono le loro capacità. Attraverso questo percorso si ricostituisce la dignità delle persone, ma è necessario innanzi tutto un cambiamento di mentalità: d’altronde, se una persona sbaglia, la responsabilità è di tutta la comunità".

Prima dell’inserimento nel posto di lavoro i giovani hanno seguito un corso di formazione professionale "per apprendere alcune conoscenze di base, come la sicurezza nei luoghi di lavoro, ma anche per colmare lacune conoscitive, come nel caso dell’informatica, che durante gli anni passati negli istituti penitenziari spesso sono aumentate - ha sottolineato infatti Gabriella Longu, direttrice dell’Isfor Api di Cagliari -. Purtroppo però alcune persone hanno abbandonato il percorso di inserimento dopo aver beneficiato dell’indulto". Un piccolo passo contro la marginalità e l’esclusione sociale dei soggetti più deboli, che "richiede però - come ha concluso Sandro Marilotti, direttore del Centro per la Giustizia Minorile - una maggiore continuità, affinché ci sia un reale canale di inserimento nel mondo del lavoro".

Nuoro: Sos per la scuola del carcere, mancano gli studenti

 

L’Unione Sarda, 27 novembre 2006

 

Gli allievi sono passati dai duecento degli anni scorsi ai quaranta di oggi. Ma nemmeno l’indulto, che pure ha ridimensionato non di poco la compagine scolastica delle tre strutture carcerarie di Nuoro, Mamone e Macomer (solo gli studenti dei corsi di alfabetizzazione sono diminuiti dell’80 per cento), è riuscito a scongiurare le acrobazie a cui quest’anno è stata costretta la scuola media "Mariangela Maccioni", sede del Centro territoriale permanente che ha il compito di gestire e organizzare i tre cicli di istruzione all’interno delle case circondariali della provincia. E così, grazie a tredici professori volontari, i detenuti potranno frequentare il corso dello Scientifico.

 

I corsi

 

Quest’anno, fatte salve elementari e medie che vengono attivate su direttiva del ministero della Pubblica Istruzione, e finanziate attraverso i canali istituzionali, i corsi superiori finalizzati al diploma se la sono invece vista brutta. Rischiavano infatti di chiudere i battenti per mancanza di liquidità.

L’ente erogatore, cioè la Provincia, fino all’anno scorso infatti garantiva una somma di 44 mila euro all’anno che era in grado di coprire due corsi Igea (Istituto tecnico per ragionieri) di 450-500 ore del costo complessivo di circa 18 mila euro ciascuno, più una serie di attività ad essi correlate. Ma da quest’anno il piatto piange e l’amministrazione provinciale ha chiuso i rubinetti. A fare le prime spese di un bilancio in più punti sofferente, sono proprio quelle attività ad alta valenza sociale, come appunto i corsi scolastici a Badu ‘e Carros, insieme agli altri corsi Eda (Educazione per adulti) anch’essi gestiti dal Ctep. A lanciare l’allarme è lo stesso Bachisio Porru, preside della Media "Maccioni" che ieri ha manifestato le sue preoccupazioni nel corso di un incontro convocato per annunciare la partenza di due corsi Igea (una seconda classe nella sezione di alta sorveglianza e una quinta in quella ad elevato indice di vigilanza). Due corsi attivati, nonostante le difficoltà, più di una new entry, ovvero la prima Liceo scientifico, su esplicita richiesta di alcuni ospiti della casa circondariale.

 

I problemi

 

Nessuna polemica - promette Porru -. Per quest’anno avremo pazienza, ma vorrei lanciare un appello ai nostri enti locali perché l’anno prossimo facciano uno sforzo massimo per individuare le risorse necessarie allo svolgimento di questo genere di attività". I fondi, 25 mila euro tutti recuperati tra le pieghe del bilancio della scuola, riusciranno a pagare gli stipendi di soli 8 docenti assunti con contratti di prestazione d’opera. "Altri quattro sono stati individuati all’interno del nostro stesso corpo insegnante tra coloro che avevano qualche residuo orario", sottolinea il dirigente.

 

La speranza

 

Eppure non tutto è negativo, e per una nota dolente ce n’è un’altra decisamente più lieta. I trenta detenuti coinvolti nella formazione superiore potranno infatti seguire regolarmente la scuola grazie alla sensibilità e generosità di tredici insegnanti. Docenti in pensione, ancora al lavoro o perfino in attesa di occupazione che hanno accettato di lavorare non retribuiti pur di garantire questo servizio, dopo aver risposto a un appello della Croce rossa di Nuoro che si è fatta carico del problema. Trait d’union, Marcello Diolosà, professore alla "Maccioni" e presidente del sodalizio. A selezionare i professionisti è stata Loredana Dionisi, vicepresidente Cri. "Abbiamo scelto in base a competenze ed esperienza di chi aveva risposto all’invito ? spiegano i responsabili ? perché il reclutamento su base volontaria non deve comunque trascurare l’aspetto qualitativo delle prestazioni. Questa è una scuola come le altre e deve garantire il meglio agli allievi".

Marche: presto una legge regionale per combattere il bullismo

 

Redattore Sociale, 27 novembre 2006

 

Il Bullismo esiste e nelle scuole marchigiane superiori, senza differenze di indirizzo, viene percepito come un fenomeno grave dal 90% dei ragazzi. 2489 per la precisione, coinvolti attraverso un questionario elaborato da docenti universitari di psicologia sociale per il progetto "Bulli in ballo". Promosso dal Circolo Callido di Ancona, appartenente alla rete Arcigay arcilesbiche, il progetto è stato sostenuto anche finanziariamente dall’assessorato regionale ai Servizi sociali che realizzerà tra breve anche due libri sul tema del bullismo, distribuiti nelle scuole primarie e medie inferiori il prossimo anno scolastico. Lo studio indaga su episodi di bullismo contro omosessuali, donne e immigrati. "Partito circa un anno fa - ha spiegato la presidente di Callido, Germana Sgalla - ora sono già avviati i corsi di formazione per insegnanti sia ad Ancona che a Macerata. Abbiamo sentito l’esigenza di porre l’attenzione su questo fenomeno in tempi meno sospetti di quelli attuali, perché non diventasse l’emergenza da rincorrere con interventi tampone oltre che una tragica testimonianza di regresso sociale".

Il progetto è stato illustrato nel corso di una conferenza stampa in Regione, alla presenza anche del sottosegretario alle Pari Opportunità, Donatella Linguiti, che ha annunciato l’elaborazione di un testo di legge sui temi della violenza sessuale, bullismo e stalking (quell’insieme di comportamenti molesti, minacce, pedinamenti, che una persona compie in modo insistente nei confronti della propria vittima). "Una legge - ha detto Linguiti - che ha l’obiettivo di prevenire i fenomeni, piuttosto che reprimerli, di individuare nuove fattispecie di reato, proponendo un cambio culturale di mentalità, relegando il pregiudizio ancora troppo presente nella nostra società". Il 41% dei ragazzi intervistati, tra i quali uno su 20 dichiara di essere omosessuale e 1/25 immigrato, ha detto di aver assistito a episodi di offese verbali e aggressioni fisiche nei confronti di omosessuali, il 31% contro gli immigrati e il 33% contro le donne. I luoghi scelti dai bulli (maschi e femmine indistintamente) sono soprattutto le aule scolastiche e i corridoi delle scuole. Ma il dato forse più sconcertante è che la maggior parte di questi ragazzi dichiara di non intervenire in soccorso quando assiste ad episodi di questo genere.

Padova: nuovo carcere inutilizzato per mancanza di personale

 

Il Gazzettino, 27 novembre 2006

 

Le carceri ci sono. Non vengono utilizzate per mancanza di personale. Il governo, sia esso di destra o di sinistra, non vuole spendere. Il detenuto non fa voto. Queste le conclusioni del dibattito, a tratti acceso, che si è tenuto nella sala Rossini del Pedrocchi per iniziativa di Luciana Reale, presidente dell’Ande (Associazione donne elettrici) sull’indulto. Provvedimento di clemenza comporta la decurtazione per i reati commessi fino al 2 maggio 2006, nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive. Restano esclusi i delitti di mafia, terrorismo, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione, pedofilia e stupro. "Ho sempre detto no all’indulto - ha fatto sapere Luciano Gasperini, già senatore e sottosegretario di Stato - la clemenza l’ha voluta il Papa, ma bisogna distinguere tra Chiesa e Stato. Lo Stato è laico e prima del perdono deve pensare alla giustizia. Molti sono i benefici di cui usufruisce chi commette un reato e l’indulto è un beneficio in più. Si pensa più al delinquente che alla vittima".

"Più a Caino che ad Abele" ha sottolineato il giornalista Luigi Bacialli, moderatore dell’incontro. "L’indulto era necessario - ha ribattuto Ennio Fortuna, procuratore generale di Venezia - per sfollare le carceri (55.000 detenuti contro 35.000 posti carcere), ma è stato fatto in modo incoerente. Bisognava tener conto della recidiva (è del 3,\%), escludendo i criminali incalliti. I processi? Ci converrebbe lasciar stare quelli destinati a concludersi con l’indulto e fare quelli che prevedono condanne da scontare".

Carlo Covi, consigliere comunale, ha illustrato la situazione della Casa circondariale di Padova, ricordando che quella nuova è pronta, ma mancano i fondi per assumere il personale. "Si doveva prevedere l’aumento della popolazione carceraria, come conseguenza dell’invasione degli extracomunitari (l’85\% dei reclusi) - ha detto Eugenio Vassallo, presidente emerito della Camera penale di Venezia - e a ciascun detenuto, prima di farlo uscire grazie all’indulto, si doveva chiedere se avesse un lavoro e controllare se fosse stato rieducato per essere un cittadino utile alla comunità. Lo strumento c’è: l’affidamento al servizio sociale".

Favorevole all’indulto anche Giovanni Chiello, presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova, non solo perché "risolve il problema del sovraffollamento delle carceri, ma anche quello del sovraccarico di lavoro dei tribunali di sorveglianza". Opinioni diverse, ma tutti d’accordo nel riconoscere che la giustizia è una grande malata e ha bisogno di interventi urgenti.

Sondrio: il carcere è inadeguato e il personale insufficiente

 

La Provincia di Sondrio, 27 novembre 2006

 

Si alza un grido d’allarme dalla casa circondariale di Sondrio, l’unica rimasta in tutta la provincia dopo la chiusura del carcere di Tirano. A lanciarlo ieri mattina dal pulpito della chiesa del Sacro Cuore dove è stata celebrata la festa annuale delle fiamme azzurre alla presenza delle massime autorità politiche, militari e religiose della provincia, il comandante della polizia penitenziaria Arnaldo Boi e la direttrice di via Caimi Cristina Piantoni.

"Dalla metà dello scorso anno - spiega Boi - da 41 unità siamo passati a 29 tra persone andate in pensione, agenti in malattia e personale destinato ad altre strutture. Un problema di non poco conto se si considera che soltanto per coprire tutti i servizi "normali" sono necessarie ogni giorno 27 unità". Difficoltà acuite dal fatto che sembrano non esserci molte speranze per l’arrivo di nuovo personale: "Non abbiamo nulla di certo - dice Boi -. Il fatto è che nessuno sembra intenzionato a investire sulle strutture piccole come quella di Sondrio".

Ma la struttura non è soltanto piccola. Il fatto che la capienza della struttura di via Caimi sia sostanzialmente rispettata - attualmente ci sono 35 detenuti su una capacità tollerabile di 42 - non dà infatti garanzie sulla bontà del servizio offerto, nonostante l’impegno quotidiano delle guardie carcerarie. "Mancano gli spazi per gli uffici, per i corsi e per le attività dei detenuti - ancora Boi, ma la stessa denuncia è venuta dalla direttrice - che sono costretti a svolgerle nelle celle dismesse.

C’è un progetto per ristrutturare la palestra in modo da ricavare nello spazio che è particolarmente ampio, dei laboratori, ma ancora non abbiamo alcuna notizia in merito ai finanziamenti". Il rischio del protrarsi della situazione di inadeguatezza degli spazi è che la casa circondariale di via Caimi, che non risponde neppure alle normative vigenti - "se dovessimo avere, come prescritto, una doccia, un bagno e acqua calda e fredda in ogni cella potremmo chiuderne la metà" dice un pò sconsolato Boi - si limiti a diventare un mero deposito di persone, perdendo così il senso del recupero degli ospiti. "Noi siamo servitori dello Stato e continueremo ad impegnarci, nonostante le difficoltà - conclude Boi -, ma chiediamo comunque più attenzione per un carcere che è assolutamente indispensabile per questo territorio".

 

Venticinque i detenuti usciti con l’indulto

 

Durante la festa annuale della polizia penitenziaria celebrata ieri nella chiesa del Sacro Cuore di via Aldo Moro, il comandante della fiamme azzurre Arnaldo Boi ha ricordato i dati relativi all’attività svolta dalle guardie carcerarie di Sondrio nel corso dell’ultimo anno. Sono state 60 le perquisizioni all’interno dell’istituto penitenziario; 3 perquisizioni straordinarie dell’intero istituto sono state effettuate con l’ausilio delle unità cinofile; sono 255 le traduzioni di altrettanti detenuti ad altri istituti, alle aule dei tribunali, in ospedali e arresti domiciliari ecc. Nel corso del 2005 sono entrate all’istituto sondriese 153 persone: erano state 172 l’anno precedente. Infine ci sono i dati dell’indulto che ha scarcerato dal carcere del capoluogo 25 detenuti dei quali soltanto 7 valtellinesi.

Venezia: cinque proposte sul tema della paternità in carcere

 

Gente Veneta, 27 novembre 2006

 

Cinque proposte, anche cinque e mezzo, per far sì che il mestiere di papà sia sostenibile anche dietro alle sbarre. Le cinque idee sono il frutto del lavoro svolto in questi mesi, a Santa Maria Maggiore, dagli operatori dell’Unità Autonomia adulti dell’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Venezia e dalla cooperativa sociale Coges. Insieme, naturalmente, ai detenuti.

La fiaba diventa dvd; e poi sarà libro. La prima proposta, in effetti, è già quasi realtà: la stampa di un libro, che probabilmente verrà pubblicato all’inizio del 2007, che raccoglie una favola inventata dai detenuti stessi sul tema della paternità.

Nei mesi scorsi, infatti, a Santa Maria Maggiore si è tenuto un laboratorio che aveva lo scopo di affrontare, sia pure in forma indiretta, la questione della genitorialità dei carcerati.

Si è partiti da una sorta di spettacolo che è stata la chiave d’accesso al tema, spiega Claudio Vio, dell’Unità Autonomia adulti del Comune. "Papà è scappato col circo" recita il titolo dello spettacolo, imperniato sulle parole di un uomo che finge di essere circense e racconta ai figli un sacco di avventure sotto il tendone che, in realtà, sono fantasie utili a coprire un’altra realtà.

La fiaba ideata dai padri (e dal nonno). L’obiettivo di "Papà è scappato col circo" è chiaro: aiutare i detenuti a vivere - attraverso un filtro - una storia in cui si riconoscono.

Dallo spettacolo è nato un gruppo - una quindicina di persone - di cinque nazionalità diverse: italiana, albanese, algerina, marocchina e tunisina. Tra loro un papà 21enne e un nonno 61enne.

Un libro interattivo. E sono proprio questi detenuti a incrociare la loro fantasia e la loro sensibilità per dare vita ad una fiaba, che in questi mesi hanno sceneggiato e rappresentato, lasciandone traccia in un dvd che verrà presentato durante il seminario di studi di martedì 28 (vedi sopra).

Questa fiaba, "La nosara", diventerà anche un libro, con tanto di noticine a forma di fragola da suonare grazie ad una piccola tastiera. Insomma, un volumetto pensato dai papà in carcere per i propri bambini fuori.

Ma aldilà di ciò, ci sono le proposte tese a migliorare l’esperienza concreta della paternità vissuta in carcere. Come l’allestimento di una parte dell’area colloqui di Santa Maria Maggiore in forme più accoglienti per un bimbo: gli spazi potrebbero essere più appartati, con un po’ di pennarelli e giocattoli...

Un giorno per i colloqui con i bimbi? Si potrebbe anche - illustra ancora Vio - fissare dei giorni ad hoc per i colloqui fra padri e figli piccoli. Se ci fossero un giorno e un’ora destinati ai papà detenuti e ai loro bambini, anche gli agenti di polizia penitenziaria potrebbero avere un atteggiamento più confidenziale, sia pure nel rispetto delle regole di sicurezza.

Un gruppo per sentirsi meno inadeguati. I detenuti gradirebbero anche la formazione di gruppi di auto-aiuto, magari con l’assistenza di esperti. Più di qualcuno ha fatto presente l’esigenza di avere uno spazio di confronto con chi sta vivendo la stessa esperienza.

Un’esperienza segnata da tanta paura: la paura di essere un pessimo genitore, di essere inadeguato e incapace. Tanto da preferire, spesso il distacco dai figli (magari interpretato come scelta di distacco affettivo) piuttosto di affrontarli di persona nel contesto del carcere.

Poi ancora una proposta: quella di un cineforum a S. Maria Maggiore sul mondo dei bambini e sulla relazione padre-figlio. La filmografia sul tema è ampia e permetterebbe - aggiunge Claudio Vio - di rendere consapevoli i detenuti che non sono soli nel loro problema e che nessuno nasce come padre perfetto.

"L’assistente sociale mi porta via mio figlio?". Infine, ed è la quinta proposta, dal gruppo di lavoro viene l’idea di organizzare incontri con organizzazioni ed associazioni che si occupano di tutela dei bambini. Spesso - conclude l’operatore delle Politiche sociali del Comune - i papà detenuti ignorano completamente modalità, norme e istituzioni che li possono aiutare nel loro ruolo genitoriale. A volte hanno delle convinzioni drammaticamente erronee (tipo "l’assistente sociale mi porterà via mio figlio..."). L’incontro con gli esperti potrebbe essere utile a fugare i dubbi e a ricevere consigli. Le cinque proposte, che saranno presentate al convegno, sono al vaglio delle istituzioni carcerarie.

 

Sbarre per me, non per mio figlio

 

Paolo è un nome di fantasia, e qualche dettaglio della sua storia l’abbiamo omesso, per evitare che sia riconosciuto. Ma quella di Paolo, veneziano, detenuto e papà, faticosamente alle prese con il problema di fare il genitore anche dietro alle sbarre, è una storia assolutamente vera.

La sbandata con una studentessa. 52 anni, originario di un paese della provincia, la vicenda di Paolo prende il via da un matrimonio, dal quale ha un primo figlio, oggi quasi trentenne, laureato e ben avviato nel lavoro.

Paolo è insegnante di matematica e fisica alle superiori, ed è proprio a scuola che capita la sbandata. Una delle sbandate: "Ho avuto una relazione con una mia allieva, e da lei ho avuto un figlio".

Il matrimonio, ovviamente, si sfascia. Paolo, che nel frattempo ha anche cambiato mestiere e ha aperto un negozio, va a vivere con la nuova compagna ed è in questo periodo che avviene il patatrac. Un reato di truffa e le porte del carcere si aprono, per un soggiorno dietro le sbarre che, tra uscite e rientri, durerà circa quattro anni: "In questo tempo sono stato a Santa Maria Maggiore, ma per un brevissimo periodo, e poi a Torino e a Bologna".

E in carcere Paolo ha dovuto portare avanti anche il suo ruolo di genitore: "Con il figlio grande non è stato un problema insormontabile. La prima volta che è venuto a trovarmi siamo scoppiati a piangere tutti e due, ma poi ci siamo parlati e, per quel tanto che è possibile essere sereni in questa condizione, abbiamo retto bene il rapporto".

"Papà, vieni a giocare?". Il problema grosso è stato con il bambino piccolo: "La prima volta che me l’hanno portato - ricorda Paolo, che ora ha finito di scontare la pena - aveva dieci mesi. E a quell’età, naturalmente, l’inconsapevolezza è piena".

Ma quando il bambino ha cominciato ad avere 3-4 anni le cose si sono fatte più difficili. In qualche periodo vedeva il padre a casa, poi non lo incontrava più per settimane e mesi. "Dov’è papà?", domandava. "Al lavoro", gli rispondeva la mamma.

E le rare volte che poteva parlargli al telefono gli chiedeva: "Perché non vieni a casa a giocare con me?". "Potevo solo sfiorarlo". Anche gli incontri in prigione - ricorda oggi Paolo - erano difficili: "A Bologna, d’estate, andava meglio: mi lasciavano incontrare mio figlio nel giardinetto del carcere. Lì c’erano anche delle giostrine, il bambino si distraeva, le guardie erano molto discrete e il clima di quel momento era buono". Molto peggio d’inverno, quando il giardino non era praticabile e gli incontri avvenivano dentro: "In uno stanzone, insieme ad altri detenuti, con il muretto divisorio. Al massimo potevo allungare una mano per toccare la sua, ma non mi era neppure permesso di abbracciarlo. Eppure, prima di entrare, l’avevano spogliato e perquisito: che pericolo c’era?".

"Lui ha il diritto ad avere un papà". Qualcuno potrà domandarsi perché preoccuparsi tanto della paternità difficile di un uomo che ha fatto parecchi, pesanti errori... Paolo, che oggi ha ritrovato un progetto di vita grazie ad un centro di solidarietà, si accende: "Perché il mio bambino dovrebbe pagare per le mie colpe? Lui ha il diritto ad avere un papà".

Roma: convegno Seac; "La riforma penale e le nuove prospettive"

 

Comunicato stampa, 27 novembre 2006

 

La riforma penale e le nuove prospettive: il volontariato, la città, gli enti locali per le nuove politiche penali. Roma, 30 novembre - 2 dicembre 2006. Istituto Suore di Maria Bambina, via Paolo VI,21

 

Il SEAC (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario) organizza il 39° Convegno nazionale dal titolo : "La riforma penale e le nuove prospettive: il volontariato, la città, gli enti locali per le nuove politiche penali", che si svolgerà a Roma dal 30 novembre al 2 dicembre 2006, presso la sala Convegni dell’Istituto Suore Maria Bambina

Il convegno si pone l’obiettivo di riflettere sui recenti tentativi di riforma del Codice Penale, che hanno sostanzialmente ribadito la centralità della reclusione come risposta sanzionatoria, provocando un aumento della detenzione (fenomeno non solo nazionale ma europeo), determinata da scelte politiche orientate all’esclusione a scapito di pratiche di integrazione.

L’idea della riduzione dell’area della detenzione sociale attraverso interventi di riduzione dell’area della penalità investe fortemente il ruolo degli Enti Locali, il volontariato, la società nel suo complesso, poiché la comunità esterna rappresenta un fattore inalienabile per la riabilitazione. L’integrazione sociale va posta come un elemento inevitabile nella riflessione del sistema penale, accanto alle misure alternative, al lavoro, alle risposte che una comunità progetta; senza dimenticare l’attivazione di pratiche riparative, nella prospettiva di una vera volontà riformatrice del carcere e dell’esecuzione penale esterna.

Su questi temi sono chiamati a discutere rappresentanti del mondo della giustizia, del volontariato, esponenti politici, rappresentanti degli Enti locali, della Chiesa e del terzo settore in un compito che è necessario continuare anche in futuro con una permanente riflessione critica su quanto avviene, se si vogliono costruire vere politiche di riduzione del danno.

Intervengono sul tema dell’esecuzione penitenziaria e della riforma penale Francesco Maisto, Alessandro Margara, Federico Palomba, Giuliano Pisapia, Emilio Santoro; come rappresentanti degli Enti locali Orazio Ciliberti, Claudio Cecchini, Nerina Dirindin, Raffaela Milano, Luigi Nieri; nella sessione nel carcere di Rebibbia femminile Giovanni Maria Brigantini, Leda Colombini, Giovanna Di Rosa, Stefania Tallei, Vittorio Trani, Lucia Zainaghi; per il Volontariato Ettore Cannavera, Virginio Colmegna, Claudio Messina, Fabrizio Valletti. Verrà proiettato il film "Jimmy della Collina", premiato al Festival di Locarno, conduce Giovanni Anversa.

È prevista la presenza di Romano Prodi, Clemente Mastella, Luigi Manconi ed un intervento di Oscar Luigi Scalfaro

 

Elisabetta Laganà, presidente SEAC

Immigrazione: carcere unica salvezza dal punto di vista sanitario

 

Redattore Sociale, 27 novembre 2006

 

Oltre novanta medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali e volontari che operano a diretto contatto con gli immigrati sono intervenuti venerdì 24 novembre al convegno "Immigrati e salute", organizzato dalla Azienda Sanitaria di Cagliari. Tra i vari argomenti trattati, anche quello riguardante il rapporto tra carcere, immigrazione e salute. "Spesso gli stranieri arrivano in Italia senza il permesso il soggiorno e il carcere diventa l’unica salvezza per loro da un punto di vista sanitario - ha spiegato Ihab Rizk Soliman, mediatore culturale che opera anche nel carcere di Buoncammino -. Qui vengono visitati e gli vengono garantiti i servizi di assistenza essenziali. Nell’istituto penitenziario di Cagliari c’è il centro clinico che permette il monitoraggio dei detenuti e fornisce assistenza sanitaria anche agli stranieri. Spesso però gli immigrati, una volta che lasciano il carcere, vengono abbandonati e non hanno più garantiti i loro diritti di assistenza socio sanitaria".

Tra le patologie più frequenti tra gli stranieri, quelle legate ai problemi gastrointestinali per via delle diverse abitudini alimentari, ai problemi respiratori, osteoarticolari e, naturalmente lo stress. "Nell’ambulatorio dell’azienda sanitaria di Cagliari appositamente dedicato agli immigrati clandestini - ha spiegato infatti la dottoressa Silvana Tilocca, coordinatrice della struttura - abbiamo effettuato 1.200 visite in 18 mesi, perlopiù a donne con problemi respiratori e malattie dermatologiche, ma la domanda è in continuo aumento. La prima paziente è stata una ragazza ucraina che da allora viene tutti i giorni e fa da mediatrice culturale volontaria, ma bisogna sottolineare anche il grande impegno di medici e operatori dei consultori. Curare chi viene da paesi lontani significa soprattutto affrontare questioni culturali, come ad esempio la reticenza al contatto di alcune fedeli dell’Islam più ortodosso".

 

 

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