Rassegna stampa 9 maggio

 

Giustizia: quasi 62mila detenuti, al nord il 60% sono stranieri

 

Ansa, 9 maggio 2006

 

Sono quasi 62mila i detenuti presenti nelle carceri italiane, il numero più alto mai registratosi nella storia della Repubblica. "Il sistema penitenziario italiano - denuncia la segreteria generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe - è votato inevitabilmente all’implosione. Ed è allora prioritario, una volta compiuti tutti gli adempimenti istituzionali e insediatosi il governo Prodi, che l’emergenza carceri venga posta tra le priorità d’intervento del nuovo esecutivo e del Parlamento". La segreteria generale del Sappe comunica di avere già scritto al presidente del Senato Marini ed a quello della Camera Bertinotti per denunciare la precarietà del sistema carcerario e le gravi condizioni in cui sono costretti ad operare gli uomini e le donne del corpo di Polizia Penitenziaria, gravemente sotto organico. In particolare, negli ultimi anni, si è registrato, aggiunge il sindacato, un notevole incremento di detenuti stranieri, circa il 30% del totale della popolazione detenuta, con punte del 60% nel Centro Nord.

Sempre in materia di giustizia, negli ultimi 5 anni è rimasto sostanzialmente stabile il numero dei collaboratori di giustizia, mentre sono più che triplicati i testimoni. Inoltre, grazie alle cosiddette "capitalizzazioni", una sorta di "buona uscita" per consentire a chi esce dal programma di protezione di ricominciare una "vita normale" soprattutto attraverso una nuova attività, le spese sono state ridotte di circa il 30%, 40 mln di euro all’anno in meno rispetto al quinquennio precedente. A conclusione del suo mandato, è stato il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, presidente della Commissione sui pentiti del Viminale, a fornire queste cifre tracciando un bilancio. In particolare, ha spiegato Mantovano, i nuovi collaboratori di giustizia ammessi al programma di protezione nel periodo che va dal 1 luglio 2001 al 3 maggio scorso, sono stati 501, contro i 510 del quinquennio precedente. Il dato "significativo" è quello che riguarda i testimoni: dai 24 del periodo ‘96-2001 si è passati agli 81 ammessi negli ultimi 5 anni. Mantovano ha poi fornito i dati della popolazione protetta: i collaboratori sono attualmente 904, 2.887 i loro famigliari sottoposti a sistema di protezione; 71 sono invece i testimoni e 235 i loro famigliari ammessi al programma.

Giustizia: Previti; un'amnistia sarebbe esagerata, meglio l’indulto

 

Corriere della Sera, 9 maggio 2006

 

Dopo la quarta notte trascorsa a Rebibbia, l’ex ministro di Forza Italia Cesare Previti è in attesa della decisione del magistrato di sorveglianza, Laura Longo, che nei prossimi giorni dovrà concedergli il regime di detenzione domiciliare, così come stabilisce per gli ultra settantenni la "ex Cirielli" varata dalla Cdl. Il caso, comunque, non è chiuso: la condanna definitiva di Previti (6 anni per corruzione in atti giudiziari) ha infatti riaperto il dibattito sull’amnistia e sulle riforme in materia di giustizia che saprà mettere in cantiere il nuovo governo. E così, dopo un periodo di silenzio, torna a formulare le sue proposte anche Giuliano Pisapia, l’indipendente del Prc che ha coordinato per l’Unione il programma sulla giustizia: "Per riprendere un cammino condiviso con l’opposizione, penso a una base di partenza che preveda la legge delega per la riforma del codice penale e il varo di un provvedimento di amnistia e indulto". La ricetta di Pisapia, tuttavia, non contempla l’ipotesi estrema di un’amnistia di 6 anni così come ha proposto il direttore di "Liberazione", Piero Sansonetti, che vorrebbe addirittura cancellare il reato commesso da Previti.

Pisapia è più realista rispetto all’organo ufficiale di Rifondazione: "Quella di Sansonetti è un’intelligente provocazione politica ma l’amnistia di 6 anni mi sembra esagerata. Bisognerebbe tornare all’amnistia di 4 anni per i reati di non grave allarme sociale, quella sulla quale ci siamo arenati nella scorsa legislatura, e a un indulto di 2-3 anni che permetterebbe a molti detenuti di accorciare i tempi per avere l’affidamento ai servizi sociali". E Previti quali vantaggi avrebbe dal condono che azzera in tutto o in parte la pena ma non cancella il reato? "Anche lui con un condono di due o tre anni potrebbe rientrare nei limiti per accedere ai servizi sociali".

La strada indicata da Pisapia potrebbe essere apprezzata anche da molti esponenti del centrodestra, per i quali su Previti c’è stata "una sentenza di regime", e in qualche modo potrebbe essere digerita dal centrosinistra. Insiste Pisapia: "È fondamentale che si sia arrivati a una sentenza e che, malgrado tante leggi ad hoc , questa decisione abbia avuto una conferma in Cassazione. Poi, se queste persone siano in carcere non interessa e non serve a nessuno. L’importante è che, insieme con tanti altri detenuti, possano usufruire di un condono capace di aprire loro la strada dell’affidamento in prova ai servizi sociali". Tutto questo, però, viene dopo la legge delega: "La riforma del codice penale è indispensabile e anche possibile perché la commissione Grosso (insediata dal centrosinistra) e la commissione Nordio (centrodestra) sull’80 per cento delle questioni sono arrivate a conclusioni molto simili".

Giustizia: Cicchitto (Fi); sull’amnistia è giusto aprire un confronto

 

Adnkronos, 9 maggio 2006

 

"La proposta del direttore di Liberazione Sansonetti, partendo dal caso Previti, per una amnistia fino a 6 anni è evidentemente una provocazione, ma è anche sottesa ad un ragionamento tutt’altro che banale e da una cultura garantista, sia pure di segno diverso dalla nostra, con la quale è giusto aprire un confronto civile". Lo ha dichiarato il vice coordinatore di Forza Italia, Fabrizio Cicchitto. "È evidente - osserva cicchetto - che questa ipotesi non dovrebbe essere ad personam, come del resto non lo era la legge ex Cirielli e i fatti stanno a dimostrarlo e a smentire i falsari, ma dovrebbe servire per chiudere una guerra civile fredda iniziata almeno dal 1992 che è tuttora in atto ed è durissima, se non si vogliono raccontare balle come ha fatto Fassino su Il Foglio.

Anch’io come Sansonetti - aggiunge Cicchitto - sento con raccapriccio il disvalore del carcerario, anche se esso non può essere trattato in termini utopici e ideologici. Purtroppo il cappio dei due terzi rischia di impiccare ogni proposito, anche il più equilibrato". "Personalmente - aggiunge il vice coordinatore di Forza Italia - sono laico. Ritengo che la chiesa abbia il diritto di parlare ogni volta che lo ritengo opportuno, salvo il diritto dei cittadini a consentire o di sentire.

Peccato che sull’amnistia un Papa giustamente celebrato ha detto cose che i cattolici impegnati in politica nei vari schieramenti hanno totalmente disatteso". "Comunque, come dimostra anche il caso Previti e altri che lo hanno preceduto nel passato, la violenza dell’uso politico della giustizia dal ‘92 ad oggi è durissima. Chi oggi, ad altro proposito, parla di fine della guerra - conclude Cicchetto - dovrebbe proprio battere un colpo su questo terreno. Sia chiaro che questo discorso non ha proprio nulla a che fare con la scelta del nuovo presidente della Repubblica, su cui anche personalmente ho detto con chiarezza il mio pensiero".

Giustizia: in calo numero detenute madri con figli in istituto

 

Adnkronos, 9 maggio 2006

 

Scende, se pur di poco, nelle carceri italiane il numero delle detenute madri che hanno con sé in istituto bambini al di sotto dei 3 anni, mentre, al contrario, è in crescita la popolazione carceraria femminile nel suo complesso. È quanto afferma il ministro della Giustizia uscente Roberto Castelli nella risposta, giunta alla Camera solo a fine aprile, ad una interrogazione presentata nella scorsa legislatura dalla parlamentare del Pdci Maura Cossutta. Attualmente, le donne detenute sono 2.885, secondo i dati più recenti. Di queste, 56 con figli al seguito. Le detenute straniere, in prevalenza di etnia Rom, rumene e nigeriane, sono 1.349. Le strutture carcerarie che ospitano donne detenute con figli sono in tutto 20, di cui due, Rebibbia a Roma e La Giudecca a Venezia, solamente femminili, mentre negli altri casi si tratta di sezioni femminili di istituti maschili.

La percentuale di donne detenute resta comunque minima rispetto alla popolazione carceraria maschile, oggi a quota 57.032. (segue) Le categorie di reato prevalenti, spiega nel suo intervento Castelli, sono quelle legate all’uso di sostanze stupefacenti, alla prostituzione ed ai reati contro il patrimonio, mentre sono rari i casi di condanne per reati di tipo associativo. Reati che, purtroppo, spesso condizionano negativamente la possibilità per le detenute di beneficiare delle misure alternative alla detenzione. L’amministrazione penitenziaria, sottolinea Castelli, "è comunque consapevole che la condizione delle detenute in generale, e segnatamente quella delle detenute madri, richiede particolare attenzione". Per questo, dice l’esponente del Carroccio, "sono numerose le iniziative destinate a migliorare le condizioni di vita delle detenute".

Fondamentale, secondo il ministro, è "l’opera di educazione, informazione e sostegno" prestata in carcere da operatori specializzati. E quando c’è "un’esigenza continuativa di assistenza alle gestanti, alle puerpere e ai bambini", l’amministrazione penitenziaria, spiega Castelli, "assicura la presenza in istituto di un ginecologo e, se possibile, di uno psicologo specializzato in psicologia evolutiva, organizza asili nido o si adopera per garantire l’accoglienza dei minori negli asili nido del territorio anche oltre il limite di età". Nelle carceri della Giudecca a Venezia e di Rebibbia a Roma i bambini, "grazie alla collaborazione con il Comune e l’assessorato alle politiche sociali -sottolinea Castelli- vengono accompagnati ogni giorno all’asilo nido comunale e riportati nell’istituto penitenziario la sera".

Inoltre, rileva il ministro Guardasigilli, è stata autorizzata la realizzazione di nuovi asili nido e recentemente sono stati attivati i servizi di puericultura, di ludoteca e colonie estive per i bambini. Per la prima volta, infine, è stato messo a punto il progetto Pea 25 a favore della popolazione carceraria femminile che vede coinvolte strutture interne all’amministrazione penitenziaria ma anche esterne "per verificare le condizioni di vita delle donne detenute e per realizzare un’analisi del contesto detentivo ed eventualmente formulare proposte adeguate e soluzioni operative che rispondano ai bisogni dello specifico donna". Da parte dell’amministrazione penitenziaria, conclude Castelli, "c’è la massima attenzione nei confronti delle donne detenute", e non vi è la necessità di istituire, come chiesto nell’interrogazione di Cossutta, un apposito ufficio che si occupi nello specifico del trattamento delle donne detenute.

Giustizia: Manconi; dare domiciliari a detenuto che pesa 270 chili

 

Ansa, 9 maggio 2006

 

"Pensate a una persona che pesi 270 chili: e provate ad immaginarla sola, malata, chiusa nella cella di un carcere. Quello di Pisa, per esempio. La reclusione può diventare, in questo caso, una forma particolarmente efferata di tortura". A ricordare il caso del detenuto di Pisa è Luigi Manconi, responsabile nazionale Diritti civili dei Ds, che ricorda che domani il Tribunale di sorveglianza di Firenze deciderà sulla sua sorte e lancia un appello ai giudici: "mi auguro -dice- che il Tribunale voglia rispettare sia il senso di umanità sia ciò che, in questi casi, la legge prevede: ovvero la detenzione domiciliare".

Manconi ricorda che il detenuto ha raccontato di essere costretto a "urinare e defecare sul pavimento della cella", che la notte "per evitare di soffocare deve dormire seduto sul letto, sostenuto da una sorta di schienale, fatto di cuscini" e che "qualche mese fa è caduto all’interno della sua cella e medici, infermieri e agenti non sono riusciti a sollevarlo da terra, dove è rimasto per ore, schiacciato dal suo stesso peso.

Alla fine è stato rimesso in piedi solo grazie all’intervento dei pompieri e all’ausilio di corde e carrucole". "Appare evidente - dice Manconi - che quel detenuto ha bisogno di cure che i medici del centro clinico del carcere di Pisa (tra i migliori d’Italia) non possono offrirgli. Il professor Ceraudo, dirigente sanitario del carcere, ha certificato per ben quattro volte la sua incompatibilità con la detenzione. Il tribunale di Sorveglianza di Firenze ha ritenuto di dover verificare quella certificazione attraverso il ricorso a periti: e anche questi hanno riconosciuto che il detenuto, con i suoi 270 chili, non può stare in carcere". Per Manconi, però, "i precedenti non rassicurano. Il 7 settembre 2005, nel carcere di Parma, moriva Leone L., trentadue anni, originario della provincia di Padova, pesava più di 260 chili ed è deceduto a causa di problemi di cuore, derivanti dal suo stato fisico".

Caso Izzo: per l'ex compagno di cella corruppe lo psichiatra

 

Il Tempo, 9 maggio 2006

 

Nuovi ed inquietanti scenari si aprono sul periodo di detenzione di Angelo Izzo a Campobasso. Sembrerebbe infatti che "il pentito buono per tutte le stagioni" avesse, ed in più di una occasione, fatto delle richieste particolari per ottenere il regime di semilibertà, per uscire nuovamente dal carcere, malgrado avesse già ucciso due volte con una ferocia inaudita. Nella trasmissione "Chi l’ha Visto?" andata in onda ieri sera infatti sono state proposte testimonianze che, se veritiere, non sarebbero altro che la conferma della follia di quest’uomo. Dichiarazioni che riguarderebbero un compagno di cella di Izzo.

Un detenuto che avrebbe frequentato in carcere il mostro del Circeo. Un uomo che avrebbe reso noto i colloqui con Izzo e che quindi avrebbe riaperto le polemiche sulla "facile" scarcerazione di cui ha goduto il "pariolino". Infatti, dalle dichiarazioni rese dal detenuto, sembra che Angelo Izzo abbia pagato lo psichiatra del carcere di Campobasso al fine di avere una documentazione "favorevole", una documentazione che in un certo senso alleggerisse la sua posizione. Inoltre, stando sempre alle dichiarazioni rese dal detenuto, compagno di Izzo a Campobasso, sembra che quest’ultimo in più di una occasione avesse mostrato, nel suo delirio senza limiti, la volontà di uccidere il presidente del Tribunale di sorveglianza di Campobasso.

Asti: libro di favole scritto dai detenuti e illustrato dai bambini

 

Tecnica della Scuola, 9 maggio 2006

 

Un libro magico che nasce dalla collaborazione tra gli alunni della scuola primaria Anna Frank di Asti e quindici detenuti del carcere cittadino, un progetto che realizza un nuovo modo di trasformare e trasformarsi attraverso la narrazione. Il libro "La città dei dolcetti e altre meraviglie", storie per bambini sulla natura, scritte dai detenuti del carcere di Asti e illustrate dalla scuola primaria Anna Frank, è stato accolto da un pubblico numeroso assiepato nella sala del Centro Congressi Asl della città di Asti, lo scorso 6 maggio. Nel corso della cerimonia di presentazione sono state consegnate inoltre numerose copie del volume ai reparti di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile dell’ ospedale cittadino, Cardinal Massaia. Hanno presentato l’evento il direttore della Casa Circondariale Domenico Minervini, la giornalista Laura Nosenzo ideatrice del progetto e la referente della scuola primaria Anna Frank, Silvana Francese.

Un’iniziativa che parla la lingua della speranza, comunicata con un linguaggio insieme semplice e magico, ricco di sfumature. Il linguaggio delle Favole. Una quanto mai improbabile sinergia che ha regalato dei frutti dolcissimi. Senza dubbio si tratta di un libro particolare, venti storie per bambini scritte da autori alquanto inconsueti, i detenuti del carcere di Asti, corredato dalle tavole a vivaci colori prodotte da altrettanto inusuali illustratori, i bambini. Gli stessi, hanno anche realizzato una mostra con oltre 300 disegni che resterà in visione per tutto il mese di maggio nella piazza dell’ospedale. La manifestazione ha avuto il suo momento più toccante nell’appuntamento di chiusura, quando le favole sono state lette dai clown terapisti dell’associazione "L’arte del sorriso" ai bambini ricoverati nella pediatria di Asti. Il volume è stato anche tradotto in arabo e albanese.

Ragusa: per detenuto violento una condanna a tre mesi

 

La Sicilia, 9 maggio 2006

 

A due mesi e quindici giorni di reclusione è stato condannato ieri mattina in tribunale (giudice monocratico Andrea Reale, pubblico ministero Giovanni Scarso) l’algerino Haili Faad, 36 anni, ritenuto responsabile di oltraggio e di tentate lesioni, durante un suo periodo di detenzione al carcere di contrada Pendente, nei confronti di un ispettore della polizia penitenziaria. Durante l’ora di aria il detenuto algerino aveva dato del "razzista" all’esponente della polizia penitenziaria e quindi aveva tentato di ferirlo al volto con una lametta per la barba. I fatti si sono verificati il 17 maggio del 2003. Il pubblico ministero per l’imputato (che era difeso dall’avv. Aida Failla) aveva chiesto la condanna a tre mesi di reclusione.

 

 

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