Rassegna stampa 20 aprile

 

Rovereto: detenuto si suicida nella notte, autopsia e indagine

 

Trentino, 20 aprile 2006

 

Tragedia in carcere l’altra notte. Un detenuto si è infatti tolto la vita mentre i compagni di cella dormivano, ad accorgersene, ieri mattina, è stato il personale di guardia della casa circondariale. All’apparenza nella cella dell’uomo, in carcere per reati minori da sette mesi, era tutto normale. E lui sembrava dormire come era solito fare: tutto coperto, testa compresa, dalle lenzuola. Era una sua abitudine, nessuno si è insospettito vedendolo. Solo che, anche chiamato, non si svegliava. Ed allora la polizia penitenziaria ha capito che c’era qualche cosa che non andava. E si è resa conto che l’uomo era ormai privo di vita. Per suicidarsi ha scelto di usare la bomboletta del gas che è data in dotazione a tutti i detenuti. Non ha fatto alcun rumore: nessuno poteva accorgersi di cosa stava accadendo. Ovvio comunque che sulla vicenda sia stata avviata un’indagine, coordinata dal procuratore capo Francesco Pavone. Sul corpo dell’uomo sarà effettuata domani l’autopsia, di cui si occuperà l’anatomopatologa Teresa Pusiol. In carcere rimane l’amarezza per quanto accaduto: "È una grande tristezza anche per noi - osservava ieri il comandante delle guardie carcerarie, l’ispettore Giovanni Sanna - era una persona tranquilla, che mai aveva creato problemi".

Giustizia: troppi detenuti, sono per lo più poveracci non garantiti

 

Questo Trentino, 20 aprile 2006

 

Secondo gli ultimi dati del Ministero della Giustizia (2005) i reclusi nelle carceri italiane sono 59.523. Se consideriamo che la capienza regolamentare delle nostre carceri è di 42.218 posti, possiamo ben capire perché da più parti si parli di "emergenza carcere". Oltre al sovraffollamento, negli ultimi anni nelle carceri italiane stiamo assistendo ad un altro importante fenomeno: l’etnicizzazione: un terzo dei detenuti (19.836) è straniero.

In altre parole, le carceri continuano a riempirsi sempre di più, e a riempirsi di immigrati. La maggiore parte degli incarcerati stranieri proviene dal Marocco, dall’Albania, dalla Tunisia e dalla Romania. C’è da chiedersi perché gli immigrati - che in Italia rappresentano ufficialmente solo il 5% della popolazione (il dato non comprende gli irregolari) – siano una fetta così grande della popolazione carceraria. In altre parole, perché abbiamo così tanti immigrati nelle nostre carceri?

Guardando i reati per i quali la maggior parte delle persone è detenuta, ci rendiamo conto che le nostre prigioni non sono piene di rapinatori sanguinari o di pericolosi assassini. Ma di disgraziati. La stragrande maggioranza di loro sconta una pena per reati minori: furti, spaccio di piccoli quantitativi di stupefacenti. Molti di questi reati sono commessi da immigrati, soprattutto irregolari. Persone senza dubbio colpevoli ,che però spesso rimangono in carcere solo perché gli avvocati d’ufficio non si sono sprecati troppo per ottenerne la liberazione o richiedere una pena più mite. Oppure – e soprattutto - perché il non avere la residenza impedisce agli stranieri di beneficiare delle misure alternative al carcere previste dalla legge italiana: semilibertà, affidamento al servizio sociale, arresti domiciliari, ecc. Se, come diceva nel ‘700 Cesare Beccaria nel suo "Dei delitti e delle pene", la pena per essere giusta dev’essere predeterminata e in proporzione al male commesso, dobbiamo dire che oggi l’immigrato irregolare in Italia spesso patisce una pena ingiusta e sproporzionata. Infatti, a parità di comportamento criminale, sconta una pena più pesante rispetto ad altri che commettono lo stesso reato.

Quali i rimedi? La risposta dipende da come vogliamo concepire lo strumento del carcere. Se intendiamo il carcere come una pena da utilizzare solo quando sia veramente necessario - cioè solo nei casi conclamati di pericolosità sociale - le opzioni possono essere: la depenalizzazione dei reati minori, il rafforzamento dei percorsi alternativi al carcere, la previsione di trattamenti diversi per tossicodipendenti e malati cronici. Diversamente dobbiamo ragionare investendo molte più risorse in uomini e strutture, non tralasciando comunque la formazione e il lavoro all’interno delle mura carcerarie per cercare di favorire il reinserimento sociale dei detenuti ed abbattere l’altissimo tasso di recidiva (è il caso delle persone che, scontata la pena, tornano a delinquere appena usciti).

Resta il problema attuale della gestione di una situazione esplosiva e senza prospettive di miglioramento. Oggi il sistema carcerario non funziona più (o funziona ancor peggio di prima) perché non rieduca, pur costando moltissimo alla società italiana. Ogni detenuto costa allo Stato più di 131 euro al giorno; in un anno, quindi, la spesa è di circa 50.000 euro che moltiplicata per 60.000 fa 3 miliardi di euro. Lo Stato impiega una forza di 43.000 agenti di polizia penitenziaria, un agente ogni 1,4 detenuti, contro una media europea di un agente ogni 3 detenuti e spende pro capite per la salute dei detenuti il doppio che per i cittadini liberi.

L’unica strada ad oggi percorribile per cercare di restituire dignità al pianeta carcere sembra essere quella dell’amnistia o dell’indulto. Finora, sembra che nessuno schieramento politico senta di potersi assumere la responsabilità di decidere per evitare che il sistema collassi. Ciò indubbiamente per il timore delle implicazioni politiche e di consenso nei confronti dell’opinione pubblica. Così ci si limita a piccoli interventi e a ribadire, mestamente, che il sistema carcerario italiano è in grave crisi, un malato cronico, forse moribondo. Se il grado di civiltà di una società si misura anche dalle proprie carceri, è necessario intervenire al più presto.

Vicenza: un detenuto di 29 anni tenta di uccidersi in cella

 

Giornale di Vicenza, 20 aprile 2006

 

Ha tentato di uccidersi in cella la notte di Pasqua. Fortunatamente è stato lanciato l’allarme e i poliziotti penitenziari lo hanno soccorso, allertando il 118. Il giovane vicentino è stato portato in ospedale e medicato. Aveva cercato di tagliarsi le vene ed ha perso molto sangue, ma ora, almeno dal punto di vista fisico, si sta riprendendo. Quanto accaduto verso le 2 della notte fra sabato e domenica ripropone il problema della disperazione fra le mura della casa circondariale S. Pio X. Nei mesi scorsi si erano verificati alcuni episodi drammatici, e un immigrato albanese si era tolto la vita. Più volte i volontari di alcune associazioni, "Utopie fattibili" in primis, avevano sollecitato la necessità di trovare un rimedio. "Gli episodi di autolesionismo sono abbastanza ricorrenti in un carcere - aveva spiegato in occasione del decesso del detenuto Claudio Stella, presidente dell’associazione - proprio per le condizioni di grande prostrazione in cui i detenuti sono costretti a vivere. Oltre tutto, i dati nazionali sui suicidi sono allarmanti perché indicano un aumento". Tra le cause, anche l’eterogeneità della popolazione carceraria. Le differenze sono sempre più pronunciate. Gran parte dei carcerati sono stranieri. "Anche Vicenza non sfugge a questa regola - continua Stella - e non c’è verso di invertire la tendenza in presenza di una politica edilizia carceraria che non affronta questo problema".

Il giovane vicentino, finito nei guai nell’ambito di un’indagine della polizia, aveva spiegato il suo dramma a coloro che lo hanno salvato con poche parole: "Sono disperato". Non ha precisato i motivi del suo stato d’animo di prostrazione, ma non è un caso che abbia scelto la notte di Pasqua, un’occasione di serenità e speranza anche per chi non crede. Lui la speranza ha detto di averla persa. Ora, per riprendersi, ha bisogno di un sostegno morale che lo aiuti a sconfiggere il tarlo e a riprendersi, pronto a costruirsi una vita al S. Pio X e poi all’esterno.

Torino: carcere, il destino dei maniaci e dei killer di bambini…

 

La Stampa, 20 aprile 2006

 

"Prima o poi lo troveranno morto: suicidio o omicidio". È soltanto all’inizio l’inchiesta, ma dentro le carceri la condanna di Alessi è già scritta. Senza appello. "Se non riescono a pestarlo, ad accoltellarlo, lo manderanno arrosto". N. I. ha una trentina d’anni e un’accusa di violenza carnale di gruppo ("ero lì perché ero ubriaco, non ho toccato la donna"), per la quale ha scontato tre anni, prima di accedere agli arresti domiciliari. La sua posizione, in effetti, era meno grave di altre, ma questo vale per i tribunali, non per la prigione. Parla nel tinello di un alloggio decoroso in un condominio umile vicino alla periferia: di qui non può uscire, legge molto, sugli scaffali Stephen King, saggi sulla salute, Ken Follett.

Siamo seduti davanti a tre tazzine di caffè, tre perché - imbarazzato e dubbioso sull’ok che ha dato - ha voluto che fosse presente il suo legale, avvocato Roberto Mordà, studio Aldo Perla di Torino, che lo rassicura e gli dà fiducia nel raccontare la vita dietro le sbarre. Stupratori, pedofili, assassini di bambini. "La diversità dagli altri arrestati incomincia da quando ti prendono", dice. "Gli stessi carabinieri ti strattonano, ripetono: ti rendi conto di quello che hai fatto? A me sono volati uno schiaffo e un pugno allo stomaco. Non per farmi confessare. Soltanto per disprezzo". Racconta che quel disprezzo ti passa sulla pelle, sulla faccia, lo senti entrare nelle orecchie, nei pori.

Così anche all’arrivo al carcere, dopo quattro ore di verbali. Un viaggio in auto del tutto in silenzio. Gli agenti penitenziari cui ti consegnano sanno subito perché sei lì: "Sono burberi, ti ripetono quanto fai schifo, vola qualche ceffone. Ti portano ai Nuovi Giunti". N.I. fa una pausa, guarda davanti a sé, passa una mano sulla maglietta bianca e fissa la porta-finestra aperta del balcone. Poi: "Aprono il cancello e ti portano alla tua cella. Ero con un altro dei miei coimputati. Ci hanno messi insieme. Gli altri hanno saputo subito, non sapevo da chi, di che cosa eravamo imputati". Il "trattamento" soft incomincia subito. Durerà tre mesi. Te la senti di raccontare che cosa accade? Guarda l’avvocato Mordà, che fa sì con la testa. "È un corridoio di insulti. Arrivano da ogni cella. Bastardi, figli di..., vedrete che cosa vi succede, vi siete divertiti? Adesso ci divertiamo noi". Fa una pausa. "Quando escono per l’ora d’aria tu sei chiuso, li guardi passare, gridano, insultano, sputano, ti buttano addosso rifiuti della cella.

Quando tornano ti spiegano per filo e per segno che cosa ti faranno quando uscirai tu: come ti butteranno contro un muro, come due ti terranno e altri a turno faranno a te quello che non dovevi fare alla ragazza, ti mostrano il manico della scopa. E ripetono: ucciditi prima che ti prendiamo noi, impìccati, ti conviene. Allora incominci a tremare, hai paura dell’"aria", non ci vuoi andare. Sono chiusi, adesso, ma non sai se un secondino ha lasciato porte non serrate a chiave. Tremi. Quando esci vola di tutto, riprendono a raccontarti che cosa ti aspetta. Scivoli via aspettando che sbuchino fuori. È ora, succede adesso, arrivano". È anche successo, in effetti. Il carcere è regolato da misure precise per assicurare la tranquillità di tutti: orari d’uscita diversi, per colloqui con legali e parenti, orari diversi per l’aria, una regolazione perfetta, meglio della gestione degli scambi ferroviari.

Ma, a volte, anche i treni si scontrano per gli scambi sbagliati. Dieci anni fa, alle Vallette di Torino, El Mostafa Grimen, 25 anni, marocchino in regola, accusato di violenza su una giovane cameriera, fu pestato da uno stormo di aggressori muniti di rudimentali rasoi. Finì in ospedale con fratture gravissime. Il resto divenne rissa da regolamento di conti fra marocchini e tunisini, legata a vecchi rancori. Cinque anni fa, a Bologna (dove ora è Alessi), Milan Nikolic, ritenuto colpevole dello stupro e dell’assassinio di una bimba di nove anni, fu massacrato di botte alla prima occasione. Peggio ancora, nel 2002, per un imputato di pedofilia detenuto a San Vittore a Milano: sequestrato per una settimana in una cella, picchiato, violentato con una scopa, torturato con bruciature alle piante dei piedi. Tutto organizzato, al punto che altri rispondevano per lui all’appello, altri ancora ritiravano le medicine che gli servivano. Furono indagati alcuni agenti: era sospetto il loro non essersi accorti di nulla per una settimana. "Storie così ne senti - conferma N.I. - soprattutto per chi tocca i bambini". E, dopo qualche esitazione e una sigaretta, racconta: "Dopo tre mesi andai nella sezione degli infami, tutti con le stesse imputazioni. Poi arrivò un pedofilo.

Proprio noi gli riservammo lo stesso trattamento che avevamo subito a tempo nostro. Gli lanciavamo di tutto, anche le bombolette del gas finite. Quando uscivamo per l’aria correva a nascondersi nel gabinetto". Foste stati solo tu e lui? "Non lo so. Lo avrei disprezzato, odiato. Come si fa con un bambino?". E come si fa con una donna che non ti vuole? "Capisco, ma il bambino, un bambino di tre anni...". E qui viene fuori il gruppo, che ha di fronte uno che ritiene peggiore, una gerarchia dell’infamità che, un poco, sembra ridurre le nostre colpe.

E non si guarda a che l’accusa sia vera o sbagliata, appena si può si procede. Perché dici che Alessi, con la gravità di quell’omicidio, può prendersi una coltellata o andare arrosto? "Perché è facile con una lattina o una bomboletta, schiacciata nello stipite della porta e poi modellata durante l’ora d’aria sull’asfalto, costruirsi una lama. Ce l’hanno tutti". E perché tutti? "Perché con il coltello di plastica come fai con le cipolle? Non scherzo, ha usi innocui. Ma serve anche...". Ma perché arrosto? "Perché con una bomboletta puoi fare una piccola bombetta vera, basta uno stoppino improvvisato. Se ha la porta blindata aperta, gliela lanci tra le sbarre, da una cella all’altra. Se decidono di non mollare, prima o poi - a meno che il tempo non lo metta da parte - uno spiraglio nell’attenzione e nella fatica degli agenti lo trovano".

Udine: Comune chiede alla Regione 80mila euro per i detenuti

 

Il Gazzettino, 20 aprile 2006

 

Nel corso della seduta di ieri mattina la giunta comunale ha dato il via libera a un contributo di 80mila euro da richiedere alla Regione per la prosecuzione del progetto pilota in tema di disadattamento, devianza e criminalità.

Questi soldi serviranno a sviluppare progetti individualizzati per persone condannate che si trovano in carcere, che sono in attesa di misure alternative alla detenzione o di assistenza post-penitenziaria con progetto di reinserimento. Ma si finanzieranno anche piani socio riabilitativi per i giovani adulti provenienti dalla giustizia minorile, l’attivazione di borse di studio e lavoro, l’applicazione della pena del lavoro di pubblica utilità. Verrà inoltre fornito sostegno al volontariato penitenziario organizzato e qualificato. La richiesta di contributo riguarda attività da svolgere nell’anno 2007.

Da tempo il Comune di Udine, tramite i servizi sociali, coopera con l’Ufficio esecuzione penale esterna di Udine, Pordenone e Gorizia, con la Casa circondariale di via Spalato e con il volontariato penitenziario, con l’obiettivo di attuare interventi che puntano al recupero, al reinserimento e alla riabilitazione sociale di soggetti in esecuzione penale o dimessi dal carcere. Per questi obiettivi il Comune ottiene finanziamenti annuali da parte della Regione.

I riferimenti normativi che giustificano la richiesta di contributi, avallata ieri dalla giunta Cecotti, sono la legge nazionale del 26 luglio 1975, n. 354, e la legge regionale 33 del 1988, "Piano socio-assistenziale della Regione". Con una delibera della giunta regionale del giugno 1990 venne approvato un progetto pilota in tema di disadattamento, devianza e criminalità, definendo il ruolo dei diversi enti locali.

Roma: carte d’identità per i detenuti, ora sarà più facile

 

Abitare Roma, 20 aprile 2006

 

Lo snellimento delle procedure burocratiche - attraverso gli addetti dell’Ufficio del Garante regionale dei Diritti dei detenuti - per il rilascio delle carte d’identità ai reclusi del carcere di Rebibbia, sarà ora possibile grazie al Protocollo d’intesa siglato il 20 aprile tra il presidente del V Municipio di Roma Ivano Caradonna e il garante regionale Angiolo Marroni.

Lo snellimento dell’iter passa attraverso l’applicazione di una procedura sperimentale: la gestione delle pratiche per la richiesta della carta d’identità sarà affidata al personale di Polizia Penitenziaria e ai componenti dell’Ufficio del Garante regionale. Le pratiche saranno poi lavorate da un Ufficiale Anagrafico del Municipio che le riconsegnerà al richiedente in carcere.

Il Protocollo d’intesa prevede che gli addetti del Garante dei detenuti consegnino i moduli di richiesta delle carta d’identità ai detenuti, che li compileranno. I moduli compilati saranno riconsegnati dall’Ufficio del Garante al V Municipio. Una volta lavorata la pratica, la carta d’identità sarà consegnata al detenuto richiedente dall’ufficiale dell’Anagrafe, attuando così un decentramento che il V Municipio sta già sperimentando nel mercato di San Romano. Per quanto riguarda i documenti dei nomadi, l’Anagrafe si è impegnata ad accettare la richiesta di estratti di nascita plurilingue anche se consegnati incompleti dai richiedenti.

A sollevare il problema delle difficoltà dei detenuti per ottenere i documenti di identità era stato il garante Angiolo Marroni, che aveva evidenziato come la mancanza del documento impedisse ai reclusi di esercitare il diritto al voto, di presentare domanda per avere pensioni sociali o di invalidità o di poter usufruire di benefici alternativi alla detenzione.

"La Carta d’identità e la Residenza anagrafica sono due requisiti fondamentali per consentire ai detenuti di godere appieno dei loro diritti civili che, è bene ricordarlo, non vengono affatto persi durante il periodo di detenzione - ha detto Angiolo Marroni commentando l’accordo – Grazie a questo Protocollo d’Intesa firmato oggi con il V Municipio noi contribuiamo a sanare una situazione che, per certi versi, non esito a definire assurda e che, fino ad oggi, ha penalizzato tanti detenuti. In alcuni casi molti di loro vedono le loro prospettive future legate proprio alla possibilità di avere tra le mani questi preziosi e fondamentali documenti".

Per il presidente del V Municipio Ivano Caradonna, "il Protocollo rappresenta un continuum degli interventi e delle iniziative che da diversi anni il Municipio, in collaborazione con le associazioni del territorio e con lo stesso carcere di Rebibbia, porta avanti a tutela dei diritti dei detenuti: la casa di accoglienza di Aguzzano, l’inserimento dei bambini sotto i 3 anni nei nidi in tempi rapidissimi e con posti riservati, l’inserimento dei detenuti in misura alternativa presso strutture municipali con utilizzo di sussidi economici, il sostegno e la promozione delle cooperative di detenuti mediante l’assegnazione di sedi, la consulenza amministrativa, normativa e l’affidamento progettuale di lavori, la promozione di attività culturali negli istituti e l’inserimento di madri con bambini nelle case famiglia del territorio".

Spoleto: il Vescovo in carcere, tra gli 85 reclusi del 41 bis

 

Il Messaggero, 20 aprile 2006

 

Un incontro breve, ma che ha colpito nel profondo le coscienze degli 85 detenuti in regime di carcere duro e condannati per reati di mafia. Nella sua visita alla casa di reclusione di Maiano, l’arcivescovo Riccardo Fontana ha voluto ridare una parola di speranza e di riscatto a chi si è macchiato di crimini efferati e sta pagando il suo debito con la giustizia. Durante la messa concelebrata nella chiesa del penitenziario insieme al cappellano Don Paolo Peciola, il presule ha voluto ribadire che la vita appartiene a tutti ed è il bene più prezioso.Dopo la celebrazione monsignor Fontana ne ha incontrati altri trentacinque rivolgendo loro un breve ma caloroso augurio. E nei volti dei detenuti traspariva un pizzico di commozione per le parole di incoraggiamento pronunciate dal presule, che è stato accolto dal direttore Ernesto Padovani, dal comandante degli agenti di polizia penitenziaria, Antonio Sebis e dal personale educativo.

Ricucci: a Regina Coeli i detenuti gli urlano "a Stè, dacce i soldi…"

 

Corriere della Sera, 20 aprile 2006

 

Non è facile la vita in carcere per nessuno; e nemmeno per l’immobiliarista Stefano Ricucci. Non è facile soprattutto per chi "fuori" era abituato a vivere nel lusso. Ma, oltre ai rigori e alle restrizioni dovuti alla detenzione, il finanziere di Zagarolo arrestato due giorni fa a Roma per la scalata alla Rcs deve sopportare anche le battutacce e gli sfottò degli altri detenuti. Al suo arrivo a Regina Coeli lo hanno apostrofato accogliendolo al grido, in dialetto romanesco, "a Stè, dacce i soldi".

Lui, scortato sottobraccio dagli agenti della polizia penitenziaria, non ha risposto e ha preferito tirare dritto, mantenendo lo sguardo fisso verso il basso. Non solo. Mentre veniva velocemente accompagnato verso la sua cella, dagli altri detenuti sono piovuti anche apprezzamenti pesanti nei confronti di sua moglie, Anna Falchi. Nel vecchio carcere romano, nel quartiere di Trastevere, Ricucci si trova in una cella singola della settima sezione, quella riservata ai "nuovi giunti", in attesa dell’interrogatorio a cui sarà sottoposto oggi. L’immobiliarista non può parlare o avere contatti con gli altri detenuti e ieri ha anche rinunciato all’ora d’aria che gli spetta di diritto. Il pasto, che invece non ha rifiutato, è lo stesso preparato per gli altri.

Catanzaro: sistema bibliotecario, convenzione Comune-carcere

 

Giornale di Calabria, 20 aprile 2006

 

Una convenzione finalizzata alla realizzazione di un sistema bibliotecario integrato è stata firmata ieri mattina all’interno della sala lettura della Casa circondariale di Lamezia Terme ed il Comune. Il protocollo è stato firmato dal sindaco Gianni Speranza e dal direttore della struttura carceraria Maria Luisa Mendicino, presenti tra gli altri la responsabile della era educativa dell’istituto penitenziario, Maria Francesca Branca. In pratica la convezione, che rientra nell’ambito di un protocollo di intesa stipulato nel giugno dello scorso anno con il quale comune e sistema penitenziario si impegnano a promuovere opportune iniziative ricreative, sportive e culturali, prevede che il comune di Lamezia Terme, mediante il proprio servizio bibliotecario e nelle misure delle risorse disponibili, si impegna ad incrementare il patrimonio librario e documentario dell’Istituto, non solo attraverso il prestito interbibliotecario, ma anche attraverso la cessione gratuita di riviste, libri, periodici, cd e video. La convenzione, inoltre, prevede che il comune, di concerto con l’educatore, fornirà un supporto tecnico ai detenuti incaricati del servizio di biblioteca interna, per apprendere le tecniche di catalogazione e gestione della biblioteca stessa. Alla firma della convenzione inoltre hanno partecipato alcuni detenuti che hanno letto alcune riflessioni personali sull’importanza della lettura.

Empoli: è nata "Fiordisapori", una cooperativa sociale in rosa

 

Comunicato stampa, 20 aprile 2006

 

Undici donne, italiane e straniere, di cui sei del territorio e cinque detenute della custodia attenuata femminile di Empoli, hanno frequentato un corso di formazione di cucina, volto alla creazione d’impresa. Quindi undici donne con l’obiettivo di costituire una cooperativa di catering e servizi di ristorazione in genere. Nasce così la cooperativa Fiordisapori che verrà presentata ufficialmente in una iniziativa pubblica, patrocinata dal Comune di Empoli, venerdì 28 aprile alle 9.30 nel cenacolo degli Agostiniani.

Una mattinata in cui si parlerà di cooperazione, carcere, solidarietà e del fare impresa sociale, vale a dire della volontà di coniugare, dunque, la creazione di opportunità di lavoro, con la promozione e realizzazione di servizi professionali e competenti. All’incontro parteciperanno i referenti del consorzio Co&So che hanno lavorato al progetto complessivo, Mirco Regini, Stella Latini e Francesco Franco; Alessandro Margara della Fondazione Michelucci; la direttrice della casa a custodia attenuata femminile di Empoli, Margherita Michelini, altri esponenti del mondo della cooperazione ed il sindaco di Empoli, Luciana Cappelli, che concluderà la mattinata.

Subito dopo, intorno alle 13, le donne della cooperativa Fiordisapori offriranno un buffet, dando prova delle loro capacità. Per questa occasione, parteciperanno tutte le cinque donne detenute della custodia attenuata femminile di Empoli, che lavorano dall’interno per la cooperativa.

Unite dalle situazioni più svantaggiate, ma destinate a continuare a vivere con determinazione e coraggio, il gruppo delle donne di Fiordisapori ha già dato prova delle sue capacità ed attitudini culinarie in alcune performance legate ad iniziative che si sono svolte all’interno ed all’esterno del carcere. Momenti in cui è stata riconosciuta la bravura e soprattutto la loro professionalità, anche grazie ad un percorso di duecentocinquanta ore di formazione, suddivisa in due parti: una di base ed una specifica professionalizzate. Il finanziamento che ha permesso la nascita della Fiordisapori finirà a luglio, ma pensiamo che siano state create le basi per far sì che la nuova cooperativa possa muoversi sul mercato, nell’ambito dei propri servizi, in autonomia grazie al sostegno del consorzio Co&So, che continuerà anche dopo i primissimi passi e grazie ad un livello di attenzione, di riconoscimento, e di volontà di darci delle occasioni da parte delle istituzioni locali e della comunità tutta.

Avezzano: lavori nel carcere, ancora incertezza sui tempi

 

Il Tempo, 20 aprile 2006

 

Preoccupazione per il carcere di Avezzano, dopo i recenti episodi. Il sindaco Antonello Floris ha scritto al ministro Castelli e al capo dell’amministrazione penitenziaria Tinebra, la seguente lettera aperta: "All’inizio del corrente mese, assieme all’on. De Laurentiis, ebbi modo di incontrare a Roma il dott. Tinebra per discutere delle problematiche relative al carcere di Avezzano. In quella occasione, oltre ad illustrare la possibilità di un parziale funzionamento della struttura, pur in presenza di lavori di adeguamento, resi nota la disponibilità dell’amministrazione comunale ad intervenire anche finanziariamente nell’operazione per far sì che la stessa avesse quantomeno tempi certi nella realizzazione facendo direttamente partecipe, per iscritto, anche lei della cosa e chiedendo un incontro per discutere in modo più approfondito di tutta la vicenda.

A distanza di pochi giorni, e senza avere di tutta la questione la benché minima notizia - prosegue il sindaco - si sono verificati una serie di episodi che fanno capire, in modo inequivocabile, che la decisione di chiudere il carcere è imminente. Pur riconoscendo l’urgenza dei lavori di messa a norma e di ristrutturazione, mi permetta di esprimerle tutto il mio disappunto per come si è dipanata la vicenda e la preoccupazione per le incertezze sull’inizio dei lavori e sulla durata. Non posso, infine, non sottolineare come, dopo che si è adempiuto a tutta una serie di atti preliminari, sia ancora in alto mare la pratica relativa alla realizzazione di un nuovo carcere nella zona nord, in un’area, lo ripeto per l’ennesima volta, già individuata e ritenuta idonea dalla Commissione ministeriale che ha effettuato, ormai quasi 18 mesi fa, un sopralluogo".

Amnesty: pena morte, nel 2005 ci sono state 2.148 esecuzioni

 

Peace Reporter, 20 aprile 2006

 

Almeno 20mila persone al mondo stanno contando i giorni che li separano dal momento in cui lo Stato in cui sono stati condannati toglierà loro la vita. L’anno scorso sono state messe a morte almeno 2.148 persone in 22 paesi; il 94% di queste esecuzioni ha avuto luogo in Cina, Iran, Arabia Saudita e Usa. Sempre nel 2005 sono state emesse 5.186 condanne a morte in 53 paesi. Lo denuncia Amnesty International, Come anticipato ieri da Apcom, in un rapporto sull’applicazione della pena di morte nel mondo. Le informazioni in possesso di Amnesty International evidenziano che in Cina vi sarebbero state circa 1.770 esecuzioni. Ma il numero effettivo potrebbe essere molto più alto, avverte l’Organizzazione: secondo un esperto legale cinese, sarebbero circa 8mila i prigionieri messi a morte nel paese ogni anno. Nel 2005 in Iran sono stati messi a morte almeno 94 prigionieri, in Arabia Saudita almeno 86. In entrambi i paesi, i dati reali potrebbero essere più alti, secondo Amnesty. Sono invece 60 le esecuzioni registrate in Usa, più di mille dal 1976, anno della reintroduzione della pena capitale negli States.

Tuttavia, i dati resi pubblici oggi sono approssimativi a causa del segreto che circonda l’applicazione della pena di morte,sostiene l’organizzazione. Molti governi, come quello cinese,rifiutano di pubblicare statistiche ufficiali sulle esecuzioni, in paesi come il Vietnam le informazioni su questo argomento sono considerate segreto di Stato. Nonostante i dati rilevati nello studio di Amnesty International, la tendenza verso l’abolizione continua a crescere: negli ultimi 20 anni il numero degli Stati che eseguono condanne a morte si è dimezzato e nel 2005 è risultato in calo per il quarto anno consecutivo. Due esempi recenti, cita Amnesty,sono il Messico e la Liberia dove lo scorso anno la pena capitale è stata abolita per tutti i crimini. Intanto secondo il segretario generale di Amnesty, Irene Khan, "paesi come la Cina, l’Iran, l’Arabia Saudita e gli Usa costituiscono una clamorosa anomalia per l’estremo uso" che fanno della pena capitale. In Cina, paese che da solo totalizza l’80% delle esecuzioni, si può essere messi a morte - dichiara l’Organizzazione - per 68 reati, anche per atti che non comportano l’uso della violenza, come la frode fiscale, l’appropriazione indebita e i crimini legati al traffico di droga. In Arabia Saudita, prigionieri sono stati prelevati dalle loro celle e uccisi, senza che nessuno li avesse informati della loro condanna a morte; altri detenuti, stranieri o appartenenti a minoranze etniche, sono stati giudicati colpevoli e condannati al termine di processi celebrati in una lingua sconosciuta, senza che fosse stato fornito loro un interprete, afferma lo studio.

Negli Usa, durante il 2005, due persone sono state rilasciate dal braccio della morte dopo che era stata provata la loro innocenza. In alcuni paesi, l’uso della pena capitale può essere pericolosamente legato a interessi economici. In Cina, sono in molti a temere che gli alti profitti derivanti dall’espianto degli organi delle persone messe a morte possano essere un incentivo a mantenerla. In molti Stati, procedure inumane aggravano l’intrinseca crudeltà della permanenza nei bracci della morte. In Bielorussia e in Uzbekistan, le autorità non informano i prigionieri né i loro familiari sulla data di esecuzione, negando così la possibilità di un ultimo saluto. I corpi dei prigionieri non vengono restituiti ai parenti e a questi ultimi viene persino tenuto nascosto il luogo di sepoltura, avverte Amnesty. Il rapporto di Amnesty International mette in luce, inoltre, le conseguenze mortali dei processi iniqui. In Giappone, diverse persone sono state condannate a morte dopo essere state sottoposte a maltrattamenti, costrette a confessare crimini mai commessi. In paesi come la Bielorussia e l’Uzbekistan un sistema penale pieno di falle e minato dalla corruzione crea terreno fertile per errori giudiziari, denuncia l’Organizzazione. Ma secondo Amnesty "il percorso abolizionista è inarrestabile. Nel 1977, solo 16 paesi avevano abolito la pena di morte per tutti i reati. Alla fine del 2005, il loro numero è salito a 86. La campagna di Amnesty International continuerà fino a quando ogni condanna a morte sarà stata commutata e la pena capitale abolita", ha concluso Khan. Nel mondo più della metà dei paesi ha abolito la pena di morte di diritto o di fatto, secondo gli ultimi dati di Amnesty International, aggiornati al 1 gennaio 2006.

Lo rende noto l’Organizzazione in un comunicato. Secondo Amnesty International: 86 paesi hanno abolito la pena di morte per ogni reato; 11 paesi l’hanno abolita salvo che per reati eccezionali, quali quelli commessi in tempo di guerra; 25 paesi sono abolizionisti de facto poiché non vi si registrano esecuzioni da almeno dieci anni oppure hanno assunto un impegno a livello internazionale a non eseguire condanne a morte. In totale 122 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica; 74 paesi mantengono in vigore la pena capitale, ma il numero di questi dove le condanne a morte sono eseguite è molto più basso. Sono infine 86 i paesi totalmente abolizionisti,che hanno cioè abolito la pena di morte per tutti i reati. Dal 1990 sono più di 40 i paesi che hanno abolito la pena di morte per tutti i crimini. In Africa, con la Costa d’Avorio e la Liberia, nel continente americano, con il Canada, il Messico e il Paraguay. In Asia e nel Pacifico, con il Bhutan, Samoa e il Turkmenistan. In Europa e nel Caucaso del Sud, con l’Armenia, la Bosnia-Herzegovina, Cipro, la Serbia e Montenegro e la Turchia. Una volta abolita, la pena di morte è raramente reintrodotta.Dal 1985, più di 50 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge.

Oppure, avendola abolita in precedenza solo per i crimini ordinari, hanno provveduto ad eliminarla per tutti i crimini.Durante lo stesso periodo, soltanto quattro paesi abolizionisti hanno reintrodotto la pena capitale: il Nepal, (che l’ha poi nuovamente abolita), le Filippine (in cui vige ora una moratoria sulle esecuzioni), il Gambia e la Nuova Guinea (dove non sono state registrate esecuzioni). Gli Usa hanno messo a morte più imputati minorenni che in altri paesi (19 tra il 1990 e il 2003), prima che nel marzo 2005 la Corte suprema Usa ponesse fine a tale pratica dichiarandola incostituzionale: "Il fatto che gli Usa abbiano preso questa decisione dovrebbe costituire un chiaro messaggio rivolto ai paesi che ancora applicano questa pratica barbara. La sentenza della Corte suprema Usa costituisce una pietra miliare verso un importante obiettivo: l’abolizione globale della pena di morte per i minorenni", è l’appello lanciato dal segretario generale di Amnesty International Irene Khan, mentre l’Organizzazione pubblica oggi il rapporto sulla situazione delle esecuzioni capitali nel mondo. I trattati internazionali sui diritti umani proibiscono l’applicazione della pena di morte nei confronti di imputati minorenni, ovvero coloro che avevano meno di 18 anni al momento del reato, scrive Amnesty in un comunicato.

Sia il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, che la Convezione Americana sui Diritti Umani, che la Convenzione sui Diritti del Fanciullo proibiscono tale pratica. Più di 110 paesi, nei quali il codice penale ancora prevede la pena capitale, hanno emesso leggi specifiche per escludere la condanna a morte di imputati minorenni. In mancanza di queste leggi, c’è da considerare vincolante anche l’adesione a uno dei trattati internazionali. Nonostante ciò, ancora oggi, un numero molto ridotto di paesi continua a mettere a morte minorenni all’epoca del reato. Dal 1990 sono otto i paesi nei quali sono stati messi a morte imputati minorenni: Arabia Saudita, Cina, Iran, Nigeria,Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Usa e Yemen.

In seguito, Cina, Pakistan e Yemen hanno emesso leggi per aumentare a 18 anni l’età minima per essere condannati a morte. L’Iran è l’unico paese che nel 2005 ha messo a morte minorenni all’epoca del reato, almeno otto, due dei quali avevano meno di 18 anni anche al momento dell’esecuzione.La pena di morte nel mondo, di seguito i dati ufficiali del 2005, secondo il coordinamento pena di morte di Amnesty International. Negli Usa nel 2005, sono 60 i prigionieri messi a morte nel paese. La cifra ha portato a 1.004 il numero totale delle esecuzioni dal 1976, quando fu reintrodotta la pena di morte.Alla data del 1 gennaio 2006 ci sono circa 3.400 prigionieri nei bracci della morte. La pena di morte è applicata in 38 Stati su 50, è prevista anche dalle leggi federali civili e militari. Nel 2005 Amnesty si è occupata di pena di morte e minorenni con la campagna "Non uccidete il futuro. Stop alle esecuzioni di minorenni!".

Nei prossimi mesi Amnesty International continuerà a mantenere alta l’attenzione su questa tematica, in particolare in paesi come l’Iran, come rende noto oggi l’Organizzazione in un comunicato. Cominciata nel 2003, oggi è tutt’ora in corso una campagna sui paesi appartenenti all’Ecowas, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale. Questa regione, ormai, è a un passo dall’abolizione definitiva della pena di morte. Molto alta,ancora, è l’attenzione sugli ultimi due paesi dell’Europa e Asia Centrale che continuano ad eseguire condanne a morte: Bielorussia e Uzbekistan. Nel 2006, inoltre Amensty International concentrerà la sua azione sugli Usa e in particolare sull’applicazione della pena di morte nei confronti di persone affette da gravi forme di malattia mentale. Mentre già è in discussione l’argomento chiave per il prossimo 10 ottobre, la Giornata Mondiale contro la pena di morte. Questi sono alcuni degli ultimi casi in favore dei quali Amnesty si è attivata: Adil Muhammad Saif al-Màamari, un ragazzo yemenita di 21 anni, minorenne all’epoca del presunto reato.

Fatemeh Haghighat-Pajouh, una donna iraniana accusata di aver ucciso il coniuge; la donna ha dichiarato che il marito tossicodipendente aveva tentato di violentare la figlia quindicenne che Fatemeh aveva avuto da un precedente matrimonio. Fabianus Tibo, Domingus da Silva e Marinus Riwu, tre uomini condannati a morte in Indonesia nel 2001 per omicidio premeditato e incitamento alla rivolta, in connessione alle violenze etnico-religiose tra Cristiani e Musulmani avvenute nella città di Poso l’anno prima. Diversi studi scientifici, sostiene Amnesty International, hanno dimostrato che non esistono prove certe che la pena capitale sia un deterrente più efficace rispetto ad altre punizioni. L’indagine più recente sulla relazione tra pena capitale e tasso di omicidi, condotta dalle Nazioni Unite nel 1998 e aggiornata nel 2002, conclude che: "Non è prudente accettare l’ipotesi che la pena di morte abbia un effetto deterrente maggiore piuttosto che l’applicazione di altre punizioni quali il carcere o l’ergastolo", lo dichiara l’organizzazione per i diritti umani in un rapporto che riguarda la situazione della pena capitale nel mondo.

La stessa indagine delle Nazioni Unite spiega successivamente che: "Esistono diverse prove a sostegno della tesi che l’abolizione della pena capitale non provochi un improvviso e grave cambiamento nel tasso di criminalità", secondo Amnesty. I dati più recenti sul tasso di criminalità nei paesi abolizionisti dimostrano che l’abolizione non ha effetti dannosi.In Canada, ad esempio, il tasso di omicidi per 100mila persone è sceso dal valore di 3,09 nel 1975, un anno prima dell’abolizione della pena capitale, al valore di 2,41 nel 1980 e, da allora, continua a scendere. Nel 2003, 27 anni dopo l’abolizione, il tasso di omicidi era del 1,73 per 100mila persone, il 44% in meno rispetto al 1975 e il valore più basso delle ultime tre decadi. Ovunque la pena di morte sia applicata, il rischio di mettere a morte persone innocenti è molto elevato, denuncia l’Organizzazione, secondo la quale "Nessun sistema penale è immune dal commettere errori, che diventano irrimediabili quando le condanne a morte vengono eseguite".

Dal 1973 in Usa sono stati rilasciati 122 prigionieri dal braccio della morte dopo che erano emerse nuove prove della loro innocenza. Di questi, sei nel 2004 e due nel 2005. Alcuni di questi prigionieri sono stati rilasciati dopo aver trascorso molti anni nel braccio della morte. In ognuno di questi casi sono emerse caratteristiche simili e ricorrenti: indagini poco accurate da parte della polizia, l’utilizzo di testimoni non affidabili, di prove o confessioni poco attendibili e un’inadeguata assistenza legale. Ma non solo, in Usa purtroppo sono diversi i casi di prigionieri messi a morte nonostante ci fossero molti dubbi sulla loro colpevolezza. Nel 2000, l’allora Governatore Ryan dello Stato dell’Illinois in Usa, dichiarò una moratoria sulle esecuzioni in seguito alla scarcerazione del tredicesimo prigioniero condannato a morte ingiustamente dal 1976, anno di ripresa delle esecuzioni nel paese. Durante lo stesso periodo 12 prigionieri furono messi a morte. Nel gennaio del 2003, il Governatore Ryan ha concesso la grazia a quattro condannati a morte e commutato le restanti 167 condanne in ergastolo. Decapitazione in Arabia Saudita e Iraq, fucilazione in Bielorussia, Cina, Somalia, Taiwan, Uzbekistan,Vietnam e altri paesi, impiccagione in Egitto, Giappone,Giordania, Iran, Pakistan, Singapore e altri paesi, iniezione letale per Cina, Filippine, Guatemala, Thailandia e Usa, lapidazione in Afghanistan e Iran e sedia elettrica negli States. Questi sono i metodi utilizzati per applicare la pena di morte nel mondo dal 2000, secondo quanto rende noto Amnesty International pubblicando un rapporto sulla situazione delle esecuzioni capitali nel mondo. Nel 2005 in America - prosegue il comunicato dell’Organizzazione - si è sviluppato un ampio dibattito, tutt’ora in corso, sull’uso dell’iniezione letale. Secondo un rapporto pubblicato da The Lancet, autorevole rivista britannica di medicina, spesso accade che il prigioniero sia cosciente e avverta un dolore intenso durante la procedura, ma, essendo paralizzato dalla prima droga iniettatagli, nessuno può accorgersi della sua sofferenza. In Usa, recentemente, la Corte suprema della Florida ha bloccato due esecuzioni con la motivazione che l’iniezione letale possa costituire una "punizione crudele e inusuale" e quindi violare l’ottavo emendamento della Costituzione. Così come in Florida, in altri Stati si sta cominciando a mettere in discussione tale pratica.

Venezuela: scontri nel carcere di Santa Ana, almeno 10 morti

 

Ansa, 20 aprile 2006

 

Uno scontro fra bande di reclusi nel carcere di Santa Ana, nello Stato venezuelano di Tachira, ha causato dieci morti. Lo la reso noto il comandante del Comando regionale n. 1 della Guardia Nazionale, gen. Patino. Secondo una ipotesi sulle cause all’origine della battaglia fra i detenuti, la convinzione di una banda che il sequestro di una partita di armi e di droga all’interno del carcere fosse opera di una soffiata dei componenti di un gruppo rivale.

 

 

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