Rassegna stampa 20 luglio

 

Indulto: ok dalla Commissione Giustizia, lunedì il testo in aula

 

Agi, 20 luglio 2006

 

Via libera della Commissione Giustizia della Camera all’indulto. La commissione ha concluso i lavori e ha dato mandato al relatore, Enrico Buemi (Rosa nel pugno), a riferire sul provvedimento di clemenza che approderà in aula a Montecitorio, per la discussione generale, già lunedì prossimo, 24 luglio. Il testo prevede uno sconto di pena di 3 anni e cancella le pene accessorie temporanee. Ma non vale per le interdizioni e le pene accessorie permanenti, novità introdotta ieri da un emendamento ulivista ribattezzato anti-Previti perché di fatto impedisce al deputato di Forza Italia di tornare in Parlamento.

Dal beneficio del provvedimento di clemenza sono, tra l’altro, esclusi molti reati dal terrorismo alla mafia, dalla pedo-pornografia alla violenza sessuale, dai sequestri alla tratta di persone, dal riciclaggio allo spaccio di droga. L’indulto, inoltre, prevede che chi commette un nuovo reato entro cinque anni perde il beneficio e ritorna in carcere. L’indulto è concesso per i reati commessi fino al 2 maggio 2006. Il sì all’indulto è trasversale. Restano i no di Lega, di An (seppur con qualche margine) e dell’Italia dei Valori (perché lo sconto di pena è anche per chi ha commesso reati di corruzione e contro la Pubblica Amministrazione) con il ministro Di Pietro che ha minacciato di dimettersi.

"La Commissione Giustizia - afferma il presidente, Pino Pisicchio - ha adempiuto in termini veloci al suo mandato, con un rapporto assolutamente collaborativo di grande significato con tutti i gruppi, anche quelli che non erano d’accordo. Ma non hanno mai posto questioni pregiudiziali al provvedimento. Ringrazio tutti i gruppi per il modo serio - prosegue - con cui hanno affrontato questo dibattito, in modo rispettoso". Pisicchio nota inoltre che si tratta di un provvedimento di natura parlamentare per il quale serve, ricorda, il quorum dei 2/3 e osserva: "Allo stato dell’arte probabilmente questo rappresenta l’unico percorso possibile in questo contesto". L’amnistia, infatti, è stata stralciata e su questo il dibattito riprenderà dopo l’estate.

Indulto: Bertinotti; provvedimento da approvare entro agosto

 

Il Gazzettino, 20 luglio 2006

 

Nemmeno il richiamo del Presidente della Camera Bertinotti fa indietreggiare Di Pietro e sull’indulto resta la scure delle sue annunciate dimissioni. È la mattinata di ieri quando Bertinotti, in un affollato sopralluogo per i lavori della facciata di Montecitorio, dialogando con i giornalisti conferma, quasi con una certa sicurezza che sull’indulto bisognerà "lavorare uniti per superare le divisioni tra Poli e arrivare al suo varo entro agosto". Quindi secondo il Presidente della Camera, tutto dovrebbe chiudersi entro la prima settimana di agosto, cioè prima della chiusura estiva di Montecitorio.

Resta un auspicio per la terza carica dello Stato: lavorare con grande impegno affinché ci siano misure di clemenza "almeno per l’indulto, senza con questo separare la questione dell’amnistia - dice - che potrà essere affrontato in un rapporto più organico con l’ordinamento". Ma ora bisogna fare presto perché Bertinotti, sposando il dolore di coloro che soffrono, dice che bisogna "alleviare la pena per chi sta nelle carceri, che una è una pena aggiuntiva rispetto a quella comminata da un giudice". E mentre in Parlamento risuona ancora la voce del Santo Padre che, nella sua visita, toccò il dramma delle carceri e dei detenuti, con un sentito applauso bipartisan, oggi nella maggioranza resta il diniego.

Quello di Antonio Di Pietro che sull’indulto non fa sconti e parla di un "colpo di spugna gravissimo per tutti i fatti di mala amministrazione e di mala attività imprenditoriale degli ultimi anni: è un colpo di spugna che neanche il governo Berlusconi ha fatto. Sono indignato". E poi manda a dire al senatore Ds, Massimo Brutti, che lo aveva accusato di essere un personaggio vendicativo, Di Pietro risponde: "Qui non si tratta di persone che stanno in prigione, si tratta di persone responsabili di reati come tangentopoli, calciopoli e furbetti del quartierino".

Per l’ex pm, quindi, non c’è altra strada se non quella della minaccia delle dimissioni se il Governo dovesse fare uno sconto di pena senza precedenti. Da Palermo, dove si commemorava la strage di via D’Amelio, Mastella smorza i toni perché "La commissione giustizia - dice - sta lavorando bene" e giudica quella dell’indulto "la strada giusta e corretta". Non crede alle dimissioni l’ex guardasigilli. Roberto Castelli racconta come ieri, in commissione giustizia, l’esponente del suo partito abbia tenuto un profilo basso e abbia votato a favore del mandato al relatore Buemi per poi dichiarare, alla fine che, nel merito, non era d’accordo. "Grande coerenza quindi da parte di Di Pietro - conclude Castelli - che per farsi bello con l’opinione pubblica dichiara grande fermezza, e poi manda il delegato del suo partito a votare favore".

Indulto: le buone ragioni dei Ds a favore della clemenza

 

www.radiocarcere.com, 20 luglio 2006

 

Oggi è possibile approvare un provvedimento di clemenza. Un provvedimento necessario, anzi urgente e da troppo tempo atteso, che consenta di alleviare concretamente le condizioni drammatiche e di autentica emergenza in cui si trovano le nostre carceri. Un provvedimento non più rinviabile che per troppe volte è stato espulso dall’agenda politica. Esistono le condizioni per dare il via libera, entro l’estate, ad una legge di indulto. Possiamo giungere, superando i dissensi, ad un’intesa largamente maggioritaria, come richiede la Costituzione per approvare una legge utile e umana, in nome dell’interesse generale, sottraendo per una volta la giustizia al terreno dell’aspro conflitto politico che ha segnato questi ultimi anni.

Il Ministro della Giustizia, si è pronunciato in modo netto e senza riserve a favore di un provvedimento di clemenza.

Crescono le voci dei leader e dei parlamentari che condividono un simile orientamento.

Risale a ben sedici anni fa l’ultimo atto di clemenza. E se oggi il Parlamento è chiamato a prendere una decisione, questo accade perché è aumentato oltre misura il sovraffollamento delle carceri italiane: sono ben sessantamila i detenuti letteralmente stivati in condizioni disumane in un sistema carcerario dalle strutture e dal personale inadeguati.

Di qui il disagio dei detenuti, l’indecenza delle loro condizioni di vita, l’impossibilità di garantire la missione rieducativa che la Costituzione assegna alla pena detentiva e di consentire il reinserimento sociale dopo il carcere. Poco importa che la popolazione carceraria sia per lo più composta da persone che hanno commesso reati di lieve entità e da tossicodipendenti o da detenuti che devono scontare brevi residui di pena. In carcere si vive come in un inferno. Non è questo che serve per tutelare la sicurezza dei cittadini; al contrario, sappiamo bene come l’esperienza del carcere porti nuovamente sulla strada della violazione delle leggi e della criminalità, rivelandosi di fatto criminogena.

Dobbiamo constatare che nulla è stato fatto negli anni passati per intervenire con efficacia e per migliorare le condizioni delle carceri. Al contrario, molte delle leggi del governo di centrodestra che ci ha preceduto, dalla ex-Cirielli alla Bossi-Fini sull’immigrazione, alla legge sulle droghe firmata da Fini e Giovanardi, hanno contribuito e ancora di più potrebbero contribuire con la loro applicazione futura, a moltiplicare la popolazione carceraria. Noi vogliamo abrogare le norme della ex-Cirielli e modificare profondamente quelle sull’immigrazione e le tossicodipendenze.

La legge di indulto alla quale stiamo lavorando deve intervenire sul periodo finale delle pene: esso non può applicarsi ai reati più gravi e di maggiore allarme sociale, dalla criminalità organizzata al terrorismo, ai reati sessuali e di pedofilia, che vanno esclusi.

Essa riguarderà tanti uomini e donne che sono ammassati dietro le sbarre (spesso persone povere che vivono ai margini della società e che hanno sommato pene detentive brevi, o stranieri che sono in carcere per avere violato le norme della Bossi-Fini in materia di espulsione).

Per i reati contro la pubblica amministrazione, i reati finanziari e i fatti di corruzione, è necessario che le responsabilità e le complicità vengano accertate, che i processi si svolgano (e su ciò l’indulto non incide) ma uno sconto relativo alla pena detentiva non è in contrasto con esigenze e principi di giustizia.

Abbreviare la reclusione è un atto di umanità che non cancella la colpevolezza degli autori di questi reati né può attenuare la riprovazione sociale nei loro confronti. Naturalmente, tutta la disciplina delle pene accessorie non temporanee, tra cui emblematica la interdizione perpetua dai pubblici uffici, fissata dal codice penale, resta ferma e non può essere modificata dall’indulto.

Speriamo dunque in questi giorni per una conclusione concreta e rapida. Non solo lavoreremo nei prossimi mesi intorno all’ipotesi di un’amnistia che, tenendo conto della posizione delle varie forze politiche, è più difficile da realizzare, ma soprattutto avvieremo in Parlamento, ricercando i consensi più ampi, una nuova stagione di riforme per rendere il carcere più umano (a cominciare dalla legge sul Garante dei diritti dei detenuti) e per dare più efficienza alle istituzioni giudiziarie. Il che è essenziale per la legalità e la sicurezza dei cittadini.

 

Massimo Brutti

Responsabile Giustizia dei Democratici di Sinistra

Indulto: forse è la volta buona, di Giuliano Pisapia (Prc)

 

www.radiocarcere.com, 20 luglio 2006

 

Forse è la volta buona! Dopo illusioni e delusioni, promesse e impegni mancati, pare proprio che, finalmente, in Parlamento vi sia quella maggioranza necessaria per l’approvazione di un provvedimento di indulto. I detenuti, le forze politiche, le donne e gli uomini che in questi anni si sono battuti - con grande maturità (che parte del mondo politico non ha mostrato) - per un atto di clemenza, possono oggi essere, pur con la massima prudenza, un po’ più ottimisti del passato. La Commissione Giustizia della Camera, infatti, ha approvato - col voto contrario di A.N., Lega e Italia dei Valori - il testo di un indulto di tre anni; il Presidente Bertinotti ha fissato la discussione in aula per il 24 luglio; il Senato si è impegnato a non sospendere i lavori prima del voto finale sul testo approvato dalla Camera. Entro l’estate, quindi, oltre 10.000 persone potrebbero vedere la libertà; altri usufruire delle misure alternative. Le condizioni di vita saranno meno disumane non solo per i detenuti, ma anche per chi opera e lavora quotidianamente negli istituti penitenziari: è significativo, del resto, che si siano dichiarati favorevoli a un provvedimento di clemenza anche i sindacati della polizia penitenziaria, i magistrati di sorveglianza, gli educatori, gli psicologi e gli operatori sanitari che prestano la loro delicata attività in carcere.

Tutto ciò sarà possibile in quanto, anche chi era favorevole a un provvedimento complessivo, ha accettato, pur di raggiungere la maggioranza necessaria, di limitarsi, per ora, all’indulto, nella consapevolezza però dell’urgenza anche di un’amnistia. L’indulto, infatti, incide sul numero dei detenuti; l’amnistia sui tempi della giustizia (sono oltre 2 milioni i processi penali pendenti). Solo evitando di celebrare processi destinati ad una sicura prescrizione (o a una pena già condonata), è possibile evitare il fallimento di altre riforme, necessarie ed urgenti, per una giustizia celere, efficiente e garantista. L’annunciato ostruzionismo della Lega e di A.N., l’incomprensibile ostilità dell’I.D.V. - malgrado la fiducia concessa a Prodi, che si era espresso in Parlamento a favore di un provvedimento di clemenza - ha determinato la decisione di limitarsi ad approvare uno sconto di pena, purché ciò avvenga entro agosto e, a settembre, riprenda il confronto sull’amnistia. Il rischio, infatti, era, ed è, che i veti incrociati finissero col bloccare tutto (come era avvenuto lo scorso gennaio).

Non tutti gli scogli, però, sono superati. Primo fra tutti quello dei reati da comprendere, o da escludere, nel provvedimento di clemenza. Per quanto riguarda l’amnistia, una soluzione potrebbe essere quella di prevedere, per determinate fattispecie, la loro inclusione in presenza di specifiche attenuanti (es. danno di "lieve entità"; l’aver agito "per motivi di particolare valore morale e sociale"; risarcimento del danno o, in caso di impossibilità, una condotta tesa a elidere o attenuare le conseguenze dannose del reato). Il testo approvato in Commissione già prevede, per l’indulto, alcune esclusioni oggettive (mafia, terrorismo, violenza sessuale, pedofilia). Bisogna evitare una "rincorsa" a ulteriori esclusioni: il rischio, infatti, sarebbe quello di un ennesimo, e irresponsabile, fallimento. Chi ha commesso un reato più grave, del resto, già è stato condannato a una pena maggiore e quindi, prima di essere scarcerato, dovrà aver scontato un più lungo periodo di detenzione. È più efficace, per limitare la recidiva e meglio tutelare le esigenze di sicurezza della collettività, prevedere, in caso di nuovo reato, la revoca della diminuzione di pena: una "spada di Damocle" che, in passato, si è mostrata particolarmente efficace!

Proprio per questo è indispensabile continuare la mobilitazione per impedire che, ancora una volta, ricatti di vario genere (o differenziazioni strumentali e/o demagogiche) facciano fallire la difficile mediazione raggiunta. Ognuno deve assumersi fino in fondo le proprie responsabilità, sapendo che l’attuale situazione carceraria è, a dir poco, infernale e, quindi, inammissibile per un Paese civile e che, in Italia, dal 1861 ad oggi vi sono stati 333 provvedimenti di clemenza (uno ogni 4 mesi); dal 1947 al 1990, 49; dal 1990 ad oggi, nessuno. E che la gran parte della popolazione carceraria è composta da tossicodipendenti, immigrati, emarginati (meno del 12% è responsabile di fatti di sangue o di criminalità organizzata) e da imputati in carcerazione preventiva (quindi presunti non colpevoli). Ecco perché il Parlamento ha il dovere - politico, giuridico e morale - di porre fine, al più presto, alla persistente, e inaccettabile violazione del principio costituzionale, per cui le pene "non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

Indulto: il senso della pena, di Gaetano Pecorella

 

www.radiocarcere.com, 20 luglio 2006

 

È il tempo, l’unità di misura della pena e, quindi, dei diritti perduti: un giorno, un mese, un anno corrispondono ad un quantum di libertà in meno, di assenza di rapporti sociali e familiari, di esclusione dalla normalità della vita. Ma il tempo in sé, per chi è in carcere, può costituire una sofferenza ulteriore, a seconda delle condizioni in cui il condannato continua ad avere quel minimo di libertà che gli è concessa. Quanto più il carcere soffoca chi vive in una cella con troppi compagni di detenzione, quanto più è privato della possibilità di leggere, di lavorare, di svolgere una qualunque attività, tanto più quel tempo si trasforma in un aumento di umana sofferenza. In una situazione di normalità la pena dovrebbe consistere soltanto nella perdita di quella libertà che sta fuori dal carcere, mentre in carcere si dovrebbe garantire che un uomo possa restare tale svolgendo ogni forma di attività che gli consenta di rieducarsi e di essere pronto a rientrare nella società. Ciò non accade nelle carceri italiane, ormai da molti anni, ed è per questo che la concessione dell’indulto, così spesso ripetuto nel tempo, aveva e ha oggi una sua moralità. Sicuramente la pena va eseguita: solo la certezza di non potervisi sottrarre fa da contro spinta alle scelte criminali. Tuttavia, la pena che lo Stato ha diritto di infliggere, secondo i trattati internazionali sui diritti dei detenuti, alla luce dell’articolo 27 della Costituzione, è la pena che deve corrispondere ad un senso di umanità e deve tendere a migliorare il condannato, non a fare di lui un soggetto carico di odio verso una collettività che non lo ha trattato da "persona". Il tempo trascorso in carcere non è sempre uguale: quanto maggiore è la sofferenza, tanto più lungo diventa il tempo anche se il numero dei giorni è sempre lo stesso. Per questo abbiamo il dovere di abbreviare le pene inflitte, perché non siamo stati capaci di far sì che il carcere fosse soltanto privazione della libertà e non un luogo di oppressione. Stando così le cose appare priva di ogni razionalità l’esclusione dall’indulto di chi sia stato condannato a reati particolarmente odiosi: se l’indulto è una forma di riparazione, sia pure eccezionale, che lo Stato deve per non avere rispettato le regole che lui stesso si è dato, a livello costituzionale, tutti avrebbero diritto a che la particolare crudezza della pena sia mitigata dalla riduzione del tempo della sua esecuzione. Ma il naturale rifiuto a perdonare misfatti particolarmente ignobili costringe ad una soluzione che in sé non sarebbe giustificabile. Quanto meno, però, si abbia il coraggio di contenere nel minimo possibile le esclusioni dall’indulto, perché questo non diventi una forma mirata nei confronti di qualcuno o ancor peggio una specie di regolamento dei conti con avversari politici. È ciò che sta facendo chi sta ponendo condizioni inaccettabili alla sua stessa maggioranza. La minaccia di una crisi di governo, se l’indulto non sarà il mezzo per proseguire, in sede legislativa, ciò che si era iniziato con la toga addosso, è a metà tra il cinismo e la irresponsabilità. Certo, l’indulto è e deve restare, una soluzione di emergenza a cui lo Stato non dovrebbe mai pervenire avendo provveduto per tempo ad adeguare le strutture carcerarie a condizioni di vita che garantiscano un livello minimo di umanità e rendano possibile l’istruzione e il lavoro. Ma vi è un limite alla possibilità di costruire carceri e di farne dei luoghi di recupero sociale se non altro per l’equilibrio che si deve mantenere con altri investimenti ancor più necessari, come la scuola o la sanità. Il carcere, perciò, deve diventare uno strumento a cui si ricorre se nessun’altra misura è in grado di garantire il rispetto della legge e il controllo sulla devianza. Il carcere deve essere riservato ai soggetti pericolosi per la criminalità violenta a cui sono dediti o perché sono parte di associazioni criminose. Si parla da anni di far diventare quelle che oggi sono le pene accessorie, la risposta principale al crimine. Nulla, però, si è ancora fatto. Ma anche su ciò ci si deve intendere. Le nuove pene devono essere concepite non come una privazione dei diritti, e cioè delle forme di interdizione, perché chi venga lasciato libero, membro della società alla pari con tutti gli altri, se non potrà avere una occupazione, inevitabilmente ricadrà nel delitto, ed in forme sempre più gravi. Pertanto, le pene da inventarsi devono consistere, viceversa, in un impegno al servizio della società, così da rendere il condannato un soggetto responsabile che si sente partecipe della produzione nell’interesse di tutti. Ma anche ciò dovrebbe tenersi presente intervenendo con un provvedimento di indulto: bisogna evitare che un condannato sia rimesso in libertà avendo scontato la pena grazie al beneficio che gli viene concesso, ma nello stesso tempo sia a lui interdetto di ricominciare a lavorare, a sentirsi utile, ad essere uomo fra gli uomini.

 

Gaetano Pecorella

Capogruppo F.I. Commissione Giustizia Camera dei Deputati

Lettere: da Milano a Palermo, 63 mila detenuti che sopravvivono

 

www.radiocarcere.com, 20 luglio 2006

 

In Italia ci sono 63 mila detenuti. Il sistema penitenziario ne può ospitare al massimo 43.000. Un esubero 20.000. Fenomeno etichettato con il termine sovraffollamento. Parola astratta alla quale va dato un contenuto concreto. L’effetto del sovraffollamento. Lo stare in una cella senza avere lo spazio vitale. La mancanza di aria. La non possibilità di vivere. L’essere condannati a sopravvivere. La perdita della dignità, la negazione del diritto alla salute, la violenza. In altre parole una pena disumana. Il sovraffollamento. Un effetto. Un giorno passato in un carcere ha una valenza enne volte superiore a quella che il nostro ordinamento prevede.

 

Milano: carcere di Opera.

Capienza regolamentare 880.

Capienza effettiva 1.417 detenuti

Tiziano, 44 anni, è uno di loro: "Io ho l’Aids, e appena sono entrato nel carcere di Opera mi hanno messo nel centro clinico. Cosa del tutto inutile. Il centro clinico non è altro che una parte del carcere. È diviso in celle. E dentro le celle ci sono 5 persone. Si tratta di gente gravemente malata, che viene tenuta chiusa per 23 ore al giorno. Per loro poche sono le cure mediche. Oltre alla sofferenze, in quella cella del centro clinico vedi scene che non dimentichi. Qualche mese fa il bagno della cella si è rotto e noi dovevamo fare la cacca nel letto sulla carta di giornale. È deprimente stare lì. E c’è chi non ce la fa. Ricordo un ragazzo, che era paralizzato su una sedia a rotelle. Una mattina lo hanno trovato impiccato. Poi mi hanno messo nella sezione comune. La mia cella era di 8 mq e dentro ci stavamo in 7 detenuti. Anche lì sempre chiusi per tutto il giorno. Inventavamo la vita in quella cella. Una cella dove, oltre a un caldo soffocante d’estate, c’è una gelo incredibile d’inverno.

Infatti a Opera il riscaldamento non funziona quasi mai e per non ammalarci la notte dormivamo vestiti. Poi, quando pioveva, l’acqua ci entrava in cella e l’umidità ci spaccava le ossa. Abbiamo temuto il peggio quando si è diffusa l’influenza in carcere, anche perché a Opera trovare solo un’aspirina è un miracolo. Come trovare un medico. Ricordo di un mio amico che ho visto accasciarsi al suolo, con una mano sul petto. Non respirava quasi più. Se non c’eravamo noi detenuti a rianimarlo era morto, perché i soccorsi sono arrivati due ore dopo. Se oggi penso al carcere di Opera, se penso al tempo della mia pena, penso a un luogo fine a se stesso, a un tempo senza speranza."

 

Venezia: carcere Santa Maria Maggiore

Capienza regolamentare 111 persone

Capienza effettiva 270 detenuti

Claudio 42 anni: " Una vecchia condanna e un avvocato smemorato mi hanno fatto passare un anno nel carcere di Venezia. I primi mesi però non li ho passati in cella. Quelle erano già tutte strapiene. Io ed altri sventurati senza posto in cella siamo stati sistemati nella sala del ping pong del carcere. Senza bagno, senza riscaldamento e, soprattutto, senza letti. Eravamo 15 ammassati in quello stanzone. Tra di noi, i più fortunati dormivano su materassi messi per terra. Altri, i meno fortunati, dormivano sulle sedie, con la testa appoggiata al muro oppure sul tavolo da ping pong. Questa scena è di qualche mese fa non di un secolo fa. Dopo si è liberato un posto per me in cella. Eravamo in 8 detenuti dentro una cella di 7 mq. I letti a castello erano a tre piani e io dormivo al terzo piano. Non più di 40 centimetri dividevano la mia faccia dal soffitto, è come dormire dentro una bara. Lo spazio per muoverci in quella cella era minimo eppure ci passavamo 21 ore al giorno, chiusi, sempre chiusi.

Poi il buio anche di giorno. Le chiamano bocche di lupo. Sono delle lastre che stanno fuori dalla finestra della cella, lastre che ti permettono solo di vedere una piccola striscia di cielo.

A noi nel carcere di Venezia il cielo è negato."

 

Firenze: carcere di Sollicciano

Capienza regolamentare: 471 persone

Capienza effettiva: 1060 detenuti

Stefano, 45 anni: "Arrivato a Sollicciano mi portato nella cella del transito. Il transito è zona di nessuno. La cella di transito è piccola, dentro due o tre brande. I materassi sono rotti e non c’è il cuscino. È una cella vuota, non c’è nulla neanche uno sgabello o una sedia, nulla. Il bagno è fatto da un cesso alla turca e un lavandino, ma devi essere fortunato a trovarlo che funziona. Nessuno pulisce quella cella e spesso, proprio lì, ci si prende la scabbia.

Dopo un po’ di giorni mi hanno portato nella cella dove avrei scontato la mia pena. Era grande 8 mq, con un piccolo bagno. Dentro eravamo quattro detenuti. C’era un letto a castello di tre piani e il quarto detenuto dormiva per terra su un materasso. La nostra giornata a Sollicciano era stare in cella per 22 o 23 ore al giorno. La televisione il nostro unico svago. Quest’inverno ha fatto la sua ricomparsa la violenza nel carcere di Sollicciano, e sono stati denunciati dei pestaggi a danno di detenuti. La scena è sempre la stessa: all’improvviso 7, 8 guardie con tuta mimetica, scarponi, guanti e passamontagna, irrompono in cella. Bloccano gli altri detenuti sul letto e ne prendono uno. Per quel detenuto, trascinato via dalla cella, un futuro già scritto. Lo partano in una cella di isolamento e lì lo gonfiano di botte. Tornerà in cella solo quando i lividi delle botte gli saranno passati. Inoltre a Sollicciano è sempre più difficile essere curati se si sta male.

I medici sono pochi e le medicine sempre meno. Ricordo un detenuto che si chiamava Totò, 65 anni. È morto qualche mese fa per un infarto. Totò aveva iniziato a lamentarsi per un dolore al petto. Loro hanno pensato che lui simulava. Ma invece Totò stava male veramente. Nella notte si è aggravato ed è morto in cella. Questa è la morte naturale in carcere."

 

Roma: carcere di Rebibbia

Capienza regolamentare 1.070 persone

Capienza effettiva: 1.600 detenuti

Gianni, 32 anni: " Ero detenuto nel reparto G 9 per scontare 8 mesi di reclusione per una condanna del 1992. La nostra cella era di 8 mq, e noi eravamo in 7 detenuti. C’era pure un cesso alla turca e un lavandino. Quando uno di noi andava al bagno per fare i bisogni era costretto a lavarsi con una bottiglia, perché il bidè non c’è. Ci cucinavamo pure in quel cessetto. Lo facevamo usando un fornello da campo. La nostra rieducazione a Rebibbia? Giocare a carte o guardare la televisione. In altre parole sei parcheggiato lì e aspetti che finisce la pena. Qualcuno lavora, ma si tratta di pochi detenuti che devono scontare una lunga pena. La maggior parte dei detenuti a Rebibbia non possono far nulla e la loro vita è ora d’aria, cella, cella ora d’aria. E ti dico la nostra era una cella di fortunati. A Rebibbia, ci sta gente messa nella sala ping pong. In quella stanza ora ci stanno chiusi 12 o 13 persone, con un bagno piccolissimo. Quella non è una stanza costruita per farci una detenzione. Anche a Rebibbia, come ogni altro carcere, quando aumentano i detenuti aumenta la severità, le botte. Così anche a Rebibbia, e non è un mistero, ci sono le squadrette, formate da 4 o 5 agenti. Entrano in cella, fanno uscire tutti i detenuti tranne uno. Sarà lui, a torto o a ragione, a essere menato. In un carcere grande e sovraffollato come Rebibbia, il problema che si sente di più è la salute. Stava in cella con me un signore di 60 anni malato di diabete. Graziano si chiamava. Il diabete gli ha preso gli occhi e, senza cure mediche, in pochi mesi è diventato cieco. Dopo l’anno fatto uscì, ma dopo."

 

Napoli: carcere di Poggioreale

Capienza regolamentare: 1.300 persone

Capienza effettiva: 2.200 detenuti

Francesco, 38 anni: " Nel carcere di Poggioreale ho scontato 3 anni in una cella chiamata lo stanzone. È una cella grande, ma lì dentro eravamo più di 20 detenuti e restavamo chiusi 22 ore al giorno. C’era solo un bagno, che funzionava anche da cucina. Lì noi ci facevamo tutto, anche la doccia utilizzando delle brocche. Per quanto tutto questo possa sembrare insopportabile per un uomo c’è altro che ti strappa via la voglia di guardarti allo specchio. A Poggioreale c’è violenza. Violenza che è prima morale perché ti fanno sentire che tu lì non sei niente e non conti niente. Tu sei solo un detenuto. Sei solo uno che svegliato con un urlo deve scendere dalla branda di scatto, tenere le mani dietro la schiena e restare con la testa bassa a guardare per terra. Poi a Poggioreale c’è la violenza fisica, che è tutti i giorni. Basta che la guardia sente un batti becco tra due detenuti, allora entrano ti scendono giù e ti portano in un’altra cella. Lì trovi minimo 5 o 6 guardie che iniziano a menarti da dietro, calci pugni cazzotti e robe varie. Se tu rispondi ti mandano nella cella di punizione che è una cella liscia, chiamata così perché è vuota. Ti chiudono senza vestiti, senza una branda dove dormire e ti tormentano con l’idrante. Quando dallo sportelletto della cella vedono che sei ancora in piedi e loro sono stanchi usano i detenuti extracomunitari per farti menare. Quei poveracci lo fanno in cambio di un pò di vino oppure perché se l’extracomunitario non mena te sono loro poi a menare l’extracomunitario. A Poggioreale di notte non c’è silenzio. A mezzanotte, spente le televisioni in tutte le celle, si sentono le urla e i pianti di supplica di chi non vuol essere picchiato.

 

Palermo: Carcere dell’Ucciardone

Capienza regolamentare: 380 persone

Capienza effettiva: 660 detenuti

Alfredo, 33 anni: "Una cella di 8 mq e un piccolo cesso, da dividere con 13 persone. Questa è stata la mia detenzione all’Ucciardone. Intorno a noi, in quella cella, muri scrostati , pieni di muffa, e scarafaggi a volontà. In quella cella, oltre ai letti, non c’era neanche lo spazio per un tavolino. Dalla finestra della cella non entrava né luce né aria, in quanto, oltre alle grate, c’erano delle lastre di vetro, che noi chiamiamo le gelose. D’estate, dentro una cella così piena di gente, si soffre un caldo pazzesco.

Ti manca il respiro e la sera, come se non bastasse, ci chiudevano anche la porta di ferro della cella, il c.d. blindato. Di notte, per riuscire a dormire, eravamo costretti a bagnare le lenzuola pur di avere un po’ di fresco. Nel carcere dell’Ucciardone ci sono talmente tanti detenuti che anche l’acqua diventa un problema. Ci veniva razionata ad orari ben precisi. La nostra condanna era quella cella, così come la nostra rieducazione. E poi le punizioni giornaliere degli agenti. A turno uno di noi veniva spogliato nudo e lasciato nel corridoio con la faccia contro il muro. Per un detenuto è vietato guardare in faccia un agente. La testa deve essere chinata o appunto voltata verso il muro. Sono cose che creano tensioni tra agenti e detenuti e, anche per una parola di troppo, rischi la cella di isolamento o la squadretta dei Gom, pronta a entrare in cella con passamontagna, stivali e idrante. Lì tanti detenuti, senza nome, patiscono, anche per ignoranza, queste pene in più. Alcuni smarriscono la speranza e si tagliano le braccia o si uccidono. Sono soprattutto extracomunitari o tossicodipendenti le vittime di ogni giorno: si tagliano con la lametta o inalano il gas. Li vedi magari intenti a mettere a bagno le lamette insieme all’aglio, perché così il sangue esce di più. Poi le urla, la disperazione. Poco prima di uscire dall’Ucciardone ho visto celle tanto affollate che un detenuto era costretto a dormire per terra."

L’indulto non opererebbe uno sconto di pena ma ristabilirebbe la legalità. Accertando che coloro che stanno scontando una pena, per le condizioni delle carceri Italiane, effettivamente l’hanno già scontata.

 

Carmine dal carcere Poggioreale di Napoli

"Caro Riccardo mi trovo detenuto nel primo piano, stanza n. 1 del padiglione San Paolo del carcere Poggioreale. Il Padiglione San Paolo è una specie di centro clinico qui nel carcere di Napoli. Questa lettere la sto dettando a un mio compagno di detenzione perché io non ho le forze per scrivere. Sono malato e quando mi devo muovere uso una sedia a rotelle. Di fatto sto a letto quasi tutto il giorno. Da quando sono detenuto le mie condizioni di salute sono andate via via peggiorando. Ti dico solo che dal mese di febbraio ad oggi sono dimagrito 15 chili. Io ti scrivo per documentare con il mio corpo, con la mia sofferenza le pene in più che si devono subire in carcere. Per le mie condizioni di salute dovrei ottenere una detenzione in Ospedale ma in carcere tutto diventa difficile e i tempi terribilmente lunghi. Io sono esausto e non ce la faccio più, mi sento di essere arrivato alla fine. Termino qui augurandoti ogni bene e da me e da tutti i detenuti nel Padiglione San Paolo di Poggioreale un abbraccio a te."

 

M. dal carcere dell’isola di Favignana

"Caro Riccardo sono un tuo giovane lettore. Dico giovane perché ho solo 19 anni. Purtroppo ho commesso un reato quando avevo 18 anni e mal difeso da un avvocato mi sono trovato in carcere senza benefici. Il mio primo periodo in carcere non lo dimenticherò mai. Avevo 18 anni e ero nel carcere di Bergamo. Mi hanno messo in un buco di cella di 7 mq, fatta per 3 persone. Dentro quella cella eravamo in 6 detenuti. Dormivamo, anzi vivevamo sui letti, che erano due file di letti a castello a tre piani. Per me è stato un incubo ed ero terrorizzato. Erano tutti detenuti più grandi di me. All’inizio sembravano trattarmi bene ma poi le cose sono cambiate. Mi hanno iniziato a farmi fare i lavori più umili, come pulire la cella o fare il bucato. Ma nel carcere di Bergamo ci sono anche situazioni peggiori. Ci sono i cameroni, ovvero celle un po' più grandi, con dentro 12 o 15 persone oppure ci sono le salette che servono per il deposito attrezzi che quando il carcere è stracolmo di fanno dormire i detenuti. In quelle salette ci fanno stare fino a 12 detenuti, senza bagno e quindi senza potersi lavare. Io, ad appena 18 anni questo ho passato nel carcere di Bergamo. Ma al peggio non c’è mai fine. Un giorno, all’improvviso , mi hanno trasferito qui nel carcere dell’isola di Favignana, dove per la lontananza non posso fare i colloqui con i miei familiari. Come nel carcere di Bergamo anche in questo di Favignana non ci sono educatori o psicologi. Qui la parola rieducazione non ha significato. Inoltre le celle del carcere di Favignana sono messe 11 metri sotto il livello del mare e noi viviamo in piccole celle sepolti vivi.

Questa, caro Riccardo, è la detenzione per me. O meglio anche per me che ho solo 19 anni. A te Riccardo un grazie dal profondo del cuore"

 

Enrico, Massimo, Carlo, Uajet, Cornell e Tudarel dalla sezione G9 del carcere Rebibbia di Roma

"Caro Riccardo Arena, siamo un gruppo di detenuti rinchiusi in una cella del G9 di Rebibbia. La nostra cella che potrebbe ospitare 4 detenuti ne contiene invece 6 e sono tantissime le difficoltà che dobbiamo affrontare ogni giorno. Spesso qui nel carcere di Rebibbia vediamo entrare telecamere di varie emittenti ma gli fanno riprendere solo le celle sistemate e in ordine. Mai una telecamera entra in una cella che rispecchi la vera vita di un detenuto. Mai! Ecco la nostra cella , la nostra vita è una di quelle che in tv non vedrete mai. Siamo ammassati uno su l’altro. Le mura attorno a noi sono piene di muffa e l’intonaco cade a pezzi. E spesso in cella ci vengono a trovare gli scarafaggi.

La nostra salute è continuamente a rischio. Io stesso, scrive Massimo, mi sono preso la tubercolosi in carcere e non mi sembra poco. Con questo ti salutiamo e ti ringraziamo perché ascoltando la nostra voce ci fai sentire più liberi e più uomini."

 

Vincenzo dal carcere di Bellizzi Irpino

"Caro Riccardo, la situazione qui nel carcere di Bellizzi Irpino è sempre più grave. Ora siamo costretti a vivere in 6 detenuti dentro una celletta di 7 metri quadri e non si può certo dire che stiamo bene. Rimaniamo sempre chiusi in cella, senza nessuna possibilità di migliorare il nostro presente. Speso tra noi c’è qualcuno che sta male. Si chiama il medico ma non arriva mai nessuno. Nella cella da dove ti scrivo siamo tutti molto poveri e quindi siamo costretti a mangiare il vitto che passa il carcere. Ti dico solo che è un’ulteriore umiliazione. Spesso in cella ci guardiamo negli occhi e ci accorgiamo che ci fanno fare una vita molto peggiore di quella dei cani".

 

Michele dal carcere di Voghera

"Caro Arena, mi trovo da poco nel carcere di Voghera. Fino a una settimana fa infatti ero nel carcere Opera di Milano. Devi sapere che io sono poliomelitico dalla nascita ma nonostante ciò il 7 giugno nel carcere di Opera sia io che dei miei compagni siamo stati malmenati. Tutto è nato da una discussione che un mio parente aveva con un agente. Io mi sono intromesso per spiegare come stavano le cose ma di tutta risposta l’agente mi ha chiuso tra il muro e il cancello della cella. Gli altri detenuti, sapendo delle mie condizioni e vedendomi trattato così hanno protestato e a quel punto gli agenti sono entrati nelle celle e ci hanno picchiato. Certo, lo sappiamo, l’umanità in questi luoghi non esiste ma come è possibile scagliarsi contro un disabile?"

 

Pino, Emanuele e Stefano dal carcere di Brucoli

"Caro Riccardo raccontarti come siamo costretti a vivere qui nel carcere di Brucoli non è facile, come non è facile ripensare a una dignità negata. Qui manca tutto anche l’acqua. Nelle nostre celle, dove passiamo tutta la giornata, l’acqua ci viene razionata per brevi periodi. Ci stupisce che il Governo spedisca aiuti umanitari in tutto il mondo, quando ce ne sarebbe tanto bisogno anche qui.

Al di là di come veniamo trattati in carcere ci teniamo dire che ci piacerebbe che il Governo faccia una riforma della Giustizia che sia veramente efficace. Diciamo questo sia per i colpevoli che per le vittime dei reati. Ormai è tutto un gran casino e in parlamento fanno finta di nulla".

 

Giuseppe, dal carcere di Pisa

"Carcere di Pisa, martedì ore 20 e 58. Tra pochi minuti inizierà su Radio Radicale, Radio Carcere. Ore 21.00, la sigla: "In nome del popolo italiano… clunch clunch". Nei corridoi del carcere, nelle celle sovraffollate scende una calma apparente. Si spengono le tv. Perfino gli extracomunitari con la loro radiolina ascoltano Radio Carcere. Ogni cella diventa un centro partigiano, resistenza di uomini che anelano alla dignità. Radio Carcere come Radio Londra, quando all’ora giusta si ascoltavano notizie sulla guerra. Oggi come allora, se pur per motivi diversi, gli occhi di chi ascolta sono identici. Anche se sono occhi di chi sta nelle carceri. Sono gli occhi di chi è umiliato, vilipeso, abbandonato. Questa settimana non si parla di processo penale ma di indulto. Un argomento che Radio Carcere tratta meglio di tutti gli altri. La voce di Riccardo, senza illuderci, ci fa capire i tempi di "questa" politica. Svela la miopia di chi è deputato. Poi è il turno della lista dei caduti.

Nel carcere di Prato, Giuda si è impiccato alle sbarre della cella. Nel carcere di Sollicciano, Barabba è deceduto nella notte dopo aver chiesto aiuto per ore. Nel carcere di Sulmona, è morto tale Gesù. Era incensurato eppure dicono fosse un sovversivo. Gesù pare sia morto per le percosse ricevute. Nel carcere di Secondigliano ci dicono che è morto Plinio il giovane, figlio del camorrista Plinio il vecchio. Pare che Plinio avesse un tumore alle ossa, ma le sue richieste di cure mediche erano sempre state respinte. I Farisei dicono che Plinio poteva benissimo essere curato nel centro clinico. Finisce così la lettura delle lettere. La voce di Radio Carcere ora è incrinata, noi capiamo cosa sente. Ma saluta e, testardo, ricorda il prossimo appuntamento di Radio carcere. A martedì prossimo. "In nome del popolo italiano… clunch clunch..". Nelle celle del carcere di Pisa si spengono le radioline. C’è brusio nei corridoi. Nessuno riaccende le televisioni. Dobbiamo riflettere, perché domani all’ora d’aria discuteremo su quello che si è detto a Radio Carcere".

Lodi: nel carcere nascerà sportello di segretariato sociale

 

Redattore Sociale, 20 luglio 2006

 

Uno sportello di segretariato sociale in carcere. Nascerà a Lodi nell’ambito del progetto "Il lavoro debole", promosso dalla Provincia in collaborazione con Asl, Cfp consortile, cooperativa il Mosaico e la direzione della Casa circondariale di Lodi. Il progetto, che mette in rete istituzioni e volontariato, è stato ideato per rilevare e dare una prima risposta ai bisogni dei carcerati riguardo a lavoro, casa, salute e rapporti con i familiari, per facilitare un pieno reinserimento nella vita civile, una volta saldati i conti con la giustizia e la società. Questa mattina presso Palazzo San Cristoforo a Lodi, un convegno che è servito a fare il punto sulla "ricerca-azione" che dovrebbe portare entro gennaio dell’anno prossimo ad attivare questo servizio all’interno del carcere di Lodi.

"Un’iniziativa che cerca di dare corpo a quel principio sancito dall’articolo 27 della Costituzione per il quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato - ha detto Luisangela Salamina, assessore al Lavoro della Provincia di Lodi -. Lo Stato di diritto, forte delle sue ragioni razionali, prima ancora che etiche, rigetta la concezione del carcere come galera, come mera privazione della libertà, e ricerca, tende appunto, a spezzare la spirale perversa che trasforma il carcerato in recidivo perché privato della possibilità, reale o psicologica, di intraprendere una vita diversa. Il carcere come un luogo dove la speranza viene protetta e da dove la società possa attingere maggior sicurezza. Ora - prosegue l’assessore- serve un’azione di confronto tra soggetti promotori e soggetti economici del territorio, per costruire una rete reale in grado di mettere a sistema le politiche attive del lavoro. Abbiamo verificato che i soli interventi in termini di sicurezza e assistenza non bastano: deve farsi strada una maggiore sensibilità per politiche mirate al lavoro e reinserimento nel momento dell’accompagnamento nella società. Speriamo che queste buone prassi possano diventare permanenti". Nelle intenzioni dell’assessore il progetto tiene in conto la complessità e la difficoltà di chi ha conosciuto e vissuto l’esperienza carceraria e si propone di cogliere e valorizzare le esperienze e le risorse di queste persone, nella consapevolezza della problematicità che caratterizza l’esistenza di quanti hanno conosciuto e conoscono l’universo carcerario. All’incontro di oggi erano presenti anche associazioni imprenditoriali, organizzazioni sindacali, cooperative sociali e la Camera di Commercio.

Il progetto "Il lavoro debole" include diversi interventi, alcuni dei quali, prevalentemente di carattere esplorativo, sono già stati realizzati. Una prima fase ha visto la realizzazione di una ricerca finalizzata alla verifica dei bisogni degli ex-carcerati o di chi è soggetto a pena alternativa. La seconda fase ha visto l’attivazione di un tavolo sociale con tutti i soggetti del territorio coinvolti. La terza fase, infine, è proprio quella che vede il diretto coinvolgimento dei detenuti e l’istituzione di uno Sportello di segretariato sociale all’interno del carcere di Lodi, per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma soprattutto fornire ai detenuti delle informazioni utili e concrete circa le opportunità di soddisfazione di bisogni primari quali la tutela della salute e la ricerca di un’abitazione.

Forlì: quando il reinserimento passa dal canile comunale

 

Redattore Sociale, 20 luglio 2006

 

Per favorire il reinserimento socio lavorativo dei detenuti, il Comune di Forlì ha pensato ai cani abbandonati e ospitati nel canile di via Bassetta. Da circa un mese, infatti, al canile comprensoriale è operativo il progetto "Educazione del cane per favorirne l’adozione e promuovere il benessere dei detenuti". Pensato dagli assessorati comunali al Benessere animale e al Welfare, insieme alla casa circondariale di Forlì, al canile e al servizio veterinario dell’Ausl, il progetto ha una duplice valenza: da un lato "addestrare i cani abbandonati a rispondere a semplici comandi che li rendano più facilmente adottabili diminuendo così il numero dei randagi ospiti del rifugio, dall’altro fornire ai detenuti una competenza e una professionalità spendibili in futuro anche all’esterno del carcere aiutandoli, nello stesso tempo, a socializzare e a relazionarsi con gli altri" spiega l’assessore al Benessere animale Sandra Morelli. Finanziato per tre quarti dalla Regione Emilia-Romagna, il progetto è costato complessivamente 21 mila euro tra borse lavoro (circa 300 euro al mese per ogni detenuto coinvolto) e corsi di formazione tenuti da educatori cinofili.

"Nella prima fase del progetto - prosegue l’assessore Morelli - abbiamo selezionato, insieme alla direttrice del carcere Alba Casella e al dirigente del servizio veterinario dell’Ausl Rodingo Usberti, le persone che per condizione giuridica e per attitudine verso gli animali sembravano le più adatte. I tre prescelti (ora sono due perché uno ha finito di scontare la pena) hanno frequentato un corso di formazione di due giorni e, da fine maggio, lavorano al canile tre ore al giorno per quattro giorni a settimana. Il loro impiego durerà fino a settembre. Poi, a ottobre, partirà la seconda fase del progetto che coinvolgerà altri quattro detenuti". Educare un cane "significa lavorare sulla sua relazione con l’uomo - continua Sandra Morelli - . Le attività previste vanno dall’insegnare loro come si sta al guinzaglio al non saltare addosso alle persone al mettersi a ‘cuccià. E tutto questo ha una forte valenza riabilitativa perché migliora le capacità di socializzazione sia dei detenuti sia dei cani, uomini e animali che si trovano in una situazione di disagio e di segregazione simile, così rinchiusi come sono. E il progetto sta già dando ottimi risultati: infatti, i detenuti si sentono gratificati da questo tipo di lavoro e si sono ben inseriti nel gruppo degli operatori".

Associazione Papillon: sciopero dei detenuti e delle detenute

 

Comunicato stampa, 20 luglio 2006

 

I detenuti di Rebibbia nuovo complesso e quelli di alcune carceri siciliane annunciano che a partire da domani inizieranno delle pacifiche proteste che hanno per obiettivo principale quello di ottenere un provvedimento di indulto generalizzato, senza esclusioni, soprattutto verso quel tipo di reati che nelle regioni del centro e del sud vengono contestati con estrema facilità a migliaia di cittadini.

Nel carcere di Rebibbia nuovo complesso (oltre 1600 detenuti) la protesta inizierà domani, venerdì 21 luglio, e avrà per obiettivo anche la denuncia della drammatica situazione della sanità penitenziaria e il ritorno a Roma di 15 detenuti recentemente trasferiti perché avevano promosso delle mobilitazioni dentro l’istituto.

Queste mobilitazione pacifica si aggiunge a quelle che in Sardegna, nella sezione speciale del femminile di Rebibbia e in altri carceri del nord i detenuti stanno organizzando con i medesimi obiettivi, a cui si aggiungono anche la contestazione degli abusi compiuti nell’uso della custodia cautelare in carcere (oltre ventitremila detenuti in attesa di giudizio) e l’eccessiva discrezionalità dei Magistrati di Sorveglianza nell’applicazione dei cosiddetti benefici previsti dalla Legge Gozzini.

Alla vigilia di un decisivo passo in avanti sulla strada delle riforme del nostro sistema penale e penitenziario, per le quali i detenuti organizzati dalla Papillon si sono battuti fin dal settembre del 1997, ci sembra giusto e utile che i Parlamentari e i Consiglieri Regionali di tutti i partiti politici entrino negli istituti penitenziari dove è in corso la pacifica mobilitazione per incontrare i detenuti ed ascoltare anche le loro ragioni.

 

Associazione Culturale Papillon-Rebibbia onlus

Sede legale, Piazza S.M. Consolatrice 13, - 00159 Roma

Sede di Lavoro, Via Raoul Chiodelli 103/105 Roma.

Sito: www.papillonrebibbia.org. Tel. 06.22440680

Cell. 3343640722 - 3280213759.

Associazione Yairaiha: lettera aperta alle istituzioni locali

 

Comunicato stampa, 20 luglio 2006

 

Lunedì 24 luglio il Parlamento discuterà di Amnistia e Indulto. Non lasciamo che anche questa volta… Facciamo sentire la voce dei Detenuti! Appello per una mobilitazione dei familiari, degli ex-detenuti, delle associazioni, degli operatori penitenziari, forze politiche e sociali e di tutti coloro che pensano: Amnistia e Indulto subito! Sabato 22 luglio 2006 adotta e presidia un carcere. Concentramento ore 10.00 davanti alle carceri di Cosenza, Palmi, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Paola, Rossano, Crotone.

 

Presidente della Regione Calabria

Presidenti delle Province della Calabria

Sindaci dei Comuni

Presidenti delle Comunità Montane

Partiti Politici

Sindacati

Associazioni

Cooperative Sociali

Singoli cittadini

 

Prende il via oggi la Campagna Popolare per l’Amnistia e l’Indulto promossa dall’Associazione Yairaiha Onlus col patrocinio del Gruppo Consiliare di Rifondazione Comunista alla Regione Calabria. Da oggi fino alla fine di luglio saranno distribuite cartoline da inviare al Presidente della Repubblica e al Ministro di Grazia e Giustizia. Il timore che il provvedimento si areni nelle aule del Parlamento ci ha portati a promuovere una campagna dal basso che coinvolga attivamente innanzi tutto i familiari dei detenuti ma non solo. Chiediamo il sostegno di quanti operano nelle strutture penitenziarie, che ben conoscono i problemi legati al sovraffollamento cronico fonte di disagi per i detenuti ma anche per gli operatori che, spesso, si trovano a lavorare in situazioni d’emergenza. L’appello alla partecipazione è indirizzato, inoltre, agli Enti locali, ai sindacati, ai partiti politici, al mondo dell’associazionismo e della cooperazione, ai cittadini tutti che potranno ritirare le cartoline nei punti di distribuzione. Il calendario prevede la distribuzione delle cartoline in tutti i giorni di ricevimento sotto tutti gli istituti di mattina e nei pomeriggi saremo presenti nelle principali piazze delle città interessate da strutture penitenziarie e, inoltre, alcuni circoli cittadini prorogheranno la campagna anche in altre date. Chiediamo l’adesione: per non lasciare che anche questa volta l’Amnistia si tramuti in Amnesia e perché i diritti umani siano rispettati anche per i cittadini reclusi.

 

Associazione Yairaiha Onlus

Gruppo Consiliare di Rifondazione Comunista alla Regione Calabria

Bologna: il sindaco Cofferati visita il carcere della Dozza

 

Adnkronos, 20 luglio 2006

 

È durata quasi tutta la mattinata la visita che il sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, ha effettuato oggi nelle diverse aree del carcere e della casa circondariale della ‘Dozzà, nella periferia della città. Guidato dalla direttrice del penitenziario, Manuela Ceresani, e accompagnato dal garante comunale dei diritti dei detenuti, Desi Bruno, e dal presidente del consiglio comunale, Gianni Sofri, il primo cittadino ha visitato sia il braccio maschile, sia quello femminile, la biblioteca, la ludoteca per i bambini, la tipografia e la sala comune, prendendo atto dei problemi, noti da tempo all’interno del carcere, tra cui spiccano il sovraffollamento e la carenza di organico tra le forze dell’ordine. Proprio per discutere di questo ultimo aspetto, Cofferati ha già in programma, per le prossime settimane, un incontro con i rappresentanti dei sindacati della Polizia Penitenziaria.

Ancona: detenuto in coma per overdose da cocaina

 

Corriere Adriatico, 20 luglio 2006

 

È arrivato al pronto soccorso dell’ospedale regionale di Torrette in stato di coma dovuto all’assunzione di sostanze stupefacenti e, nello specifico, di cocaina. Si trova tuttora in gravissime condizioni, ricoverato nell’ ospedale regionale, il trentenne anconetano Yuri Burattini. Il giovane si trovava nella sua cella del carcere di Montacuto quando improvvisamente ha accusato il malore. Ad accorgersi di quanto stava accadendo, sarebbe stato un agente della polizia penitenziaria che immediatamente ha allertato i soccorsi. Effettuata la telefonata al 118, gli infermieri professionali di "Ancona Soccorso" hanno organizzato l’emergenza. Nella casa circondariale di Montacuto sono celermente giunte l’automedica ed un’ambulanza della Croce Gialla.

Yuri Burattini versava in condizioni disperate. Subito medici, infermieri e militi hanno prestato i primi soccorsi al ragazzo direttamente sul posto cercando di fargli riprendere coscienza. Burattini si trovava però in uno stato di coma causato proprio dall’overdose di stupefacenti. Successivo il trasporto d’urgenza, con tanto di scorta della polizia penitenziaria, fino al nosocomio regionale. Il trentenne è stato quindi trasferito in sala emergenza per poi essere ricoverato in clinica di rianimazione. La sua prognosi è riservata. Yuri Burattini è già noto alle forze dell’ordine a causa dei suoi innumerevoli precedenti. Proprio lunedì l’arresto del giovane era stato convalidato dal Gip Francesca Grassi. Burattini era finito in carcere dopo che giovedì scorso aveva messo a segno, nel giro di 20 minuti, una rapina ed uno scippo ai danni di due anziane. La prima era avvenuta poco dopo mezzogiorno in via Scrima. Buratini aveva sbattuto prima contro il muro e poi a terra una signora di 88 anni riuscendo poi a portarle via la borsa. Venti minuti dopo la prima aggressione Burattini, non pago di quanto già commesso, se l’è presa con un’altra signora, una 62enne, mentre si trovava poco distante dal luogo dove aveva messo a segno il primo colpo. Era infatti in largo Sarnano quando ha strappato la borsa alla donna riuscendo poi a prendere il portafoglio e quindi a darsi alla fuga riuscenmdo quindi a rubare 270 euro.

Un agente della polizia municipale aveva però assistito alla scena praticamente svoltasi sotto ai suoi occhi. Burattini è stato poi bloccato all’altezza di via della Montagnola quando si è scontrato contro due ragazzi che, vedendolo inseguito, l’hanno coraggiosamente bloccato. Yuri Burattini è stato quindi arrestato con le accuse di rapina aggravata e furto con strappo. Il 30enne pluripregiudicato anconetano, che prima dell’arresto si poteva vedere nella zona di piazza Pertini e di piazza Stamira, si era giustificato del furto spiegando che aveva bisogno di soldi e che era disperato perché non trovava lavoro seppure lo stesse cercando. Da poco tempo, inoltre, era uscito da una comunità. Burattini si trova dunque ora ricoverato nel reparto della clinica di rianimazione in condizioni molto gravi. Il giovane era infatti in coma quando è giunto al pronto soccorso poco dopo le 13 di ieri. Ora, quello che si cerca di capire, è come abbia fatto Burattini a procurarsi della sostanza stupefacente che con molta probabilità sembrerebbe essere cocaina. È stata già aperta un’indagine per capire chi gliel’abbia venduta e dunque chi è lo spacciatore che ha fornito la dose che stava per uccidere Yuri.

Libro: Ass. La Fraternità; "Essere volontari nel penale"

 

Comunicato stampa, 20 luglio 2006

 

Nei mesi di febbraio e marzo 2006 si è tenuto un corso, organizzato dalla Fraternità con l’adesione di altre associazioni ed il contributo del CSV, su "Essere volontari nel penale". Hanno partecipato più di 50 persone. Ora abbiamo pubblicato il testo, scritto dalle conduttrici del corso Laura Baccaro e Isabella Stano. Si intitola "In carcere: una comunicazione oltre le parole". (Motivazioni, ruoli, stili di relazione dei volontari in area penale). È un volumetto agile, diviso in tre parti: la prima sulla comunicazione in generale, la seconda sullo specifico ambito penale, la terza sul rapporto tra questo ambito ed i volontari, come emerso durante il corso. Il testo è in distribuzione presso la Fraternità, in Via Provolo 28 a Verona (orario d’apertura: lunedì e giovedì dalle 16 alle 18). Per ulteriori informazioni e accordi, telefonare allo 045.8004960 o scrivere a lafrat01@lafraternita.191.it.

Massa: con cooperativa "Il Nodo" assemblaggio caschi in carcere

 

Comunicato stampa, 20 luglio 2006

 

Attraverso la collaborazione con la società Vemar Helmets di Grosseto, la Cooperativa Sociale il Nodo ha attivato un progetto finalizzato all’inserimento lavorativo dei detenuti che consiste nell’assemblare caschi da motocicletta. Lunedì 5 giugno è stato presentato al territorio il laboratorio di assemblaggio ed il progetto di inserimento lavorativo. Questo evento rappresenta il termine di un percorso partito lo scorso anno che ha visto l’addestramento di un operatore della coop. sociale il Nodo e un detenuto in art.21 presso lo stabilimento Vemar Helmets di Grosseto e la ristrutturazione a laboratorio dell’ex lavanderia dell’Istituto S. Anna concessa in comodato d’uso gratuito dalla Fondazione Rifugio S. Anna. Il laboratorio di assemblaggio rientra nell’ambito del progetto di inclusione sociale dei detenuti a pena alternativa alla detenzione promosso dalla Regione Toscana, in collaborazione con la Provincia di Grosseto, i Comuni della zona, la Casa circondariale di Massa Marittima e soggetti operanti nel campo dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione. Il progetto ha l’ obiettivo, attraverso la messa in rete di un’ insieme di soggetti istituzionali e privati di sviluppare collaborazioni in grado di valorizzare le potenzialità che la struttura carceraria e i suoi ospiti possono offrire al territorio di Massa Marittima e alle Colline Metallifere.

 

Per informazioni:

Massimo Iacci. Cooperativa Sociale il Nodo

Via dell’Agricoltura 25 - 58022 Follonica

Tel. 056651537 - mail ilnodo@coopilnodo.191.it

Forlì: per "Estate alla Rocca!" le attività estive nel carcere

 

Comunicato stampa, 20 luglio 2006

 

Nei mesi di luglio ed agosto i volontari che aderiscono al progetto “Anelli formazione in rete al volontariato di giustizia” di Forlì e Cesena, in collaborazione con il gruppo Preghiera Monte Paolo e il Centro di Solidarietà, organizzano una serie di iniziative all’interno della Casa Circondariale di Forlì, rese possibili anche grazie alla collaborazione della Direzione e del corpo di Polizia Penitenziaria. Infatti nel periodo estivo spesso si ha una fisiologica diminuzione delle iniziative interne all’Istituto.

Durante le attività intraprese dai volontari in carcere si è rilevata l’urgenza di organizzare per le donne e gli uomini reclusi attività di svago e intrattenimento, per alleggerirne la detenzione, consapevoli che questa è un’occasione per aprire le porte non solo agli stessi volontari, ma anche agli artisti e ai curatori delle diverse attività proposte.

La casa circondariale di Forlì è un Istituto relativamente piccolo, ospita circa duecento detenuti, ma come tutte le realtà penitenziarie del nostro paese presenta la necessità di incrementare attività e iniziative che possano accompagnare il recupero e il reinserimento delle persone recluse.

I volontari hanno quindi progettato una serie di eventi “leggeri” aperti alle sezioni ordinaria, femminile ed attenuata, ai quali hanno aderito gratuitamente diversi gruppi e persone del territorio.

Tra le iniziative in programma si segnalano i concerti di alcuni gruppi quali la Gaza Band Evolution, la Pneumatica Emiliano Romagnola, gli Tziganotchka e la solista Ofelia.

Sono inoltre previste quattro giornate dedicate al cineforum, organizzate da Filippo Cappelli (esperto in discipline di arte, musica e spettacolo), quattro partite di pallavolo in sezione femminile, seminari di lettura curati da Angela Barlotti (membro Commissione Nazionale Multicultura dell’Associazione Italiana Biblioteche), seminari di arte curati dalla storica dell’arte Sabrina Marin, laboratori di produzione artistica, tra cui la creazione di origami a cura della maestra di origami Takako Muraki e il progetto favole per bambini, a cura di Fulgida Barattoni (responsabile rapporti internazionali International Peace Bureau).

 

Società consortile per azioni - Techne

Sede di Forlì Via M. Buonarroti, 1

47100 Forlì – tel. 0543.410757/56

335.6222219 Barbara Bovelacci

fax 0543.405144 ; www.techne.org

 

 

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