Rassegna stampa 4 gennaio

 

Emilia Romagna: situazione carceri sempre più insostenibile

 

Redattore Sociale, 4 gennaio 2006

 

"La situazione nelle carceri dell’Emilia Romagna è sempre più insostenibile". Lo afferma Gianluca Borghi, consigliere regionale dei Verdi, che si è recato in visita questa mattina alla Casa di Reclusione di Parma, accompagnato dall’assessore provinciale Gabriella Meo. "I dati che riguardano i suicidi e gli atti di autolesionismo evidenziano una realtà drammatica caratterizzata da sovraffollamento e carenza di personale. – ha detto - La scelta di visitare la casa di pena parmense, che ospita 630 detenuti a fronte di una capienza di 436, non è casuale: è proprio qui infatti che si è registrato il più alto numero di suicidi nel 2005 (3 su 9 complessivi: 2 a Piacenza, 2 a Reggio Emilia, 1 a Modena e 1 a Forlì)". Dal 1997 ad oggi 50 persone si sono tolte la vita nelle carceri regionali (8 nel 1997, 5 nel 1998, 2 nel 1999, 5 nel 2000, 8 nel 2001, 7 nel 2002, 3 nel 2003 e 3 nel 2004), a fronte di una crescita continua delle presenze (3828 al 30 giugno 2005).

"Gli operatori e i volontari che lavorano in carcere - prosegue Borghi - vivono una situazione di continua emergenza, soprattutto sanitaria, e la condizione dei detenuti è quasi sempre incompatibile con l’idea della pena rieducativa. Che dire poi del fatto che non è attivo in alcuna struttura quel "Presidio Nuovi Giunti", pensato invece dal Regolamento penitenziario proprio per offrire tutela ed assistenza ai detenuti appena entrati in carcere? Non mi pare un caso che proprio due dei tre detenuti suicidatisi a Parma nei mesi scorsi (ottobre e novembre) fossero appena rientrati in carcere da altri reparti di prima osservazione psichiatrica di altre strutture. Ma un altro dato rappresenta l’intollerabile situazione penitenziaria: per 650 detenuti, a Parma sono disponibili 2 (due) educatori, situazione analoga a quella di altre carceri della regione: come si può pensare che essi possano svolgere un’attività trattamentale degna di questo nome?"

Secondo Borghi per superare la situazione "drammatica" non bastano Amnistia ed Indulto, ma occorre una immediata modifica della ex Cirielli, la cui applicazione riempirà ulteriormente le carceri per la previsione di detenzione dei recidivi ai piccoli reati legati alla tossicodipendenza". "Nel frattempo - conclude Borghi - oltre a sostenere come è accaduto nel 2004 con proprie risorse l’acquisto dei farmaci per i detenuti attraverso le proprie USL, la Regione deve al più presto dotarsi della legge istitutiva della figura del Garante regionale dei Detenuti, già depositata nella competente Commissione Assembleare: uno strumento aggiuntivo per verificare da Piacenza a Rimini la situazione nelle strutture penitenziarie dell’Emilia Romagna."

Milano: a Bollate un corso per recuperare i violentatori

 

La Stampa, 4 gennaio 2006

 

"Ho dovuto vedere il terrore negli occhi della mia vittima per capire quello che avevo fatto". P. stupratore recidivo, condannato a pena definitiva nel carcere di Bollate. La frase campeggia in fondo ad una "slide" molto asettica compilata al computer nell’ottobre scorso da un gruppo di 19 detenuti che hanno scelto, firmando un vero e proprio contratto con lo Stato, di sottoporsi ad un progetto sperimentale di recupero per gli autori di reati sessuali: l’Unità di trattamento intensificato, sezione speciale del carcere di Bollate. Otto di loro sono autori di violenze contro donne, 11 contro minori, uno è un esibizionista plurirecidivo. Non c’è alcuna promessa di libertà per loro: dovranno continuare a scontare la pena fino in fondo anche al termine dell’esperimento, che consiste in quotidiane sedute di psicoterapia, analisi in gruppo, gestione dei conflitti, psicomotricità, recupero al lavoro. Semplicemente, alla fine di questo percorso, potranno scegliere - se verranno considerati "pronti" dall’équipe - di affrancarsi dall’infamia di ciò che hanno fatto: la violenza sessuale contro donne e minori. Il progetto, partito in sordina a metà dello scorso settembre e unico in Italia, raduna detenuti "volontari" provenienti dalle prigioni di Monza, Opera e San Vittore e dovrà tentare, al termine di dieci mesi, di restituirli ad una vita il più normale possibile. Si tratta finora dell’unica vera alternativa messa in atto dallo Stato alle proposte di castrazione chimica del ministro Calderoli per i maniaci sessuali, le cui gesta ultimamente sembrano delineare il quadro di un vero e proprio allarmante fenomeno. "Non mi aspetto che questo tipo di detenuti guariscano tutti o completamente. Basterebbe cambiarne un paio e già avremmo vinto la scommessa. Come sostengono gli studiosi americani, se su 100 soggetti trattati due o tre vengono recuperati, ciò consente di ripagare i costi altissimi del trattamento e della cura delle vittime e della giustizia". Il dottor Paolo Giulini, criminologo, docente alla Cattolica, è il coordinatore dell’équipe di 15 operatori - più della metà donne - che hanno dato vita al progetto pilota, con i finanziamenti di Regione e Provincia e l’entusiasmo della direttrice del carcere di Bollate, Lucia Castellano, che ospita il reparto sperimentale. Se i risultati dovessero essere apprezzabili, l’iniziativa, già attuata da anni con successo in Canada e negli Stati Uniti, potrebbe estendersi a livello nazionale.

Feccia della società e "feccia della feccia in carcere", gli autori di reati sessuali vivono normalmente in reparti protetti, vessati dagli altri detenuti e disprezzati dalle guardie, sono considerati "vuoti a perdere". E come tali lasciati in ibernazione nelle loro celle, a scontare la loro pena. Al termine della quale, usciranno pronti a commettere nuovi reati, con nuovi rancori. Come ha dimostrato la storia allucinante dell’uomo che a Biella, una volta uscito dal carcere, si è "vendicato" della sua vittima, la ragazza che aveva già violentato, uccidendola brutalmente a coltellate. È per spezzare questo circolo vizioso, che è nato il progetto di Giulini. Per dare una risposta alle domande sgomente che ci poniamo davanti a episodi come quello di Biella: perché succede? Com’è possibile che un criminale riconosciuto torni a perseguitare la sua vittima? E anche per dare un senso all’articolo 27 della Costituzione che parla della pena come strumento rieducativo e che spesso rimane invece lettera morta. "Finora la risposta dello Stato è stata solo "retributiva", cioè con un inasprimento delle pene", spiega Giulini. E questo ha cambiato anche il "panorama" carcerario, aprendo le celle a persone apparentemente normali: padri, zii, conviventi, religiosi, educatori, allenatori. Sono questi "i maniaci", gli autori dei reati più odiosi. "Del resto - dice Giulini - la cifra dell’imputato di violenza sessuale è proprio questa: l’apparente normalità di chi compie questi atti. Ed è questo che ci ha allarmato". Perché se i dati sui reati sessuali parlano di un aumento del fenomeno (il 43 per cento in più delle denuncie nel 2004 rispetto al 2003, dati della procura di Milano), la verità è che si è all’oscuro di circa l’80-’90 per cento di questi reati, che avvengono spesso in famiglia, consumandosi per i quattro quinti in casa. È il cosiddetto "numero oscuro", quella zona grigia che tutt’ora viene raramente intercettata dall’autorità giudiziaria. "Noi oggi scontiamo l’influenza di certe sottoculture violente, dovute anche ai flussi migratori, in particolare dall’Est. Ma esiste anche una grossa responsabilità nella spinta fornita dai messaggi pubblicitari che spesso utilizzano arpioni sessualizzanti per catturare l’attenzione. Non ultima la mancanza di veri percorsi di educazione sessuale. Se ne parla troppo poco e se ne vede troppa".

Firenze: "Rosa nel pugno"; a Sollicciano una situazione insostenibile

 

Toscana TV, 4 gennaio 2006

 

Oggi la visita di una delegazione nel carcere di Sollicciano ha riscontrato un’effettiva situazione di sovraffollamento: realizzato per ospitare 440 detenuti il carcere al momento ne conterebbe oltre il doppio con relativi disagi socio-sanitari. Il fatto che alcuni interventi siano in corso, ad esempio da parte di Asl e Comune, è per la delegazione insufficiente a rispondere alle esigenze. A pochi giorni dall’appuntamento della commissione giustizia della Camera che il 10 gennaio si occuperà di discutere le proposte di amnistia e indulto, sostiene Pieraldo Ciucchi, Presidente del gruppo Sdi in consiglio regionale anche dall’interno del carcere si è potuta registrare una pressante richiesta alla politica affinchè si arrivi finalmente a quell’atto di clemenza tanto atteso e oggi sempre più urgente e indispensabile per riportare sotto controllo una situazione ingestibile. Nei prossimi mesi in Toscana Rosa nel pugno si farà carico in particolare di controllare che si arrivi ad una piena applicazione della legge regionale sulla tutela del diritto alla salute dei detenuti, della quale potranno beneficiare anche gli operatori carcerari.

Giustizia: Osapp; sarà la storia a bocciare l’operato di Castelli

 

Ansa, 4 gennaio 2006

 

"Il giudizio negativo su quello che ha fatto il ministro Castelli per le carceri lo darà la storia. Noi penitenziari non sentiremo la mancanza della sua gestione: non ha lasciato grandi cose da ricordare". Così l’ Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp), commenta la lettera del Guardasigilli pubblicata sul Corriere della Sera, in cui viene riportato un dettagliato elenco di quanto è stato fatto dal governo per contrastare il sovraffollamento nelle carceri. "Castelli si è limitato a mantenere le cose come stavano, mentre le novità del sistema giudiziario e l’inasprimento delle pene andavano nella direzione opposta di un aumento di detenuti. In questi ultimi anni - afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp - sono stati varati una serie di provvedimenti che inevitabilmente hanno inciso sul sistema penitenziario. È il caso, ad esempio, della messa a regime del 41 bis, delle più restrittive misure antiterrorismo e, per ultimo, della "ex Cirielli" che ha introdotto pene più severe per i recidivi. Il ministro si è limitato a mantenere fermo il sistema rispetto a una realtà che si evolveva". Quanto agli organici di polizia penitenziaria, l’Osapp replica al Guardasigilli che "le 44mila unità da lui citate sono quelle di 15 anni fa, quando di detenuti ce ne erano 45mila e non i 60mila di oggi". "Dal momento che lo Stato ha dimostrato incapacità nel percepire e nel misurare gli effetti dell’ annunciato disastro penitenziario", L’Osapp ritiene "indispensabile che siano sempre di più i comuni, le province e le regioni ad assumersi gli oneri della gestione delle carceri". Infine, rispetto alla proposta avanzata dal parlamentare di An Marco Zacchera di trasformare le caserme poco utilizzate in carcere per i detenuti a bassa pericolosità, il sindacato di polizia penitenziaria taglia corto: "è l’ennesima sciocchezza - dice Beneduci - Questo non è più solo un problema di posti letto: mancano mezzi e personale per la risocializzazione dei detenuti".

Milano: mio fratello, detenuto e ammalato di tumore… sia assistito!

 

Ansa, 4 gennaio 2006

 

"Mio fratello è ammalato di tumore, è ricoverato all’ospedale di Niguarda ed è molto grave. Chiedo possa essere assistito dai suoi familiari come è diritto di ogni persona umana". Questo l’appello di Giovanna Gammino, sorella di Angelo, 55 anni, detenuto nel carcere di Parma e da martedì ricoverato in chirurgia vascolare. Angelo Gammino, secondo il racconto della congiunta, scoprì otto mesi fa di avere un tumore al cavo orale, ed è stato operato il 4 dicembre all’ospedale di Parma, intervento in seguito al quale ha rischiato di perdere un arto. "Secondo il chirurgo per una complicazione sopraggiunta - afferma sua sorella - ma secondo le mie informazioni per un errore del medico che ha toccato l’arteria sbagliata". In seguito all’aggravarsi delle sue condizioni i familiari hanno ottenuto di farlo ricoverare d’urgenza in Chirurgia vascolare al Niguarda. "Qui è curato bene - dice Giovanna Gammino - ma le sue condizioni sono molto gravi: non può alimentarsi in modo naturale, non può parlare, è intollerante alla morfina, si agita, si strappa i sondini, gli aghi delle flebo. E in queste condizioni non possiamo stargli vicino se non negli orari di visita perché è piantonato. Chiediamo al magistrato di sorveglianza del tribunale di Reggio Emilia: non può esserci pericolo di fuga, sospendete la pena, allontanate il piantone in modo che come per ogni persona umana anche mio fratello in queste ore possa essere assistito dai familiari".

Venezia: il Patriarca Scola domani visita carcere femminile

 

Asca, 4 gennaio 2006

 

Il patriarca di Venezia card. Angelo Scola prosegue la visita, caratteristica del periodo natalizio e compiuta a nome di tutta la Chiesa veneziana, alle carceri cittadine. Dopo essersi recato la vigilia di Natale in visita a quello maschile di S. Maria Maggiore, nel pomeriggio di domani - a partire dalle ore 17 - il Patriarca sarà nel carcere femminile veneziano della Giudecca: celebrerà qui la messa e poi incontrerà detenute ed operatori della struttura penitenziaria. La mattina di venerdì 6 gennaio, alle ore 10.30, il patriarca presiederà quindi nella Basilica di S. Marco a Venezia il solenne Pontificale nel giorno dell’Epifania (diretta su GVradio Inblu - fm 92 e 94.6); l’Eucaristia avrà uno spiccato significato missionario perché sarà un momento di preghiera "simultanea" con tutti i missionari d’origine veneziana presenti in ogni parte del mondo - sacerdoti "fidei donum", religiosi e religiose, laici volontari - che si uniranno così, secondo il rispettivo fuso orario, alla celebrazione del vescovo in cattedrale. Durante la messa sarà inoltre consegnato il "crocifisso" e il mandato missionario ad un gruppo di fedeli laici (giovani, adulti e famiglie) disponibili o già impegnati a vivere un periodo di missione ed evangelizzazione all’estero.

Venezia: Cacciari; servono più finanziamenti per le carceri

 

Asca, 4 gennaio 2006

 

Più finanziamenti per le carceri. Li ha chiesti il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, che si è recato in visita al carcere femminile della Giudecca, dove si è incontrato con la direttrice degli istituti di pena, Gabriella Straffi e i suoi collaboratori, e con i rappresentanti delle forme associative di volontari operanti nel carcere (la presidente dell’associazione "Il granello di senape", Maria Teresa Menotto, il presidente della cooperativa "Il Cerchio", Gianni Trevisan, il presidente della cooperativa "Rio Terà dei Pensieri", Gabriele Millino e i loro più stretti collaboratori). Il sindaco ha riferito di essere rimasto ancora una volta favorevolmente colpito dal fatto che gran parte delle donne detenute è impegnata in un qualche lavoro - lavanderia, laboratorio di cosmesi, sartoria, orto con sbocco di mercato in città, anche ad alti livelli come nel settore alberghiero - il che rende il carcere femminile una realtà molto attiva; e questo grazie al lavoro delle cooperative, di alta professionalità, eccezionale e forse unico a livello nazionale, e grazie alla grande sensibilità e all’intelligente impegno con cui la direttrice affronta i problemi delle carceri veneziane.

"Purtroppo, ha aggiunto Cacciari, la mancanza di adeguati finanziamenti impedisce ampliamenti e ristrutturazioni che sarebbero necessari anche nel carcere della Giudecca, dove pure si è riusciti a compiere importanti interventi, ma dove pur permangono situazioni disagiate, cui si potrebbe dare soluzione con l’utilizzo di spazi facilmente recuperabili, con non altissime spese". Diversa la situazione del carcere maschile di Santa Maria Maggiore, soprattutto per il sovraffollamento degli spazi, e per le minori possibilità di lavoro offerte ai detenuti, anche per condizioni oggettive, come il costante ampio ricambio. La situazione è resa più grave dalla carenza di personale, soprattutto di operatori di polizia penitenziaria. A conclusione dell’incontro, il sindaco e la direttrice hanno concordato di attivarsi insieme per ottenere ulteriori adeguati finanziamenti, e, con ancora maggiore urgenza, un aumento del personale.

Giustizia: ex Cirielli... quando la legge non è uguale per tutti

 

L’Eco del Chisone, 4 gennaio 2006

 

"Come magistrati applicheremo come sempre questa legge votata dal Parlamento, salvo a denunciarne gli aspetti di sospetta incostituzionalità". Una premessa dovuta, quella di Alberto Giannone, presidente della sezione pinerolese dell’Associazione nazionale magistrati. L’argomento è l’ex Cirielli: una legge dal gran battage, entrata in vigore un po’ in sordina, l’8 dicembre del 2005 (durante lo sciopero dei giornalisti).

Oggi è la normativa che fa fede per tutti i reati commessi a partire da quella data, e per i procedimenti ad oggi in fase di udienza preliminare (vedi la vicenda del teatro Sociale di Pinerolo) o di indagini preliminari (quali l’inchiesta a carico del procuratore capo Giuseppe Marabotto). Per quelli già finiti in dibattimento vigono invece le vecchie regole.

Una legge che il presidente della Corte di cassazione Nicola Marvulli ha stroncato come "obbrobrio dagli effetti devastanti" e che il suo stesso presentatore (l’on. Edmondo Cirielli, appunto) ha rinnegato, ritirando la firma di primo sottoscrittore del disegno legge. Ce n’è di che rifletterci.

"Io - riprende il giudice Giannone - mi limito a dire che è una legge ispirata a principi di irragionevolezza e di contraddizione". E scusate se è poco! "Con questa normativa l’attuale maggioranza codifica apertamente due tipi di giustizia, in violazione al principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge".

Un doppio binario, una giustizia a due velocità: inflessibile con i criminali comuni (grandi o piccoli), "morbida" con i "colletti bianchi" (Giannone li chiama così): politici, faccendieri, banchieri. Uomini di potere, imputati eccellenti, in grado di pagare avvocati di altissimo rango, capaci di fini cavilli per tirare in lungo i processi e far maturare la prescrizione.

"Una difesa spregiudicata e combattiva, che sfrutti tutte le possibilità offerte dal Codice, oggi può più facilmente raggiungere l’obiettivo della prescrizione", conferma il senatore diessino Elvio Fassone. "Soprattutto considerando che i reati commessi da una certa classe sociale (il furto, il piccolo spaccio e simili) non richiedono indagini complicate, mentre i reati tipici di un’altra classe (le violazioni edilizie o ambientali, la bancarotta, la frode, la corruzione, l’usura, il falso in bilancio, l’evasione fiscale) sono di natura complessa e di accertamento molto laborioso, per cui la prescrizione diventa altamente probabile".

Tempi di prescrizione più brevi e mano pesante con i recidivi, cui il giudice non potrà più concedere attenuanti e benefici penitenziari, anche nel caso di reati di scarsissima rilevanza. "C’è il rischio - aggiunge Giannone - di sanzioni spropositate al fatto concreto". Arriviamo al paradosso che un furto di parmigiano potrà essere punito con tre anni di carcere, se il suo autore in precedenza era stato condannato magari per aver offeso il vicino di casa.

Facile prevedere (l’ha ammesso perfino il ministro Castelli) carceri sempre più affollate: il nostro sistema penitenziario di posti ne avrebbe 43mila, oggi siamo a quota 60mila, in prospettiva si prevedono 70mila persone dietro le sbarre.

A detta della maggioranza di Governo che l’ha fortemente voluta, l’ex-Cirielli accorcia però i processi, ponendo rimedio al grande male della giustizia italiana. "Questa legge non interviene in nessun modo su alcuna disposizione del processo", replica Giannone e Fassone concorda: "Pretendere di rendere più veloci i processi abbreviando la prescrizione è come volere che i treni siano più spediti tagliando i tempi degli orari. Il processo ha bisogno di cure strutturali, non di interventi ritagliati sempre sugli interessi di qualcuno".

Fondamentale comunque ridurre i tempi, perché le sentenze siano pronunciate in tempi ragionevoli e nessun cittadino resti anni sotto l’incubo di un processo. Allora, quali rimedi? "Nell’attuale processo vi sono troppe garanzie a favore dell’imputato - riflette Giannone -. È impensabile che per la minaccia (punita al massimo con una multa di 51 euro, ndr) lo Stato debba riconoscere tre gradi di giudizio". In secondo luogo, "questa legge mantiene uno scandalo che fa dell’Italia un caso unico al mondo: l’inaccettabile collegamento tra prescrizione e impugnazione da parte dell’imputato". In altri termini: si va in appello per far maturare la prescrizione. "Un meccanismo perverso. In nessun Paese civile è prevista l’esistenza della prescrizione dopo la condanna di primo grado (a meno che ad appellare sia il pubblico ministero). Tagliare questo nesso, avrebbe avuto immediate ricadute positive sulla durata del processo".

Sulla stessa lunghezza d’onda Fassone: "Occorre distinguere tra prescrizione del reato in senso proprio e "perenzione" del processo (quando il processo "dorme", cioè i vari atti non si seguono con cadenze ravvicinate). Con un’ulteriore avvertenza: "fermare l’orologio" quando è l’imputato a chiedere rinvii o proporre impugnazioni".

Amara la conclusione di Giannone: "Il bilancio sulla politica in tema di giustizia di questi cinque anni è sconfortante e per noi magistrati è sempre più difficile non sentirci abbandonati, se non laicamente rassegnati".

Milano: i bimbi di San Vittore e il sogno di una casa

 

Corriere della Sera, 4 gennaio 2006

 

Nel carcere di San Vittore ci sono in media dai cinque ai nove bambini: appena nati e sino al compimento del terzo anno. Non dovrebbero starci, perché una legge dello Stato, approvata alcuni anni fa, contempla misure alternative per le mamme con figli inferiori ai tre anni. Ma questo passo di civiltà è rimasto sulla carta: ignorato, inapplicato. Mancano le strutture: ecco la motivazione con cui tutti gli enti locali italiani se ne sono lavati le mani. A Milano non s’è trovato, pensate un po’, un appartamento, una villetta, un piccolo stabile dove creare un ambiente adatto ai bambini, con aria di casa, un po’ di verde, un piccolo spazio giochi, in regime di vigilanza attenuata.

Nelle mie frequentazioni di San Vittore ho provato un senso di rabbia e ingiustizia incontrando, nella sezione femminile, bambini all’alba della vita e nel vederli trascorrere la giornata, seppure amorevolmente assistiti, al ritmo delle celle e al rumore dei cancelli. Un progetto comunale di qualche anno fa (una vecchia scuola) si arenò per problemi economici. Appelli e denunce sono stati vani. Un po' di commozione durante la messa di Natale, frequentata dalle autorità, e basta: silenzio su quegli innocenti che al compimento dei tre anni, se la mamma deve scontare una pena più lunga, vengono consegnati a una parente, se c’è, o a qualche istituto. Con traumi facilmente immaginabili. Luigi Pagano, che ha diretto San Vittore per quindici anni e oggi è provveditore regionale, non ha mai smesso di battersi. E adesso abbiamo quasi paura a dirlo: si è aperto uno spiraglio o forse qualcosa di più concreto. C’è la speranza che Milano possa liberarsi di una grande vergogna, portando fuori da San Vittore i bambini che vi soggiornano. È intervenuta la Provincia con la volontà e la grinta di una signora: l’assessora (così viene chiamata, al femminile) Francesca Corso. Il primo impatto risale all’estate scorsa. Nacque un impegno. La ricerca del posto adatto non è stata facile, ma alla fine è saltata fuori una palazzina in piena Milano, di proprietà della stessa Provincia, dove con opportuni lavori si potrà attrezzare un appartamento per mamme e bambini, con tutte le garanzie di sicurezza di un carcere, ma con un’ambientazione e con spazi, interni ed esterni, che non ci faranno vergognare dinanzi ai piccoli. Ieri mattina la Corso e due tecnici della Provincia hanno guidato Pagano in un sopralluogo molto promettente, al quale sono stato cortesemente invitato. Nei prossimi giorni ci sarà un confronto con il Dipartimento penitenziario al quale dovrà essere sottoposto il progetto. Burocrazia, prescrizioni legali e lavori da compiere non fanno prevedere tempi brevissimi, ma la volontà esiste. Il sogno ha un arco di sei mesi. È bello che l’alba dell’anno nuovo ci abbia regalato questa speranza.

 

Candido Cannavò

Intercettazioni: 1,5 milioni di persone vengono "ascoltate" ogni anno

 

Ansa, 4 gennaio 2006

 

Sono circa centomila ogni anno i "bersagli" delle intercettazioni telefoniche. Il dato - stando ai rilevamenti del ministero della Giustizia - viene considerato stabile dopo il ‘boom’ registrato tra il 2001 e il 2004, quando le intercettazioni sono passate da 32mila a quasi 93mila. Lo stesso ministro Castelli ha fatto notare che, considerando in base a una "stima prudenziale" che ad essi corrisponda un terzo di soggetti perché ogni intercettato può utilizzare più di una utenza, è plausibile pensare che le persone intercettate siano circa 33mila in un anno. Già in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, Castelli aveva parlato di "esplosione non sopportabile della spesa per le intercettazioni" sottolineando che il numero complessivo "raddoppia ogni due anni".

Nella relazione presentata all’inizio dello scorso settembre in consiglio dei ministri, il Guardasigilli ha spiegato che ogni campagna di intercettazione può durare 45 giorni e, se si calcola che nel corso di un mese il soggetto parli con una cinquantina di persone diverse, si può arrivare a dire che ogni anno vengono ascoltate circa un milione e cinquecentomila persone. Negli ultimi quattro anni la spesa per le intercettazioni è cresciuta enormemente: nel 2001, quando i bersagli furono 32mila, è stata di 165 milioni di euro; nel 2004 è stata di 263 milioni per 92.781 bersagli.

Roma: 16 mesi in cella per uno scambio di persona

 

Il Messaggero, 4 gennaio 2006

 

Dopo sedici mesi si sono aperte le porte di Rebibbia per Yuri, algerino, ingiustamente detenuto in carcere a causa di uno scambio di persona. In quella cella, infatti, avrebbe dovuto dormirci Omar, egiziano, condannato per diversi reati dai Tribunali di Forlì e di Roma. Invece quel letto lo ha occupato per oltre un anno Yuri, 41 anni, fisico e nazionalità diversi da quelli di Omar, 37 anni. E forse senza la scrupolosità del giudice Massimo Brambilla e l’ostinazione del suo difensore, l’avvocato Andrea Guidi, Yuri avrebbe continuato a scontare ingiustamente una condanna per fatti che non ha mai commesso. Lo sbaglio però, nasce nel lontano ‘98 quando, durante un normale controllo, Yuri viene identificato con i dati anagrafici di Omar. Alla polizia, cioè, Yuri risulta con la sua foto e le sue impronte digitali ma abbinate al nome e a una data di nascita parzialmente simile a quella di Omar. Quel pasticcio Yuri è destinato a pagarlo caro sei anni dopo quando il Tribunale di Roma dispone che divenga subito esecutiva la condanna dell’egiziano Omar. Le forze dell’ordine nei loro archivi trovano la foto di Yuri, residente a Roma. Quando viene arrestato Yuri dichiara subito la propria innocenza, grida di non essere Omar. E l’avvocato Guidi scopre che Yuri è la persona che afferma di essere. A confermare questa verità soccorre l’esistenza di una carta d’identità e un permesso di soggiorno a nome di Omar che mostrano una foto con un viso diverso da quello dell’uomo rinchiuso a Rebibbia.

Chieti: un progetto per l’integrazione tra carcere e città

 

Il Messaggero, 4 gennaio 2006

 

Integrare il carcere di Madonna del Freddo nel territorio elaborando progetti importanti perché non si tratta di attività ricreative ma di opportunità che si danno alle persone detenute di acquisire la consapevolezza delle loro risorse.

È in sostanza l’obiettivo di un progetto complessivo, che si articola in una serie di attività, che la Casa circondariale teatina avviato in collaborazione con il Comune e la Caritas diocesana di Chieti-Vasto attraverso i suoi volontari e che ha portato una prima volta nelle scorse settimane alcuni detenuti fuori dal carcere, protagonisti di uno spettacolo teatrale al Supercinema mentre il prossimo 5 gennaio sarà inaugurata presso la bottega d’arte della Camera di commercio una mostra delle opere di pittura di due detenuti, Ergos e Franco e loro nomi, che dal 6 all’8 gennaio esporranno 35 opere scelte con il contributo di un noto artista teatino, Luciano Primavera. Su questa ed altre iniziative hanno posto l’accento ieri il sindaco Francesco Ricci e il direttore del carcere Maria Lucia Avantaggiato.

Tra le altre attività del progetto appena avviate vi sono un centro culturale di dialogo, confronto e dibattito con la lettura guidata di libri e giornali, con proiezione di film e con conferenze su temi specifici; la creazione di un centro di ascolto per fornire ai detenuti stranieri informazioni su documenti e permessi di soggiorno, accoglienza presso la casa "Mater populi teatini" a detenuti in permesso premio o per fine detenzione, la distribuzione del vestiario per chi ha necessità e non ha parenti; un periodico mensile, tornei di calcetto, musica, educazione fisica.

Immigrazione: 30enne tunisino muore in Cpt Caltanissetta

 

L’Unità, 4 gennaio 2006

 

Mhedy Alìy si trovava nel Centro di accoglienza temporanea di Caltanissetta dal 19 novembre scorso. La notte di Capodanno riceve la notizia della morte di un parente. Disperazione e rabbia per non poter liberamente raggiungere il suo paese, vista la detenzione a Pian del Lago. Sono le 3.30 del 1° gennaio quando Mhedy si sente male. Gli somministrano dei calmanti ma non c’è nulla da fare. Il tunisino morirà nel tragitto in ambulanza verso l’ospedale.

L’avvocato Giovanni Annaloro che fornisce sostegno legale ai richiedenti asilo rinchiusi nel cpt di Pian del Lago, racconta di essere stato informato della morte del giovane solo domenica sera, ben 24 ore dopo il decesso. "Il condizionale è d’obbligo fino a quando non ci sarà il referto dell’autopsia – premette - ma intanto non posso non registrare una versione leggermente diversa. A me è stato riferito che dopo aver parlato al telefono Mhedy ha cominciato a dare in escandescenze, piangendo e dimenandosi perché voleva uscire. Così per calmare il giovane - continua Annaloro i medici gli avrebbero somministrato del valium e di li a poco il tunisino si sarebbe sentito male".

L’autopsia stabilirà se a causare l’infarto sia stata una dose eccessiva di farmaci o se si sia trattato di una morte naturale. Le fonti citate dall’avvocato Annaloro raccontano anche di una rivolta che ci sarebbe stata nel cpt di Caltanissetta tra i migranti rinchiusi, subito dopo aver saputo che Mhedy era morto.

"Ho fatto richiesta per entrare a Pian del Lago con dei parlamentari locali – aggiunge - Aspetto l’autorizzazione della Prefettura anche perché se ci sono situazioni da chiarire è necessario raccogliere le testimonianze prima che i migranti vengano rimpatriati".

Diversa la versione fornita dalla Questura di Caltanissetta, che non lascia spazio a gialli di alcun genere. Il dottor Fabio Lacagnina, funzionario dell’Ufficio di Gabinetto, spiega innanzitutto che a Mhedy sono stati dati dei calmanti solo dopo che aveva già accusato il malore. "Il tunisino si è sentito male – spiega Lacagnina - dopo la telefonata che lo informava della morte di un parente. È stato a questo punto che i medici gli hanno somministrato una terapia".

Dopo quindici, venti minuti, Mhedy, che nel frattempo era andato a dormire, avrebbe riaccusato il malore. I suoi compagni di stanza avrebbero così allertato nuovamente i dottori. A questo punto la corsa all’ospedale di Sant’Elia e la morte in ambulanza. Quanto alla rivolta interna il funzionario dell’Ufficio di Gabinetto non conferma. "Il giovane aveva degli amici nel cpt che hanno cercato di avere notizie, magari in modo concitato; ma non c’è stata alcuna rivolta".

Per i bambini detenuti - Per i diritti dei detenuti

Avellino, 6 gennaio 2006, ore 11.00 - Piazza Libertà

 

Forse non tutti sanno che:

in Irpinia ci sono 4 carceri: Bellizzi Irpino, Ariano, Sant’Angelo, Lauro.

in Italia ci sono 45 bambini (da un mese a tre anni di vita) che vivono nelle patrie galere perché le loro madri stanno scontando una pena o sono in attesa di giudizio.

nel carcere di Bellizzi ci sono 6 bambini che "aspetteranno" la befana dietro le sbarre.

in Italia ci sono 60.000 detenuti ma la capienza delle carceri è di sole 42.000 unità.

la c.d. legge ex Cirielli causerà un ulteriore aumento dei detenuti (circa 20.000 nel giro di un anno).

i suicidi in carcere avvengono 18 volte di più che nella libera società.

le politiche sociali diminuiscono la criminalità ed aumentano il benessere della persona e della società.

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