Rassegna stampa 3 gennaio

 

Bologna: detenuto muore in cella alla Dozza dopo un malore

 

Ansa, 3 gennaio 2006

 

Un detenuto 34enne, Daniele Salvatore, originario di Taranto, è morto il 30 dicembre dopo un malore nel carcere bolognese della Dozza. Il Pm Stefano Orsi ha disposto l’autopsia e analisi tossicologiche. I familiari di Salvatore, hanno nominato un loro consulente medico legale e vogliono appurare se i soccorsi al loro congiunto sono stati tempestivi. Circa un mese fa un altro detenuto della Dozza era morto al rientro da un permesso e sono ancora in corso accertamenti.

Immigrazione: interpellanza sulla morte al Cpt di Caltanisetta

 

Vita, 3 gennaio 2006

 

Le chiede a gran voce il vicepresidente dei deputati di Rifondazione Comunista Giovanni Russo Spena. "Con la legge Bossi-Fini i migranti continuano a morire. Ieri è morto un migrante detenuto nel centro di permanenza temporanea di Caltanisetta. Pare, per eccesso di sedativi. Il Governo, che ha la responsabilità politica nei confronti del Parlamento, informi subito Parlamento e opinione pubblica su ciò che è accaduto a Caltanisetta", afferma il vicepresidente dei deputati di Rifondazione Comunista Giovanni Russo Spena.

L’esponente comunista aggiunge che "tutto ciò che accade all’interno di strutture gestite dagli organi dello Stato chiama in causa la responsabilità diretta del Governo. È questa l’essenza di uno Stato di diritto democratico". "Abbiamo inoltre, una dimostrazione ulteriore - conclude Russo Spena - che i centri di permanenza temporanea non possono essere umanizzati. Vanno chiusi, senza indugio, cambiando l’impostazione complessiva del governo dei flussi migratori".

Giustizia: l’indignato speciale… quando è giusto un atto di clemenza

 

TG Com, 3 gennaio 2006

 

Le carceri italiane, per la maggior parte, fanno letteralmente schifo. Sono luoghi di detenzione barbara, indegni di un paese moderno e civile. Le condizioni di vita sono pessime, non si attuano certo programmi di riabilitazione, progetti di reinserimento graduale nella società. Come risolvere questo problema? Costruendo nuove e moderne carceri. È davvero semplice e in fondo più onesto che un’amnistia generalizzata. Mi spiego meglio: tiriamo pure fuori dalle prigioni migliaia di detenuti, alleggeriamo la pressione. Ma forse questa riduzione di presenze renderà migliori le condizioni di coloro che rimarranno negli istituti di pena? Rifioriranno le celle a misura d’uomo? Luoghi come San Vittore, Regina Coeli, Secondigliano, Ucciardone diventeranno per incanto moderne istituzioni di rieducazione? No, è ovvio.

L’amnistia ci vuole, così come indicò Giovanni Paolo II nella storica visita alla Camera. La società deve saper chiudere i suoi conti con coloro che hanno sbagliato. Ma come disse a suo tempo il pubblico ministero Piercamillo Davigo " se ci sono molti che delinquono occorre avere più strutture detentive, non alleggerire la pressione punitiva dello Stato". Franco Ippolito, presidente di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe da sempre in prima fila nella politica attiva, ha detto giorni fa: "Si fa la faccia feroce con la criminalità di strada e si è lassisti con quella delle classi dirigenti". È un’affermazione stupefacente che la dice lunga sullo stato generale della Giustizia nel nostro Paese. Appare infatti del tutto evidente che al cittadino interessa poco o nulla di certe inchieste che spesso sono la punta di un iceberg che vede sotto la superficie scontri tra bande di poteri e lobby varie, e interessa invece molto che certi delinquenti abbiano la giusta pena. Ippolito non sa che alla gente, quella normale che vive del proprio stipendio, ha le cambiali e il mutuo e due cosette in casa magari acquistate a rate, importa molto della propria sicurezza. Quella serenità che oggi è messa a rischio ogni giorno non da Provenzano o Fiorani, ma dai mille e passa piccoli e medi criminali che ti entrano in casa, ti legano, minacciano, picchiano e a volte uccidono per un cellulare, due soldi e poco più. E la gente sa che molti di questi criminali resteranno impuniti perché una volta arrestati per un cavillo torneranno in libertà o al più affolleranno certo le carceri in lunghe attese per un giudizio che non verrà mai e non per colpa di noi cittadini, ma delle tante corporazioni che da anni impediscono ogni serio progetto di riforma della Giustizia.

Personalmente credo molto nell’uomo e nella sua possibilità di redenzione. Non sono un forcaiolo e penso sia giusto un momento di clemenza, ragionata e argomentata caso per caso. In carcere c’è tanta umanità che noi non conosciamo. Dobbiamo garantire dignità della pena e possibilità di redenzione, ma non possiamo fare di tutta un’erba un fascio e dimenticare che per ogni criminale dietro le sbarre ci sono più vittime che soffrono e soffriranno per tutta la vita.

Giustizia: Zacchera (An); trasformare caserme dismesse in carceri

 

Ansa, 3 gennaio 2006

 

Trasformare le caserme poco utilizzate in carcere per i detenuti a bassa pericolosità "e per chi deve rientrare la sera avendo ottenuto la semilibertà, oppure per chi ha da scontare l’ultima parte della condanna e non ha interesse a fuggire pena il ritorno in carcere": è la proposta di Marco Zacchera (An), vicepresidente dell’Unione dell’Europa Occidentale e Assemblea interparlamentare di sicurezza e difesa. "Senza necessità di grandi ristrutturazioni - sottolinea Zacchera - potrebbero essere utilizzate per ridurre la popolazione carceraria. Si faccia un censimento (visto che non si è riusciti a venderle) e si provi così ad alleggerire la pressione carceraria". "Inoltre, occorrerebbe incentivare l’espulsione di extracomunitari verso le carceri dei paesi d’origine - osserva l’esponente di An - in regime di accordo internazionale, contro concessione di permessi di lavoro alle Nazioni convenzionate. Certo non è una soluzione che si risolva tutti i problemi carcerari, ma almeno si cominceranno a separare pericolosi delinquenti da quelli di piccolo cabotaggio ed anche il sistema di vita interno ne beneficerebbe".

Giustizia: carenze personale penitenziario e giudiziario tra 20 e 50%

 

Ansa, 3 gennaio 2006

 

"Saranno pure 60 mila i detenuti e 38 mila quelli in esecuzione penale esterna, però resta un fatto che il personale giudiziario e penitenziario è insufficiente". Così Paola Saraceni, segretario nazionale Ugl Ministeri, commenta le dichiarazioni del Guardasigilli Castelli sulle misure adottate dal governo per contenere il sovraffollamento delle carceri. "Infatti, se ai dati forniti dal Ministro andiamo a vedere quelli relativi ai detenuti in attesa di giudizio ci rendiamo perfettamente conto con quanta lentezza procede la macchina giudiziaria e, quindi la conseguente ricaduta sull’esecuzione penale. Le carenze organiche tra il personale penitenziario e giudiziario - afferma Saraceni - variano dal 20 al 50%; i carichi di lavoro sono moltiplicati per tre per ogni dipendente ed in quanto ai ritardi biblici dei processi ormai ne paghiamo solo multe". "Prendiamo atto della professionalità del personale e del senso di responsabilità dei detenuti, come afferma lo stesso Castelli, però - conclude la responsabile Ugl - da un ministro della Giustizia oltre al riconoscimento ci aspettiamo ben altre e concrete risposte".

Film: a Cagliari ultimate le riprese di "Jimmy della collina"

 

Redattore Sociale, 3 gennaio 2006

 

"Spegnevo la cinepresa e ascoltavo il cancello della comunità chiudersi. Io uscivo, loro restavano". Enrico Pau ricorda così le riprese, appena terminate, di "Jimmy della Collina", il suo film ambientato nell’istituto penale minorile di Quartucciu e nella comunità La Collina di Serdiana, entrambi in provincia di Cagliari. Alle riprese hanno partecipato anche sei ragazzi, due stranieri e quattro italiani, oggi ospitati da don Ettore Cannavera: "Il film ha sconvolto la Comunità", ammettono alla Collina. Alla comunità di don Ettore, che dal 1995 si occupa del reinserimento dei giovani ex-detenuti, la giornata ha ritmi propri: i ragazzi vanno a lavorare fuori come manovali, aiuto-meccanico e giardinieri, oppure nei campi e negli oliveti dell’azienda agricola La Gariga, legata alla comunità, se il giudice ha previsto gli arresti domiciliari, per poi rientrare la sera. "Grazie alla loro consulenza e a quella di don Ettore - spiega Pau all’agenzia Redattore sociale- ho cercato di ricreare una realtà credibile, sulla quale la trama del romanzo di Massimo Carlotto, da cui è tratto il film, potesse prendere vita".

 

Che cosa l’ha interessata del libro?

"È la storia di un figlio di operai che rimane impigliato nei meccanismi del crimine, affascinato da un immaginario quasi letterario sulla malavita. Tenta una rapina ma viene tradito e denunciato dai compagni. Finisce prima all’Ipm di Quartuccio e poi alla Collina. Il progetto del film è nato dal desiderio di attirare l’attenzione su iniziative come quella di don Ettore, utili a reinserire davvero i giovani senza gravare sulle carceri e sulle loro vite".

 

Come si è preparato alle riprese?

"Io e la sceneggiatrice Antonia Iaccarino abbiamo trascorso un anno fra carcere e comunità. Così come dietro il libro di Massimo, anche alle spalle del nostro lavoro c’è molta attenzione per la realtà, molto realismo".

 

Dove finisce la realtà e dove comincia la fiction?

"Jimmy non esiste, ma la sua storia è la sintesi di tanti che sono passati dal carcere, come Mohammed, Aziz e gli altri ospiti di don Ettore che hanno recitato. Gli attori, professionisti come Valentina Carnelutti o non professionisti come il protagonista, hanno preso parte al film come ad un’esperienza umana irripetibile".

 

Che idea si è fatto della comunità?

"Il carcere di Quartucciu, grazie al direttore Giuseppe Zoccheddu, e la Comunità di don Ettore, sono realtà penitenziarie speciali, molto aperte e vitali, ricche di stimoli anche culturali. La pena maggiore nei carceri minorili è la noia, l’ozio forzato. Per questo motivo teatro, lettura e iniziative culturali possono essere molto utili, insieme alla formazione e al sostegno per il reinserimento lavorativo".

 

Che cosa le ha lasciato La Collina?

"L’esperienza di un’umanità dei luoghi, che mi ha travolto. Spero di riuscire, in fase di montaggio, a far trasparire la grande emozione dell’incontro con i giovani della comunità. Ho lavorato con un ragazzo che scontava una pena per omicidio, scoprendo in lui una sensibilità artistica unica. Dopo una giornata trascorsa insieme uscivo con addosso la malinconia. Lo attendeva una notte così diversa dalla mia".

Saluzzo: il detenuto fa il giornalista e il carcere ha il suo Tg

 

La Repubblica, 3 gennaio 2006

 

Quasi in fondo al corridoio, su una delle porte blindate color celeste c’è scritto "redazione". E ci lavorano dieci persone, nell’unica redazione al mondo senza telefoni, senza internet, senza agenzie di stampa, senza cellulari, e con una mazzetta di appena cinque giornali comprati da altri alla stazione. Ma è anche l’unica redazione al mondo dentro una prigione. E i giornalisti sono carcerati, il tecnico e il regista sono carcerati, gli speaker sono carcerati. Insieme, fanno un telegiornale.

La casa di reclusione "La Felicina" di Saluzzo è in una spianata sotto le montagne, blocco grigio fuori dalla città. Si fa teatro, ci sono i laboratori, non si dimentica che chi sta dentro è prima di tutto una uomo. Ci vivono 380 detenuti. L’idea del tg è venuta a un gruppetto di persone con parecchi anni da scontare e molte cose da dire. Eccoli, attorno all’unica scrivania davanti al tavolo lungo dove sono appoggiati un computer, due monitor, il masterizzatore e un microfono.

"Il Comune ci ha dato 1.506 euro per l’attrezzatura", racconta Pancrazio Chiruzzi, 54 anni, uno dei due "capi struttura" per dirla giornalisticamente (ma tra loro non esistono gerarchie), così come Stefano Diamante, 31 anni e una disinvoltura al microfono da fare invidia a molti veri mezzibusti. Tre colleghi (Giancarlo Bonetto, Antonio Di Gennaro e Stefano Diamante) si occupano della rassegna stampa, mentre Salvatore Pititto è il redattore sportivo. Autodidatti assoluti. Due detenuti marocchini, Abdellatif El Baroudi e Khalid Ben Haddi, leggono la rassegna stampa in arabo e altri due, Arben Shala e Klodian Kukaj, fanno la stessa cosa in albanese.

Il cameraman si chiama Morgan Boccedi, del montaggio e della grafica si occupa Salvatore Allard. Li coordina l’agente Antonio Santillo, "assistente capo" (la sua carica nel carcere, non nel tg, anche se è una dicitura intercambiabile): "Massimo rispetto dei ruoli, io sono la guardia, loro i detenuti, però io ho lavorato in alcune tv private e conosco il mestiere. I ragazzi mi seguono, sono umili, vogliono imparare. Io gli ripeto di pensare più al senso delle cose che alla qualità, eppure anche quella non manca".

Il Tg della prigione, che si chiama "Rassegna in..." sulla falsariga della testata del giornale interno "Parole in libertà", viene trasmesso a circuito chiuso in tutte le celle alle 15 e 30 e dura mezz’ora. Prima si riassumono le notizie dei giornali, poi vanno in onda servizi sulla vita del carcere, aggiornamenti di legge, curiosità, informazioni di servizio con l’aiuto del sito internet del carcere di Padova (www.ristretti.it) e la mediazione degli educatori, cioè gli assistenti dei carcerati. "Sono loro a portarci i giornali, perché quelli in abbonamento arrivano troppo tardi, verso le tredici e neanche tutti i giorni. Poi i dischetti e altro materiale".

Come e più che per i giornalisti veri, il nemico è la fretta. "Possiamo restare in redazione solo in orari rigidi", spiega Pancrazio Chiruzzi. "Dalle 9 alle 11 la mattina, dalle 13 alle 16 il pomeriggio, rinunciando ovviamente alle ore d’aria. Con gli strumenti che possediamo, i tempi di montaggio sono piuttosto lunghi. Eppure siamo soddisfatti, riusciamo un po’ a rompere l’isolamento terribile della prigione. E poi diffondiamo notizie. Lo sapevate che nel carcere di Orvieto si produce dell’ottimo vino? O che su 61mila detenuti attualmente in carcere in Italia, circa 16mila hanno problemi psichici?".

Come dovrebbe essere in ogni redazione, la notizia è sovrana, e la libertà editoriale quasi assoluta. "Finora non c’è stato il minimo problema - spiega la direttrice Marta Costantino, 35 anni, la più giovane d’Italia - e ci siamo detti che è bene fidarsi. L’iniziativa è partita da loro, e mi sembra una cosa molto importante".

L’idea è quella di passare dal tg a una programmazione vera e propria nell’arco della giornata, con un palinsesto e trasmissioni regolari. "Abbiamo chiesto cassette e dvd alla biblioteca di Saluzzo", dice Chiruzzi. "Il nostro sogno sarebbe l’abbonamento a Sky, per poter registrare e selezionare programmi, penso a documentari e a film d’autore, mentre oggi i detenuti si rimbambiscono di reality".

Dunque servirebbero Sky ma anche il notiziario dell’Ansa, e cartucce d’inchiostro per la stampante e magari una telecamera un po’ più moderna, o un computer più potente. "Purtroppo, il carcere non ha un centesimo e dobbiamo chiedere aiuti all’esterno, oppure autotassarci", interviene Salvatore Allard, il grafico: "I faretti li abbiamo comprati noi, e anche lo sfondo dello studio, quello con l’occhio gigante, lì dietro. Invece le tendine per oscurare le finestre le ha cucite il mio compagno di cella che è un sarto". Arrangiarsi, curiosando nella vita degli altri e nella propria. Progettare, e raccontarsi. Il giornalismo, ecco. Usare le parole per essere meno soli. "Sarebbe stato bello fare questo mestiere, prima, fuori di qui".

Milano: giudici in ferie, detenuti a San Vittore senza processo

 

Corriere della Sera, 3 gennaio 2006

 

La giustizia un po’ come il Monopoli. Tiri i dadi e stai a vedere come va. Può andare bene, certo, ma può anche capitare di finire in prigione senza passare dal via e saltare il turno. Esattamente quanto è capitato ai trenta e passa arrestati per strada a Milano tra il penultimo e l’ultimo dell’anno. Immigrati e italiani, per lo più clandestini e ladruncoli, che il 31, data l’assenza assoluta di magistrati del tribunale monocratico, non hanno potuto beneficiare del rito direttissimo e sono dovuti passare per forza da San Vittore. Saltando un turno, insomma. E trascorrendo proprio tutti dietro le sbarre, anche coloro che avrebbero dovuto essere scarcerati dal giudice, la fine del 2005 e l’inizio del 2006. "Circostanza sconvolgente - ha protestato ieri in tribunale un Pm, incassando la solidarietà del Gup di turno - solo a Milano non si sono previsti i turni dei giudici monocratici per il 31, e il 2 gennaio siamo qui con trenta e più arrestati costretti davanti al Gup per un’udienza di convalida in vista di processi che nessuno, ora come ora, sa come e quando e se mai si faranno. La giustizia è fatta di ingranaggi delicati, se ne blocchi uno i guai ricadono su tutti gli altri". Una critica, neppure troppo velata, a chi, al vertice del tribunale meneghino, per competenza avrebbe dovuto fissare i turni per il 31 dicembre ricordandosi che già il primo dell’anno, una domenica, i giudici monocratici non avrebbero lavorato e gli arrestati sarebbero rimasti per tre giorni in carcere senza poterne vedere uno. Voglia di ferie dei giudici o colpa della carenza del personale di cancelleria? Il dubbio resta. Chi, festa o non festa, per il disguido ha fatto straordinari è la polizia penitenziaria. Pagata dai cittadini.

Droghe: "stralcio" forse inserito in legge di modifica ex-Cirielli

 

Ansa, 3 gennaio 2006

 

Il governo potrebbe inserire come emendamenti al decreto sulla sicurezza, insieme alle modifiche alla ex Cirielli, i tre punti qualificanti dello stralcio al ddl Fini sulle tossicodipendenze, "modificati secondo i suggerimenti degli operatori presenti alla Conferenza nazionale di Palermo". Lo annuncia il ministro Carlo Giovanardi, che ha la delega alle politiche antidroga. I tre "pilastri" dello stralcio del ddl Fini - allargamento della possibilità di usufruire delle pene alternative, istituzione dei dipartimenti con l’equiparazione pubblico-privato e definizione dei limiti tra spaccio e consumo personale - potrebbero, secondo Giovanardi, essere "inseriti come emendamenti nel corso della discussione del ddl di conversione del decreto" sulla sicurezza, "insieme all’eliminazione della recidiva per i tossicodipendenti". Il decreto sulla sicurezza, approvato dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre scorso, andrà presumibilmente in discussione al Senato a gennaio, alla riapertura del Parlamento. L’inserimento nel decreto "può rendere possibile - afferma Giovanardi - l’approvazione di queste tre norme fortemente sollecitate dagli operatori, così come sono state riscritte dopo Palermo, prima della fine della legislatura". "Ci tengo a dire - insiste il ministro - che le nuove norme in materia di droga sono state discusse per due anni e mezzo in commissione al Senato. Sulla base di due anni e mezzo di lavoro io ho accantonato più di cento articoli. Ne sono rimasti una ventina, che sono stati sviscerati, approfonditi a Palermo, dove sono stati profondamente modificati. Quindi quello che discuteremo al Senato sono quei punti dello stralcio modificati a Palermo". "A questo punto - aggiunge - se qualcuno tira ancora fuori la storia della mancanza di dialogo, del colpo di mano, non può che essere in malafede, perché non ho mai visto un provvedimento che abbia avuto una fase di discussione così approfondita, così lunga e articolata e che sia stato così modificato sulla base del dialogo con gli operatori". "Tutta questa operazione - conclude il ministro - tende al recupero del tossicodipendente fuori dal carcere, a meno che qualcuno non voglia difendere gli spacciatori, ma questo è un altro discorso".

Benevento: quadrangolare di calcio "Un goal per la vita"

 

Vita, 3 gennaio 2006

 

È giunto alla quarta edizione "Un goal per la vita" il quadrangolare organizzato dalle Unione sportiva Acli di Benevento, in collaborazione con la Caritas diocesana, Figc e Aia sezione di Benevento, Simposio Immigrati e le associazioni del movimento aclista. La manifestazione è inserita nel cartellone Natale Solidale, programmazione natalizia del Comune di Benevento.

Le partite inizieranno alle ore 8,30 e la finale è prevista per le ore 11 seguita dalle premiazioni. Tra i calciatori anche quattro sacerdoti sanniti Don Nicola De Blasio, Don Michele Villani, Don Giuseppe Oropallo e Don Saverio Goglia della nazionale italiana preti. Le precedenti tre edizioni sono state vinte dalla rappresentativa dei detenuti. Saranno presenti per le premiazioni e per augurare un buon anno ai detenuti monsignor Pompilio Crispino vicario generale della diocesi di Benevento il presidente della Provincia Carmine Nardone il sindaco di Benevento Nicola D’ Alessandro oltre ai parlamentari della zona.

"In questi anni, il nostro lavoro è stato finalizzato per un’azione sociale rivolta a tutti senza escludere nessuno, per praticare lo sport per tutti. Con l’Unione sportiva Acli", continua Angelo Donisi, presidente provinciale dell’U.S. Acli "vogliamo prospettare delle attività irrinunciabili dell’associazionismo sportivo per promuovere lo sport come connettore sociale, il quale, costituisce un elemento irrinunciabile della dimensione educativa, per il ruolo che esso svolge nella formazione dell’educazione continua degli adulti". Il direttore della Casa Circondariale, Liberato Guerriero, dichiara che lo sport, specialmente all’interno delle strutture carcerarie, assume anche un’attività umana che si fonda su valori sociali, educativi e culturali essenziali, e rappresenta quindi un eccellente strumento per equilibrare la formazione e lo sviluppo della persona in ogni età.

 

 

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