Gabbie e notizie

 

"Gabbie e notizie"

di Daniele Barbieri (giornalista del settimanale "Carta")

 

Sollecitate la vostra memoria. Avete letto o ascoltato un titolo come "Il pluri-omicida Donato Bilancia presto in permesso" oppure "In 400 a discutere dentro il carcere di Padova"? Il primo sì, fu molto strombazzato: era una bufala, alla vigilia del voto. Il secondo titolo avrebbe onestamente riassunto cosa è accaduto il 26 maggio nel Due Palazzi di Padova eppure non ha circolato affatto, pur se quel giorno con magistrati e detenuti c’erano rappresentanti dell’Odg, l’ordine dei giornalisti.

Il convegno padovano invitava a riflettere su come la cronaca nera crea opinione e consenso, influenza le politiche, riproduce stereotipi e pregiudizi. Confondendo, spesso ad arte, sicurezza e malessere sociale; per dirla con una battuta di Totò "contro la forza pubblica non ci resta da opporre che la debolezza privata?".

Almeno in 400 al Due Palazzi: la cattiva acustica e una goccia che instancabile cade dal soffitto non fermano la discussione. Parlano redattori-detenuti della rivista padovana Ristretti orizzonti con volontari, esponenti di associazioni (Stefano Anastasia, Ornella Favero, Sergio Cusani e Sergio Segio), funzionari dell’amministrazione penitenziaria (Emilio Di Somma), giuristi e magistrati (Alessandro Margara e Francesco Maisto), molti giornalisti (fra gli altri Gerardo Bombonato e Claudio Santini), Mauro Paissan dell’ufficio del Garante della privacy, docenti, politici e parlamentari. "Mi è palso di vedele una notizia" direbbe Titti… dalla gabbia. Eppure la stra-grande maggioranza dei media non se ne accorge. Ancor meno vengono a sapere della lettera, approvata all’unanimità quel giorno e inviata al nuovo ministro della Giustizia, Clemente Mastella, con cinque proposte e la richiesta di un incontro.

Si ragiona a Padova di informazione onesta, sobria, pulita dal carcere e sul carcere. Ma anche di come trattare le notizie da dietro le sbarre: per non cadere nel vittimismo,per raggiungere lettori distanti da realtà come la galera e il disagio sociale.

 

Schiamazzi e silenzi

 

Non è la prima volta che giornalisti e riviste "in gabbia" si incontrano. Era accaduto il 24 novembre 2005 a Bologna con la "Giornata di formazione per chi informa dal carcere". Anche allora alla notizia fu messa la sordina come alla nascita della "Federazione dell’informazione dal carcere e sul carcere".

Esistono silenzi meno occasionali e più pericolosi. Per esempio quando i giornalisti si distraggono e non raccontano che "il ministero della Giustizia decide di amnistiare tutti i poliziotti penitenziari resisi responsabili di infrazioni o violenze"; o quando i suicidi in carcere salgono sopra i 50 l’anno… Per riprendere due notizie da Patrie galere (Carocci editore) di Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella. Al citato convegno bolognese colpiva un cartellone colorato attaccato al muro: "Assistenti sociali in servizio: 1223 rispetto ai 1630 previsti (1 ogni 48 detenuti); psicologi: 400 con una media di 2 ore per istituto (uno ogni 148).…". La grande notizia sparita è la salute di chi è ristretto, ricorda Ornella Favero, correggendo un piccolo errore di quel datzebao: "il 13% dei detenuti (circa 7.800) ha la salute compromessa, contro il 7% della popolazione. In carcere la tossicodipendenza riguarda il 21,54% contro il 2,10 dei cittadini liberi. Un detenuto su cinque soffre di disagi psichici: il 10,25% di depressione, il 6,04% di altre patologie mentali. Malattie epato-biliari e del pancreas affliggono il 10,9% contro il 4,2% dei liberi".

 

La carta di Padova

 

Il 26 maggio s’è formato un gruppo di studio con esponenti dell’Odg e della Federazione nazionale stampa per stendere la Carta di Padova (a modello di quella di Treviso sui minori). A giorni dovrebbe essere pronta: suggerirà i criteri corretti con i quali informare sul carcere. Fra i punti in discussione come applicare, nel dare le notizie, il principio costituzionale di non colpevolezza in assenza di condanna definitiva; garantire i familiari di indagati, sotto processo o condannati; tener conto che in "particolari situazioni", come degenza ospedaliera e detenzione carceraria, la dignità della persona ha un "bisogno particolare di tutela"; il diritto all’oblio di chi ha pagato per i reati commessi, di chi sia positivamente reinserito o tuttora impegnato nel difficile percorso del reinserimento sociale

L’instancabile Ornella Favero e la "Federazione dell’informazione dal carcere e sul carcere" preparano le prossime scadenze, fra cui un convegno dove si parli anche delle vittime - e se possibile con le vittime (come Olga D’Antona) - anche per una riflessione sul "diritto di parola in pubblico" delle persone macchiatesi di reati gravi.

I redattori dietro le sbarre non trovano sempre dialogo. Se il giornalino dei detenuti di Viterbo scrive che "l’acqua calda dura solo 5 secondi" la direzione si offende. Alla rivista del carcere di Lodi - racconta Andrea - ci danno il cavetto del computer solo una volta alla settimana. Si prova a informare con l’ironia: il galeotto Dado, inventato dal detenuto-vignettista Graziano Scialpi, spiega come "carcere di lusso è quello dove, nella cella pensata per una persona sono soltanto in due, come a Padova".

Con il neo-nato Gabbia-no di Civitavecchia le riviste nelle carceri italiane superano quota 60. Alcune si conquistano spazi esterni mensili (a Milano su Terre di mezzo o sul quotidiano di Lodi, Il cittadino) o persino settimanali (sul quotidiano di Padova Il mattino), finestre in radio o in tv... Da un anno esiste un blog: lo hanno creato su www.dentroefuori.org i detenuti della cosiddetta sezione Prometeo di Torino, con il patrocinio del Comune. "Ma potenzialmente il progetto è estendibile a ogni istituto di pena". E’ un panorama variegato, se ne riparlerà.

Sul www.ristretti.it è nata una corrispondenza fra "un cittadino incensurato approdato al sito" e la redazione. Scrive un lettore severo ma in preda ai dubbi: "Ho trovato articoli di detenuti condannati per aver ucciso. Da una parte penso non dovreste permettergli di parlare pubblicamente, però scrivono cose importanti per se stessi e per chi legge. A me questa cosa ha fatto pensare, mettendo in crisi l’opinione che avevo del carcere". Il dubbio al posto del pregiudizio.

Ma tanti dubbi aveva anche la redazione di Ristretti Orizzonti nel ricevere l’invito a discutere di legalità in una scuola media. "Tirati per i capelli abbiamo accettato" dice Favero "ma l’esperienza è stata invece del tutto positiva". Così lo racconta il tredicenne Martino: "Fino a ieri non mi ero posto il problema di come vivessero i detenuti (…). Sentendo i nostri due interlocutori ho provato disagio. Raccontando a casa mia le storie, ho pensato: ognuno di noi, preso dai propri impegni, non ha più il tempo di guardarsi intorno. Non stiamo forse anche noi diventando "prigionieri" delle nostre vite programmate su pregiudizi ed egoismo?". Informazioni e gabbie, ancora una volta.

 

 

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