Rassegna stampa 18 marzo

 

Giustizia: intervista a Beppe Pisanu, un ministro sotto attacco

 

Il Tempo, 18 marzo 2006

 

Per gli immigrati, per le violenze di piazza di sabato scorso e per i cortei di oggi. Una vita ad alta tensione al Viminale che Pisanu affronta con la solita calma e decisione che lo contraddistingue.

 

Ministro lei è entrato nel governo in corsa ma ha subito preso il ritmo. L’Interno è senz’altro un dicastero difficile. Garantire la sicurezza dei cittadini non è facile.

"La sicurezza è stata al centro del nostro programma di governo perché era uno degli impegni fondamentali presi con gli elettori. Un compito non facile, come giustamente lei sottolinea, che è diventato assai gravoso dopo l’11 settembre 2001, quando il terrorismo internazionale ha allungato la sua ombra angosciosa sull’Occidente costringendoci a rivedere a fondo tutti i nostri dispositivi di sicurezza per vigilare ben 13.000 obbiettivi sensibili e controllare, 24 ore su 24, tutti gli ambienti a rischio. Eppure, nonostante questa enorme mole di lavoro aggiuntivo, il bilancio del quadriennio 2001-2005 è in attivo. Sul fronte interno le nuove Brigate Rosse sono state disarticolate con l’arresto degli assassini di Biagi e D’Antona e di altri 94 appartenenti all’eversione marxista-leninista. Quanto alla lotta alle mafie e al crimine organizzato le ricordo, per brevità, un solo dato: dal luglio 2001 al novembre 2005 sono stati catturati, in Italia e all’estero, 807 pericolosi latitanti. Infine, rispetto al quadriennio precedente, abbiamo ridotto in misura rilevante molti reati di forte impatto sociale. Anche qui solo qualche esempio: omicidi (-17%), furti in abitazione (-34,4%), furti di autoveicoli (-26,2%), scippi (-24,8%), reati connessi alla droga (-14,5%) e alla prostituzione (-25,2%. Una polizia, insomma, sempre più vicina al cittadino per proteggerlo meglio".

 

I numeri le danno ragione ma la sensazione della sicurezza da parte della gente porta a chiederne sempre di più.

"Uno degli obiettivi del governo era il poliziotto e il carabiniere di quartiere".

 

Meno omicidi, meno rapine, meno furti sembra un altro Paese rispetto a quello raccontato ogni giorno da giornali e tv.

"Naturalmente problemi ed emergenze non mancano mai e nella comunicazione prendono fatalmente il sopravvento perché, come è noto, il bene non fa notizia. Ma quello che conta è che i cittadini avvertono la presenza dello Stato e se ne sentono rassicurati. Se così non fosse, come potremmo spiegarci il grande successo delle innumerevoli "notti bianche"? E non mi riferisco solamente a Roma che ormai è "caput mundi" anche per la sicurezza".

 

Mi sembra però che il tanto evocato coordinamento tra le diverse forze dell’ordine rimanga un utopia.

"Mi spiace contraddirla, ma non è così: innanzitutto il territorio è controllato proprio con un piano coordinato tra Polizia e Carabinieri che, a questo fine, hanno interconnesso le loro sale operative. Aggiungo che lo stesso servizio di quartiere è organizzato in comune tra poliziotti e carabinieri. Ma c’è di più: è proprio sul terreno del coordinamento che abbiamo realizzato il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, C.A.S.A., dove lavorano gomito a gomito donne e uomini delle Forze di polizia e dei servizi di intelligence, scambiandosi quotidianamente informazioni e valutazioni sulle possibili minacce e suggerendo interventi appropriati".

 

La legge sulla difesa personale non pensa possa scatenare una voglia di "giustizia fai da te"?

"Non direi. Le nuove norme mi sembrano abbastanza calibrate sulla necessità di una ragionevole tutela per chi reagisca ad un’aggressione violenta in difesa della propria famiglia, della propria attività, dei propri beni. Eccessi sono possibili, ma per pronunziarsi compiutamente occorre attendere le risultanze della prima fase di applicazione della legge".

 

Immigrazione. Lei sostiene che sono diminuiti gli sbarchi in questo ultimo anno. Meno sbarchi o meno "sbarcati"?

"Se mettiamo a confronto il triennio successivo all’entrata in vigore della legge Bossi-Fini (settembre del 2002) con quello immediatamente precedente, vediamo che nel complesso il numero degli sbarcati sulle coste dell’Italia meridionale ha subito una drastica riduzione: - 40,3%. E ciò nonostante la pressione migratoria sia cresciuta enormemente nell’ultimo anno e mezzo, riversando sulle vaste frontiere della vicina Libia decine di migliaia di disperati che da lì cercano di raggiungere ad ogni costo l’Italia e l’Europa."

 

Quanto ha pesato sulla diminuzione dell’immigrazione clandestina la Bossi-Fini rispetto agli accordi bilaterali con i Paesi rivieraschi?

"Al ridimensionamento del fenomeno ha certamente contribuito la nostra azione politico-diplomatica nei confronti dei paesi di origine e transito dei flussi di immigrazione clandestina. In particolare appaiono di grande rilievo i risultati ottenuti dalla Libia, grazie anche alla forte collaborazione italiana. Nell’ultimo anno, infatti, 44.000 clandestini sono stati bloccati prima della partenza per l’Italia; 45 organizzazioni criminali sono state sgominate in loco e oltre 5.500 persone arrestate per reati connessi all’immigrazione clandestina. Anche sotto questo profilo la Bossi-Fini, dunque, ha funzionato bene. Problemi però sono sorti nella gestione dei Cpt."

 

L’offerta del presidente Massimo Barra di affidare alla Croce rossa italiana la loro gestione sarà presa in considerazione?

"È una proposta degna della massima attenzione. Ne ho già parlato col Presidente Barra che è persona di grande esperienza ed elevata professionalità".

 

Una riduzione degli arrivi ma i criminali sembra non si riesca a fermarli. Sempre più spesso immigrati, a volte persino regolarizzati, fanno parte di vere bande che controllano il racket della prostituzione, traffico di droga, rapine oltre a gestire il traffico di esseri umani.

"È vero. Non a caso, un terzo dei detenuti nelle nostre carceri è costituito da extracomunitari, ma gli immigrati regolari sono pochissimi. La quasi totalità è costituita da clandestini; e questa è una ragione in più per estendere ed intensificare la guerra alle organizzazioni criminali, italiane e straniere, che li sfruttano spietatamente. Affermare però l’equazione immigrato irregolare = delinquente sarebbe un infamia ed una falsità".

 

Ultimamente lei ha detto che esiste un concreto rischio di infiltrazione di elementi del terrorismo qaedista tra i flussi di immigrati. Ci sono riscontri diretti o è solo un’analisi dei rischi?

"È una possibilità concreta e dobbiamo vigilare per scongiurarla. È esattamente quel che stiamo facendo, con lo sguardo particolarmente attento alle componenti europee e nord-africane del terrorismo internazionale che sembrano muoversi in crescente sintonia".

 

La vicenda delle vignette ha coinvolto anche l’Italia. L’attacco al consolato di Bengasi ha riaperto il contenzioso con la Libia. Lei è uno dei ministri che più ha avuto rapporti con Gheddafi. Poliziotti italiani fanno gli istruttori di quelli libici. Cosa pensa di tutta questa vicenda.

"Come dicevo prima, la collaborazione italo-libica nella lotta alla criminalità che sfrutta l’immigrazione clandestina è assai stretta e fruttuosa. La Libia è un Paese amico, seriamente impegnato contro il terrorismo. Il contenzioso bilaterale indubbiamente esiste, ma esiste anche una concreta volontà del nostro Governo di risolverlo con gesti adeguati: in questo senso c’è una recentissima, chiara deliberazione del Consiglio dei Ministri. Va detto, però, che anche l’Italia ha molte buone ragioni da far valere."

 

Lei è sempre stato moto cauto sui diversi allarmi lanciati rispetto al rischio attentati di matrice islamica. Una cautela dettata per dare tranquillità al Paese ed evitare isterismi o la consapevolezza di un apparato di sicurezza di buon livello.

"Guardi, quando si tratta di terrorismo, interno o internazionale, tre cose bisogna sempre fare: essere prudenti, non sottovalutare nulla e tenere ben attivi tutti i dispositivi di prevenzione e contrasto. A questi dettami mi sono sempre attenuto, cercando di individuare in ogni circostanza il limite che separa la doverosa informazione dal dannoso allarmismo. Ma sono sempre vigile e ben consapevole dei rischi che corriamo, come tanti altri paesi dell’Europa e dell’Occidente".

 

La strategia della prevenzione con le espulsioni dei "predicatori d’odio" e/o dei sospetti terroristi è stata una mossa vincente per non far proliferare le eventuali cellule del terrore?

"Allo stato attuale dell’ordinamento giuridico e della giurisprudenza, le espulsioni per gravi motivi di sicurezza e ordine pubblico sono certamente uno strumento preventivo di grandissima efficacia, direi indispensabile. Ciò non significa, naturalmente, che se ne possa fare un uso indiscriminato. Al contrario, ogni provvedimento di questo tipo è stato da me deciso sulla base di accertamenti scrupolosi, che indicavano l’effettiva esistenza di un pericolo per lo Stato e la collettività nazionale. Naturalmente, continuerò ad avvalermi di questo strumento in tutti i casi in cui risulterà necessario".

 

L’idea della consulta islamica nasce per controllare le moschee o semplicemente per colmare un vuoto rispetto a una religione che in Italia conta centinaia di migliaia di fedeli?

"La Consulta per l’Islam italiano nasce dall’esigenza di conoscere meglio la complessa e multiforme realtà delle comunità di musulmani che oggi vivono in Italia. Alla Consulta il Ministro dell’Interno chiede analisi, pareri, valutazioni e suggerimenti ma poi, alla fine, spetta solo a lui decidere, secondo le sue responsabilità".

 

Cautela rispetto il terrorismo internazionale, toni sempre molto decisi verso la minaccia del terrorismo interno.

"Cautela si, ma eguale determinazione contro l’uno e l’altro. Dobbiamo stroncare definitivamente la mala pianta del terrorismo interno che troppo a lungo ha insanguinato il nostro Paese; e dobbiamo essere sempre più efficaci contro il terrorismo internazionale, schierandoci con tutti i Paesi dell’Occidente e del mondo islamico che vogliono eliminare questa tremenda minaccia".

 

Brigate rosse veramente annientate?

"C’è rimasto poco, e quel poco lo teniamo sotto tiro. Più caldo è il fronte dell’eversione anarco-insurrezionalista. Fino a tre anni fa era una galassia misteriosa e inesplorata. Adesso molti di questi signori li conosciamo e per parecchi di loro, dopo l’arresto, cominciano a fioccare importanti sentenze di condanna".

 

Oltre i successi sul piano investigativo c’è da sottolineare che durante la sua gestione sono state, per così dire, ricordate all’opinione pubblica tante vittime degli anni di piombo. Una sua precisa volontà?

"Sì, considero un dovere irrinunciabile coltivare la memoria di questi eroi e ringrazio ancora una volta il Presidente Ciampi per avermi sostenuto in quest’azione: le onorificenze che ha voluto conferire alla memoria dei caduti delle Forze dell’Ordine testimoniano che lo Stato non dimentica i suoi figli migliori".

 

A Milano abbiamo assistito ad un ritorno delle violenze di piazza. Sassi, bastoni, caschi, volti coperti, molotov. Un tuffo nel passato e il rischio che questo tipo di manifestazioni si ripeta in altre città.

"Si un tuffo nel passato più cupo degli anni di piombo, ma anche un rischio grave per il presente e per il futuro. È da tre anni che denunzio con copiose documentazioni alla mano i rischi della violenza politica e dell’illegalità diffusa. Più di una volta ho ricevuto critiche astiose e accuse di allarmismo immotivato. Oggi, addirittura, c’è chi, da sinistra, insinua il sospetto ignobile che abbiamo lasciato scatenare i violenti. A Milano, invece, le Forze dell’ordine hanno soprattutto cercato di prevenire i violenti e sono riuscite a fermarli in tempo, prima che arrivassero allo scontro con i manifestanti dell’estrema destra che partecipavano ad un corteo regolarmente autorizzato. Da quando sono al Viminale abbiamo avuto mediamente più di 8.000 manifestazioni di piazza all’anno, quasi tutte contro il Governo. Abbiamo sempre garantito il diritto a manifestare pacificamente le proprie opinioni, come stabilisce la nostra Costituzione. E continueremo a garantirlo in campagna elettorale, anche quando non piaccia, come a Milano, ai black block, agli anarchici insurrezionalistici, ai marxisti-leninisti, agli antagonisti dei centri sociali e compagnia cantante".

 

L’estremismo di destra rappresenta ancora un pericolo reale di eversione o solo un problema di ordine pubblico?

"Al momento sembra soprattutto un problema di ordine pubblico, annidato tra gli ultras delle curve calcistiche. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la situazione è confusa e può riservarci amare sorprese".

 

Stando così le cose non le sembra che ci siano ancora tante scorte se non inutili quanto meno non proprio giustificate?

"Posso dirle che c’è la massima attenzione per individuare le reali esigenze di protezione e soddisfarle, senza però sprecare risorse che, invece, possono essere impiegate più utilmente".

 

La sua gestione del ministero dell’Interno trova molti sostenitori proprio tra il personale però, è finita la legislatura, e il riordino delle carriere è rimasto in sospeso...

"Ha detto bene: il discorso è solo sospeso. Lo riprenderemo a maggio, con l’inizio della nuova legislatura, assieme a quello della creazione di un tavolo di contrattazione riservato alle sole Forze di polizia. Voglio però ricordare che il Governo, pur in momenti di rigore contabile, ha sempre dedicato grande attenzione al trattamento economico degli appartenenti alle Forze dell’ordine e al Comparto sicurezza, che non è stato toccato dai "tagli" della legge finanziaria 2006 ed è così rimasto fuori sia dalle riduzioni di spesa per i "consumi intermedi" e gli investimenti fissi lordi", sia dalla riduzione degli stanziamenti per il lavoro straordinario. Avrei molte altre cose da dire, ma mi lasci almeno osservare che nell’ultimo quadriennio si è avuto un incremento medio mensile delle retribuzioni del comparto sicurezza pari quasi a 400 euro lordi, contro i 250 del quadriennio precedente. A mio avviso il fattore umano è di gran lunga il più importante per l’efficacia del nostro sistema di sicurezza".

 

Poliziotti di quartiere, un rinnovamento tecnologico eccezionale, commissariato on line, sistemi investigativi da far invidia persino agli americani. Eppure in qualche commissariato a volte manca anche la carta intestata o per far aggiustare una fotocopiatrice si attendono mesi.

"Tutti i sistemi complessi hanno carenze e margini di miglioramento e razionalizzazione. Il sistema della sicurezza non fa eccezione: ben sapendolo, abbiamo avviato un complesso lavoro di riorganizzazione logistico-funzionale, realizzando, tra l’altro, i modernissimi complessi romani dell’Anagnina e del Tuscolano, questure d’avanguardia come quelle di Sassari, Frosinone, Biella e impostando reti avanzatissime come il Tetra per le comunicazioni protette".

 

Lei oltre all’ordine pubblico è anche il responsabile del soccorso pubblico. I vigili del fuoco sempre in prima linea in ogni emergenza non sono un po’ la Cenerentola del ministero? In molte regioni una sensibile carenza di personale...

"Per quanto mi riguarda, posso dire che dal 2003 non c’è stata legge finanziaria che non abbia destinato nuove risorse al potenziamento del Corpo Nazionale dei Vigili dei Fuoco: dall’adeguamento dei sistemi di sicurezza negli aeroporti ai nuovi mezzi per gli interventi in caso di rischio nucleare, batteriologico, chimico o radioattivo. Proprio negli ultimi giorni della legislatura, infine, è stato approvato il riordina del Corpo che completa la riforma avviata con l’inserimento dei Vigili del Fuoco nel comparto sindacale di diritto pubblico. Inoltre, ho dato forte impulso al volontariato, col proposito di rinverdire le sue migliori tradizioni".

 

Lei ha anche la responsabilità del buon svolgimento delle elezioni. Tra meno di un mese si andrà a votare per il nuovo Parlamento, poi per le amministrative. In passato alcuni dati sono stati contestati. La macchina elettorale è già a punto?

"Da quando sono al Viminale tutte le votazioni si sono svolte con la massima regolarità. E sarà così anche questa volta. Ora si stanno definendo gli ultimi dettagli, che quest’anno sono ancor più importanti, trattandosi di una legge elettorale nuova di zecca. Ma una cosa posso affermare sin da ora: voteremo sulle schede più semplici e chiare della storia della Repubblica, con buona pace di certi detrattori e critici d’occasione".

 

Domanda scontata. Se vince il centro destra si prenota per il Viminale o ha altre aspirazioni?

"Il futuro è nelle mani di Dio. Oggi la mia massima aspirazione è garantire la sicurezza degli italiani e l’ordinato svolgimento della vita democratica".

 

Lei è considerato un ministro super partes ma gli attacchi più pungenti li ha ricevuti all’interno della sua coalizione cioè dalla Lega.

"È vero, su alcune cose la pensiamo diversamente, molto diversamente. Potrei dirle che le diversità sono il sale della politica e che pertanto vanno accettate e girate in positivo, almeno fino a quando non mettono in crisi i vincoli di alleanza politica che ci uniscono. Per il resto porto pazienza. Perché di fronte alle provocazioni immotivate e alle insulsaggini la politica è soprattutto pazienza. E poi, come mi ha insegnato mia madre "a parole sceme orecchie sorde".

Giustizia: Cento; amnistia premessa a ogni riforma codice penale

 

Apcom, 18 marzo 2006

 

"L’amnistia è la premessa di ogni intervento riformatore del nostro sistema penale e penitenziario. Nelle carceri italiane le condizioni sono peggiorate, non sono degne di un Paese civile". Lo afferma Paolo Cento, coordinatore nazionale dei Verdi, in un’intervista al giornale ondine diario21.net (www.diario21.net), che sarà pubblicata domani. "È stato un errore - aggiunge Cento - non fare l’amnistia in questa legislatura, ed io credo che la premessa di qualsiasi riforma del centro-sinistra dovrà essere innanzitutto l’approvazione di un’amnistia. Per noi Verdi questa è una priorità".

Imperia: i detenuti chiedono la liberazione di Tommaso Onofri

 

Secolo XIX, 18 marzo 2006

 

Parte dal carcere di Imperia un accorato appello ai sequestratori di Tommaso Onofri. Dallo scorso 2 marzo, del piccolo di appena 17 mesi non si hanno più notizie. Per la liberazione di Tommy si sono mobilitati calciatori, attori, artisti e anche il Papa Benedetto XVI. Un caso disperato che ora ha "toccato" il cuore anche dei detenuti del penitenziario di via Agnesi che condannano il gesto di coloro che hanno privato della libertà personale un bambino di poco più di un anno e mezzo. Ecco la loro lettera aperta. Il sottoscritto Carmelo Ditto unitamente a tutti i detenuti che come me sono ristretti presso la casa circondariale di Imperia, con la presente intendiamo esprimere tutta la nostra indignazione per l’atto vile e criminoso del sequestro del piccolo Tommaso Onofri, esprimendo alla famiglia dello stesso tutta la nostra vicinanza e solidarietà. Nessuna giustificazione può essere concessa a chi si è macchiato di un reato così grave, accanendosi con un bambino innocente che nulla ha a che vedere con il "male" che possono aver fatto le persone adulte. Una creatura dolce e innocente come solo i bimbi sanno essere, già duramente castigato dal destino, essendo affetto da una malattia così grave quale l’epilessia. Tutti noi che in qualche modo stiamo pagando per scelte di vita sbagliate, ci dissociamo da questi individui abietti che hanno messo in atto questo sequestro, questi reati non sono accettati da nessun essere umano e in nessun ambiente. Noi tutti detenuti del carcere di Imperia siamo nauseati con chi ha rapito e tiene sequestrato questo angioletto di nome Tommaso. Nell’ambiente così detto malavitoso ci sono delle regole... una delle quali è quella di non toccare in nessuna maniera bambini, donne, anziani. Giusto perché nessuna colpa si può attribuire loro. Chiediamo ai "mostri" che tengono ancora sequestrato Tommaso, di rilasciarlo e affidarlo ai suoi cari senza aspettare di causargli ulteriori traumi e sofferenze. Questo è ciò che noi tutti detenuti ci auguriamo.

Rieti: presto sarà ultimato il nuovo carcere circondariale

 

Il Messaggero, 18 marzo 2006

 

"Le leggi dovrebbero essere poche, chiare e comprensibili. L’esatto contrario di quanto avviene in Italia che può vantare il primato mondiale per numero di norme e confusione che ne deriva". Va giù di taglio il candidato alla Camera dell’Ulivo, Pietro Carotti che insieme alla "collega" Enza Bufacchi, ha convocato ieri una conferenza stampa all’Hotel Miramonti per parlare di leggi e giustizia. L’occasione offre il destro per reatinizzare l’argomento affrontando i temi della nuova Casa circondariale, della sezione staccata del Tribunale a Poggio Mirteto e del Tar a Rieti.

Apre la carrellata la legge Fini sulle tossicodipendenze "che - chiosa Carotti - forse il vicepresidente del Consiglio non ha neppure letto viste le continue citazioni a sproposito che fa". Segue a ruota la ex Cirielli "disconosciuta dallo stesso estensore quando si è reso conto di aver dato vita ad una mostruosità". Poi l’affondo sulla legge che riforma il falso in bilancio. Dicevamo dell’occasione offerta dalla conferenza stampa per parlare del nuovo carcere.

"L’edificio è in fase di realizzazione e si avvia visibilmente alla sua conclusione - risponde Pietro Carotti che più di altri si è battuto per la realizzazione della nuova Casa circondariale di Rieti - Sottolineo che non si tratta in alcun modo di un supercarcere e che mai lo diventerà essendo dimensionato per un numero inferiore ai 250 detenuti". Infine si passa a parlare della sezione staccata del Tribunale a Poggio Mirteto e del Tar a Rieti, la prima già realtà mentre la seconda resta tutta da definire. Chiude il percorso Enza Bufacchi che definisce la produzione legislativa del Governo uscente la "negazione del diritto moderno e il ritorno alla legge intesa come privilegio".

Pistoia: Bossi-Fini; detenuti rumeni interrompono sciopero fame

 

Prima Pagina, 18 marzo 2006

 

La Bossi-Fini rischia di trasformare le carceri in centri di permanenza temporanea. Col rischio di accrescerne ulteriormente il sovraffollamento. Lo sottolineano gli assessori alle politiche sociali e alle riforme istituzionali della Regione Toscana, che stamani si sono recati nella casa circondariale di Pistoia per incontrare due giovani detenuti rumeni che con lo sciopero della fame hanno deciso di protestare contro la Bossi-Fini.

La legge sull’immigrazione priva i clandestini della possibilità di usufruire di misure alternative: il rifiuto ad allontanarsi dall’Italia perché privi del permesso di soggiorno diventa di per sé un reato e ne dispone il fermo in carcere. Una legge ingiusta e penalizzante, aggiungono i due assessori, proprio nei confronti dei più deboli.

L’incontro con i due ragazzi rumeni di 26 e 28 anni, uno con due figli piccoli in Romania e l’altro con moglie ed un figlio più grande, è avvenuto stamani a Pistoia. Un colloquio durato alcune decine di minuti, non senza qualche difficoltà dovuta alla scarsa conoscenza dell’italiano da parte dei due rumeni.

Nei giorni scorsi i due detenuti erano stati ricoverati nell’ospedale di Pistoia e poi erano trasferiti a Prato, il cui ospedale dispone di una sezione speciale per detenuti. Di seguito il ritorno in carcere. Il primo - il più debilitato tra i due rumeni, un metro e settanta centimetri di altezza per appena quaranta chili di peso – oggi aveva già interrotto lo sciopero. Il secondo ha deciso di farlo stamani, su richiesta dei due assessori che hanno preso l’impegno di seguire il caso. Il loro reato è solo quello di trovarsi sul suolo italiano privi di un regolare permesso di soggiorno.

Viterbo: inaugurato un reparto di medicina per i detenuti

 

Salute Europa, 18 marzo 2006

 

Un reparto ospedaliero all’avanguardia nel Lazio e in tutt’Italia dedicato all’assistenza e cura dei detenuti. Lo ha inaugurato oggi il presidente Marrazzo a Viterbo, assieme all’assessore Battaglia e al Direttore Generale della Asl Aloisio, alla presenza del Vescovo di Viterbo Chiarinelli e delle principali autorità locali. Situata all’interno dell’ospedale Belcolle, quella di Viterbo è l’unica struttura in Italia in grado di ospitare donne ed è destinata alla cura di malattie infettive, urologiche e cardiologiche e all’assistenza di pazienti colpiti da tumore. Celle spaziose e confortevoli potranno ospitare 10 detenuti provenienti dalle carceri di tutto il centro Italia, mentre il personale operativo sarà composto da 15 operatori sanitari tra medici, infermieri, ausiliari e da trenta agenti di polizia penitenziaria

Bologna: percorsi di reinserimento, tra difficoltà ed opportunità...

 

Comunicato stampa, 18 marzo 2006

 

Associazione "Il Poggeschi per il carcere"

Mercoledì 22 marzo, presso la Sala Grande, Centro Poggeschi

Via Guerrazzi 14, Bologna. Ore 20.15.

 

Mercoledì 22 marzo, alle ore 20.15 presso il Centro Poggeschi di Bologna, avrà inizio il cineforum "Dopo il Carcere: percorsi di reinserimento tra difficoltà ed opportunità", sul tema del reinserimento degli ex detenuti, presentata dalla Associazione di volontariato "Il Poggeschi per il Carcere". La rassegna consiste nella proiezione di tre pellicole cinematografiche che affrontano, sotto diversi aspetti, la problematica del reinserimento degli ex detenuti nella realtà sociale, al termine della loro esperienza carceraria.

Le proiezioni si terranno tutte al Centro Poggeschi, alle ore 20.15 secondo il seguente calendario:

mercoledì 22 marzo: "Ragazzi fuori" di Marco Risi (Italia 1990);

mercoledì 29 marzo: "Clean" di O. Assayas (Francia 2004);

lunedì 3 aprile: "Il segreto - The Woodsman" di N. Kassel (Usa 2004).

Ogni proiezione sarà preceduta da una breve presentazione di un volontario dell’Associazione ed al termine del film, verrà data l’opportunità di scambiare le proprie impressioni sulle tematiche affrontate dalla pellicola. Questi contributi saranno raccolti e presentati, al termine della proiezione del 3 aprile, al professor Leonardo Benvenuti, del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università D’Annunzio di Chieti, con il quale si potrà instaurare un dibattito al quale sono invitati tutti ad intervenire.

 

Informazioni: tel. 051-220435

e mail: centro@centropoggeschi.org

www.centropoggeschi.org

 

Le trame dei film

 

Ragazzi fuori di M. Risi, Italia 1990 (108’). Cosa succede ai giovani di Palermo quando escono dal riformatorio? I giovani reclusi dell’acclamato film "Mery per sempre", dopo aver scontato la pena nel carcere minorile di Malaspina, tornano in libertà e si trovano a dover riaffrontare la vita quotidiana. Ma i loro destini seguono binari drammaticamente prestabiliti: Mery si prostituisce, Carmelo spaccia, Antonio tenta la strada di un lavoro onesto come venditore di patate ma viene arrestato per mancanza di licenza. Solo Claudio sembra avviarsi verso una sorte migliore ma il passato riemerge con la sua ineluttabile violenza.

Un film scomodo che ha diviso i critici ed indispettito i politici ma che offre uno spaccato amaro della realtà in cui si trovano a vivere molti giovani detenuti usciti dal carcere. Tratto dal romanzo di Aurelio Grimaldi.

Clean di O. Assayas, Francia 2004 (110’). In seguito alla morte per overdose del suo compagno Lee, un musicista rock un tempo famoso, la cantante Emily (M. Cheung) è arrestata per detenzione di stupefacenti, mentre il loro figlio è affidato ai nonni paterni che vivono in Canada. Disintossicatasi, la donna si trova emarginata dall’ambiente dello spettacolo ed è costretta ad accettare i lavori più modesti, ma con umiltà e determinazione riconquista la fiducia del padre di Lee (N. Nolte) fino a riabbracciare il suo bambino. La pregnanza della sceneggiatura, l’ottima regia e le eccellenti doti degli interpreti caratterizzano questo film fuori degli schemi, coronato dall’elegante colonna sonora basata su canzoni di B. Eno.

Il segreto - The woodsman di N. Kassell, USA 2004 (87’). Padre di famiglia scaricato dalla moglie, Walter viene assunto in un deposito di legname dopo dodici anni di reclusione per pedofilia. Se ripetesse il reato, l’ergastolo diventerebbe automatico. Per questo la sua condotta è timorosa e solitaria: pur sorretto da una rabbiosa volontà di riscatto, è ossessionato dalla sua ombra, perseguitato da un ispettore fanatico ed ostacolato da una collega intrisa di preconcetti. La sua vita rifiorisce quando Vickie (K. Sedgwick) si innamora di lui e ne accetta il passato senza giudicarlo.

La regista affronta con competente equilibrio una materia scottante e riesce a ritrarre in profondità il dramma del protagonista, impersonato da un convincente K. Bacon.

Pordenone: la Caritas organizza una fiaccolata per i detenuti

 

Il Gazzettino, 18 marzo 2006

 

Due giorni pensando alle tante facce della libertà negata. Weekend speciale, grazie alla Caritas diocesana, che in sinergia con altre organizzazioni legate al piccolo grande universo della solidarietà mette in cantiere un incontro, una fiaccolata, una messa con gli ex reclusi e un momento conviviale comunitario. Il tutto facendo seguito al discorso già avviato dal vescovo Ovidio Poletto con la visita alla Casa circondariale pordenonese del Castello. Oggi alle 17, nell’ex convento di San Francesco, spazio al convegno "Quale carcere? Quale giustizia?". Dopo l’apertura dei lavori da parte del sindaco, Sergio Bolzonello, toccherà proprio alla direttrice della struttura di pena, Maria Vittoria Menenti, fare il punto sulla situazione. Poi interverrà padre Beppe Prioli, uno dei religiosi più noti nel settore della solidarietà per il pluriennale impegno in favore della dignità dei reclusi. Questa mattina, tra l’altro, lo stesso frate avrà modo di visitare l’areaoff limits del Castello. Dopo la sua analisi, altri volontari che operano "oltre le sbarre" diranno la loro sulla delicata situazione vissuta nella "Casa" pordenonese. Alle 19, finito l’incontro, partirà la fiaccolata. La scaletta dell’appuntamento prevede il ritrovo fuori dall’ex convento. Il corteo passerà quindi lungo via Mercato Vecchio, corso Vittorio Emanuele, vicolo San Rocco, piazzetta del Cristo, piazza Ospedale Vecchio e piazza della Motta. Lì, davanti ai cancelli del carcere chiusi, il gruppo si soffermerà ad ascoltare le conclusioni del presule, monsignor Poletto.

Non è finita. Domani alle 15, nei locali dell’Oasi, in via Seduzze a Cordenons, messa e momento conviviale. È la cooperativa che dà lavoro agli exristretti, come vengono definiti tecnicamente i reclusi. "I gruppi Caritas - annuncia don Livio Corazza, il direttore dell’ente di solidarietà diocesano - hanno identificato proprio nei temi della libertà negata e della giustizia i momenti portanti della riflessione di Quaresima. Entrambe sono questioni ricche di una marcata valenza sociale".

Immigrazione: Pisanu e Fassino; i Cpt servono ma non simil-carceri

 

Agi, 18 marzo 2006

 

I Cpt, cioè i Centri di permanenza temporanei, sono necessari al contrasto dell’immigrazione clandestina ma non debbono trasformarsi in "simil-carceri". È su questo concetto che il ministro dell’Interno Beppe Pisanu e il leader dei Ds Piero Fassino si sono trovati d’accordo intervenendo alla trasmissione "Matrix". Infatti per il diessino "i Cpt sono strutture che in molti casi si sono trasformate in carceri, con il conseguente livello di desolazione insopportabile - ha affermato - ma sarebbe sciocco chiederli". In altre parole trasformare queste strutture in "simil-carceri è una violazione di legge, quindi va garantita un livello di umanità accettabile".

"Sono d’accordo - ha replicato Pisanu - io i Cpt li ho trovati e se non ci fossero stati li avrei fatti, però li ho migliorati. Adesso ne costruiremo un altro a Lampedusa e sfido chiunque a trovare uno migliore di quello realizzato a Gradisca d’Isonzo". In altre parole vanno "fatti tutelando la legalità".

Immigrazione: licenziato per assenza, ma era in carcere innocente

 

Secolo XIX, 18 marzo 2006

 

Albenga. Finisce in carcere ingiustamente e quando finalmente viene liberato scopre di aver perso anche il posto di lavoro. Sfortunato protagonista della vicenda è Hamoud Belkhiar, quarantottenne immigrato algerino che dopo un lungo peregrinare per l’Italia (da clandestino) ha trovato casa, lavoro stabile e documenti in regola nella piana albenganese.

Un impiego alla Flexoroll, poi in un’azienda della Valbormida, ed una vita normale e tranquilla. Ma all’improvviso dal suo passato è spuntato uno strano fantasma: un testimone riconosce la foto segnaletica di tale Bensaid Alì tra gli autori di una rapina avvenuta a Grosseto il 7 settembre del 2000. Purtroppo per Hamoud il nome del presunto rapinatore è troppo somigliante a quello con cui lui, ancora clandestino, si era presentato cinque anni prima, proprio nel grossetano, ai carabinieri che lo avevano sorpreso ovviamente senza documenti.

Lo sfortunato algerino viene condannato a quattro anni di galera, ma nessuno sa dove sia finito. Intanto lui se ne va a lavorare tranquillamente tutte le mattine, ignaro della colpa che gli viene ingiustamente attribuita. Quando le forze dell’ordine lo scovano non possono che arrestarlo. Così la mattina dopo Hamoud non si presenta al lavoro, e neppure quella dopo ancora e così per settanta giorni. Nessuno ne sa nulla, e la ditta lo licenzia. "Ero in carcere innocente, stavo cercando di dimostrare che non c’entravo nulla con la rapina e non conoscevo le leggi sul lavoro - racconta -. Purtroppo mi hanno considerato assente ingiustificato e mi hanno licenziato".

Forse a salvargli il lavoro sarebbe bastato un fax alla ditta, ma in quel momento lui non ci ha pensato. Per ironia della sorte a scagionarlo, però, sono stati proprio i registri delle presenze sul lavoro: il giorno della rapina, come quello precedente e quello successivo Hamoud Belkhiar era regolarmente in fabbrica, quindi non era a Grosseto. Innocente, scagionato e liberato. Ma ormai disoccupato. "La mia assenza non era affatto ingiustificata, e adesso che è arrivata anche l’assoluzione essere riassunto è un mio diritto", invoca.

Spagna: in uscita un libro sulle carceri di Francisco Franco

 

Le Monde Diplomatique, 18 marzo 2006

 

Le ragazze di Ventas

Dulce Chacon

Neri Pozza, 2005, 16,50 euro

 

Siamo nella Spagna del 1939. La Guerra civile, in cui sono morti centinaia di migliaia di oppositori al franchismo, volge al termine. Barcellona è caduta a gennaio e Madrid a marzo. Le speranze dei Fronti popolari si sono infrante, la Seconda guerra mondiale è alle porte. Nel carcere madrileno di Ventas, le prigioniere resistono. Forse i compagni le faranno evadere, prima che arrivi il boia... Le donne parlano a bassa voce. Perché la guardiana non senta. Perché Elvira, la più giovane di loro, non si svegli dal suo sonno di febbre. Perché la donna che sta per morire non venga distolta dal suo quaderno azzurro. La donna che sta per morire si chiama Hortensia, ha gli occhi scuri, è incinta di otto mesi e non parla mai ad alta voce. Ha accettato l’idea che "la sconfitta penetra a fondo, molto a fondo, senza chiedere permesso e senza dare spiegazioni". Ha fame, freddo e male alle ginocchia, ma non riesce a smettere di ridere. Come le altre ride per scacciare la paura. Le altre si chiamano Reme, Tomasa, Pepita... Tutte hanno scelto di lottare per non vivere sottomesse, ma hanno perso. Sono repubblicane, prigioniere del regime franchista.

Nel romanzo Le ragazze di Ventas, la scrittrice Dulce Chacón ha ricostruito le vite di quelle prigioniere, ha immaginato la loro quotidianità cellulare fatta di torti e privazioni, gli ultimi istanti prima che il boia le consegni a un’epopea mai narrata fin’ora. Hortensia scrive sul quaderno azzurro che il marito partigiano le ha fatto avere tramite la sorella. Scrive per la bambina che, nascendo, la consegnerà al patibolo e che leggerà le pagine quando sarà grande.

Pagine di resistenza alla barbarie. Pagine di vite calpestate. Pagine di un Secolo che si è chiuso. La scrittura piena e partecipe di Dulce Chacón - che ha dedicato molte opere alla ricostruzione della Guerra civile spagnola - dipinge i volti del dolore, la tinta fosca dell’assurdo, la spocchia dei vincitori. E interroga quella strana tenacia, quell’eroismo delle persone qualunque non sempre motivato da un’idea, ma dalla fedeltà a se stessi, o agli affetti, o al rispetto per chi si ostina a rimanere in piedi. Le ragazze di Ventas è un romanzo che non si dimentica, e che fa rimpiangere la sua autrice, grande voce della letteratura spagnola, morta nel 2003 a soli 49 anni. Quando la storia consegna al finale i pochi sopravvissuti, Dulce Chacón riporta questi versi di Luis çlvarez Piñer: "E di lontano/ la staccionata temporale improvvisava/l’orizzonte imprescindibile". Poi ricorda le persone incontrate nel corso della sua ricerca appassionata, intrapresa per poter scrivere il romanzo, basato su fatti veri. Seguono due pagine di dediche: "A Manolita del Arco, che rimase condannata a morte per cinque mesi e trascorse diciotto anni in carcere. A Soledad Real, condannata a trent’anni da un tribunale contro il comunismo e la massoneria. A José Amalia Villa, testimone della disperazione di una donna di Granada che non riconosceva più le figlie, e del dolore insopportabile di un’altra, del suo pianto straziante perché non aveva figli ed era andata in menopausa in carcere. E a una donna che non vuole che venga citato il suo nome né quello del suo paese, e che mi ha chiesto di chiudere la finestra prima di cominciare a parlare a bassa voce...". A bassa voce... le dediche scorrono come titoli di coda, ultime emozioni da custodire, prima che la luce si accenda e le consegni al freddo di un presente senza memoria.

Stati Uniti: il boia è tornato in azione in North Carolina

 

Newspaper 24, 18 marzo 2006

 

Un condannato a morte di 39 anni, Patrick Moody, che ha riconosciuto di avere ammazzato nel 1994 il marito della donna con cui aveva una relazione, è stato ucciso con una iniezione letale nella notte tra giovedì e venerdì (questa mattina al 8:19 in Italia) nel carcere centrale di Raleigh, in North Carolina. Contrariamente a quanto è successo recentemente in altri casi, la Corte Suprema degli Stati Uniti non ha bloccato l’esecuzione in seguito ad un ricorso del condannato, secondo cui l’iniezione letale gli avrebbe provocato "dolore e sofferenza in maniera contraria alla Costituzione", perché detenuti devono essere trattati in maniera umana.

La donna - Wanda Robbins - che spinse Moody a uccidere suo marito per ottenere i 5 mila dollari del suo contratto di assicurazione sulla vita, aveva anche lei riconosciuto i fatti e venne condannata all’ergastolo. Quella di Moody è la decima condanna a morte eseguita negli Usa dall’inizio dell’anno e la 1.014/esima da quando è stata ripristinata la pena capitale negli Usa, nel 1976. A guidare la classifica è il Texas con 5 esecuzioni quest’anno, 360 da quando è stata ripristinata la pena di morte nello Stato, nel 1982. In North Carolina si tratta della seconda esecuzione quest’anno, la 41/esima in totale.

 

 

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